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Johnny come Cristo - analisi

Ultimo Aggiornamento: 13/06/2011 18:50
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Sesso: Maschile
13/06/2011 18:50


JOHNNY COME CRISTO


[…] Sensazionalistiche o meno, le pellicole [di Cronenberg] denotano tutte una personale, innegabile padronanza del mezzo cinematografico. A un punto tale che proprio le sue trovate più mostruose (ad esempio, gli strani nanetti e le deformazioni fisiche di Samantha Eggar inBrood – La covata malefica) finivano per figurare come eccessive non tanto in se stesse quanto soprattutto in relazione al suo modo economico e funzionale di costruire il film. Le opere di Cronenberg, intendo dire, vivono di un ritmo, di un taglio, di una concezione strutturale della narrazione ammirevolmente dinamici (con l’eccezione, ampiamente giustificata dalla tesi della pellicola, di Crash), tanto da rendere lo svelamento del mostruoso quasi controproducente ai fini di costruzione che esse perseguono.
Ora, La Zona Morta è il primo film di Cronenberg ad avere eliminato tale “incongruenza” dell’orrido, il primo cioè ad affidarsi completamente ai modi del racconto escludendo l’identificazione fra climax (di una singola sequenza così come dell’intera opera) e visione della mostruosità.
Cronenberg vi inietta la sua usuale dose di senso del ritmo e, perché no?, di turbamento e disagio, ma facendo leva unicamente sulla sensazione e non sul sensazionalismo. Non ci sono teste che esplodono né strane aberrazioni del corpo nel loro farsi, in La Zona Morta, ma esplosioni e aberrazioni interiori che squassando lo spirito giungono fino al corpo.
È un modello, questo, già presente in Poe (ricordate Il ritratto ovale?), quel Poe che a più riprese viene citato nel film e che sembra non a caso molto caro al protagonista insieme a Washington Irving […].
La presenza di questi scrittori evidentemente non è casuale, ma non tanto per l’ovvio referente “gotico” che essi incarnano. […] È vero che essi entrano a far parte del film perché il protagonista è un insegnante, ma è anche vero che essi sono nomi tradizionali nel bagaglio culturale dell’adolescenza americana cosicché è lecito supporre che appartengano, in questo senso, non solo agli allievi ma anche al maestro.
Infanzia e adolescenza sono anzi presenze chiave del film: la scolaresca all’inizio, la bambina salvata, il figlio dell’ex fidanzata, il giovane Stuart, sono tutti personaggi che ci riportano a un’altra età, un’età che abbiamo motivo di pensare non lontana dal protagonista, non estranea a lui, non per le sue funzioni professionali ma per un costante implicito riferimento della sua vita a esse. […]
John insomma è ancora legato alla propria infanzia e adolescenza; non in modo morboso […]. John è un puro, un innocente. Quello che si può intuire l’unico rapporto sentimentale della sua vita continua anche dopo che la ragazza si è sposata con un altro a causa del coma in cui per cinque anni egli è caduto. Di più: è altrettanto intuibile che il rapporto sessuale che John ha in seguito con la donna […] sia il primo e l’unico di tutta la sua esistenza. […]
La “purezza” di John è la prima qualità che si richiede a un eroe soteriologico. Perché a questo punto è indubitabile che egli raffiguri una sorta di Cristo. John Smith (un nome anonimo e quindi tanto emblematico […]) soffre non per i suoi mali ma per quelli degli altri; e la sua sofferenza si inscrive sul suo corpo che via via perde sempre più vita, scontando in questo modo per il mondo – un po’ come un altro eroe cristologico a lui contemporaneo, il protagonista di Starman di John Carpenter – le atrocità di cui egli è testimone. Non a caso nell’atrocità più grande di tutte, la scena dello stupro e dell’assassinio della ragazza, egli è presente e soffre sino al collasso la propria impotenza: qui John è più che mai Cristo, oberato dal peso della responsabilità di ciò che avviene “ancora” sotto i suoi occhi. John ha però il vantaggio della “zona morta”, la possibilità di intervenire sul futuro. Figura cristologica, ma non divina, dunque, dal momento che egli non è legato dal libero arbitrio e può intervenire sul mondo. In altre parole, John è unicamente “figlio dell’uomo”, estraneo alla compartecipazione delle due nature, umana e divina, di Cristo.
[…] John ritorna al mondo dopo la propria “morte” per vederlo come in effetti esso è: pauroso, spregevole, violento, folle. La sua menomazione (se così si può chiamare) è il segno dell’elezione, della salvezza, ed egli è chiamato a riscattare un’intera società.
[…] Drammatica e veloce, la macchina da presa si muove con continui carrelli davanti alle case del film quasi a suggerire vaghe minacce e strani turbamenti allo spettatore. Poi, con radicale mutamento di registro, propone continui primi piani concentrandosi sul viso degli attori – e primamente del protagonista – come a scrutare quali domande e quali esperienze interiori esso celi. […] John non piange tanto perché la ragazza che ha amato e ancora ama è sposata a un altro […], quanto perché quell’incontro ha catalizzato ulteriormente la sua solitudine di “diverso”, la sua alterità rispetto al consorzio umano, la sua impossibilità di normalità.
Per questo La Zona Morta di Cronenberg, regista che abbiamo sempre intuito sensibile al problema della “diversità”, è una delle sue opere migliori […], un’analisi soffertissima del significato della diversità […].
Franco La Polla, L’età dell’occhio, Lindau 1999

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