Cannibali per amore
Narrativa. La prima volta da romanziere di David Cronenberg: «Divorati», edito da Bompiani, porta fra le pagine tutte le ossessioni del filmmaker, in una parabola dell'atto estremo del consumismo
«Quando guardi un film, c’è una certa distanza tra te e lo schermo. Fisicamente parlando, un libro è molto più vicino al cuore, al cervello». Per David Cronenberg (come spiega in un’intervista al sito Flavorwire), la scrittura del romanzo «è molto più interiore, intima», rispetto a quella del copione di un film; una scrittura «in prima persona, almeno dal punto di vista emotivo».
Filtrata dalla sublime illusione di neutralità dello sguardo con cui il regista di
La mosca e
Cosmopolis ci ha portati in luoghi inavvicinabili della coscienza e dell’immaginario, quell’esperienza — intima, interiore, in prima persona — è tangibilissima nel romanzo d’esordio di Cronenberg,
Divorati (Bompiani, pp. 343, euro 18.50). Insieme a seni ricolmi d’insetti, chirurghi ungheresi di dubbia fama, stampanti tridimensionali che riproducono i resti mutilati di un corpo, Sartre e Psycho; Marx e la margarina Crisco; la sindrome di Peyronie (che curva il pene fino a farlo sembrare un boomerang) e il virus di Roiphe (una malattia venerea che nella realtà non esiste); le passioni cinefile di Kim Jong-il e una riunione della giuria al festival di Cannes.
Tratteggiato su una mappa che spazia tra Parigi, Toronto, la Costa azzurra, Budapest, Tokyo e Pyongyang, con la cura «chirurgica» per il dettaglio che caratterizza la visione cronenberghiana, e ricco di suggestioni letterarie che rimandano a scrittori su cui il filmmaker ha lavorato (James Ballard, Don DeLillo e William Burroughs),
Divorati è un intrigo internazionale in cui le ossessioni chiave del regista – il corpo, la macchina, la malattia e i loro reciproci innesti — si accavallano alla sua biografia. In un’intervista in cui parlava del libro, Cronenberg ha detto che, per scriverlo, ha «cannibalizzato» la sua vita e quella di chi gli sta intorno.
L’uso della parola «cannibale» è adeguato per più di una ragione. Non solo, fin dalle prime pagine, s’insinua la possibilità che, in un raffinato salotto intellettuale parigino, sia avvenuto un mostruoso pasto a base di carne umana. Cannibale è, nel pensiero dei due anziani filosofi protagonisti di
Divorati, l’ultimo stadio della società dei consumi (nella traduzione italiana del titolo si perde purtroppo il doppio senso di quello inglese,
Consumed) e, nel racconto di Cronenberg, cannibale è anche un’umanità sempre più impegnata a fagocitare se stessa attraverso la riproduzione e la diffusione di suoni e di immagini. L’equivalente del virus/videoregistratore che si impadroniva di James Woods in
Videodrome oggi è la rete…
È difficile, infatti, già nella prima scena del romanzo, capire chi guarda (uno schermo) e chi ne è guardato. Le realtà multiple di
Divorati spesso validate solo nel momento in cui vengono digitalmente assorbite e inviate online (lo scanner laser come l’Eclair NPR che usavano i registi della Nouvelle Vague, si legge a un certo punto).
Naomi è una fotogiornalista tabloid, una Weegee dell’era internet, accessoriata di ogni possibile strumento di registrazione sonora, fotografica e video, a caccia di storie scandalose come quella che da New York la porta a Parigi, a investigare la misteriosa morte di Celestine Arosteguy, celebrata metà di un’amatissima coppia di filosofi (più Sartre/de Beauvoir che Bertrand-Henry Levy/Dombasle, precisa Cronenberg) noti per i loro studi sui consumi, lo spensierato libertinaggio intellettuale/sessuale e per occasionali filospasmi, in cui un coniuge indulge con entusiasmo all’improvvisa patologia fisio-filosofica dell’altro – non importa quanto irragionevole sia l’avventura del corpo e della mente.
Con i suoi resti sanguinanti rinvenuti vicino a quelli che sembrano le tracce di un pasto, Celestine potrebbe essere stata uccisa (e mangiata) dal marito Aristide, che intanto è scomparso. Qualcuno sostiene che fosse malata di cancro, e che l’omicidio sia stato un atto d’amore. Il cancro, e alcune bizzarre tecniche di operarlo/curarlo, è l’oggetto della storia cui, in viaggio verso Budapest, sta lavorando Nathan, collega e fidanzato, di Naomi, anche lui sulla trentina, ambizioso e competitivo. Degli Arosteguy, Naomi a Nathan condividono la promiscuità sessuale, e il gusto per il mind fuck, anche se il loro – giovani americani in gran tour europeo, come in un libro di Henry James — è molto più terra terra.
La pista sulle tracce di Aristide Arosteguy porta Naomi a Tokyo. Mentre Nathan rientra a Toronto per incontrare il dottore che ha scoperto la malattia venerea: a infettarlo è stata una bellissima slava in punto di morte. A un certo punto le due storie si intrecciano e diventano una sola, complici un paio di intraprendenti allievi degli Arosteguy, Hervé Blomqvist e Chase Roiphe. Fittissimo di digressioni e colpi di scena, punteggiato dalle apparizioni di personaggi che sembrano usciti da Kafka (una ginecologa vietnamita, l’ispettore di polizia parigino, l’esperta di protesi acustiche Elke, lo scomparso regista d’avanguardia francese Romme Vertegaal…),
Divorati rimanda continuamente ai luoghi e alle ossessioni della filmografia di Cronenberg. Dalle cliniche in cui si coltivano malattie misteriose (già in Crimes of the Future, del 1970), alle passioni entomologiche (
La mosca, eXistenZ, Il pasto nudo), dalle protesi sessuali più strane (
Inseparabili) all’erotismo dell’intelletto (
A Dangerous Method). È un libro a cavallo tra satira e feuilleton, in cui l’ambizione politico filosofica dell’horror cronenberghiano emerge in primo piano dalle maglie del genere. A volte, persino troppo.
Oltre alla sua fantastica qualità visiva – vividissima, come quella dei film, e che richiede analoghi aggiustamenti dell’occhio — le pagine più belle sembrano, infatti, non quelle «colte», ma quelle scritte più di getto, quasi come slanci di un monologo interiore. Si pensi alla descrizione di come Naomi scopre la progressiva attrazione erotica di Nathan per Chase, nell’uso di diversi obiettivi della macchina con cui l’ha fotografata; ai passaggi dedicati al cambiamento del sesso tra due persone che si amano molto in vecchiaia… O all’immagine di una ciocca di capelli umidi e grigiastri scomposti sul volto di Celestine, «come la gamba pelosa di un ragno che le usciva dalla bocca» .
Giulia D'Agnolo Vallan, ilmanifesto.info
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Divorati, l'esordio letterario di David Cronenberg
"Quanto alla malattia: non siamo quasi tentati di chiederci se potremmo farne a meno?" Oliver Sacks nella prefazione de 'L'uomo che scambiò sua moglie per un cappello' inizia con questa citazione di Nietzsche. Il rapporto tra malattia e racconto è al centro dei suoi interessi, dei suoi studi e delle narrazioni presenti nel testo. Così a quasi trent'anni dalla pubblicazione del testo di Sacks, David Cronenberg torna sulla malattia, torna sul rapporto tra narrazione e patologia e lo fa attraverso la connessione, l'interazione, attraverso i social e la costruzione della propria identità e delle identità altrui. Parlare di
Divorati (Bompiani, 2014) è estremamente complesso per il corposo quantitativo di riferimenti filosofici e letterari, cinematografici e informatici. Il rapporto tra Nathan e Naomi, coppia di fotogiornalisti freelance, si fonda quasi esclusivamente sulla comunicazione. L'interazione passa attraverso videochiamate skype, foto modificate, mail, messaggi; la fotocamera come un occhio costantemente presente, riprende tutto e rende eternamente presente il passato. Le schede SD custodiscono verità e menzogna confuse dalla possibilità di creare, ricreare e modificare l'essenza stessa dell'immagine degli esseri umani.
Sulle tracce dei rispettivi articoli da consegnare, Nathan e Naomi interagiscono con la malattia. Lui con una rara malattia venerea contratta durante un reportage, a causa di un rapporto sessuale avuto; lei con la morte inspiegabile di Celestine Arosteguy moglie di Aristide, entrambi stimati filosofi francesi conosciuti in tutto il mondo. La morte immediatamente richiama le vicende di Althusser, anch'esso in stretto rapporto con la follia, causa, forse, dello strangolamento della moglie. Althusser, non a caso rievocato dallo stesso Cronenberg è, infatti, uno dei padri dello strutturalismo.
Divorati è un libro complesso, le vicende si mescolano e tutto si gioca sempre sul limite tra realtà e finzione ponendolo costantemente in rapporto con le dicotomie sanità-follia e sanità-malattia. Al centro di tutto questo, Cronenberg, inserisce il corpo dell'uomo. Così come anche in
Maps to the stars i segni dei traumi passano attraverso la rappresentazione fisica del corpo ustionato di Agatha, così, anche in questo caso, tutto si muove seguendo le infezioni genitali di Nathan o le foto del corpo di Celestine Arosteguy vittima di cannibalismo. In più i soggetti sempre e costantemente sotto l'occhio delle fotocamere o videocamere sono sempre sul punto di scindersi tra l'esser eterno e l'esser mortale, scissione che li pone sulla linea del divenire oggetto (quindi eterno) o rimanere soggetto (quindi mortale). Sul finale la differenza tra soggetto e oggetto nell'era del web 2.0 si assottiglierà sempre di più, permettendo a Nathan e Naomi di riuscire a comprendere il districato legame tra le loro vicende.
Le viscerale contemporaneità delle storie di Cronenberg rappresenta uno dei punti di forza maggiori della narrazione. Il lettore si avvicina al libro con la sensazione d'avere tra le mani delle parole capaci di raccontare il presente, come se stesse aprendo una finestra sul tablet per vedere una foto o un video. Per comprendere la forza della narrazione di questo testo, infatti, basterebbe leggere anche solo l'incipit: "Naomi era nello schermo". Esattamente come noi, come tutti.
Luca Romano, huffingtonpost.it
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L'ossessione della tecnologia, l'informazione nell'era dei social, ma soprattutto le immagini, dalle foto ai video, e il loro imporsi come forma di comunicazione imprescindibile. David Cronenberg, il regista de
Il pasto nudo e
Crash, debutta nella narrativa con un romanzo dal titolo inquietante e provocatorio,
Divorati, in cui non manca il cannibalismo, pubblicato da Bompiani nella traduzione di Carlo Prosperi.
Non è un horror, anche se non mancano alcuni ingredienti del genere, e procede con l'andamento di un thriller. E' un viaggio surreale che parte dalla storia dell'affascinante coppia di anziani e libertini filosofi francesi Arosteguy: Celestine e il marito Aristide. "Sinceramente, io e Celestine sentivamo di dover comprendere appieno il fenomeno della rete perché il consumismo e la rete si sono fusi, sono diventati una cosa sola, anche se da un certo punto di vista questo era un abominio per noi, era deleterio per la strana, introversa e, sì, irrefrenabile snob cultura personale che avevamo sviluppato insieme negli anni" dice Aristide.
Ad appassionarsi alle vicende di questi due intellettuali marxisti è la giornalista freelance Naomi, specializzata in cronaca nera, che insieme a Nathan, anche lui freelance, è sempre alla ricerca di argomenti scabrosi. E in questo caso non mancano: la sessantaduenne Celestine è stata fatta a pezzi e i suoi resti vengono trovati nel piccolo appartamento vicino alla Sorbonne, dove viveva con il marito.
Del conosciuto filosofo Aristide non c'è traccia, non si sa con certezza dove si trovi, forse in Asia, e la polizia sospetta che sia stato lui ad uccidere Celestine e a divorare parti del suo corpo.
Gli aggeggi elettronici che usano i reporter Naomi e Nathan nelle loro ricerche vengono descritti nel minimo dettaglio da Cronenberg ("Naomi lo aveva inizialmente registrato usando i file WAV del Nagra, pesantissimi ma meravigliosamente particolareggiati" scrive) che tra cospirazioni di carattere planetario, rare patologie, tra cui una che fa incurvare il pene, malattie terminali, traffico di organi, sessualità estreme ed erotismo, ci porta, questa volta con la scrittura, in un mondo al limite. Un universo dove, con ironia e senza pietà, vengono raccontate mostruosità e debolezze umane. Mentre Naomi è alle prese con il caso di Celestine e Aristide, Nathan, esperto di temi medici, è a Budapest per preparare un pezzo sul chirurgo Zoltan Molnar, ricercato dall'Interpol per traffico di organi. Poi vola a Toronto per incontrare il vecchio dottor Roiphe sperando possa aiutarlo a curare la rara malattia venerea che ha contratto. "Ferocemente originale, che ha il potere di destabilizzare e disarmare il lettore fino a renderlo del tutto complice", come ne ha parlato Viggo Mortensen,
Divorati è perfetto per diventare un film nello stile del regista canadese, inserito nella Walk of Fame del Canada nel 1999. Vedremo che sorprese riserverà Cronenberg che ha impiegato 8 anni a scrivere questo romanzo, dedicato alla moglie Carolyn.
Mauretta Capuano, ANSA.it
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Nathan è un fotoreporter: ora si trova in Ungheria, sta per entrare in sala operatoria, dove assisterà a un innovativo intervento di chirurgia oncologica: i medici stanno cercando di curare i tumori tramite l’impianto di “semi radioattivi”. E a lui – che dovrà riprendere l’evento – manca tanto il suo macroobiettivo: avrebbe dovuto immaginare che prestandolo alla sua ragazza – Naomi, che fa lo stesso mestiere – difficilmente sarebbe riuscito a riaverlo… Lei, Naomi, è appena arrivata in Francia, per seguire il caso dei coniugi Arosteguy, di cui sta osservando l’appartamento tramite il PC: grazie alla qualità dei sensori ha la sensazione di riuscire a captare non solo le immagini e i suoni, ma perfino gli odori dell’aria. Le sembra effettivamente di stare in salotto accanto a loro mentre la donna, Célestine, si rigira una sigaretta fra le mani (ovviamente una Gauloise) e chiacchiera a ruota libera. L’unico problema è che Célestine è morta, di una fine atroce…
Straordinario. Non solo un gran bel romanzo questa prima opera narrativa di David Cronenberg, mostro sacro del cinema horror psicologico (ma meglio si direbbe “psichiatrico”) d’oltreoceano, autore di capolavori come
Videodrome e
Brood: l’intensità del racconto colpisce, certo, ma quello che prima d’ogni altra cosa stupisce il “cliente affezionato” delle sue tante pellicole è come fin dal primo capoverso ci si renda conto di trovarsi nel suo mondo, segno di una cifra stilistica inequivocabile e folgorante, a base di una tecnologia onnipresente e invasiva (ad ogni angolo si inciampa in sigle, marchi, modelli di prodotti hardware e software), di una realtà virtuale che si interseca a quella reale fino a confondersi (tema caro a P.K. Dick, non a caso citato nel volume), dell’ossessione per la proliferazione della “nuova carne” (il cancro, in primo luogo, ma anche l’ibridazione con la macchina, magistralmente delineata in
Crash), di una razionalità ipertrofica costretta a segnare il passo di fronte alla ribellione silenziosa ma devastante della materia (
Rabid). C’è questo e molto di più nell’esordio in libreria di un autore che pur trattando lo stesso materiale immaginifico da svariate decine d’anni, non ha perso né l’originalità né la grinta. Quando ho letto in copertina il parere dello scrittore Bruce Wagner, secondo il quale Cronenberg sarebbe l’erede non solo di Borges ma perfino di Cronenberg stesso, ho sorriso pensando: “Le solite esagerazioni”. Ma, accidenti: aveva ragione.
paginatre.it
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Sesso e cannibalismo, il primo romanzo di David Cronenberg
Alla prima prova letteraria, da re del body horror il cineasta canadese si trasforma in un bambino impaurito. In Divorati la tecnologia materializza i peggiori incubi della società imper-mediatica di cui siamo parte. Un avventura filosofica che, a partire da un efferato episodio di cronaca nera, si domanda che cosa sia realtà e cosa finzione.
“Succoso caso di omicidio-suicidio sessual-cannibal-filosofico francese”, selfie di David Cronenberg, che scatta l'autoritratto nel lessico disturbante del suo primo romanzo,
Divorati (
Consumed – Bompiani), ossessiva fascinazione per la connessione inorganica, smartphone, tablet, web-camera. E stampante 3D che materializza i suoi peggiori incubi e li trasforma in corpi dal sangue sintetico, cartilagini e ossa innestati nella carne umana, leit-motiv del suo cinema dove il “mostro” cova dentro:
Scanners, La mosca, eXinstenz. Ma soprattutto
Videodrome, fusione tra macchina e uomo, lo stomaco aperto in una ferita-fessura che genera oggetti tridimensionali, risucchia le immagini e li riconverte. Un Cronenberg preveggente, messo a confronto con una fantasia ormai resa concreta, e sorpassata dalla realtà tecnologica. La critica feroce del cineasta canadese alla società iper-mediatica, capace di abusi e manipolazioni estreme, si dispiega nel libro che gioca all'inseguimento delle app offerte al consumatore, già allenato al “terrificante”.
Il “cannibale mediatico” di
Divorati agisce nel presente, e la sferzata del regista ai mali contemporanei si tramuta in una tenera guida all'uso improprio dei media virtuali. Un manuale per frequentatori di social-network, imbrigliati nella Rete, creduloni soggiogati da Internet. Cosa c'è di vero, ci si domanda di questi tempi, sulle decapitazioni dell'Isis? La testa rotola recisa dalla sciabola o è solo un'illusione ottica? Di questo parla Cronenberg raccontando il succoso caso che vede una coppia di intellettuali marxisti francesi al centro di un fattaccio di cronaca nera: lui dopo aver ucciso lei se la sarebbe mangiata. Surrogati di Simone de Beauvoir e Jean-Paul Sartre, i due - Célestine e Aristide Arosteguy - sono ultra-sessantenni spregiudicati, libertini, plagiatori di studenti con i quali praticano sesso stravagante. Qui il regista-scrittore denuncia la rivalità, condivisa dagli anglofoni canadesi, con i connazionali francofoni meno puritani di Montreal. E tira in ballo i nobili pensatori di Francia, l'esistenzialista e la femminista, che in
Divorati si fanno attrarre in un afflato anti-capitalistico dal regime di Phyongyang e dal “Presidente eterno” Kim Jong-un. Nota auto-ironica, si presume, dell'ateo-anarchico di Toronto.
La storia si rifà più alla vicenda del filosofo Louis Althusser (e dell'Oscar L'amour di Haneke) che, massaggiando il collo della moglie Hélène Rytman, la strangolò. E al cannibalismo come fase suprema dell’erotismo nella sacra rappresentazione di Ecco l’impero dei sensi. Cronenberg non nasconde affatto la soggezione verso i “salotti parigini” (che primi al mondo difesero il film di Oshima) dove cova un orrore superiore a ogni sua fantasia. I “degenerati” del Vecchio Continente e delle nuove tecnologie gli fanno un immenso terrore, sentimento trasmesso a un'altra coppia protagonista del romanzo, Nathan e Naomi, fotogiornalisti di ultima generazione, alter ego american-canadesi come lui alla ricerca dell'immagine morbosa e repellente, ma devastati da scena e retroscena del crimine di cui seguono le tracce. La donna mutilata, smembrata, decollata e mangiucchiata, “voleva portarsi con sé quanto più di lei possibile”. E a nulla serviranno gli strumenti numérique, come gli piace chiamarli, per attenuare l'effetto da Hannibal the Cannibal, e per puntare l'indice contro il marciume europeo (di cui il Canada è un derivato).
Di cosa ha paura il regista di
La zona morta? “Del francese e dei francesi”, e dell'ammirazione perversa per i suoi film, che gli è valsa la medaglia di Cavaliere dell'Ordine della Legion d'onore nel 2012. Adorato dai cinefili dei Cahiers du cinema e dell'Inrockuptibles, definita rivista “spassosamente trasgressiva”, coccolato dal festival di Cannes di cui è un abitué (
Spider, Crash, Cosmopolis, Maps to the Stars) e che lo ha eletto a presidente di giuria nel 1999, Cronenberg inanella nel suo primo romanzo i simboli della Francia forse ignara della natura etica dei suoi splatter. Gauloises Caporal, Godard, Sorbonne, Nouvelle Vague, Truffaut, Bernard-Henri Lévy, Arielle Domsbale, Charles de Gaulle... Tanto sconvolgenti quanto l'apotemnofilia, la sindrome che spinge i protagonisti di
Divorati ad amputarsi gli arti.
Eppure, al di là del sarcasmo, la sua è un'avventura filosofica, dove spunta anche Heidegger, e che assume il linguaggio della banalità attraverso i pensieri di Nathan e Naomi, i web-reporter conformisti e ignoranti se disconnessi da Google. Il divertito distacco verso la “brama di bellezza” rivolta al solo consumo delle merci assume toni parossistici nell'accostare i gadget elettronici, descritti minuziosamente e citati per prestazioni e marca, al ronzio spaventoso degli insetti, esseri vibranti annidati nel seno della donna divorata. Ricordando Bug, l'horror movie di William Friedkin. Ma forse l'insostenibile video virale della signora fatta a pezzi è solo un inganno, un falso piano, il frutto dell'ubriacatura virtuale, che l'entomologo (lo era prima di dedicarsi al cinema) Cronenberg mette sotto accusa. “Più un film è collegato all'inconscio e più è sovversivo”, non sarà lo scanner a mappare il cervello umano. E piuttosto che tradurre nel ventiduesimo film l'invasione degli ultra-corpi infetti, cari al suo cinema, ha preferito evocare l'immagine della parola, ispirata a William Burroughs e alle sue allucinazioni oppiacee. Omaggio inverso allo scrittore beat, maestro dichiarato, di cui portò sullo schermo
Il pasto nudo con i suoi scarafaggi in agguato.
Certo è che Cronenberg, cannibale di se stesso, alla prima prova di romanziere si libera della sua fama di “re del body-horror” e disvela tutto il suo sguardo morale sulle nefandezze umane, esorcismo di un bambino impaurito. “Mio figlio – raccontava anni fa - ha uno scheletro di plastica al quale si attacca la carne e poi si butta nell'acido, per lui è un giochino educativo”. Lo è anche
Divorati.
Mariuccia Ciotta, pagina99.it
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David Cronenberg: perché Divorati, il suo primo romanzo, è frettoloso e deludente
Il debutto di David Cronenberg romanziere si chiama
Divorati in italiano e
Consumed in inglese e il libro è uscito quasi in contemporanea per Bompiani e Penguin Canada (30 settembre). Il cineasta canadese – i cui cultori risalgono a
Videodrome, l’attenzione del grande pubblico a
La mosca, il controverso riconoscimento critico a
Crash – vanta un pedigree letterario di tutto rispetto legato alla contiguità con autori come Stephen King, Burroughs, Ballard e più recentemente DeLillo (
Cosmopolis) i quali hanno abbondantemente cibato il suo cinema.
Al centro della trama di
Divorati, una coppia di giornalisti giramondo coinvolti da urgenze cronistiche in un vortice di morte, traffico d’organi e sesso vizioso. Per il resto la fitta tediosità dell’intreccio deve aver messo a dura prova gli editori, i primi cui competerebbe quell’arte della “lode precisa” che una sinossi efficace di regola richiede. Ad ogni modo, il romanzo è presentato come: “incalzante e provocatorio, efferato e ironico, una magnifica ossessione di corpi e oggetti, sessualità estreme, cospirazioni internazionali”.
Rispetto a un autore che al cinema ha fatto della decomposizione, della mutazione, del macabro, del body horror una cifra tanto personale, l’esordio letterario appare mutilato in partenza. Personaggi che sembrano figurine si spintonano nelle prime pagine trascurando il tempo necessario a catturare la credulità del lettore, quella sua disponibilità a seguirti ovunque purché tu, scrittore, segua le regole. A potenziare l’impatto della narrazione non bastano neppure certe alzate d’ingegno che anzi rischiano di andare sprecate nell’accendersi e spegnersi di una trovata (“Ecco perché sosteniamo che la sola letteratura autentica dell’era moderna è il manuale di istruzioni”).
Lo stesso Cronenberg – che da ragazzino si addormentava mentre il papà libraio e giornalista batteva sui tasti della sua Underwood, che fin da giovane ha avuto il pallino della letteratura, l’ha studiata all’università, scriveva racconti sinistri – nello spendersi per la promozione si espone ad alcune ingenuità.
Confessa che il libro nasce da una sceneggiatura giunta a un punto morto, risuscitata da una telefonata della Penguin Canada in cui l’editore gli dice: ‘Ho visto i suoi film e sono convinto che potrebbe scrivere un romanzo. Ci ha mai pensato?’” Ci aveva pensato tutta una vita. “Sarò romantico, ma penso che quel copione aspettava di diventare un romanzo. Per questo non riuscivo a svilupparlo in forma diversa”.
Se vogliamo c’è anche l’aggravante del postmodernismo – è ancora Cronenberg a chiamarlo in causa in tutta buona fede – una di quelle etichette con cui un’onesta opera, magari riuscita così così, può passare beatamente come prodotto “non per tutti”.
Il libro è comunque degno di interesse per i cinefili, una sorta di testamento su un film mai fatto che regala sapienti inquadrature e movimenti di macchina capaci talora di dare tridimensionalità perfino alla carta su cui è scritto.
B.P., storie.it
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L’aspetto disturbante dello specifico cronenberghiano si attesta sulla doppia direttiva visceralità/a-moralità. Può sembrare un ossimoro (può un approccio narrativo “viscerale” avvalersi della sospensione di giudizio?) e non lo è: per ciò inquieta. E destabilizza non poco.
David Cronenberg declina - da sempre - la sua poetica della mutazione - corporea, psicologica, sessuale - secondo un’asetticità da entomologo del post-umano, il pertubante evocato, seppure in relazione strettissima coi corpi, risulta, spesso, di pertinenza cerebrale, ideativa, filosofica. Non ci sono zombi o fantasmi ad infestare la corposa filmografia horror (?) del regista, se non quelli della mente (
Scanners, Spider), della virtualità (
Videodrome, Existenz), della sessualità (
Inseparabili, M. Butterfly). O quelli derivanti da un’organicità protesica, artificiale, mutevole (
La mosca, Crash), sconfinante persino in una nuova ontologia. Un’ontologia sintetica, anaffettiva, di accezione precaria, continuamente passibile di trasformazione, di transustanziazione in altro da sé.
Anche se fossi stato del tutto digiuno della filmografia di Cronenberg, dopo aver letto il suo primo romanzo (
Divorati, Bompiani, 2014) mi sarei fatto un’idea più che esauriente delle coordinate teoriche attraverso le quali si snodano e riannodano i fili dei suoi plot.
Divorati (
Consumed, nell’originale inglese. Traduce ottimamente Carlo Prosperi) si presenta come un primo passo narrativo fluviale, acido, spietato/spudorato, autenticamente sui generis e borderline (in senso clinico, stavolta), dove nulla viene risparmiato al lettore, e dove Cronenberg riassume e riversa per intero il (contro)senso ultimo della sua idea di cinema e di mondo. Dato che la trama evoca “cannibali” e psicologie deviate (?), niente a che vedere con l’orrore patinato de “Il silenzio degli innocenti”, in
Divorati sono diversi l’approccio, il taglio, il peso specifico.
Un esempio per tutti: il presunto cannibale-uxoricida è un intellettuale dal fascino luciferino - il carismatico Aristide Arosteguy -, interessato alla promiscuità sessuale quanto agli studi sulla mercificazione, per cui (ideona!) anche il gesto di uccidere e cibarsi della moglie (Cèlestine, intellettuale a sua volta: un’irriverente richiamo alla coppia Sartre- De Beavoir?) potrebbe connotarsi come simbolico: il corpo della donna reificato a merce da consumare, divorare, appunto (mai impelagarsi troppo tra i pretesti palesi e reconditi dei maitre a penser).
Sulle tracce del professore-latitante si mette Naomi - prototipo classico di fotogiornalista di “nera” ai tempi del web -, fidanzata con licenza di libertinaggio di Nathan, fotogiornalista a sua volta (in ambito medico), impegnato a tampinare dapprima un controverso chirurgo in quel di Budapest, quindi (causa rara malattia venerea contratta attraverso amplesso con moribonda) uno scienziato altrettanto controverso (lo scopritore della suddetta malattia) con figlia-cavia a carico.
Alla fine i nodi verranno tutti al pettine (ma chissà poi se fino in fondo: Celestine è davvero morta? Cos’è vero e cosa invece frutto di artefazione tecnologica?), al punto che le due storie parallele verranno a combaciare in un intreccio paranoico-cospirativo che lega mezzo mondo e i protagonisti principali del romanzo. E a questo punto ditemi se non sembra anche a voi di essere stati precipitati nel bel mezzo dell’universo-Cronenberg, un universo senza vie di uscita, se non alla fine dell’ultima riga di un thriller filosofico, personalissimo e potente.
sololibri.net
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Divorati, pubblicato da Bompiani nel 2014, è il primo romanzo del noto regista David Cronenberg. In quasi 350 pagine contiene, adottando espedienti narrativi assai originali, un po’ tutti gli incubi (e le ossessioni) che il regista aveva già descritto nei suoi film.
La ricerca non solo dell’horror ma anche del disgustoso, dello sconvolgente, del sessualmente estremo e dei lati più oscuri della mente umana si unisce alla descrizione di due personaggi “forti” che risultano immediatamente interessanti per il lettore.
Cronenberg gioca, in particolare, sulla dinamicità dell’azione, sui timori più comuni per l’essere umano e sulla malvagità esasperata dell’individuo.
Circa l’azione o, meglio, i set dove gli accadimenti del romanzo si svolgono, si vola dalla Francia al Giappone, dagli Stati Uniti d’America all’Est Europa, con i due protagonisti, pseudo-fidanzati, legati quasi sempre dalla tecnologia, e solo da quella.
Il loro mestiere è di essere fotogiornalisti embedded, ma un po’ particolari: hanno non solo l’ossessione per le tecnologie, ma anche per i soggetti delle loro riprese, e non esitano a immergersi fino in fondo in storie tragiche cercando una sorta di “com-passione” che altro non fa, però, che destabilizzarli ancora di più. La vita del fotogiornalista nell’era di Internet, tra reflex digitali, iPhone e stampanti 3D, è descritta in maniera sublime anche se volontariamente enfatizzata. Cronenberg non si occupa solo del lato prettamente tecnico ma anche dell’etica del fotogiornalismo, dei turbamenti che determinate situazioni possono portare nella mente del soggetto che fotografa o riprende. Qui si nota l’attenzione per i lati più reconditi e pericolosi della mente umana, e le reazioni spesso imprevedibili a essi connesse.
Il timore presente in ogni lettore nei confronti di determinate situazioni e l’orrore di certi comportamenti sono l’altro espediente che Cronenberg usa per attirare attenzione, come già aveva fatto nei film. E, qui, il repertorio è completo e non manca nulla: sesso, malattie veneree, cannibalismo, tumori, falsi medici, terapie sperimentali, amore portato all’estremo, eutanasia, auto-mutilazioni si susseguono pagina dopo pagina colpendo il lettore diritto allo stomaco. È il lato per così dire “horror” del romanzo che viene però esplorato – ed esposto – con una certa complessità e senza indugiare troppo sul lato splatter dei temi. Vi è sempre un ché di tormentato e psicologico che rende profondi molti di questi passaggi: che sia follia, empatia, disprezzo, confusione. Anche in questo caso si cerca sempre di tirare un filo diretto con la mente dell’uomo.
Infine, vi è il lato malvagio e pazzo di molti protagonisti della storia, e l’idea del disturbo mentale, spesso giustificato da accadimenti esterni, che si unisce alla filosofia e, in generale, alla storia dell’uomo.
Questa attenzione verso i limiti estremi della mente dell’uomo e le conseguenze dei suoi comportamenti mette in secondo piano il mistero stesso della trama, tanto che, più che un thriller, sembra essere la descrizione di un percorso psicologico di diversi soggetti con, sullo sfondo, un terribile fatto di sangue.
La sequenza degli eventi è solida, sembra quasi una sceneggiatura già pronta per un film, e tutti i protagonisti sono connotati e cesellati con grande cura. Anche se i passaggi più forti, ed espliciti, potrebbero infastidire il lettore non abituato a questo genere, rimane, nel complesso, una visibile – e percepibile – profondità che testimonia l’accurato lavoro fatto dal regista per una volta prestato al romanzo.
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