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Le interviste internazionali (pt.1)

Ultimo Aggiornamento: 24/06/2013 23:18
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Post: 529
Sesso: Maschile
24/06/2013 23:18


COSMOPOLIS
LE INTERVISTE INTERNAZIONALI A CRONENBERG
PARTE 1



Cronenberg: […] In Cosmopolis ci sono molte osservazioni filosofiche sulla natura del Capitalismo, su quello che poi praticamente si rivela essere il movimento di Occupy Wall Street, ma non credo affatto che sia un film anti-capitalista. La gente chiede di vivere il sogno capitalista e non gli è permesso. È la storia di una persona in particolare, ma da lì si sviluppano le riflessioni sul Capitalismo. […] DeLillo ha scritto questo romanzo circa 10-12 anni fa, e ora sembra che il mondo che descriveva si sia realizzato. […] Semplicemente, non mi piace che il film venga etichettato come film anti-capitalista, come se fosse quello il suo scopo; in realtà dice molto altro. Un’opera d’arte complessa dice e fa molte cose, non soltanto una. Non è un film di propaganda, mettiamola così.
[…] All’inizio, Eric è una sorta di robot senza sentimenti, ma nel corso del film muta, poiché il suo desiderio di aggiustarsi il taglio è anche un viaggio verso il suo passato. […] Egli diventa sempre più umano e infantile, tenta di scappare dalla vita che si è creato. […] I dialoghi sono molto complessi e tecnici, ma anche divertenti. […] Penso che [Rob Pattinson] dia un’interpretazione meravigliosamente subdola e adatta al tono del film. Molto diversa alla fine del film da quella che è all’inizio.
[…] Non sappiamo di cosa parli il film [ride]. In altre parole, se mandi un’email, sai di cosa parla, ma l’arte non è un’email. […] La nostra vita non ha un significato, nel senso di un messaggio. Un film è come una nuova vita che tu crei, e non ha un “significato” nel senso proprio del termine. Abbiamo creato Eric Packer basandoci sui dialoghi, è nella sua limousine, incontra persone, si veste in un certo modo, non c’è un necessario “significato”. E penso che ciò sia vero per ogni film. Se lo poni in un certo modo, il film parla di un miliardario che va a tagliarsi i capelli. Su questo livello, sappiamo sicuramente di cosa parli il film, ma c’è una comprensione profonda che va analizzata; tuttavia, se pensi a come le persone interagiscono nella realtà, questo non è il modo in cui affronti la tua vita o in cui affronti un personaggio. Praticamente, dicevo a Rob [Pattinson] che non aveva bisogno di analizzare il suo personaggio. […] I momenti migliori erano quelli in cui lui non pensava troppo a quello che stava facendo, poiché è un attore che non ha ancora imparato a seguire il suo intuito e i suoi istinti, per via della sua insicurezza. E lui lo sapeva, perché mi diceva in continuazione che non sapeva se fosse all’altezza del ruolo; io gli assicuravo che lo era.
[…] Quando ho cominciato a lavorare a questo film, circa tre anni e mezzo fa, niente di tutto ciò che sta accedendo ora stava accadendo. Ne ero certamente affascinato, tuttavia. […] Ero totalmente ignorante al riguardo dell’economia e degli affari, ma si impara col leggere di queste persone. Recentemente, ho letto riguardo alla “Balena di Londra”, l’investitore che controlla enormi quantità di denaro e che ha guadagnato e perso miliardi di dollari; ha distrutto l’economia senza rendersene davvero conto. Un po’ come Eric Packer. Vive nel mondo astratto della finanza e ha perso contatto con l’umanità.
[…] Le cose che stavano succedendo mentre giravamo il film non lo hanno influenzato affatto, ci siamo attenuti alla sceneggiatura. È stato strano girare una scena di protesta ambientata per le strade di New York, poi tornare a casa e leggere esattamente di quella stessa cosa, che stava avvenendo a New York con Occupy Wall Street. E poi, ricevere un messaggio da Paul Giamatti, con scritto “Non ci credo, qualcuno ha appena tirato una torta in faccia a Rupert Murdoch!”, e avevamo appena girato una scena in cui il personaggio interpretato da Rob riceve una torta in faccia. Quindi, ci chiedevamo se il nostro film si stesse tramutando in un documentario. Era sinistro. […] Ma, di fatto, ciò non ha alterato la forma che stava prendendo il film.
[…] Eric si alza una mattina e c’è qualcosa di diverso riguardo alla sua vita e all’intero universo. Qualcosa sta accadendo, e alla fine egli decide di liberarsi dalla prigione che egli stesso si è creato. […] E va verso il suo passato, senza forse esserne conscio. […] La sua limousine è uguale alle altre dall’esterno, perché vuole essere anonimo, proprio come la “Balena di Londra”; non è una celebrità. Per essere un finanziere, di questi tempi, devi essere anonimo. Non ci sono foto di quest’uomo chiamato la “Balena di Londra”. L’essere anonimo fa parte del suo potere. Dentro, la limousine è molto particolare, lui ha come un trono ed è il re del suo piccolo impero. […] Allo stesso tempo, essa è totalmente silenziosa; egli ne parla definendola “proustata”, riferendosi a Marcel Proust, che aveva fatto rivestire la sua stanza di sughero a questo scopo. [Eric] si è isolato dai rumori della vita cittadina. In questa limousine, non senti nulla e non vedi quasi nulla. Ma, ad un certo punto, quando egli esce dalla limousine, non sa nemmeno come parlare con sua moglie, non sa come interagiscono le persone comuni. Si chiede “È così che parla la gente, no?”, cerca di imitare un vero essere umano. Non è la situazione di tutti i ricchi, ma di questo particolare tipo di persona.
[…] Ho mostrato ai miei collaboratori il film Lebanon, che è ambientato interamente in un carro armato; e anche Das Boot che è ambientato all’interno di un sommergibile tedesco durante la Seconda guerra mondiale. Questa limousine è un po’ come un sottomarino o come un carro armato per lui, ma egli comincia anche a vederla come una prigione, una bara. […] Penso che l’estrema ricchezza possa portare ad un estremo isolamento, ma non è qualcosa di inevitabile. Ci sono ricchi che vogliono comunque interagire col mondo.
[…] La gente ha parlato di “teatralità” del film, riferendosi ai dialoghi, usando questo aspetto come critica. […] Ciò che tu inquadri di più come regista è una faccia che parla, come fa questo a non essere cinema? […] Anche negli scontri automobilistici, vuoi vedere che cosa il personaggio abbia da dire e come reagisca prima e dopo. Lo scontro automobilistico in sé non è abbastanza per simboleggiare qualcosa a livello umano, sono solo due oggetti di metallo che collidono. Anche lì, sono le facce che parlano che gli danno un significato e un ritorno emozionale. […] Quando pensi al cinema d’autore degli anni ‘60 (Truffaut, Fellini, Kurosawa…), c’erano indiscutibilmente delle bellissime immagini, ma c’era anche il parlato, il contatto tra esseri umani. Avrei potuto girare gli ultimi 22 minuti di Cosmopolis come una rappresentazione teatrale, ma non sarebbe stato cinema: i primi piani, il montaggio, i movimenti della macchina da presa lo rendono cinema.
[…] Per esempio, quello che sta accadendo in Europa con l’eurozona è abbastanza interessante. La gente si sta rendendo conto che non si può avere un solo Paese ricco e felice e il resto del mondo povero e infelice. Ci siamo tutti dentro, e l’eurozona lo sta dimostrando. Ed essa è cominciata con un’ottica ottimista, questi Paesi si stavano uccidendo a vicenda durante la Seconda guerra mondiale e ora sono tutti insieme, devono risolvere insieme questo problema, devono interagire tra loro, collaborare. E questo è buono. Il denaro è qualcosa che noi abbiamo inventato, il denaro è tecnologia, tecnologia umana. Non esiste in natura, non è come lo tsunami in Giappone, questa crisi finanziaria è una questione umana. E significa che bisogna trovare una soluzione umana: questo è il lato positivo.
[…] Non mi importa che al pubblico piacciano i personaggi, anzi. Rob ha trovato su internet una recensione che diceva che il film era “Aggressivamente non amabile” [ride], ho pensato che fosse grandioso, gli ho detto “Si, è esattamente quel che siamo!”. Il desiderio di essere amati è veramente la morte dell’arte. […] Non puoi dire niente di interessante o profondo se il tuo unico obiettivo è essere amato. […] Quel che è interessante è l’essere provocatorio; se sei affascinato dai personaggi è un’ottima cosa, ma ciò non vuol dire che tu debba necessariamente amarli. Potrebbe anche essere così, ma le possibilità sono molto poche. Non penso che in questo film tu possa distogliere lo sguardo da Rob o non ascoltare quello che dice e quello che dicono le persone con cui parla. Bisogna anche ricordarsi che il film è molto divertente, così come il libro, dall’humor molto strano e dark, ma pur sempre humor. […] Ciò ti fa interrogare sulla differenza tra arte e intrattenimento e su cosa cerchi in un film. Una parte del pubblico cerca soltanto qualcosa di leggero e morbido, per sentirsi bene. E allora questo non è il film per loro, di sicuro. Ma se cerchi qualcosa di più, allora ciò non ha più a che fare con qualcosa che piace, ma con qualcosa di interessante, piuttosto.
[…] Quello che amo dei dialoghi di DeLillo è che ha quel tono particolare, e il fatto che nessun film era stato tratto da un suo libro prima di Cosmopolis. […] Come per Harold Pinter, le persone riconoscono i suoi dialoghi da lontano un miglio. È il modo in cui certe persone di una certa classe sociale parlano, ma è anche molto stilizzato. La punteggiatura è davvero cruciale in un’opera di Pinter. E penso che per DeLillo sia lo stesso.
[…] Quello della ricchezza è sempre stato il sogno americano, invece in luoghi come l’Inghilterra, per esempio, non è mai stato così: se non eri di un certo ceto sociale, non saresti mai diventato ricco. In America, la struttura sociale era stata distrutta, quindi chiunque poteva diventare ricco, far parte dell’aristocrazia del denaro. […] Penso che la gente ci creda ancora, quando leggono per esempio quella storia di Facebook, di qualcuno che a vent’anni è diventato miliardario solo trafficando con il suo computer. Tuttavia, c’è sempre stata anche una certa mancanza di speranza in una particolare fetta di società in America. Ma anche lì, qualcuno può avere successo come cantante rap, per esempio, ed avere una limousine.
[…] La crisi economica sta influenzando anche l’industria cinematografica, per questo è sempre più difficile ottenere finanziamenti. Non penso che fosse per via del contenuto del film, perché un bravo capitalista l’avrebbe finanziato se avesse saputo che avrebbe guadagnato [ride].
[…] Non credo di essere cambiato come regista, mi piacciono le cose divertenti, interessanti, provocatorie; mi piace creare, mi diverto molto a girare film. Mi fa sentire veramente felice e vivo.
Intervista video per Studio Q [Novembre(?) 2012]



***

Non ho letto il libro di Don DeLillo, ma presumo, vedendo il film, che la maggior parte dei lettori abbia pensato che fosse impossibile da girare.
Beh, sai, a mio modo di vedere tutti i libri sono impossibili da girare, anche quelli molto semplici, perché l’esperienza letteraria e l’esperienza filmica sono assai più differenti [tra loro] di quello che la gente pensa. Quindi, per me, il mio mantra è sempre stato “Per essere fedele al libro, devi tradirlo”. Devi accettare il fatto che stai creando una cosa nuova che in qualche modo ricordi il tono o il senso di consistenza del libro. Ma non sarà il libro, sarà diverso. E mi sono reso conto di ciò quando ho fatto il mio primo adattamento, La Zona Morta di Stephen King, che molte persone sentivano fosse la prima trasposizione onesta e fedele di un libro di Stephen King – perché ve n’erano state molte a quel punto. Ma, di fatto, è totalmente diverso dal libro, tuttavia in qualche modo dà alle persone il senso del libro e quindi la accettano così.
[…] Nel libro, ci sono molti monologhi interni che attraversano la mente di questo personaggio, Eric Packer, e questo non lo puoi rendere sullo schermo. Spesso si vede ciò che io considero una cosa abbastanza patetica, che è una lettura voice-over del libro a te, come se fossi un bambino prima di andare a dormire. Mentre guardi il film, qualcuno ti legge il libro, e per me ciò è sempre un’ammissione di fallimento. Non hai accettato che le due cose sono diverse e non sarai in grado di fare esattamente la stessa cosa.

È tradire, no?
Beh, è tradire ed è anche tradire te stesso come regista, perché significa che non hai davvero trovato un equivalente cinematografico a ciò che c’è nel libro, non stai veramente capendo il libro e non stai nemmeno facendo veramente un film. Stai tradendo il pubblico, sì.

Non essendo abituato allo stile di Don DeLillo, ho impiegato 10 minuti di visione di Cosmopolis per perdermi nel ritmo e nel flusso dei dialoghi, che alla fine ho trovato affascinanti.
È molto ipnotico ciò che DeLillo fa e tuttavia se rivedi il film, a quel punto c’è un po’ meno distanza perché sai cosa aspettarti, ti rendi conto che tutto ciò che è detto ha senso. Questa è la cosa strana. Tutta la filosofia, l’astrazione e naturalmente poi il film è abbastanza divertente. Intendo dire, i dialoghi sono abbastanza divertenti. So che le persone, per via del ritmo [del film] non reagiscono a quell’umorismo. Ma sono stato ad alcune proiezioni dove c’erano molte risate, e per me questo significa che hanno totalmente compreso il film.

L’umorismo mi ha colto di sorpresa.
Don è uno scrittore divertente. Le persone a volte pensano che tu possa essere o uno scrittore serio o uno scrittore comico e che non possa essere entrambe le cose. Ma, naturalmente, i migliori scrittori, da James Joyce in poi, sono anche divertenti. Come regista, penso di non aver mai fatto un film che non fosse divertente. Qualcuno mi ha detto, “Perché non fai commedie?” e io, “Beh, pensavo di starlo facendo.'”

C’è anche un flusso di personaggi, che vanno e vengono, molto interessante nel film. Sono lì per un tempo così breve, hanno un impatto, e poi se ne vanno. Ce ne sono un paio di cui avrei voluto vedere di più. C’è qualcuno in particolare che sperava di tenere di più nel film?
Penso che 'invogliare a volere di più’ è probabilmente una buona regola di intrattenimento piuttosto che ‘Ok, ne ho avuto abbastanza di questo tipo, eliminatelo!' [ride] […] Penso che la brutalità che [Eric] ha, il fatto che quando ha finito con loro, loro se ne vadano e lui passa ad altro, è parte di quello che egli è. Quindi, se hai un po’ di desiderio per qualcuno dei personaggi, è probabilmente una buona cosa.

Quanto ha mantenuto simile la relazione tra Eric e sua moglie Elise rispetto a come è stata descritta nel libro di DeLillo?
È interamente quella del libro, ma c’era nel libro una scena molto strana, e alcune persone mi hanno detto “Perché non hai tenuto questa scena?”, in cui c’è questa sorta di strana riconciliazione che lui ha con Elise. […] E a quel punto, mentre stavo leggendo il libro, ho pensato “Ok, questa è una sua fantasia.” […]
L’ho lasciata fuori perché ho davvero sentito che fosse una sorta di fantasia di riconciliazione e che non fosse reale. E per quanto surreale sia il film, ha un certo livello di consistenza della sua stessa realtà […] Tuttavia, oltre a quella, tutte le scene con Elise e le conversazioni che intraprendono sono come nel libro. E sì, lei non è mai nella limousine; è l’unica che non può mai avere. Non la può mai intrappolare.

E parlando della limousine, la macchina è praticamente un personaggio. Quant’è stato difficile per lei avere il giusto design per la limousine, considerando quanta parte del film è ambientata entro i suoi confini?
Beh, non è una questione di difficoltà, è una questione di divertimento. È esaltante. In realtà, trovo che mi piaccia girare in spazi limitati, perché hai un immediato aumento di intensità, e così via. Ti costringe anche a diventare molto creativo dal punto di vista visivo. È meno probabile che tu cada in cliché se sei bloccato in quel modo.

[…] La maggior parte di questo film si svolge nella limousine, ma non la si percepisce mai come piccola o claustrofobica.
Davvero, la regola era che si trattava del punto di vista di Eric. Quando è nella limousine, noi siamo nella limousine. E poi, naturalmente, sentiamo la sua disconnessione dalla vita della città, e, infatti, c’è un dialogo al ristorante riguardo a come egli abbia isolato la limousine. L’ha isolata dai suoni della città e quindi hai quella sensazione. Siamo fuori dalla limousine solo quando lui è fuori dalla limousine e ciò ti dà una prospettiva di controllo rigoroso, e per un regista questo è un dono. Mi piaceva davvero quell’aspetto del romanzo e ho voluto portarlo sullo schermo.

[…] Avendo bisogno di un attore che trascinasse il film, essendo in ogni scena, come ha intuito che Robert Pattinson fosse l’attore giusto per interpretare Eric?
[Ride]
Beh, questa è la magia del casting! Come regista, penso che sia parte del tuo lavoro. È una parte molto importante del tuo lavoro. Penso che molte persone non si rendano nemmeno conto che il regista è coinvolto nel casting. Alcuni chiedono, “Hai scelto tu gli attori?” e io, “Sì. Non sei un regista se non lo fai.”

[…] Ciò che mi colpisce in Cosmopolis è che la chimica effettivamente richiesta tra lei e Robert dev’essere migliore di quella tra Rob e qualsiasi altro attore.
C’è una verità anche in questo. L’elemento nascosto è che la chimica tra il regista e gli attori è la chiave. […]

Pensa di vedere il personaggio di Eric allo stesso modo in cui lo vede l’autore DeLillo? O pensa che voi due non dobbiate necessariamente essere d’accordo su come il pubblico dovrebbe considerarlo?
In realtà, penso che ci chiariamo alcune cose a vicenda. Sono stato in giro a promuovere il film con Don in diversi Paesi e penso che lui fosse abbastanza incuriosito di vedere cosa sarebbe successo. Perché, dopotutto, una volta che metti Rob Pattinson in quel ruolo, si tratta di qualcosa di molto specifico. Hai una faccia, una voce e un corpo particolare ed è qualcosa che il libro non può avere. Questa è una delle cose che i film possono fare che i romanzi non possono fare, e quindi ciò dà immediatamente forma al personaggio, in modo in cui non lo era nel romanzo. Quindi, ci sono differenze, penso, ma non è una divisione o divergenza rilevante. È solo il sentire davvero i dialoghi parlati, e ciò era qualcosa che, mentre leggevo il libro, ho pensato, “Sì, voglio davvero sentire questo pronunciato da grandi attori”. Solo il fare ciò cambia immediatamente la tua reazione ai personaggi e alle parole. Quindi, in definitiva, c’è una differenza.
Intervista di Cronenberg per movies.about.com , 2012



***

Lei ha fatto così tanti film nel corso degli anni basati su libri, che cosa in particolare di questo libro l’ha colpita?
Sono stato subito impressionato dai dialoghi [nel libro di DeLillo]. Erano familiari per me, perché i dialoghi di Don sono molto riconoscibili. Penso a lui negli stessi termini in cui penso a David Mamet o a Harold Pinter — sarebbe a dire, è il modo in cui le persone parlano, ma è anche molto stilizzato. Ciò produce un ritmo ed una tensione intressanti. Ma quei due sono drammaturghi, e senti spesso i loro dialoghi a teatro e al cinema, mentre Don è uno scrittore. Non senti mai i suoi dialoghi pronunciati, perché non ha mai avuto un film tratto dai suoi libri prima d’ora.

Ciò incrementa il livello di difficoltà nel girare un film come questo?
No, affatto. […] [Ciò che mi ha colpito] non era il tema della storia o qualcosa del genere. Mi piace la restrizione ad una strada, una limousine, un giorno, perché non mi tiro indietro, anzi mi piace, ma penso che fosse soprattutto il dialogo che mi ha colpito. […]

Lei ha parlato di voler vedere grandi attori pronunciare i dialoghi, e il film ne è pieno. Ma sono curioso riguardo a Robert Pattinson, che è un attore ancora giovane e non ha nemmeno lontanamente il bagaglio d’esperienza di qualcuno del cast di supporto, ma ha un grande seguito. Quando lei ha un progetto come questo, adatta la sceneggiatura per i suoi punti di forza, o lavora con lui per adattare i suoi talenti e le sue abilità al materiale?
Per tutti gli attori, non sai davvero che cosa avrai. Ad eccezione per alcune audizioni che alcuni attori hanno fatto per certi ruoli, non ho mai sentito i dialoghi parlati finché non abbiamo cominciato a girare. […] Questo è il bello del film: mischiare tutte quelle cose potenti e belle, ma non sapere veramente che cosa ne otterrai.

È un po’ come cucinare…
[Ride]
Sì, lo è. È come cucinare un piatto che non hai mai fatto.

Per quanto riguarda i cambiamenti rispetto al materiale di partenza, vado un momento in zona spoiler e le chiedo del finale del film e quanto esso differisca dal libro. Il film lascia le cose più incerte rispetto al libro, sembra…
È difficile discutere senza fare spoiler, ma sarebbe stato molto facile mettere uno sparo in sottofondo e avresti saputo che Eric era stato assassinato. E nel libro sai che è stato assassinato, o almeno se credi a Benno, è stato assassinato — ma questo è il punto, perché Benno non è esattamente un narratore affidabile. Nel libro c’è ancora qualche traccia di incertezza nei confronti del destino di Eric, ma mentre stavamo girando l’ultima scena, ho amato il fatto che questi due fossero bloccati in quell’ultimo momento— quasi bloccati in un’eternità di incertezza. Sono legati assieme. Sono sigillati assieme in questa sorta di momento archetipico. Ho ritenuto che il momento dovesse essere eterno.

[…] Uno dei suoi altri progetti di cui si è parlato ultimamente è La Promessa dell’Assassino. C’è stato qualche segnale sul fatto che possa esserci un sequel…
È morto, quindi non vale la pena discuterne se non per dire che era qualcosa che volevo veramente fare e che non vedevo l’ora di fare, ma non succederà.

Il remake di Total Recall è uscito di recente, e mentre stavo facendo qualche ricerca al riguardo, sono stato sorpreso nell’apprendere della versione del film che voleva girare con William Hurt, che ha preceduto il film di Paul Verhoeven. Mi piacerebbe sapere la sua opinione su come sarebbe stato Total Recall…
Non ho visto quello nuovo, quindi non posso dire nulla al riguardo. Ma sono un grande fan di Philip K. Dick, e la differenza [in ciò che avevo in mente di fare] stava nel fatto che io volevo prendere William Hurt e loro hanno preso Arnold Schwarzenegger. Questa è la differenza.

È…è una differenza abbastanza enorme.
È davvero la differenza.

Che cosa c’è per lei dopo Cosmopolis?
Al momento, poiché La Promessa dell’Assassino 2 è crollata, non ho veramente qualcosa che sia remotamente vicino ad essere finanziato. Ci sono dei progetti, forse, ma niente che sia abbastanza certo da discutere se non il libro che devo terminare entro la fine dell’anno. È stato venduto in molti Paesi, ma non l’ho ancora finito. Quindi ecco cosa farò: sarà uno scrittore per il resto dell’anno.

Non è male come piano.
No, non è male affatto.
Intervista per ifc.com [Agosto 2012]



***

Cronenberg: […] Un film finisce con l’essere abbastanza diverso dal libro, in ogni caso. Il mio primo adattamento è stato La Zona Morta di Stephen King. Una delle poche cose che ho imparato [adattando i libri] è che, per essere fedeli al libro, devi tradirlo. Puoi replicare il tono del libro, ma nel dettaglio no, perché sono due mezzi molto diversi. […] Non penso che si possano fare monologhi interiori nel cinema, spesso c’è una voce narrante che legge ad alta voce passi del libro mentre guardi il film, come a dei bambini prima di andare a letto; e questo per me è l’ammissione di un fallimento, cioè del fatto che non hai trovato l’equivalente cinematografico [del libro].
[…] Il genio è quello di Don DeLillo, ho letteralmente trascritto i dialoghi e li ho messi sotto forma di sceneggiatura.
[…] Marion Cotillard, che doveva essere in Cosmopolis, era incinta. E anche Colin Farrell era interessato a essere nel film, e anche lui è rimasto incinto! [ride] No, non è vero. Forse è rimasto incinto del budget di Total Recall. […] [Robert Pattinson] è famoso ma è economico (ride). Ed era disponibile. No, in realtà penso che sia un attore molto interessante e intelligente che aveva fatto cosa interessanti prima di Twilight, e non vedeva l’ora di farle di nuovo. […] Sul set adoravo terrorizzarlo! ride. […] Quel che è divertente è che, mentre promuovevamo il film, sentivo gli attori raccontare di quanto fossero terrorizzati e di come non volessero rovinare il film e non essere quelli che avrebbero affossato la mia carriera ride.
[…] Ci sono dei registi che psicoanalizzano gli attori, io non penso che quello sia il metodo giusto. […] La mia opinione sul fare cinema non è mai cambiata. Tuttora i miei collaboratori dubitano di alcune mie scelte, ma perché non sono sicuri loro, non perché sono certi che io stia sbagliando.
Intervista video per George Stroumboulopoulos [Giugno 2012]


[a cura di Max984]
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