00 29/12/2008 16:32

RASSEGNA STAMPA PARTE 2


Lunga vita alla nuova carne. Per celebrare degnamente la metamorfosi/restyiling di Cinedrome era necessario infilarsi ancora una volta “dentro” lo schermo dell’amatissimo incubo fluttuante cronenberghiano, fino ad esplorarne le pieghe più nascoste, fino a toccarne l’abisso più profondo, fino a rimanere inevitabilmente storditi e abbagliati dal suo bacio, oltre la soglia delle sue turgide labbra virtuali. Più che necessario, direi imprescindibile: come un rito battesimale. Videodrome: l’occhio specchio dell’anima, l’iride come pertugio ideale per favorire la penetrazione indisturbata (ma disturbante) di significanti criptati, l’immagine pixellata come unica forma di realtà concepibile e sociologicamente codificata (sebbene ontologicamente fittizia). Video-circo: violenza su corpi e dentro corpi lacerati da fessure profonde, sciami di perverso elettromagnetismo “bondage”, escrescenze neoplastiche vegetanti su emisferi cerebrali assopiti, orde di cellule impazzite sparate lungo le frequenze carcinogeniche di una TV via cavo. Video-arena: spettatori-pedine dentro la scatola di un grande gioco (di società) al massacro, dentro le mura di un perverso tempio sado-masochista, dentro l’archivio di nastri pre-registrati dispensatori di felicità a buon mercato. Chiesa Catodica: sprovveduti e inermi, presto non diventeremo che fantocci agitati da oscuri manovratori dell’etere in cerca di adepti da istigare al fanatismo dello zapping. Diluita nel liquido amniotico della cavità uterina di un grande televisore anche l’ultima goccia di libertà rimasta, perforeremo il sottile diaframma della realtà sensibile sfondandolo con la granata dell’allucinazione. Il roboante big bang in diretta televisiva partorirà un’umanità dispersa e spezzettata in frammenti, in brandelli di carne esplosa, fuori controllo e (al contempo) sotto controllo. Teleguidati, coercizzati, inglobati da un blob amorfo e viscido che intrappola ogni desiderio, volontà, azione. Armati nostro malgrado, e schiavi di un’emissione luminosa tricromica. Questa la terribile fine dell’umano genere se continueremo a farci crivellare supinamente da raffiche incontrollate di percezioni indistinte, coatte, subite. Dalla passività della percezione discenderanno presto la putrefazione di ogni barlume di senso critico/libertà di pensiero ed il lattice nefasto dell’autoflagellazione del corpo. Un sangue denso e scuro sgorgherà fuori dall’addome di uomini-mangiacassette, preludio di un inevitabile suicidio di massa introdotto da un gingle al cianuro. Innestata su di un connettivo lasso ormai emulsionato dai succhi gastrici/vomito dei tele-predicatori, si svilupperà l’infiltrante massa tumorale dell’assuefazione all’obbedienza, organo-antenna cresciuto per favorire la sottomissione e captare le onde di un alienante ritornello di morte. Obbedienza cieca al fuoco sacro dell’immagine e alla sua potenza. Magnifica ossessione. Potenza silenziosa, corruzione organica, dieresi/dissezione, dissoluzione/dissolvenza. Potere immaginativo, potere mistificatorio, potere distruttivo. No way out. No way back.
Sublime e quasi insostenibile la grandezza di Videodrome di David Cronenberg (per chi scrive senz’altro il suo più nitido capolavoro, nonchè una delle pellicole più indispensabili di tutta la storia del cinema). 85 minuti di pura essenza cinematografica, in fotogrammi di disturbante, violenta, urticante bellezza. Nel pantheon dell’immaginario cinematografico del sottoscritto non può non occupare un posto d’onore, insieme ad altre maestose ed irrinunciabili “rivelazioni di celluloide” come l’incipit di Sentieri selvaggi, il carosello di Otto e mezzo, il Danubio blu di Strauss in 2001, il piano-sequenza finale di Professione: Reporter, i borseggi del Diario di un ladro di Bresson, la sparatoria del Mucchio selvaggio o lo scontro tra la canoa e il divano in Nashville. Fuori dai generi, ma dentro i canoni di un cinema finalmente capace di scavarsi dentro con lucidità e profondità di sguardo. Molto oltre lo steccato della semplice fantascienza organica nel quale molti hanno voluto imbrigliarlo. Compatto, sferzante, crudele, seducente. In una sola parola: perfetto. Grandissimo James Woods, indimenticabili gli effetti speciali di Rick Baker, straordinario il commento musicale di Howard Shore. Vista la venerazione totale che nutro per questo film, dargli un voto equivarrebbe per me ad un sacrilegio, ad una blasfemia, ad un inverecondo atto di ùbris contro le mie divinità cinefile. Girato con maestria a dir poco spaventosa, con la mano ferma e lo stile limpido di chi non si perde in pezzi di bravura o inutili giri di parole. Atrocemente premonitorio: dentro Videodrome implode con sconcertante chiarezza un monito di rimembranza orwelliana e di immensa portata filosofica. La metamorfosi è già in atto. Sta a noi staccare la spina e spegnere quel televisore che imperterrito continua a trasmettere le sue nebulose frequenze da una stazione TV vicino Pittsburgh. Sempre che ci riusciamo. Sempre che lo vogliamo veramente. Sempre che dopo essere entrati in Videodrome ci sia rimasta la forza necessaria per uscirne, per riavvolgere quel nastro e per premere sul telecomando il tasto con su scritto OFF.
cinedrome.splinder.com



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La Frase dal Film: "Cos'è Videodrome?" "Ah, niente...torture, omicidi..." "Eh, sembra eccitante!" "Ma non c'entra niente col sesso" "Lo dici tu!"
O ancora "Lunga vita alla nuova carne", per citare la frase più famosa e più pregna di significato del film. Videodrome arriva nel 1982 (anche se alcuni attestano 1983) e scuote le fondamenta dell'horror e del cinema con la sua portata filosofica, sociologica, con gli audaci SFX di Baker, e con le suggestioni sado-maso. Non piacque a tutti, anzi, al botteghino fece un discreto fiasco ma con il tempo acquistò una nutrita schiera di fans. E a buona ragione. La poetica visionaria di Cronenbreg c'è tutta: mutazioni anatomiche simil-sessuali (vagina sul petto come pene sub-ascellare in Rabid, 1976), tecnologia sinistra plug'n'play col corpo (e chi si scorda la console di eXistenZ, 1999), il sesso perverso e foriero di morte (Crash, 1996), la confusività fra realtà e delirio (ancora eXistenZ, ma anche Inseparabili [1988], oppure Spider [2002]); insomma chi ama Cronenberg non sarà deluso, gli amanti del weird avranno pane per i propri denti, altra cosa, invece se siete mainstreamers. Videodrome fa a pugni con i soliti schemi narrativi e con la logica: molte cose non tornano, altre sembrano e sono dei plot-holes (buchi, incongruenze nella trama), in generale risulta difficile, come accade al protagonista, riuscire a distinguere ad un certo punto cosa è vero e cosa è allucinazione indotta. Ma questo è il bello, e se non ci si lascia trasportare ed avvincere dallo stile narrativo del film ciò che resta è qualcosa di ostico, perché, nonostante gli anni, Videodrome rimane un bel pugno nello stomaco. Grandiosamente Cronenberg anticipa i tempi e coglie, anche se non è stato il primo al cinema, la relazione fra pubblico e media, fra realtà e iper-realtà della tv. "È vero ciò che vediamo in quanto lo vediamo", il ricorso al concetto di una coscienza "mediatica" di massa, è qualcosa che risuona fino ai nostri giorni in film come Matrix (1999); non va dimenticato, in tutti i casi, che Cronenberg è giunto a queste riflessioni anni prima dell'avvento della stessa rete internet. James Woods, con una performance nervosa (una delle sue!), riesce ad essere molto convincente nei panni di Max, sia quando deve dimostrarsi scafato esperto dei prodotti hard in tv, che quando inneggia alla nuova carne nelle vesti di allucinato profeta New Age. Interessante per quanto breve la prestazione della Harry, soprattutto notevole l'uso diverso che fa delle sigarette! In conclusione, questo film di Cronenberg, in cui il corpo umano diventa campo di battaglia mediatica, lascerà sicuramente allibiti i mainstreamers ma non è mai stata preoccupazione del regista canadese piacere al pubblico più vasto. Per gli altri dico che, fra i film di Cronenberg, questo è uno dei più significativi (se non il più!) e perciò ritenetelo un must.
FORSE TUTTI NON SANNO CHE...
-Andy Warhol definì questo film come "L'Arancia Meccanica degli anni '80".
-Si era pensato ad un epilogo che non venne mai realizzato. In questo, Max Renn, Bianca O'Blivion e Nicki Brand appaiono sul set di Videodrome. Bianca e Nicki hanno sull'addome l'apertura dalla quale emerge uno strano organo sessuale mutato. Questa scena venne scartata insieme a molte altre a causa dei costi, di alcuni contrattempi (Deborah Harry si prese una gastroenterite e James Woods dovette andare a far visita a dei parenti), e per evidenti limiti nel realizzare gli SFX.
-L'attore David Tsubôchi, che nel film ha la parte del venditore di pellicole orientali, divenne ministro nella provincia dell'Ontario. La sua presenza in questa pellicola venne sfruttata negativamente dal partito politico d'opposizione.
-Nella scena che vede Woods con la sua "vulva addominale" sdraiato sul divano, fu applicata l'effetto prostetico (che nella fattispecie si chiamava "chest slit", ovvero "feritoia toracica"), incollandolo direttamente a Woods. L'attore giurò che non avrebbe più lavorato in film dove gli avrebbero dovuto attaccare qualcosa addosso.
-Quando furono filmate le sequenze con la flesh-gun ("pistola di carne" che emetteva spruzzi di vapore freddo), Woods fece uno scherzo a Cronenberg, colorandosi la mano di blu e fingendo che gli si fosse congelata.
-Sopra il televisore di Max/Woods si possono vedere due Joystick dell'Atari 2600 e una copia del gioco Combat. Roba d'annata dal momento che Combat è del 1978.
-Fra le scene che dovevano essere realizzate ce n'era una in cui la TV di Max Renn emergeva dalla vasca da bagno, mentre, accesa, mostrava delle immagini. Gli effettisti si domandarono come realizzarla, visto che infilare un elettrodomestico acceso in acqua non è la cosa più semplice, nè più sicura soprattutto dal momento che Max era anche lui nella vasca. Furono sviluppate varie soluzioni. Riempire la vasca con un liquido simile all'acqua ma non conduttore di corrente ma quel liquido costava 25$ al litro. Oppure prendere una vera TV e ricoprirla internamente con materiale isolante; la cosa funzionò e immersero la TV in una piscina ma questa galleggiava per l'aria presente all'interno. La scena fu scartata poco prima che si iniziasse a filmarla.
exxagon.it



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Videodrome rappresenta il “manifesto” del cinema di Cronenberg, un film anomalo, soggetto alle più disparate interpretazioni e scioccante come un’allucinazione.
Uno dei rarissimi film, distribuiti nel circuito commerciale, capace di esprimere e tradurre visivamente angosce e paure dell’uomo moderno, temi che la letteratura ha già conosciuto nelle pagine di William Burroughs o di Franz Kafka.
Il film racconta la storia di Max Renn, comproprietario di una piccola rete televisiva : la CIVIC TV. Per sopravvivere questa rete privata deve dare ciò che i grandi networks non possono offrire perché legati da vincoli morali e politici : sesso, violenza, sentimentalismo e sociologia da supermercato. Proprio ricercando questo tipo di programmi Max Renn si imbatte in Videodrome, frequenza pirata iperviolenta, che mostra scene di sesso deviato e violenza gratuita. Max ne rimane subito come ipnotizzato, respinto ma anche malsanamente attratto, divenendone completamente dipendente. Proprio a questo livello si cela una delle grandi intuizioni di Cronenberg, che penetra il pubblico, lo spettatore, e ne comprende il bisogno di evasione, l’amara reiterata mancanza di soddisfazione e il flirtare nichilistico col dolore (per provare che si può ancora sentire qualcosa), nonché l’estremo senso di spiazzamento che comporta il rendersi conto di tutto ciò. Se uno ci pensa, sono le stesse tematiche che si ritrovano in Crash, film che ha spiazzato ed irritato il pubblico (e di contro deliziato i critici meno rincoglioniti) proprio per i motivi appena detti.
Sia ben chiaro che Cronenberg non rifiuta la modernità tecnologica e mass-mediale, ma comprende la necessità che lo spettatore cambi in modo radicale di fronte a ciò che vede. Qui il regista coglie, con molto anticipo, la tendenza - divenuta poi evidente in tutto il mondo occidentale - a sussumere il reale attraverso ciò che ci è mostrato dalla televisione. Si sta perdendo la capacità e l’abitudine al controllo critico e alla verifica delle immagini. Videodrome ce lo ricorda, andando contro la società dell’Oblio (professor O’Blivion nel film) di Massa. Solo con la formazione di una Nuova Carne, noi come Max Renn (Renn-Renaissance-Rinascita) potremmo reimpossessarci della nostra visione critica. Uno dei mezzi per difenderci è senz’altro il cinema, l’unico strumento che consente di vedere la televisione “da un altro punto di vista”, dall’esterno, e quindi di non restare dipendenti dalla sua logica virale.
Un altro elemento che determina la grandezza di questo film sta nella lucidità con cui visualizza i processi di contaminazione fra l’organico e l’elettronico (fondamentali per il movimento Cyberpunk), mostrando un apparecchio televisivo che diventa carne e un corpo di carne che funziona come un videoregistratore.
Videodrome affronta anche il drammatico problema (ma rimosso dalla ipocrita coscienza cattolica generale) degli “snuff movies”. Un mondo dove la morte diventa forse l’ultima spiaggia delle sollecitazioni fisico-sessuali, la morte in diretta, con violenza e pornografia che si mescolano creando, paradossalmente, un altro genere, informe e letale. Contro ciò, Cronenberg pone il muro del religioso, del senso puro della razionalità rarefatta, del Credo Assoluto : “Sono la videoparola che si è fatta carne. Morte a Videodrome e gloria e vita alla Nuova Carne”.
Il film, comunque, solleva domande e ci colpisce senza darci il tempo di capire, non si lascia afferrare, è sfuggente ed il finale non è chiuso né aperto, ma un buco nero che tutto ingloba e che non ammette tentativi di razionalizzazione.
Bravissimi i due attori protagonisti, qui al loro meglio. Tra le tante trovate geniali merita di essere ricordata la “Cathode Ray Mission”, una chiesa catodica dove, nel film, frotte di mendicanti si affollano per ricevere la loro dose quotidiana di televisione.
"L'arte è sovversiva perché fa appello all'inconscio. Non sono un freudiano, ma credo nell'equazione "civiltà uguale repressione". L'arte è a favore di tutto ciò che viene represso. Quindi è contro la civiltà, contro la società con le sue norme stabilite. Più un film è collegato con l'inconscio, più è sovversivo. Come lo sono i sogni." (David Cronenberg)
scaglie.blogspot.com



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Videodrome si colloca quasi come un'opera di evoluzione e collante tra la prima parte della filmografia cronenberghiana, quella dei '70, quella forse più feroce e ruspante, e la futura contaminazione tra le derive splatter al servizio di speculazioni filosofiche sull'uomo e sul suo rapporto-connessione con la tecnologia, con il suo lato oscuro, con le sue perversioni idiosincratiche. Quello che maggiormente affascina non solo in Videodrome ma, in fondo, in tutta l'opera omnia e nella filosofia che la sottenda di David Cronenberg è il riuscire non solo a gestire in maniera magistrale i due binari principali che fungono da ossatura alle sue opere (un versante che possiamo chiamare “di genere” e un altro “filosofico-sociale”) ma la capacità di immergere le sue storie, i suoi incubi cyber-splatter-punk in un' atmosfera, in un ambiente che catturano l'attenzione dello spettatore e lo immergono in un'apnea angosciante grazie a piccoli elementi sparsi qua e là magistralmente orchestrati con una sorta di procedimento vedo-non vedo di carattere narrativo.
Elementi che rendono vivido il marciume morale, esistenziale e materiale del granguignolesco teatrino quale è il mondo- palcoscenico nel quale si dibattono i suoi masochistici attori. Facciamo un esempio: quale altra invenzione può avvicinare alla nostra epidermide, valicando lo schermo esattamente come accade nel film in questione, se non la semplice macchia untuosa che il personaggio impersonato da James Woods imprime su di una fotografia all'inizio della pellicola? Un segno di sporcizia, di degrado tangibile e scivoloso, laidamente connesso alle funzione vitali (il cibo, in questo caso), indice di una vita e di una società concentrata al soddisfacimento più basso e corporeo, alla crapula che ha origine dal corpo, in esso si sviluppa e in esso si deforma e muore; una società che Cronenberg riesce a ricreare con un lampo assai efficace già dalle prime inquadrature. Da lì in poi, oltre ad altri squarci narrativo-visivi di notevole e brutale efficacia, ci si immergerà in un' atmosfera che ammanta come un mantello di color pece lo spettatore, senza lasciargli scampo, ma anzi arrivando ad imbrattarlo (solo?) metaforicamente con una sorta di evoluzione di quella macchia iniziale.
Il nostro corpo e la nostra mente saranno infatti programmati per essere lordati da ogni tipo di cervella e frattaglia, da una nuova carne in cerca di sicura gloria. In fondo, è come se quella macchia nell'incipit fosse un messaggio subliminale da parte dell'autore al pari delle programmazioni sperimentali avviate dalla lobby fautrice del progetto Videodrome. Ci instilla il tumore del disgusto, un sano disgusto in questo caso, per attrarci sempre di più, e forse sadomasochisticamente, verso il futuro putridume che esploderà dalla pellicola verso i nostri schermi (proprio al pari di quanto, ancora una volta, ci viene narrato-visualizzato-”imposto” nel film). Videodrome, quindi, appare quasi una metafora, se non del cinema in sé (ma lo è, intrinsecamente..), quantomeno della carriera cronenberghiana: la bocca che richiama Max Renn è quasi l'incarnazione da una parte di un cinema che cerca di tendersi verso l'infinito e oltre di sé, alla ricerca di filosofici e sociologici terreni vergini da analizzare, e dall'altro del desiderio di coinvolgere dentro di sé lo spettatore, con l'intento palese di risucchiarlo in un vortice emozionale che non può non scuoterlo, turbarlo, smembrarlo.
Alberto Decostanzi, nocturno.it
[Modificato da |Painter| 17/09/2012 19:28]