Videodrome secondo Gianni Canova
Videodrome (1982) è a tutti effetti il “manifesto” del cinema di Cronenberg: […] riflette sull’intossicazione iconica derivata dal consumo di immagini televisive e sulle modificazioni fisiche e antropologiche che la diffusione della tv sta apportando all’apparato percettivo umano.
Videodrome ha cioè la forma inquietante di un’interrogazione problematica sulla natura riproduttiva delle immagini e sul rapporto di ambivalente fascinazione e repulsione che l’occhio umano prova di fronte ai propri sogni e ai propri incubi reificati e incessantemente riprodotti sullo schermo della tv. […] Un testo-chiave dell’
incertezza epistemologica contemporanea: uno dei pochi film “commerciali” capaci di tradurre sullo schermo quelle angosce e quelle allucinazioni al contempo epocali e universali che la letteratura aveva già conosciuto nelle pagine di un Burroughs o di un Kafka.
[…] La grandezza di
Videodrome sta non soltanto nella lucidità con cui visualizza i processi di contaminazione fra l’organico e l’elettronico, […] applica anche al linguaggio (al
cinema) quei processi di contaminazione e confusione che mostra all’opera sul piano dei corpi. E fa di
Videodrome, in tal modo, quasi il paradigma di uno stile che si fonda sempre, dall’inizio alla fine, sull’
instabilità enunciativa.
Videodrome è, per ammissione dello stesso Cronenberg, un film “in prima persona”: cioè un film che rompe con l’abitudine dello spettatore di considerare la macchina da presa come un “narratore onnisciente”. […] Non è possibile attribuire alle immagini un aprioristico statuto ontologico di
verità.
[…] Questa
instabilità della “focalizzazione narrativa” finisce per essere il vero elemento
perturbante di
Videodrome e di tutto il cinema di Cronenberg. […] Max è attivo o passivo? […] Burattinaio o burattino? Le sue allucinazioni vengono dalla televisione [...] o nascono dall’interno del suo spirito, della sua mente, dal suo desiderio? Probabilmente, in ogni istante, l’una e l’altra cosa. Perché
Videodrome mette in scena la fenomenologia di un’
allucinazione consensuale che deriva sì dall’azione di un agente esterno (la tv), ma che si radica anche su una complicità nata da un bisogno interno. Max, in quanto prototipo dell’
uomo televisivo, ha bisogno di “Videodrome”. […]
Cronenberg è lontanissimo dall’assumere posizioni di nichilistico rifiuto nei confronti della modernità tecnologica e mass mediale. Sente però l’imperativo morale di
mostrare come i nuovi media esigano una “nuova carne”, un nuovo corpo, un nuovo tipo di spettatore […]. Cronenberg coglie, con almeno dieci anni d’anticipo, la tendenza – divenuta poi evidente in tutto il mondo occidentale – ad assumere il reale
sub specie televisiva. […] Il cinema è il nostro possibile filo d’Arianna: l’unico strumento che consente di vedere la televisione
da un altro punto di vista, dall’esterno […].
In questo senso
Videodrome è anche un film
politico: perché è un film sul consumo di immagini che ci fa provare direttamente (quasi fisicamente) le potenzialità e le aberrazioni insite nel nostro desiderio di consumare tecnologicamente immagini. E perché collettivo (e quindi “politico”) è il rapporto di attrazione e repulsione con la “nuova carne” […].
Il personaggio protagonista […] si scontra con il falso rinascimento evocato dai padroni della Spectacular Optical […]. Commenta Cronenberg: “Sono mal informati e se ne fottono. Sono cinici, e usano ciò che gli conviene”. […] In un mondo dominato da corpi che sono portatori sani di videoparassiti, in cui sembra non esserci altra “realtà” al di fuori della televisione, il rischio è quello di perdere la capacità e l’abitudine al controllo critico e alla verifica delle immagini.
Videodrome ce lo ricorda […] insinuando, fra i tanti, anche il dubbio più radicale: quello che Max, lungi dall’essere una vittima, sia soltanto uno spettatore allucinato che a poco a poco rinuncia a tutto, anche alla vita, pur di essere per un solo istante il protagonista di una perversa trasmissione chiamata “Videodrome”. Se così fosse […] la morte del protagonista implica anche la
nostra morte in quanto spettatori […].
tratto da: Gianni Canova, David Cronenberg (ed. Il Castoro, 2007)