00 16/02/2009 22:18

TANATHOS E LIQUEFAZIONE

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Eversione della cicatrice



Il film è un percorso di conoscenza che comporta seguire un sentiero erto e ostico, pieno di trabocchetti e pericoli, un sentiero difficile e faticoso che non dà niente in cambio e non porta da nessuna parte. Sempreché si accetti di lasciarsi trascinare dalle immagini, è una strada che conduce inesorabilmente a scoprire il disgustoso sapore del Nulla. C'è l'incontro e il tentativo di mostrare ciò che per Bazin non era possibile mostrare, perché ritenute entrambe oscene, ossia la pornografia e la morte [1]. La morte al lavoro (non quella dei vivi che muoiono ma dei già morti che vivono) che annichilisce dall'interno una condizione di felice oblìo e porta inesorabilmente alla scelta di una libertà: poter morire. La pornografia intesa (non vi sono immagini pornografiche) come l'aspetto più astratto dell'Eros, ossia l'Eros che si piega al quotidiano, che entra nelle pieghe della disperazione quotidiana; non l'Eros dei morti, ma quello imponderabile dei vivi, quello intimo che "viola" la sua natura. In altre parole l'Eros non ha un abbrivo, non si realizza, ma rimane vagamente "consegnato" negli atti e nei gesti, congelato nel tempo, senza possibilità di redenzione. Il sesso era una volta il tema della vita, unico racconto possibile, oggetto di desiderio e speranza, oppure forza interiore (vittoriosa o perdente non importa) nella lotta/contrapposizione con Thanatos (la morte intesa come morte fisica, ma anche morte interiore, sconfitta della vita e resa al flusso immondo degli eventi). Ma qui non c'è una redenzione. L'arte, il cinema, consacrano l'impossibilità di comprendere la Storia; possono solo compenetrarla, trasferendo gli stilemi propri del sesso su un altro piano semantico (un'analogia dell'osceno?) I codici del sesso e dell'amore vengono privati del supporto connotativo (piacere e affetto) sostituiti da un altro supporto semantico. Dall'incontro delle due uniche vere tematiche narrative dell'arte, nasce un ibrido, nasce l'invenzione dell'uomo, nascono la tecnologia, la Macchina. Sorge il rifiuto del lato umano. Umano non come umanesimo, come affermazione di valori, ma come condizione amorfa dell'uomo che diviene oggetto massificato, manovrato e catalogato dal potere. Da questo incontro nasce una maieutica del sesso, una libertà non controllabile: e non è la libertà del Romanticismo, l'amore disperato di un Novalis, e neppure la forza dirompente di un amore libero (fate l'amore non fate la guerra), ma è la disperata consapevolezza che solo l'accettazione della macchina può liberarci dalle ferree regole della prospettiva. In altri termini: Thanatos non viene cercata, ma sfidata, e lo scontro non può che portare a dei risultati indelebili: cicatrici, amputazioni, suture. Il corpo tagliato dalle lamiere contorte dal "crash" è il risultato dell'affronto. La morte non è una gloria ottenuta o una sofferenza, ma un bisogno. Ormai per sfuggire al controllo del potere (e qui per potere intendo quello dei cliché e dei luoghi comuni che generano e "guidano" consenso e gusto) non rimane che la tecnologia da usare per "tagliare" la carne morbida della diegesi e formare un nuovo tessuto cicatrizzato: l'arte in senso lato e il cinema in senso ristretto. Crash è un film "immondo" perché ci mostra quello che non è possibile mostrare, ossia l'intollerabile oscenità baziniana della porno-morte o meglio, secondo la logica del post-moderno, ci mostra l'Eros post-mortem, perché Crash è un film post-osceno. Un film che quando uscì scatenò infinite polemiche e venne demonizzato non solo dagli "addetti ai lavori", ma anche da politici e giornalisti di tutto il mondo. Eversivamente bello.

[1] "Senza dubbio nessun istante vissuto è identico agli altri, ma gli istanti possono somigliarsi come le foglie di un albero; di qui proviene il fatto che la loro ripetizione cinematografica è più paradossale in teoria che in pratica: l'ammettiamo nonostante la sua contraddizione ontologica come una sorta di replica oggettiva della memoria. Ma due momenti della vita sfuggono a questa concessione della coscienza: l'atto sessuale e la morte. L'uno e l'altro sono alla loro maniera la negazione assoluta del tempo oggettivo: l'istante qualitativo allo stato puro. Come la morte l'amore si vive e non si rappresenta [...] o almeno non lo si rappresenta senza una violazione della sua natura. Questa violazione si chiama oscenità." André Bazin, Che cosa è il cinema? Garzanti p. 32



2
Corpi liquefatti



Nulla può sostituirsi alla liquefazione [1] dell’individuo nella società moderna. L’irreversibile processo porta a una trasformazione, nel senso di assorbimento multiforme, dell’individuo. Per essere più chiaro, rifacendomi al concetto di modernità liquida di Zygmunt Bauman, l’individuo vive in una concezione di spazio e tempo che non gli permette di intessere rapporti solidi, ma solo di afferrare le occasioni (lavoro, sesso, formazione) come momenti di misurazione del proprio successo. Il "tempo" agli albori dell’era moderna era un "tempo" legato allo spazio (quindi una velocità) mentre nella modernità fluida il tempo domina lo spazio proprio perché il tempo è diventato istantaneo, permettendo l’equivalenza di ogni luogo in rapporto al tempo per raggiungerlo. Mentre prima si aveva v=s/t adesso si ha s/t (per t tendente a zero) = ∞ , ossia la liquefazione dello spazio e la liberazione del tempo come unico canone di valutazione della propria identità. Detto in altro modo, nell’epoca della modernità fluida, passato e futuro non hanno valore, ma conta solo l’istante. Bauman si domanda che senso può avere una società dove si dà continuamente importanza ad un perpetuo carpe diem. Crash di Cronenberg (e anche, come vedremo, il romanzo di James Graham Ballard) segue proprio la ricerca dell’attimo perpetuo, dove ha valore il momento eterno. La decostruzione del mondo è avvenuta, ma il mondo non ha retto allo smontaggio, liquefacendosi; e non si può neppure tornare indietro perché, ammessa la possibilità di restituire spessore al liquido, ci troveremmo davanti a un nuovo “mondo solido”. Crash ci mostra comunque solo l’inizio della liquefazione dei corpi. Un po’ di tempo fa (prima di A History of Violence) mi ero immaginato infatti che Cronenberg sarebbe arrivato a mostrarci in un suo film proprio lo squagliarsi irreversibile del corpo, per evidenziare l’estasi innaturale del non ritorno. Forse il regista ha cambiato strada, ma ritengo che Crash sia un film che segni in maniera indelebile questa possibilità. Crash è l’inizio del processo fluidificante, ma non solo. Crash è anche una ricerca onirica degli effetti del cinema e del suo sviluppo. Mi spiego meglio: Crash mostra pezzi solidi che galleggiano come frammenti sfuggiti alla deriva della società, anzi alla deriva del cinema post-moderno, pezzi di cinema di una volta quando il mondo solido che lo circondava permetteva al cinema di essere mitico. La sequenza dello spettacolo organizzato da Vaughan (cinema) davanti a un pubblico di amanti degli incidenti (cinefili?) è esaustiva. Vaughan ricostruisce davanti al suo pubblico l’incidente in cui James Dean perse la vita entrando nel mito. Si può dividere la sequenza in tre parti principali o forse meglio dire in tre motivi legati: introduzione, crash e epilogo. Nell’introduzione Vaughan presenta lo spettacolo che il pubblico (tra cui James Ballard ed Helen Remington) si appresta a vedere seduto su una tribuna improvvisata. La mdp inquadra Vaughan che accarezza l’auto mentre parla al microfono davanti a un uditorio “specializzato”: “Non ti preoccupare quel tizio ci vedrà senz’altro. E queste sono state le ultime fiduciose parole della giovane e brillante star di Hollywood James Dean mentre alla guida della sua Porsche Spider 550 andava incontro al suo appuntamento con la morte….”. La voce di Vaughan tradisce una particolare eccitazione che lascia trasparire il suo “feticismo per la lamiera tagliente” e infatti questa sequenza potrebbe essere vista anche come metafora di un coito, ma un coito post-moderno dove non c’è posto per un rapporto pelle/odori/corpo ma solo lamiera/puzza d’olio bruciato/corpo. Ad ogni modo mi limito qui a sottolineare il gioco metacinematografico della sequenza ben strutturata da Cronenberg. Nell’introduzione la mdp ci mostra i movimenti di Vaughan con brevi carrellate laterali (Vaughan è mostrato spesso in piano americano se non addirittura in primo piano, colto nell’attimo di carezzare l’auto con mani e corpo). Ma Vaughan non carezza la Porsche di Jeames Dean, perché ormai la Porsche è entrata nel mito, carezza invece l’altra auto quella con cui “si farà male” perché è la vera causa del suo dolore e del suo orgasmo. Queste immagini sono raccordate con alcune riprese in primo piano di James Ballard ed Helen Remington, ossia degli spettatori ideali di questo tipo di cinema, spettatori fluidi, capaci di supportare/sopportare il dolore di questa nuova arte che può soltanto testimoniare la deriva della Storia. I due sono visibilmente eccitati. La parte centrale, il crash vero e proprio, dura pochissimi secondi (circa 15). Ecco la sequenza del crash:
1) dalla Porsche (soprannominata da Dean “Little Bastard”) si vede la Ford Tudor Bianca che sta venendo incontro (7 secondi);
2) dalla Ford Tudor si vede la Porsche che viene incontro (un secondo);
3) primo piano di Vaughan che recita la parte del meccanico di James Dean, Rolph Wütherich, e dello stuntman che recita la parte di James Dean alla guida della Porsche n. 130 (meno di un secondo);
4) primo piano del fianco destro della Ford Tudor (si sta spostando sulla destra incontro alla Porsche) guidata dall’altro stuntman che recita la parte dello studente Donald Turnupseed; il fianco è visibile in primissimo piano sulla parte destra del fotogramma, mentre sulla parte sinistra si vede la Porsche in campo medio (comunque situata al centro dell’immagine); ancora più a sinistra del fotogramma è visibile la campagna (meno di un secondo);
5) sul lato sinistro del fotogramma in campo medio si vede la grossa Ford Tudor e sul lato destro la piccola Porsche ormai coinvolte nel crash; Little Bastard si deforma nell’urto (meno di un secondo);
6) ritorno alla precedente prospettiva ossia vista del fianco destro della Ford Tudor che urta la Porsche e prosegue la sua corsa fermandosi sull’altro lato della carreggiata, uscendo fuori strada(6 secondi).
Il punto di vista dell’incidente è molteplice, infatti lo spettatore adotta di volta in volta lo sguardo di Vaughan, poi quello dello stuntman della Ford, e infine di un’altra istanza che non è neppure il pubblico interno al film, perché la prospettiva delle due auto che si urtano di lato è quella onnisciente di un pubblico ancora più distante (siamo noi cinefili?). Questo “stile” di ripresa ci riporta al 30 settembre 1955 (come dice Vaughan), giorno della morte di Dean, ma Vaughan subito dopo la data non definisce l’ora (“L’anno, il 1955. Il giorno, il 30 settembre. L’ora, adesso”). Il mito di Dean esce dalla storia ed entra nell’Adesso del film, ma l’Adesso del film è sì presente al mio sguardo mentre lo vedo, ma è anche un tempo passato dove tutto è già accaduto. E siccome il Reale non può entrare nel film, Cronenberg ci mostra la ricostruzione dell’incidente di James Dean filtrata dalla famosa corsa di Rebel Without a Cause. Non è il mito di Dean in quanto persona fisica coinvolta in un incidente, ma il mito di Dean in quanto persona deceduta e consegnata al mito perché integrata in un certo tipo di cinema e usata dallo star system. La citazione del film di Nicholas Ray (non citato ma “ricostruito”) entra di prepotenza nel mondo liquido di Crash acquisendo significati diversi in quanto fuori dal suo contesto e dalla Storia, trascinandosi dietro la gara pericolosa tra Jim Stark e Buzz, e influenzando Crash stesso. Rebel Without a Cause è solo mostrato attraverso una rappresentazione della “reale” morte di James Dean. Per pochi attimi (quei quindici secondi dell’urto) il mondo classico sembrerebbe innestarsi nell’oggi, interagendo in un circuito di rimandi e citazioni nostalgiche tipiche delle immagini senso-motorie. Il film del ‘55 non è citato, ma solamente rappresentato attraverso la citazione del mito (quindi star system, Hollywood, cinema, ecc.), di un mito che si è tra l’altro formato attraverso una mancanza. Ossia la liquefazione dei sentimenti non entra in sintonia diacronicamente col film (paragoni col passato, nostalgie, “oh quant’era meglio 50 anni fa, grande cinema!”, “grande attore! noi oggi possiamo solo…”, ecc.ecc.), ma sincronicamente, dato che Rebel Without a Cause è ormai una frase fatta innestata nel desiderio post-pornografico di scolpire la carne, e la rappresentazione liquida dell’incidente (liquida perché non c’è sofferenza e/o dialettica del sentimento, ma solo uno sciamare di azioni e desideri clonati) serve semplicemente a sopravvivere senza attraversare il tempo.

[1] Zygmunt Bauman, Modernità liquida

Luciano, cinemante.blogspot.com
[Modificato da |Painter| 10/06/2010 20:43]