Videodrome e la cybercultura - analisi

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|Painter|
00lunedì 11 ottobre 2010 15:04

VIDEODROME E LA CYBERCULTURA


[…] Gli scienziati sono impegnati a fare speculazioni, non meno poetiche, a proposito delle possibilità postumane. L’informatico Daniel Hills immagina che “il processo di evoluzione delle macchine comporterà cose che attualmente non si possono immaginare. Non credo che diventerò mai immortale, ma forse i miei figli sì. Essi potrebbero essere fatti di roba diversa da quella di cui sono fatto io.” […] Alcuni individui potranno lasciarsi dietro la forma umana allo stesso modo in cui un bruco si trasforma, al momento di spiccare il volo; altri potranno portare la semplice umanità a una nuova perfezione. […]
Le congetture scientifiche di oggi un tempo erano fantascienza. I perversi e brillanti horror fantascientifici di David Cronenberg, centrati sul corpo, rappresentano una lunga meditazione sul distacco tra mente e corpo nell’era informatica. Nel nostro tempo, come fa notare Scott Bukatman, “l’apparente dicotomia tra mente e corpo viene sostituita dalla tricotomia di mente/corpo/macchina”. Il regista, che si è chiesto se “siamo solo all’inizio di una fase evolutiva molto importante”, una specie di selezione naturale catalizzata dalla tecnologia, secondo Martin Scorsese “parla sempre di McLuhan”. In un certo senso, anzi, Cronenberg è il gemello oscuro di McLuhan, e nella sua teoria i media elettronici e gli strumenti meccanici, più che estensioni dell’uomo, sono gli agenti di una morfogenesi che non è sempre bella a vedersi.
Videodrome (1982), il suo capolavoro, in pratica mette in scena uno dei proverbi di Visual Mark: “Prima vedi il video. Poi ti metti il video. Poi mangi il video. Poi sei il video”. O, come dice al protagonista del film – Max Renn – il “profeta dei media” professor Brian O’Blivion: “La tua realtà è già per metà allucinazione video; se non stai attento, diventerà un’allucinazione totale. Dovrai imparare a vivere in un mondo nuovo e molto strano”.
Convinto del fatto che “la vita pubblica in televisione è più reale della vita privata nella carne”, O’Blivion ha creato un segnale televisivo mutagenico. Trasmesso di nascosto in un programma snuff sadomaso intitolato Videodrome, il segnale stimola negli spettatori la produzione di un tumore televisivo, “una nuova escrescenza del cervello umano che produrrà e controllerà allucinazioni fino al punto di cambiare la realtà umana”. Come osserva il professore, “in fin dei conti, al di fuori della nostra percezione di realtà non c’è niente di reale, non è vero?” Nel mondo elettronicamente mediato di Videodrome, i pensieri sono davvero onnipotenti; la convinzione dei primitivi di Freud – quella di essere in grado di “alterare il mondo esterno attraverso il semplice pensiero” – si concretizza inaspettatamente in una cybercultura in cui quasi tutte le esperienze cinetiche e tattili sono state sostituite dal consumo sedentario di immagini sullo schermo. “Lo schermo televisivo è la retina dell’occhio della mente”, dichiara ancora O’Blivion. “Di conseguenza, lo schermo televisivo fa parte della struttura fisica del cervello. Di conseguenza, tutto ciò che appare sullo schermo televisivo emerge come esperienza grezza per chi lo guarda. Di conseguenza, la televisione è realtà e la realtà è qualcosa di meno della televisione”.
Il professore crede che i tumori cerebrali provocati dal segnale del Videodrome daranno il via al prossimo stadio della coevoluzione dell’umanità e della tecnologia (la coevoluzione è un processo interattivo di mutamento evolutivo in cui i cambiamenti nella specie A danno via ai cambiamenti nella specie B, che a loro volta creano le condizioni necessarie per la selezione naturale dei cambiamenti nella specie A, e così via). Ma O’Blivion è stato ucciso dalla sinistra azienda di produzioni per la difesa Spectacular Optical, che progetta di servirsi del Videodrome per controllare le menti delle masse imperturbabili e affamate di emozioni.
Nel frattempo Renn – l’ingenuo proprietario di un canale porno che sta cercando di rintracciare la fonte del segnale misterioso – è stato trasformato dal Videodrome e soffre di bizzarre allucinazioni meccanoerotiche: nel suo ventre si apre una fenditura vaginale, in umida attesa dell’inserimento di una videocassetta; la mano gli si trasforma in una pistola fatta di carne fusa e umida di muco; la sua televisione ansima e mugola in un’estasi concupiscente, con lo schermo che si sporge verso le sue labbra in attesa. Arrendendosi alla follia postmoderna di un mondo in cui le distinzioni tra i due lati dello schermo televisivo – tra il reale e l’irreale – sono ormai prive di significato, Renn uccide i cospiratori e si nasconde in una chiatta abbandonata.
Vuoto e cadente, lo scafo rugginoso rappresenta una buona metafora del ruolo del corpo nella cybercultura, un veicolo indegno abbandonato dal suo proprietario. L’attrice radiofonica e appassionata di sadomaso Nicki Brand, che era stata l’amante di Renn prima di scomparire nella dimensione parallela di Videodrome, appare sul televisore irrazionalmente collocato nella nave fatiscente e dice al protagonista che è giunto il momento della sua trasmigrazione. “Il tuo corpo ha già attraversato molti cambiamenti, ma questo è solo l’inizio”, lo avverte. “Adesso devi arrivare fino in fondo: trasformazione totale.” Parafrasando il Nuovo Testamento (“Dovete rinascere”: Giovanni 3,7) la donna avverte che “per diventare la nuova carne, devi prima uccidere la vecchia carne. Non aver paura a lasciar morire il tuo corpo”. Mentre degli accordi fastidiosi e sempre più alti si sommano in un crescendo, Renn solleva la mano – di nuovo trasformata in una pistola organica – fino alla testa e tira il grilletto lanciando il grido di battaglia “lunga vita alla nuova carne!” In una versione traumatica e a bassa tecnologia dell’assunzione di Visual Mask nel cyberbazio, Max Renn rinascerà come puro simulacro, quella che la figlia di O’Blivion chiama “la parola video fatta carne”.
Nella sua nausea ontologica Videodrome fa tornare in mente La processione dei simulacri, il saggio in cui il filosofo Jean Baudrillard sostiene che la realtà si è trasformata in un’“iperrealtà” fatta di riproduzioni meccaniche e rappresentazioni digitali che “non ha nessuna relazione con nessun tipo di realtà: è il simulacro puro di se stessa”. E ci viene da pensare anche alla dichiarazione di Ballare secondo cui “viviamo in un mondo governato da finzioni di ogni genere” – fotografie alterate digitalmente, divi ricostruiti per via chirurgica, simulazioni al computer, servizi fotografici fittizi, pop star campionate che cantano in playback, sostituti sintetici per il cibo. E la surrealtà di questo mondo fa sembrare che il subconscio si sia insinuato nella realtà del giorno, e che il mondo della veglia sia stato rivendicato dalla zona del crepuscolo. […]

Tratto da: M. Dery, M. Tavosanis, Velocità di fuga. Cyberculture a fine millennio

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