Buchi, tubi, passaggi

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|Painter|
00sabato 9 aprile 2011 10:36

BUCHI TUBI PASSAGGI


Basta fare un inventario. Basta partire dal primo lungometraggio pubblico di David Cronenberg, Il demone sotto la pelle, del 1975, in originale The Parasite Murders, o anche Shivers, o anche They Came from Within ("loro" vengono sempre da dentro...). Basta seguire Cronenberg di film in film per vedere come, tra i ricorrenti temi e le amate ossessioni da cui partono e di cui si nutrono i suoi lavori, ci sia un motivo che torna costantemente, si allarga, striscia nelle sue storie. Quello legato alla domanda: ma da dove passano, come fanno a entrare, ci devono essere dei buchi, delle aperture attraverso le quali si fanno strada... Il soggetto che passa, entra, si muove, conquista luoghi e corpi è di volta in volta un virus, il male, un'epidemia, una mutazione. Il punto è: da dove passano i portatori del contagio?
I buchi dei corpi, come le falle dei sistemi sociali, come le aperture che mettono in comunicazione più luoghi sono, in Cronenberg, zone pericolose, passaggi, strettoie, canali, tubi, orifizi che collegano un dentro e un fuori, un dentro a un altro dentro, un qui e un altrove, un mondo e un altro mondo, il reale con il profondo, l'ignoto, il virtuale. Il passare attraverso è l'inizio della fine, là agisce la contaminazione. Se il confine viene attraversato, non c'è modo di difendersi, si viene posseduti da un'alterità che riduce tutto e tutti a un'unica dimensione. Il contatto trasforma il due in uno.
Il demone sotto la pelle comincia con una voce che illustra le caratteristiche di un luogo, un complesso residenziale, l'Arca di Noè, che sta su un'isola, è stato pensato e costruito per essere isolato e sicuro, e dovrebbe difendere coloro che vi abitano dalla contaminazione e dai pericoli della città. Sull'isola, in mezzo al fiume, niente aggressioni, delitti, immoralità. La città corrotta è lontana. Questa è un'oasi chiusa. Senza intrusioni. Senza buchi.
Ma i film di Cronenberg non credono all'autosufficienza. Non si può essere isolati. Non si possono chiudere tutti i buchi. C'è sempre una falla attraverso la quale avviene il contagio (e poi il naufragio). Da quel buco, il male, che tutti credono ancora fuori, è invece già entrato. In apertura di film, all'Arca di Noè, luogo che dovrebbe essere di esemplare separatezza, arriva una giovane coppia in cerca di sicurezza e isolamento: ma in una stanza c'è un uomo che strangola una giovane donna, ne apre l'addome, vi versa dell'acido, poi si taglia la gola; e in un altro appartamento un altro uomo, a torso nudo davanti allo specchio, sente un gonfiore nel ventre; e poco dopo questo stesso uomo vomita qualcosa giù dal balcone, sull'ombrellino di due vecchie signore che vanno a passeggio e credono che quello che è caduto sia un uccellino, quando invece noi vediamo uno strano essere, una specie di grosso verme, strisciare via tra l'erba.
I parassiti sono dappertutto, sono già nell'Arca, sono dentro i corpi. Hanno forma fecale e fallica, procurano attacchi di violenza e libidine, si infilano ovunque: quando Barbara Steele, figura d'attrice che Cronenberg eredita dall'horror italiano (ma anche da 8½ di Fellini...), fa il bagno nella vasca, lo strazzo (crasi tra il fecale e il fallico) risale dallo scarico e naviga tra le gambe di lei verso un buco.
È dall'Arca, luogo che si spaccia per impenetrabile, che il male prende a correre per il mondo, come succede in ogni horror che si rispetti. Il film si chiude con lo speaker di un giornale radio del mattino che rassicura i cittadini che le voci che correvano su violenze e omicidi nell'Arca sono false: la gente sta uscendo dall'Arca per andare regolarmente al lavoro. Sì, ma sono tutti contagiati, vanno a diffondere l'epidemia.
Cronenberg prende i temi forti di un genere come l'horror e li ricolloca in ambiti aggiornati. Non ultima, recupera la figura del buco, dell'orifizio, del punto di apertura, necessario a ogni corpo per vivere, nutrirsi, scaricarsi, riprodursi (e per essere penetrato). Il buco è luogo di pericolo e di attrazione. Da tanto si sa che nell'orrore si accompagnano paura e desiderio. Lo sapeva il Tasso. «Bello in sí bella vista anco è l'orrore, e di mezzo la tema esce il diletto» (“Gerusalemme liberata”, XX, 30).
Tema e diletto sono gli ingredienti del cinema di Cronenberg. Tema per chi vive nell'Arca come in tutti gli altri suoi film. Diletto per noi che guardiamo questi naufragi e naufraghi dalla comoda (lucreziana, blumenberghiana) poltrona di spettatori. Per noi che possiamo constatare come la salute e la patologia comunichino attraverso passaggi, buchi, crepe. I parassiti del Demone sotto la pelle passano di bocca in bocca, si installano nelle viscere, portano desiderio e corruzione. Anche agli spettatori. Cronenberg: «E evidente che esiste un piacere nello sguardo che si getta su ciò che è proibito». Il primo responsabile del contagio è un medico che si chiama Hobbes: i suoi uomini sono lupi desideranti. E in Cronenberg la sessualità è mostruosa, i buchi sessuali sono trappole, pozzi neri, antri, voragini.
Elencazione di buchi. Magnifico e spaventoso quell'ano (o vagina), vivo e pulsante (con pungiglione), che Rose ha sotto l'ascella in Rabid (Rabid – Sete di sangue, 1977), film di evidenti ascendenze vampiresche e zombiste spostate in un oggi non più gotico ma scientifico e artificiale. Capovolgimento di prospettiva in The Brood (Brood – La covata malefica, 1979) : è la mancanza di un buco e del suo tappo, quello dell'ombelico, a segnalare la diversità di tante piccole creaturine (mai nate?) in tutina rossa, mostriciattoli che non escono regolarmente dalla madre ma crescono come escrescenze in un'orribile e strepitosa sacca-placenta extrauterina. Poi c'è quel buco, mascherato da occhio, che uno degli scanners si fa in fronte «per far uscire la pressione». Scanners (id., 1981) è un film centrato sulla penetrazione, senza contatto fisico!, tra una mente e un'altra (telepatia come possesso e invasione, come forma astratta e sostitutiva di una sessualità inesistente...). Ugualmente, in Videodrome (id., 1983), il rapporto avviene tra uno schermo televisivo che si fa buco e bocca e uno spettatore che vi si infila, anch' egli attratto e inorridito (tema e diletto...). E questo stesso spettatore ed esploratore si ritroverà con un largo, lungo e capiente buco nel ventre, ferita aperta che ingurgita prima una pistola, poi una videocassetta. E alla fine c'è l'immagine di un apparecchio televisivo con lo schermo cavernoso, vuoto, nero, buco a due vie che può inghiottire e risputare fuori viscere e frattaglie.
Le ultime parole di Videodrome, prima dello sparo conclusivo, sono «Lunga vita alla nuova carne». La carne nuova che viene è quella di Dead Ringers (Inseparabili, 1988). La paziente che si affida ai ginecologi gemelli Mantle (che si pronuncia mental..) ha un utero triforcuto, con «tre cervici che portano a tre condotti separati, indipendenti». Bellezza e orrore dell'interno dei corpi fatti di nuova carne: «La bellezza interiore è importante. Si dovrebbero fare dei concorsi di bellezza per gli interni dei corpi». In sogno, uno dei gemelli, Bev, prova orrore e si sveglia di soprassalto quando vede Claire, la nuova donna, strappare a morsi il tubo di collegamento carnale che lo lega al gemello ElIy. Ancora un tubo e, dentro, un buco. Se c'è un buco ci dev'essere obbligatoriamente qualcosa intorno ad esso. E se c'è un tubo ci deve essere un buco dentro. E se c'è un buco grosso come una capsula da teletrasporto un uomo può infilarcisi e diventare nuova carne, corrotta!, grazie all'intrusione di una mosca.
Tutto M. Butterfly (id., 1993) vive della domanda che è costretto a farsi il diplomatico René Gallimard e che si fanno gli spettatori sull'esistenza o no di un buco di donna: film stupefatto, fantastico, illusorio, melodramma su un corpo che non è quello che si pensava e si voleva che fosse. Così come tutto eXistenZ (id., 1999) è tramato e perforato da buchi suppletivi in corpi che non usano più le aperture di cui sono di norma dotati: non è più la sessualità ad attrarre ma è un altro mondo che si raggiunge giocando un gioco che si può giocare solo facendosi fare un buco, una bioporta, nella spina dorsale. Gioco religioso (perché lega...) che si gioca, a inizio film, in un cenacolo tra dodici apostoli e una profetessa, tutti muniti di buco dorsale, ognuno collegato agli altri da un cordone-tubo, e da un apparecchio vivo, il biopod, che è carne e tecnologia. E Crash (id., 1996) cos'era, prima che inventassero le bioporte e i biopod, se non un'implorazione che si potesse trovare il modo di mettere in comunicazione la calda e dolente carne e il freddo, passivo e potente metallo?
Certo: quello di Cronenberg è un cinema che perfora i confini. Carne e metallo, aldilà e aldiqua, mente e corpo, umano e mostruoso, maschile e femminile, reale e virtuale, uomo e macchina, animale e uomo, organico, inorganico, catodico, digitale, ecc. ecc. ecc. I confini sono porosi. Ci sono sempre dei buchi in cui ci si infila e si passa in un altro o in un altrove. O buchi da dove l'altro e l'altrove vengono a visitarci e possederci. Nei film di fantascienza di una volta si diceva: «Keep watching the skies!», perché i pericoli arrivavano da lassù. Nei film di Cronenberg bisogna fare attenzione ai buchi di quaggiù.
Poi, di recente, una svolta. Cronenberg, dopo aver tanto lavorato con il fantastico e i suoi passaggi, buchi e tubi, imbocca una strada parallela. In A History of Violence (id., 2005) e Eastern Promises (La Promessa dell'Assassino, 2007) non usa più buchi e passaggi. Non ne ha più bisogno: perché adesso ha preso a costruire storie sugli elementi costituenti dell'umano. Sulla tavola elementare dell'umano: bene, male, dolore, violenza. Anche sull'io e sull'altro dentro l'io: su un io che è altro. Si chiede come funzioni, come si nasconda e poi come riappaia, dentro l'umano, la dualità. Si domanda come e perché il buon padre di famiglia, la buona madre di famiglia e il buon figlio di un buon padre e di una buona madre siano altri da sé. Non lo sapevano, non se lo ricordavano, non l'avevano ancora scoperto. L'uno che si crede uno è invece due. Senza più bisogno di buchi, passaggi e aperture. Questo Cronenberg senza buchi lavora sulla dualità profonda. In eXistenZ entrare nel gioco portava a non distinguere più il fuori dal dentro: il mondo reale e i mondi virtuali diventavano indistinguibili (e non si sapeva più da quale mondo si era partiti). Adesso, Cronenberg ha cominciato a porsi domande sul perché l'uno si pensa tale quando invece è due, o tre, o... E non ci sono buchi e tubi di collegamento: un impasto senza distanze e senza distinzioni è il territorio, dentro la carne, del nuovo, mutato Cronenberg.
Bruno Fornara, Cineforum n.477
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