<<Esistere in eXistenZ>>

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00venerdì 2 gennaio 2009 21:39

ESISTERE IN eXistenZ

di Matt – davidcronenberg.tk




“Se io voglio essere il gioco, anche il gioco vorrà essere me.”
David Cronenberg


A seguito di Crash (1996), David Cronenberg lavora a eXistenZ che risulta così il suo film di fine millennio. Una casualità quanto mai azzeccata visto il tema della pellicola. Si può parlare, ma solo in via teorica, di una sorta di trilogia che si sviluppa nella carriera del regista canadese. eXistenZ in questa trilogia rappresenta il capitolo conclusivo. eXistenZ costituisce in effetti il capitolo conclusivo di un primo vasto blocco della sua filmografia, poiché dalla pellicola successiva (Spider, 2002, ma soprattutto con A history of Violence, 2005) egli evolve abbastanza marcatamente la sua poetica, indirizzandola lungo una strada parallela che non manca di un certo cambiamento anche nello stile prettamente visivo nel metterla in scena. eXistenZ è invece legato ancora agli stili e ai soggetti precedenti, scritti di proprio pugno (anche quando ispirati a lavori letterari), in particolare a Il Pasto Nudo (1991) e a Videodrome (1982). Delle poetiche di William Burroughs, scrittore di Pasto Nudo e altri testi da cui il film riprende episodi e ossessioni di fondo, c’è più che qualche traccia sia in Videodrome che in eXistenZ. Come del resto in tutti gli altri film di Cronenberg, ma questi tre in particolare rappresentano l’apice (anche di riuscita visiva) della poetica cronenberghiana. Poetica definita “cinema delle mutazioni” da Marcello Pecchioli in un suo saggio. Le mutazioni nel doppio ruolo della mente e del corpo sono al centro di questa visione. Chiunque parli di Cronenberg, critico o cinefilo, non può non incorrere nella parola “mutazioni”.


eXistenZ presenta molti punti in contatto con i due film sopra citati. Già di primo acchito non si può non far caso a ciò che grida il ragazzo che attenta alla vita della creatrice del gioco, a pochi minuti dall’inizio del film: “morte al demone Allegra Geller”. È una evidente ripresa del grido di Max Renn: “morte a Videodrome, gloria e vita alla nuova carne”. In eXistenZ gli attentatori sono i sostenitori del movimento neorealistico, nemici di una realtà costruita per gioco. La situazione è schematicamente più semplice ma è la medesima di Videodrome. Il gioco è “una catena di eventi causativi che avvia una sorta di nuovo Videodrome” [1].
Il concetto di carne, di corporeo e di viscerale, è un punto chiave in Cronenberg e proprio l’ambiguità di questo concetto lo rende complesso. E’ impossibile trattarlo come un significante da correlare a un’unica, precisa nozione di significato. La carne in eXistenZ è l’elemento che rende subito ambigua la distinzione tra realtà e realtà virtuale, poiché sembra comune a entrambi. Sono i Pod, che permettono il collegamento neuronale al gioco, a essere fatti di tessuti nervosi di anfibi mutanti e somigliare a escrescenze carnose. I cavi sono tentacoli nodosi, “un evidente cordone ombelicale”[2]. Il collegamento viene fatto tramite le bioporte, che vengono aperte nella spina dorsale e permettono di “essere” nel mondo virtuale. “Essendo così connesso, ogni sensazione sarà tipica della persona che sta giocando e la partita sarà sempre diversa”[3].
Il Pod si alimenta con l’energia del corpo a cui è collegato, per accenderlo bisogna accarezzarlo e toccare punti sensibili e l’implicazione sessuale che tutto ciò sottende è una delle prime cose a balzare all’occhio. All’inizio del gioco, una delle prime scene vede i protagonisti (nell’alter-ego dei loro personaggi virtuali) stimolati a un contatto fisico, che diventa a seguire ambiguo e perverso quando si connettono attraverso le bioporte. È ovvio che il collegamento al Pod è qualcosa di carnale, uno scambio. Quando Ted Pikul taglia il cavo perché Allegra è connessa a un Pod infetto, lei muore dissanguata ed è il suo sangue ad uscire dal cavo. “La tendenza all’alterazione fisica è portata all’estremo, fusa con la tecnologia dei computer, per l’unico scopo di giocare (satira feroce)”[1]. “E’ l’uomo con la sua tendenza ad andare oltre ogni limite, spinto dalla ricerca di sensazioni sconvolgenti”[3]. “Una irreversibile crisi dei concetti di identità fisica; la macchina, rinnovandosi in una struttura organica e vivente, arriva a gestire l’esistenza (e la trascendenza) della persona”[4].
E di nuovo: “Allegra è una seduttrice che offre a Pikul la liberazione esistenziale e sessuale dalla repressione” [1]. Vero: non avere una bioporta e non essere iniziato al mondo virtuale è considerata una seconda verginità, motivo di imbarazzo. Inoltre i due protagonisti hanno un comportamento che non comprendiamo del tutto, che non convince del tutto, i loro discorsi sono ridotti all’osso, affrettati, non sempre pertinenti, spesso divertenti perché quasi infantili. I tratti di Ted sono femminei, al punto che riconosciamo a stento Jude Law se non dai gelidi occhi. Allegra, interpretata da Jennifer Jason Leigh, è la tentatrice ma ha l’aspetto di una ragazzina. La presenza di Willem Dafoe (che interpreta Gas) si pone all’estremo opposto: uomo grosso, lineamenti squadrati, comportamento e mentalità meccanici, ruolo da pazzoide. I due protagonisti caratterizzano molto lo svolgersi della storia. Se proviamo a sostituirli con presenze più decise, per esempio i volti di Videodrome (James Woods alias Max Renn) o Il Pasto Nudo (Peter Weller alias Bill Lee), vediamo che qui non funzionerebbero affatto. In effetti con Ted e Allegra, cioè Jude Law e Jennifer Jason Leigh, è decisamente più facile identificarsi. Sono fatti apposta perché ci si possa riconoscere in loro, tanto fisicamente quanto al livello comportamentale più semplice (nonostante la loro estrema posizione, si rivelano pur sempre fondamentalisti).


Tornando al discorso della carne (ma anche gli esseri umani sono carne sullo schermo), è costituito di carne (e ossa e tessuti) gran parte del mondo in cui si ritrovano i giocatori e gli oggetti con cui hanno a che fare: dalla pistola di ossa d’anfibio mutante, che spara denti umani come proiettili, al Vivaio, il luogo dove gli anfibi mutanti vengono allevati e sventrati, al ristorante cinese e a tutta quanta l’atmosfera grottesca e umida che permea eXistenZ e il film stesso. Questo elemento corporeo è in netto contrasto con il concetto di realtà virtuale in cui si svolge il piano d’azione: “stile minimalista, scenografie povere, persino antiche retro-proiezioni; è il mondo in cartapesta di Philip K. Dick, fatto di semplici colori”[1]. “Il contenuto è quello di un incubo, come lo squallido paesaggio, completamente estraneo alle ricche immagini che la fantasia è portata ad associare ai giochi virtuali”[4]. L’esatto opposto di Matrix per intenderci.
“C’è un elemento di psicosi in tutto questo” dice Ted al ristorante cinese, ed è vero: il film stesso risulta come una prolungata psicosi, stimola nello spettatore un senso di perdita, di agitazione, poiché egli perde il controllo della storia e lo scopo delle azioni, e in buona misura è disgustato da ciò che vede.
Finché, quando anche Ted non ne può più e grida “eXistenZ è in pausa!”, il gioco va in pausa e si passa di nuovo nella monotona, notturna, rassicurante realtà. Almeno all’apparenza. Poi i livelli di realtà cominciano a confondersi. Tuttavia già da subito Cronenberg ci suggerisce abbastanza esplicitamente che l’inizio della storia (l’inizio del film) così come ci viene presentato si colloca già a gioco iniziato. Gli indizi sono più o meno sottili e più o meno depistanti, e colpiscono ovviamente solo alla seconda o terza visione. Innanzitutto gli anfibi mutanti e le altre creature ibride, “un segno dei tempi” dicono nel film, che compaiono quando i protagonisti dovrebbero essere nella realtà (per esempio quando sono in fuga dopo l’attentato ad Allegra). Da notare come queste presenze esplicite di organismi rimandino a Il Pasto Nudo, dove le cose partorite dalla mente dello scrittore si materializzavano allo stesso modo depistando chi guarda. In eXistenZ queste creature sono più che semplici effetti scenici del mondo virtuale, del gioco, il quale diventerebbe allora un’ottima scusa per materializzare qualunque cosa ed essere imbottito di bizzarrie. E si tratta non soltanto delle creature, ma di una materializzazione generale: prendiamo il caso della “stazione di rifornimento di campagna egualmente stereotipata; ne serve una, dice lei, e la stazione si materializza dal nulla”[2].
In secondo luogo durante la fuga, all’inizio, Allegra dice a Ted: “sono condannata a morte e mi mandano in giro con un aspirante p.r.”. Altro indizio: a chi si riferisce con “mi mandano” se non all’ulteriore realtà (che scopriamo solo alla fine del film, pur rimanendo con qualche dubbio) nella quale lei, Ted e tutte le altre comparse che seguiranno stanno provando un gioco nel gioco? Ma in questo primo livello che ci è dato conoscere vi sono creature, vi sono Pod di carne, Ted ha un telefono che somiglia a un agglomerato di grasso: tutte queste cose prima lasciano il dubbio sulla realtà in questione, poi vengono giustificate dal fatto che siamo già nel mondo virtuale, il che però non aiuta a comprenderle e a smorzare il senso di perdita e disgusto. Ecco come la carne diventa una linea di demarcazione, anche se è lecito chiedersi fino a che punto: non dovrebbe essere l’elemento della realtà piuttosto che della virtualità? È forse questo capovolgimento a lasciare storditi; è qui che Cronenberg dà il cento per cento delle potenzialità del suo cinema.


Alla fine, il film (la storia) torna. Quando appare che tutti siano usciti dal gioco si scoprono i veri attentatori, e il cinese a cui stanno per sparare, nell’ultima inquadratura, dice: “siamo ancora nel gioco, vero?” Come per fomentare un ultimo dubbio, in altri casi lasciare la porta aperta al sequel, ma qui la domanda sembra quasi ironica. No, non siamo più nel gioco, questa è la realtà perché le pistole sono fatte di metallo e i Pod pure, non ci sono bizzarrie organiche, perciò verrai ammazzato per davvero. È strano che Cronenberg faccia quadrare così bene i conti.
L’elemento del complotto (caro a Burroughs) permea tutto il film, in quanto tutti sembrano in fuga e in caccia, sempre, ci sono mandanti e spie, senza logica, in un continuo moto di causa-effetto. Le azioni si succedono spinte dal motore, “il carattere e l’impulso del gioco”[2], che non è dato conoscere, ma l’idea è ben chiara: ci sono complotti di movimenti fondamentalisti. “La società viene frantumata e resa antagonista, divisa in incomprensibili fazioni dogmatiche; molte cose sono velate, non riconoscibili”[1]. In conclusione, ritornati alla realtà, i veri neorealisti uccidono il vero web-designer, come a dire che tutto quello a cui si è giocato era vero, in qualche modo. Ed ecco il binomio virtuale-che-emula-il-reale, al punto che allora, sì, la storia si è conclusa, all’apparenza è tutto chiaro, ma cos’è successo? A cosa si è arrivati? Per Costello ([1]) la domanda è “vi sono elementi imprevedibili continui? La creazione può raggiungere livelli propri oltre la volontà del creatore?”
No, a ben pensarci Cronny non fa quadrare così bene i conti. Lo smarrimento precedente resta ancora, non cessa con il chiarirsi superficiale dell’intreccio. La questione qui, e questa è la vera genialità della poetica del film, è che tutto rimane aperto perché tutto ricade inevitabilmente dentro sé stesso. Un circolo vizioso di esplicazione visiva. Riavvolgiamo il nastro, o meglio premiamo ‘repeat all’ nel dvd, e tutto ricomincia da dove lo avevamo lasciato alla fine. Questo film non ha una struttura simmetrica, come apparentemente sembrerebbe (il finale che riprende l’inizio eccetera), ma ha una struttura a spirale, come quelle spirali che girano senza fine. Se lo si guarda in quest’ottica il film non fa nulla di così semplice come porre il concetto di realtà virtuale in modo ‘da thriller’. Vorrei trovare soltanto un cliché in cui eXistenZ ricada. eXistenZ è un’illusione ottica al pari delle spirali girevoli, è qualcosa in cui non vorremmo mai ricadere: questo è l’unico punto in contatto con il ‘dilemma realtà virtuale’, nel senso che effettivamente non vorremmo ricaderci e sentirci così nel mondo reale, quando non stiamo guardando il film. “Fuggire di gioco in gioco – da un impulso a un impulso – è di volta in volta, per i due, il solo modo per sottrarsi a una realtà virtuale o ad una virtualità reale minacciose”. E ancora: “Allegra ha giustificato la superiorità del videogioco rispetto alla vita reale: in questa, noi siamo programmati per una gamma troppo ristretta di possibilità, in quello siamo gli dei creatori. Ebbene eXistenZ è la smentita di questo assunto: la stessa Allegra è giocata dal suo gioco” [2]. Come a dire: credevamo di avere la risposta, alla fine, ma se ripensiamo agli eventi come ci sono stati presentati, e magari rivediamo il film, allora ci accorgiamo che non è così.
“La realtà è dove si trova la tua mente in quel momento.” dice Jude Law nelle interviste presenti nel dvd.
Gli fa eco Ian Holm: “E’ dove siamo diretti tutti. È la ricerca del piacere e della comunicazione. Questo è quello che David ha racchiuso nella sceneggiatura.”


Inutile dire che a livello di regia, fotografia, montaggio, eccetera, tutto è stato azzeccato al meglio dell’espressività dei concetti, quindi all’esplicazione visiva in piena poetica cronenberghiana. Così era stato per Videodrome, per Il Pasto Nudo, e così a fine millennio, in epoca già virtuale, è stato anche per eXistenZ, che chiude il ciclo pur non chiudendo assolutamente niente, al punto che finito eXistenZ si potrebbe ricominciare con Videodrome e la spirale girerebbe, girerebbe…
Ecco come Gianni Canova ([5]) ribadisce quanto è stato detto. “Rinunciando alla maiuscola, eXistenZ rifiuta tanto l’idea di essere l’inizio di qualcosa (o di avere comunque un inizio) quanto la pretesa di assumere una qualsivoglia identità riconosciuta e riconoscibile. […] Gli unici picchi – grafici e semantici – sono costituiti da un’incognita (X) e da una variabile (Z) […] Una riduzione della tridimensionalità cartesiana dell’esistenza alla bidimensionalità priva di altezza e di verticalità del linguaggio della rappresentazione. In altre parole: eXistenZ è un saggio sull’economia del visibile e sulla semiotica della percezione nell’epoca della virtualità. […] Saltano le distinzioni, le divisioni, le differenze. Perché eXistenZ mette in scena le ‘rovine circolari’ della razionalità occidentale. […] La radicalità di eXistenZ (teorica, forse perfino ontologica) nasce dall’azzerare ogni possibile punto di riferimento. Dalla scelta di Cronenberg di innestare le immagini riferite alla presunta vita reale sulle immagini relative al presunto gioco non solo senza soluzioni di continuità, ma anche senza nessuno di quegli artifici retorici codificati con cui la grammatica filmica è solita segnalarci il passaggio da un livello di rappresentazione ad un altro. Cronenberg rifiuta questi espedienti. […] Fa dell’esitazione e dell’ambiguità le sue uniche marche di riconoscimento. Non a caso, di fatto, non inizia e non finisce: come già in Crash, non ha sviluppo narrativo, si configura come eterno ritorno dei medesimi gesti, si srotola in una circolarità spiraliforme che finisce per produrre la vertigine di un’infinita mise en abime.”
Ecco quello che dice Cronenberg stesso a proposito della nascita dell’idea. “Ho intervistato lo scrittore Salman Rushdie a Londra, per una rivista canadese. Avevo già una mezza idea, prima che lui mi concedesse l’intervista, di fare un film che rispecchiasse la sua situazione, quella di uno scrittore che per avere scritto cose che sente innocenti viene condannato a morte, nel suo caso, da un gruppo militante islamico. Ho pensato subito che fosse una situazione drammatica e traumatica interessante da esplorare, specialmente per me che ho già trattato l’argomento in Il Pasto Nudo, dove uno scrittore deve affrontare ciò che ha creato, perché la sua creazione è divenuta cosa viva, che lo perseguita in vari modi. Questo è il caso di Rushdie. Per questo ho voluto incontrarlo. Avevo già quest’idea in testa. È stato bello parlare con lui, è un uomo brillante. Abbiamo parlato di tante cose, anche dei giochi, se possono essere considerati arte e i loro creatori definiti artisti. Da qui l’idea di una game designer protagonista di un film nella stessa situazione di Rushdie.”
A proposito della filosofia del film, Cronenberg dice: “E’ un film ingegnoso, passionale e ossessivo. […] E’ certamente eccitante giocare, entrare nello spirito del gioco. Ma ti chiedi quale sia la realtà, se siamo noi a crearla o se siamo tutti personaggi del gioco. Ti diventa sempre più evidente che siamo noi a definire il proprio personaggio come se l’avessimo scritto. Scegli le cose che ti piacciono, decidi come ti proietti in società.”
In fin dei conti si tratta di “giocare con il proprio sistema nervoso. È un tentativo di fondersi con la fantasia rendendola reale, fisica, organica”. Parole di Cronenberg. Laddove Il Pasto Nudo era interpretabile come una allucinazione del protagonista drogato, qualcosa di distaccato dal mondo ed estraneo alla nostra ottica, alla nostra quotidianità, qualcosa che in fondo non fa paura, eXistenZ si basa sul pretesto della realtà virtuale, che è vera e ben inculcata nella nostra società, verso la quale il mondo sta andando sempre più veloce e con sempre maggiori potenzialità, intimorito dalla perdita del controllo e dall’incalzare del fondamentalismo.
Il film, premiato con l’Orso d’Argento al festival di Berlino del ’99, ha anche un pregio che forse agli altri due non era stato concesso, cioè comunque di essere più accessibile (almeno al suo livello più superficiale, ovvero già alla prima visione) per un pubblico generico o uno spettatore saltuario, grazie alla tematica e non da meno al cast di attori sulla cresta (oltretutto uscì nello stesso periodo di Matrix), all’avere in fin dei conti canoni di narrazione visiva più classici e meno indigesti rispetto a Il Pasto Nudo. Naturalmente non mancano interpretazioni banali, come per esempio definirlo “non cupo né angosciante, persino divertente qua e là” e riassumendolo subito dopo come “un videoludico resoconto su una cultura malata”[6]. Più acutamente lo si può sintetizzare come “un film del Tremila, di oscurità e malessere, dove Cronenberg continua la sua riflessione sulla realtà individualizzata, sull’uomo e la tecnologia in simbiosi”, la sua “esplorazione della realtà”[7]. Questo è: un’esplorazione della realtà, molto evidente in eXistenZ ancor più che negli altri film.
Però si può cogliere in eXistenZ già qualcosa, giusto una sfumatura, dell’aspetto psicologico che caratterizza i protagonisti (e anche lo spettatore) nel loro smarrirsi nell’incomprensione della realtà (o delle realtà). Dalle realtà virtuali (e alterate) Cronenberg passerà alle realtà di “follia ordinaria”, a scapito dell’elemento corporeo esplicito, a partire già da Spider (2002) poi soprattutto con A history of Violence (2005) e Eastern Promises (2007).



fonti:
[1] John Costello, "Tutti i film di David Cronenberg", editrice Lindau
[2] recensione di "Il Sole 24 Ore"
[3] recensione da Filmup.com
[4] recensione da Fantafilm.it
[5] Gianni Canova, "David Cronenberg", edizioni Il Castoro
[6] recensione di "Il Morandini Dizionario del Cinema"
[7] recensione di "La Stampa"

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