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RECENSIONI - Rassegna Stampa / 1

Ultimo Aggiornamento: 05/10/2011 19:37
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Sesso: Maschile
05/10/2011 19:31


Psicoanalisi per maschi Alpha
La dialettica e le lotte di potere tra Freud e Jung nel film di Cronenberg restituite in modo corretto ma freddo


Forse è il caso di chiederselo: siamo proprio sicuri che la scelta di raccontare personaggi veri, carismatici, e colti in un momento chiave della loro vita, possa dar vita a grandi film? La risposta è no. Nel senso che non ne siamo affatto sicuri, perché troppo spesso volte si rimane delusi. Pensateci. Quante volte avete (abbiamo) letto di progetti cinematografici simili? Il film sulla vita di Jimi Hendrix (ancora non fatto), o di Diego Maradona (fatto), su Hitler nel bunker (fatto, più volte), o sugli ultimi giorni di Lenin (fatto, ma da un genio visionario come Sokurov e senza il minimo rispetto della «verosimiglianza», per cui non vale)... E quante volte, visti i film, li abbiamo trovati enormemente inferiori alle loro potenzialità? A Dangerous Method (era così difficile tradurre il titolo in «Un metodo pericoloso»?) è un film molto atteso. Acciderba, il controverso rapporto tra Freud e Jung, la nascita stessa della psicoanalisi come metodo di cura e di ricerca scientifica, lo scorcio storico sempre affascinante, due attori molto bravi e molto sexy nei ruoli dei due grandi, un regista come David Cronenberg che del rapporto corpo/psiche ha fatto la propria poetica... Poi vedi il film, e sembra un Visconti minore. Che è sempre un bel vedere, ovviamente, perché Visconti non era un regista qualsiasi e anche i suoi film minori, tipo L'innocente o Gruppo di famiglia in un interno o Le notti bianche erano sempre pieni di belle immagini, di interpretazioni intense, di grande eleganza formale. Appunto: proprio questo è A Dangerous Method. Belle immagini, ottimi attori, cura formale persino esagerata e curiosamente «fredda», per uno come Cronenberg che ci ha abituati a immergere la pellicola nelle viscere e nel sangue. Mortensen e Fassbender sono molto bravi, la dialettica e le lotte di potere tra Freud e Jung sono restituite in modo corretto e didascalico. La Knightley è inguardabile, e inficia tutto il potenziale fascino del personaggio di Sabina Spielrein. Se c'è una tesi - i padri della psicoanalisi erano misogini e competitivi, due «maschi Alpha» pronti a tutto per affermarsi - emerge più dal detto che dal visto, anche se il personaggio della moglie bistrattata Emma Jung (la brava Sarah Gadon) è bello ed è il vero cuore del film.
Alberto Crespi, L'Unità



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Le nevrosi di Cronenberg

Rotta Zurigo-Vienna, primi del 900: strano triangolo quello formato dai professori Freud e Jung e dalla paziente Sabina Spielrein che poi entrerà nella società psicanalitica, non senza aver fatto prima litigare due santoni dell' inconscio, amoreggiando con Carl Gustav, marito e padre devoto quando vuole lui e reputato dal rivale sciamano brutale e bigotto. Così dopo tante citazioni freudiane di Allen e junghiane di Fellini, i responsabili vengono impietosamente analizzati da Cronenberg nel suo film meno genuflesso al suo stile ma imploso in interni dentro almeno tre nevrosi che si fanno dialogo, dubbio, intelligenza critica assai interessante partendo dal testo di Christopher Hampton, specialista in «relazioni pericolose», A Talking Cure personalmente ridotto e dal libro di John Kerr A Dangerous Method. Vengono chiamati sulla chorus line del subconscio molti fattori, il solito Edipo, il connubio Eros-Thanatos, la famiglia e i suoi orrori, e si cita Wagner, si sentono cavalcare le Walkirie, si accenna al fatto che tutti gli psicanalisti a Vienna erano ebrei nel presagio della persecuzione che verrà, mentre Hugo Bettauer ipotizzava il romanzo La città senza ebrei . Ben tornato al cinema di parola, come Carnage di Polanski, che non rinuncia ad essere un ping pong d' emozioni e di infelicità attuali ma scoperte allora: «Lo sanno che stiamo arrivando a portar loro la peste?», si chiede Freud mentre sbarca a New York. Certo la psicanalisi ha rivoltato il cinema, cui è coeva, e il film di Cronenberg ne tiene il dovuto conto, protetto da una rassicurante patina di ovvietà scientifica che acuisce lo strano ménage a tre in parte già raccontato da Faenza in Prendimi l'anima . E di sicuro senza vincitori né vinti: il dr. Freud, che somiglia a Cecov e mastica enormi sigari fallici, resta pansessuale (Viggo Mortensen crede di essere in un western, pronto alla pistola); Jung, magnifico attore Michael Fassbender, curiosa nel misticismo e Sabina, una Keira Knightley che finalmente senza pirati tra i piedi ci fa vedere come si soffre, viene uccisa in sinagoga dai nazisti dopo essersi maritata. Cronenberg - ora pronto per raccontare la seducente storia della clinica per malati di mente del dr. Blanche - non si accontenta dei fatti ma getta sulla cronaca psicanalitica il germe d' una passione vitale e misteriosa, come una nemesi storica verso chi ha creduto di aver schedato tutte le nostre patologie, mentre ne manca sempre una.
Maurizio Porro, Corriere della Sera



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Freud & Jung così finì l’amicizia tra i geni della psiche

Pur non realizzando un film all´altezza dei suoi due precedenti A History of Violence e La Promessa dell'Assassino - ambedue interpretati da Viggo Mortensen che torna anche qui - Cronenberg riesce in A Dangerous Method ad aggirare con classe quasi tutte le trappole del film biografico e in particolare sui grandi protagonisti e sui temi della psicoanalisi. Tutti spunti che, quando il cinema ne ha tratto ispirazione, hanno regolarmente provocato naufragi nel ridicolo.
Dunque con un certo sprezzo del pericolo, e sorprendendo nell´allontanarsi dal suo mondo di fantasia per scegliere invece un soggetto quasi didascalico, il regista canadese ha messo in scena il caso di Sabina Spielrein, che, da quando è stato reso celebre grazie al ritrovamento e alla pubblicazione delle sue carte, molto tempo dopo la morte avvenuta durante la seconda guerra mondiale, ha già dato materia a due film italiani (Cattiva di Lizzani e Prendimi l´anima di Faenza). E delle sue relazioni con il fondatore della teoria e della terapia psicoanalitica Sigmund Freud e con il suo allievo prediletto e poi principale antagonista Carl Gustav Jung. Nel film rispettivamente Viggo Mortensen e Michael Fassbender, mentre Sabina è Keira Knightley.
Non è la sede per misurare quanto disti la reale dimensione biografica e scientifica dall´adattamento che Cronenberg ne ha fatto alle esigenze narrative e alla propria sensibilità. Si può solo dire che la sua preferenza va a Jung. Il quale, non ancora trentenne all´inizio del racconto che prende grosso modo il decennio tra primi Novecento e vigilia della Grande Guerra, riceve nella sua clinica svizzera una giovanissima paziente, Sabina, ebrea russa di famiglia benestante. La cura alla luce della nuova terapia inventata da Freud a Vienna, portando alla superficie della consapevolezza l´intreccio, che è motivo di terribile sofferenza per la giovane, tra dolore e piacere, tra umiliazione delle punizioni ricevute da un padre violento e godimento sessuale che dalle stesse umiliazioni ella trae. Via via che la cura ottiene risultati Jung sospinge Sabina verso lo studio e la pratica psichiatrica, mentre di pari passo ne diventa l´amante, anche brutale e feroce, come la ragazza gli chiede di essere. La figura di Sabina e i comportamenti di Jung verso di lei - sofferti e contraddittori rispetto al suo comportamento pubblico improntato a morigeratezza e rigore - diventano il motivo scatenante delle divergenze e rivalità tra l´allievo e il maestro e mentore Freud. Anche passando per l´intervento di un´altra figura storica, quella di Otto Gross che - interpretato da Vincent Cassel - predica nel confronto con Jung le virtù della poligamia e l´innaturalità della monogamia o in altre parole la liberazione degli istinti contro il reprimere e reprimersi che non sono sinonimo di civiltà ma di malattia, sullo sfondo c´è il contrasto (cui non è estranea la distanza tra l´ebreo austriaco e il protestante svizzero) tra la ferma convinzione scientifica di Freud a proposito dei limiti invalicabili della terapia e della professione psicoanalitiche, e la ricerca di Jung anche oltre e al di là di quei limiti.
Soluzioni o battute da ricordare. Quando Jung e Freud intraprendono, assieme all´altro allievo del fondatore Ferenczi il loro viaggio negli Stati Uniti del 1909, Freud si chiede se al di là dell´Oceano si rendano conto che stanno portando loro il contagio della peste. E, sul finale, il sogno di Jung sul sangue versato dall´Europa che, siamo nel ‘14, prefigura la catastrofe della Prima guerra mondiale. Soluzioni, o scorciatoie, un po´ hollywoodiane. Ma servite con stile.
Paolo D’Agostini, La Repubblica



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Cronenberg fa autoanalisi con i “pericolosi” Freud e Jung

E' stato forse lo scarto fra idee e fattore umano a far scattare l'interesse di Cronenberg per il dramma The Talkative Cure di Christopher Hampton, alla base del film A Dangerous Method, inducendolo ad andare alle origini della sua poetica di cineasta vivisezionatore di anime. Quando, a cavallo del 900, si affacciarono sulla scena occidentale due rivoluzionari – l'ebreo positivista Freud e il protestante spiritualista Jung – che, svelando i misteri dell'inconscio, diedero una micidiale scossa a un apparato che pareva indistruttibile. Il film ripercorre le tappe principali dell'incontro/scontro fra i due studiosi della psiche, divisi da profonde divergenze teoriche. Il tutto in parallelo all'appassionata relazione di Jung con una ex-paziente, l'ebreo russa Sabina Spielrein, rapporto che gli rivelerà il proprio lato oscuro. Nella cornice del lago di Zurigo e della Vienna austroungarica, prima che l'Europa venga inondata del sangue della Grande Guerra, tutto appare luminoso e rasserenato, mentre il copione dello stesso Hampton mette a contrasto dialoghi di cristallina finezza, non disgiunta da ironia, con il groviglio di situazioni create dal sotterraneo caos delle emozioni. Fassbender/Jung, Coppa Volpi a Venezia per Shame, e Mortensen/Freud sono magnifici, la Knightley sembra il solo punto debole di questo notevolissimo film.
A.LK, La Stampa



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Cronenberg non trasforma la storia in poesia

Che un regista come David Cronenberg sappia realizzare un film formalmente perfetto, girato con grande stile, senza lasciarsi influenzare dalla trama o dai personaggi, è incontestabile. Basti pensare, per tacer d’altro, ai suoi due ultimi A History of Violence e La Promessa dell’Assassino, ambedue interpretati da un attore straordinario come Viggo Mortensen. Ed è proprio lui a interpretare il personaggio di Sigmund Freud in A dangerous method , che, in effetti, non può che essere giudicato formalmente perfetto e girato con grande stile. Ma purtroppo ciò non basta, perché, oltre alla forma, ciò che conta è la sostanza.
In altre parole, non è sufficiente che Cronenberg ci racconti con precisione ambientale e cronologica la storia, nei primi anni del 900, dell’incontro di Jung con Freud e la giovane isterica Sabina Spielrein, che riuscirà a guarire e a farne la sua amante. Né basta che questa storia, indubbiamente basata su fatti realmente accaduti, sia rappresentata in modo che lo spettatore possa seguirla con partecipazione. Ciò che ci vorrebbe è una visione critica della realtà, attraverso cui e i fatti e i personaggi – siano essi veri o inventati – diventano elementi fondamentali per un coinvolgimento tanto passionale quanto intellettuale.
Qui c’è la prima sequenza, quella dell’incontro di Jung con Sabina, a introdurre il dramma in maniera estremamente efficace ed attraente; e c’è l’ultima, quella della definitiva separazione fra i due, dieci anni dopo, a concludere una vicenda che avrebbe potuto essere del tutto appassionante. In mezzo, cioè nel corso dell’intero film, i fatti si susseguono seguendo una linea narrativa assolutamente tradizionale. Certamente ci possiamo interessare al rapporto tra Jung e Sabina, e più ancora a quello tra Jung e Freud, con le tutte conseguenze del caso e soprattutto con la contrapposizione umana e scientifica tra i due. Così come può essere tutt’altro che trascurabile l’analisi che si fa dell’amore sessuale e di quello sentimentale attraverso quei rapporti. Ma purtroppo ciò che manca è lo spostamento indispensabile di quei fatti dal livello puramente narrativo e spettacolare a quello che possiamo chiamare interiore ed esteticamente geniale. Come se Cronenberg avesse dovuto, non certo trascurare la storia o modificarla all’interno di un film di pura finzione, ma riuscire a renderla tale da farne il supporto di una rappresentazione che da «storica» diventasse «poetica». E ciò non è avvenuto.
Gianni Rondolino, La Stampa



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Freud e Jung, terapia di coppia
I maestri della psicoanalisi sul lettino di un Cronenberg troppo didascalico


Ci sono autori che non smettono mai di crescere. Uno di questi è David Cronenberg, il regista canadese che ha esordito sul grande schermo negli anni Settanta e Ottanta dedicandosi prevalentemente all’horror e alla tematica dell’ibridazione fra uomo e tecnologia. Negli ultimi anni Cronenberg ha compiuto una svolta di maturità che lo ha portato ad essere sempre più accessibile al grande pubblico. L’attore alter ego del regista in questa sua svolta è Viggo Mortensen, un divo sui generis poiché dietro l’apparenza atletica e belloccia (era l’Aragorn della saga de Il Signore degli Anelli) nasconde un cervello di prim’ordine (è poeta, musicista, pittore e parla correntemente sette lingue).
Mortensen è stato il protagonista di A History of Violence, il primo film del cambiamento di Cronenberg, e poi de La Promessa dell’Assassino, entrambi eccellenti esempi di una capacità di rinnovamento per rendere più comprensibili i temi di sempre: la riflessione sull’evoluzione e involuzione maschile, sulla sessualità e le sue perversioni, sulla violenza come componente imprescindibile (ma non per questo giustificabile) della natura umana.
Temi che confluiscono anche in A Dangerous Method, insolito triangolo intellettuale ed erotico fra Sigmund Freud (Mortensen, appunto), Carl Jung (interpretato dal divo del momento Michael Fassbender) e la loro paziente Sabina Spielrein (Keira Knightley).
La prima scelta che Cronenberg compie è estetica: il regista, noto per le sue scene d’azione attentamente coreografate, sceglie qui di raggelare ogni movimento in una serie di tableaux vivant incorniciati da ambientazioni di primo Novecento, periodo di furiosi fermenti intellettuali e scientifici compressi e confinati in una società rigida e poco disposta al cambiamento (un contrasto che, poco dopo le vicende narrate, sarebbe esploso nella prima guerra mondiale). All’interno di queste «quinte teatrali» che ricordano quelle ideate da Rohmer per La nobildonna e il duca, i personaggi si muovono come burattini con o senza fili, a seconda di quanto, in quel momento, prevalgano in loro l’impulso vitale o le convenzioni della società mitteleuropea di inizio Novecento.
Con grande ironia Freud e Jung rappresentano contemporaneamente il punto alto del ragionamento umano e la fallibilità della natura degli uomini, principalmente maschi. Se infatti Sabina Spielrein è aperta alla sperimentazione (anche sessuale) e alla novità fino alle estreme conseguenze (e nel suo caso furono davvero estreme: morì uccisa dai nazisti insieme alle figlie), la mente e il corpo di Jung e Freud restano parzialmente immobilizzati nelle convenzioni e convinzioni che li hanno preceduti e seguiti, e nella debolezza intrinseca della loro natura.
Se dovessimo riassumere il tema principale di A Dangerous Method, diremmo: la fragilità dell’ego maschile, illustrata con grande tenerezza e comprensione da un uomo, il regista, che ancora oggi si domanda, con grande onestà intellettuale, perché le donne (e soprattutto la loro sessualità) gli incutano così tanta paura, e perché gli uomini, così capaci di procedere come frecce acuminate verso un obiettivo, permettano che intime debolezze alterino il percorso della loro mente e del loro corpo.
Il difetto di A Dangerous Method è sicuramente l’eccessiva didascalicità: essendo indirizzato prevalentemente ad un pubblico nordamericano che probabilmente conosce poco le vicende della Vienna di inizio secolo scorso (e non ha certamente visto il film di Roberto Faenza, Prendimi l’anima, che trattava della relazione fra la Spielrein e Jung), il film si preoccupa di spiegare tutto, costringendo gli attori a occasionali monologhi da sussidiario. Ma la maestria visiva di Cronenberg nel contrastare tormenti interiori e ambienti ordinatissimi, furia sessuale e struttura familiare, ipocrisie sociali e umane verità è strabiliante, e i due attori protagonisti sono abilissimi nel mostrare le sfaccettature contraddittorie dei loro ruoli. Keira Knightley invece è fisicamente perfetta per incarnare il tipo di sensualità sofferta e spigolosa decantata da Klimt e da Schiele, non a caso contemporanei di Freud. A Dangerous Method funziona per coppie di opposti, occasionalmente spaiate dalla carta matta femminile, che sono lo specchio dei contrasti dell’epoca: poveri e ricchi, ariani ed ebrei, padri e figli. E trova un modo originale per illuminare le debolezze degli uomini ed illustrarne le conseguenze sulla Storia.
Paola Casella, europaquotidiano.it



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Psiche e corpo a nudo

Incontrare Freud, sogno di Woody Allen che va alle origini del suo cinema, yiddish e strizzacervelli, in Midnight in Paris, esilarante viaggio nell'aldilà parigino dove troverà Hemingway e Fitzgerald, Gertrude Stein e Salvador Dalì ma non l'amato Sigmund. Ci pensa Cronenberg a resuscitare il maestro dei suoi incubi, il solo che può decodificare contorsioni e metamorfosi, macchine organiche, uomini-mosca e schizofrenie edipiche, da Videodrome a La Zona Morta, da Inseparabili a Spider. Purificato dal virus dell'autocombustione psichica, il regista canadese approda allo stato zen delle immagini con A Dangerous Method (in concorso alla Mostra di Venezia), indagine sulla relazione incompiuta tra Freud e Carl Gustav Jung. Tentazioni erotiche dissipate dal «tradimento» dell'allievo, e dall'incursione sulla scena di Sabina Spielrein, rivalutata dal mondo accademico in seguito alla scoperta del suo epistolario. La psicanalista russa influenzò e deviò lo sguardo di Freud e Jung verso teorie in anticipo sulla questione del gender. Ma, semplificando la triade in Freud, Jung e Sabina, il film riduce Spielrein in un trait-d'union tra il macho Sigmund (Viggo Mortensen) con la sua «fissazione» sul sesso, esibito in forma di sigaro a lunga durata, e il «femmineo» Carl Jung (Michael Fassbender, premiato a Venezia, ma per un altro film, Shame di Steve McQueen). Cronenberg fatica a spremere umori velenosi dai i due monumenti della psicanalisi, disturbati dalla 18enne Sabina (Keira Knightley, Pirati dei Caraibi) che arriva nel 1904 alla clinica di Zurigo del 29enne Jung come una donna-lupo, isteria a mille, una furia. L'attrice deforma il suo visetto da testimonial di Coco Chanel in una maschera dell'orrore, digrignante e tremante, prima di abbandonarsi alla freudiana «terapia delle parole» applicata da Jung.
Lo stupore morale di Cronenberg a confronto con le origini della «malattia» si organizza in quadri dorati, nelle linee pittoriche di Schiele/Klimt, Vienna e la sua rivoluzione formale e mentale. La sceneggiatura di Christopher Hampton riduce però i protagonisti a qualcosa tra la telenovela e Choderlos de Laclos, che gli valse l'Oscar '89 per lo script di Relazioni Pericolose. E il regista deve spremere i suoi demoni dal testo «moderato» del drammaturgo inglese (Mary Reilly, Il console onorario, Carrington, esordio alla regia) che ha tradotto per il cinema il suo lavoro teatrale, The Talking Cure (ispirato al libro di John Kerr, A Most Dangerous Method).
Il segno di Cronenberg è più un mood sotterraneo, e il film lievita e vola via, lontano dai «caratteri» ineffabili dei protagonisti, da questa Sabina amante appiccicosa di Jung, sempre pronto a sculacciarla per darle godimenti di paterna memoria. A corrompere l'impettito studioso, sposato con una prolifica Emma (notevolissima Sarah Gadon dal viso spettrale) ci pensa un degenerato Otto Gross (Vincent Cassel), psicanalista sfrenato nel seguire la terapia del piacere, e fautore della poligamia. Insomma, Jung si abbandona a pensieri erotico-mistici, astrologia, spiritualismo... new age. Freud non lo sopporta, lo mette in guardia, ma, paradossalmente, il pansessista Jung comincia a diffidare del binomio freudiano sessualità-disordini emotivi. Mentre se ascoltasse un po' di più Spielrein, invece di sculacciarla, il dissidente approderebbe in anteprima al femminismo cyborg. Il padre della psicoanalisi in questi quadretti bignami fa invece la figura del frustrato di fronte alla frustata quando le consiglia di abbandonare il ricco borghese «esoterico» Jung, che ha deluso le speranze di esportare la psicanalisi fuori dalla comunità ebraica, vista con sospetto, e di consegnarla al mondo. «Noi ebrei dobbiamo stare insieme», le dice un Freud amareggiato. Siamo più o meno nel 1933, l'anno di Hitler. Nel 1941, Spielrein, la psicoanalista dimenticata che suggerì a Freud di considerare il sesso come una «perdita di sé», una frantumazione dell'io, in bilico sulla pulsione di morte, fu catturata e uccisa dai nazisti insieme alle sue due figlie, dopo aver fondato la scuola psicanalitica sovietica.
Mariuccia Ciotta, Il Manifesto



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For ever Jung, Cronenberg fallisce il biopic a tre voci

Cronenberg, chi l'ha visto? Il buon David tradisce proprio nel film che tutti aspettavamo con ansia, A Dangerous Method. Non è forse lui l'esploratore dell'inconscio e delle tortuose vie che psiche e psicosi prendono negli uomini? Non è lui ad averci raccontato la mente umana nei suoi aspetti più sconosciuti e bui? E, aggiungiamo, lo ha fatto con una capacità visionaria e una potenza cinematografica uniche. Ora che decide di raccontare i padri della psicologia moderna, Carl Gustav Jung e Sigmund Freud, invece, rimane imbrigliato in un brutto prodotto televisivo, a tratti imbarazzante per piattezza di fatti mostrati e dialoghi pronunciati. Con punte di umorismo involontario, nei momenti peggiori. E dire che a interpretarli ci sono Fassbender (Jung, su cui peraltro si posa la simpatia del regista) e Mortensen (Freud), che le tentano tutte per tenere in piedi il film. Il loro problema, e anche il nostro, è la presenza di Keira Knightley - nella parte della paziente, poi amante e infine collega Sabina Spielrein: si fa davvero fatica a capire il suo successo, non si ricorda una sua interpretazione in carriera sopra la sufficienza. Certo, qui, dà il peggio di sé, fin dalla scena iniziale, completamente fuori parte e inadatta alla recitazione, rende il film ancora più faticoso. Sembriamo trovare un po' di respiro quando Sarah Gadon, moglie di Jung, ci mostra il suo talento sobrio ed elegante o quando Vincent Cassell arriva, con un personaggio macchiettistico come Otto Gross, a ravvivare il film. Ma sono fuochi di paglia, accantonati in favore della patetica amicizia-rivalità dei due psicologi, dei loro oziosi e didascalici confronti. Cronenberg dà a tutto ciò lo spessore intellettuale del dibattito tra Paperone e Rockerduck, si sente nostalgia persino del non riuscito Prendimi l'anima di Roberto Faenza, che affrontava lo stesso rapporto, e ci si chiede soprattutto dov'è finito il regista di Spider. Lo troviamo nella scena d'amore della barca, nella dichiarazione di morte dell'amore Jung-Spierlein, nei tic dei protagonisti, in qualche inquadratura. Il resto è vittima di una sciatteria che non gli sospettavamo, di una superficialità che non gli perdoniamo. Ma anche un fuoriclasse come David Cronenberg può sbagliare una partita. Pardon, un film. Speriamo, piuttosto, che non sia l'inizio del declino
Boris Sollazzo, Liberazione



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Nel 1904 il giovane psicoterapeuta svizzero e cristiano protestante Jung (Michael Fassbender) prende in cura una donna russa di origine ebraica, Sabina Spielrain (Keira Knightley), affetta da gravissime patologie. Il dottore applica le teorie psicoanalitiche, allora rivoluzionarie, e chiede aiuto a Sigmund Freud (Viggo Mortensen) sottoponendogli il caso. Sabina migliora, Jung si innamora di lei, Freud viene coinvolto in una “ronde” epistolare dove in palio c’è la sua stessa figura di mentore e padre della psicoanalisi. Da una pièce teatrale di Christopher Hampton, anche sceneggiatore, il film che David Cronenberg cerca di fare da anni, una specie di redde rationem con gli uomini e la donna (la stessa Spielrain diventerà psicoterapeuta di fama prima di essere uccisa dai nazisti) i cui pensieri da sempre nutrono il suo cinema, anche solo per essere rigettati. Ma A Dangerous Method, nelle sale italiane dal 30 settembre, non ha nulla a che fare con i pensieri, le stesse teorie freudiane vengono enunciate sommariamente, come fossero un a priori necessario ma non sufficiente. È, invece, un thriller delle parole: quelle scritte e quelle parlate, i simboli vocali e grafici che veicolano la comunicazione, il tentativo stesso di codificare (attraverso libri, lettere, relazioni, conferenze, dibattiti, sedute: la prima conversazione tra Freud e Jung dura 13 ore) la temperie culturale di un’epoca in cui si cerca di razionalizzare l’irrazionale (i sogni) e si finisce inevitabilmente per soccombere alle pulsioni. Per Cronenberg è l’ennesima rivincita della carne: non nega il potere mutante della psicoanalisi, tant’è che Sabina entra in clinica con la bocca e le membra protese verso un oltre postumano, licantropesco, ma poi diventa il personaggio più equilibrato e onesto perché consapevole della propria vulnerabilità (Freud non si concede per non intaccare la propria autorità, Jung si crede Dio, lei è la M Butterfly della situazione). Tuttavia si arrende al furore dell’irrazionale, al quale le contraddizioni (memorabile il dialogo tra Sabina e Freud, dove la cultura ebraica dei tre – il terzo è Cronenberg – esce prepotente dopo essere stata fino a quel momento relativizzata) rendono gli uomini ancora più esposti. Jung cerca in buona fede di indagare il lato oscuro, Freud lo teme e lo esorcizza con la ragione, ma intanto il nazismo, evocato negli incubi, si prepara a sommergere l’Europa e i destini di tutti. Un film denso e bello, senza se e senza ma.
Mauro Gervasini, nocturno.it



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In Spider la schizofrenia di Ralph Fiennes faceva il suo ingresso in scena con l'arrivo di un treno. Quasi dieci anni dopo Keira Knightley si ritrova imprigionata all'interno di una carrozza che viaggia spedita verso l'ospedale psichiatrico di Zurigo. E' un lungo passo indietro quello di David Cronenberg che riesuma uno tra i principi cardine della sua intera filmografia: l'inconscio e la psicoanalisi. Lo fa questa volta partendo dall'origine e confrontandosi con i diretti interessati. A Dangerous Method catapulta lo spettatore tra gli scenari della Vienna mitteleuropea, dove nei primi del Novecento andava avviandosi un fiorente periodo di affascinanti scoperte in nuovi territori della sessualità e della psiche. L’attenzione è puntata sulla controversa relazione fra il giovane psichiatra Carl Gustav Jung, il suo mentore Sigmund Freud e la bellissima paziente Sabina Spielrein che irromperà prepotentemente nelle vite di entrambi (proprio come Claire Niveau che in Inseparabili irrompe nella vita dei gemelli Mantle destabilizzando le loro esistenze).
Cronenberg ritorna sul grande schermo con una pellicola “difficile” e indispensabile. Difficile perché è compito quanto mai complesso quello di scavare sino alle radici di una teoria che ha tra i suoi obiettivi lo studio dell’inconscio umano. Indispensabile perché per il maestro del body horror, che in quarant’anni di carriera ha sempre cercato il connubio perfetto tra la carne, il corpo, il sesso e la morte attraverso le mutazioni fisiche, è giunto il momento di approdare a una mutazione “mentale” figlia del nostro animo umano. Percorso che Cronenberg aveva già cominciato a intraprendere sin dai suoi ultimi tre film, privati da contesti prettamente orrorifici e mostruosi ma abili nel rappresentare il tessuto sociale attuale (pazzia, violenza, criminalità). Quel che ne esce è un raffinato ed elegante film di costume (sontuosa la fotografia) e al tempo stesso un'indagine mai doma sulle menti dei protagonisti, evidenziata dal continuo rimando epistolare tra Freud e Jung. Anche lo spettatore, al pari di Sabina, subisce in qualche modo il transfert che deriva dal cinema di Cronenberg. Tutti gli elementi elevati all'ennesima potenza dal regista canadese nel corso degli anni sembrano apparentemente annullarsi in questa pellicola, per poi riemergere invece nel profondo della psiche e con maggior spasmo (gli atti sessuali di stampo masochistico, la macchina da presa che sembra non staccare mai sulla coperta sporca di sangue, il bellissimo finale). E che la "trasformazione" del regista sia in continua evoluzione, lo dimostra il fatto che A Dangerous Method si pone essenzialmente come un mèlo a tutti gli effetti, una tormentata storia d'amore tra una donna e un uomo che non può ricambiare il nobile sentimento (creando così in qualche modo una situazione inversamente proporzionale a quanto visto in "M. Butterfly").
Il melodramma cronenberghiano in modo pressoché impercettibile avvia la sua mutazione, ma questa volta non a livello fisico (La Mosca) quanto a un livello mentale, interiore. Lo spettatore col trascorrere del tempo viene avviluppato in un vortice di riflessioni anguste e pensieri immorali. Cronenberg lo denuda di fronte allo specchio (lo stesso in cui Sabina ha bisogno di vedersi mentre viene punita), lo interroga sulla nostra effettiva natura sessuale, sui nostri impulsi più profondi che trascendono ogni tipo di inibizione e culminano nella parafilia, sui nostri desideri che degenerano in depravazioni desadiane inconfessabili. Il messaggio trasmesso da Cronenberg è racchiuso in una semplice domanda che Jung (un composto Michael Fassbender) pone a sé medesimo e al collega Freud: “Perché tanti affannosi sforzi per soffocare i nostri più elementari istinti naturali?” Interrogativo banale e spiazzante che il regista contribuisce ad alimentare con l’entrata in scena di Otto Gross (Vincent Cassel), paziente perverso e dissoluto, determinato a varcare i confini della morale comune (“Mai reprimere nulla”). In questa esplorazione della sensualità e della sessualità, Cronenberg affronta l’argomento proprio attraverso gli occhi di coloro che direttamente porranno le basi per gli studi futuri sulla psicoanalisi e che cambieranno per sempre il corso del pensiero moderno.
La densa e corposa sceneggiatura è di Christopher Hampton che ha tradotto per il grande schermo un suo precedente lavoro teatrale, a sua volta basato sul libro di John Kerr Un metodo molto pericoloso (1993). Hampton è bravissimo a destreggiarsi tra le “tonnellate di lettere spedite tra Jung e Freud” (come ha dichiarato lo stesso regista in conferenza stampa) e conferma l’ottimo lavoro ottenuto con il capolavoro di Stephen Frears Dangerous Liaisons, pellicola che ha molti punti in comune con questa, a cominciare dalla “pericolosità” del titolo sino al tema sessuale e libertino, passando per l’uso predominante del carattere epistolare. Tra il cast, sicuramente da rivedere la pazzia ostentata dalla Knightley che sembra far del tutto per enfatizzare la parte, tra smorfie palesemente forzate e tic continui. Co-prodotto in tre paesi diversi e presentato alla 68° Mostra di Venezia, il film ha ricevuto un discreto successo sebbene la maggior parte della critica non abbia riconosciuto nel film le tipiche atmosfere del regista di Toronto. Ma come abbiamo visto Cronenberg c’è, e così come Jung, lavora sull'archetipo e sull'inconscio collettivo dello spettatore, realizzando un film asciutto e quanto mai crudo, come solo lui è in grado di realizzare.
Matteo De Simei, ondacinema.it
[Modificato da |Painter| 05/10/2011 19:37]
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