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Recensioni da Venezia - pt.1

Ultimo Aggiornamento: 14/09/2011 13:40
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Post: 529
Sesso: Maschile
14/09/2011 13:38


Rassegna Stampa
PRO & CONTRO da Venezia 2011

parte 1



Quel «Metodo» Funziona Bene
Qualcuno ha storto il naso di fronte al nuovo film di Cronenberg, A Dangerous Method, presentato ieri alla Mostra, perché non riusciva a ritrovare le «follie» e gli «estremismi» che avevano reso celebre il regista canadese. Ma parafrasando una frase di Serge Daney, il vero autore non è colui che fa quello che vuole ma quello che può. E oggi il cinema non è più disposto a concedere le libertà del passato. Ci vogliono storie accattivanti (qui il legame tra Jung, Freud e la loro paziente Sabina Spielrein), sceneggiature di «ferro» (Christopher Hampton da una sua pièce), attori di richiamo (Fassbender, Mortensen e Keira Knightley). L'importante è come si usano questi elementi. E Cronenberg li utilizza al meglio, «raffreddando» la messa in scena e i dialoghi per «incendiare» le tensioni che si agitano in profondità: macchina da presa quasi sempre fissa, inquadrature classicamente composte, recitazione controllatissima nei due psicoanalisti e più tormentata nella donna (che passa dalle isterie iniziali alle represse malinconie finali) per offrire allo spettatore il quadro di un mondo che vorrebbe controllare ogni cosa e naturalmente non riesce a farlo. «Rubando» il mestiere ai due pionieri della psicoanalisi, Cronenberg usa il cinema come strumento analitico, per far emergere quello che si vorrebbe nascondere o dimenticare: ce lo mostra negli scarti che esistono tra le parole e le espressioni, nel contrasto tra l'eleganza degli ambienti e l'agitarsi delle passioni, nel conflitto tra l'educazione delle forme e la rabbia che nascondono. E alla fine il messaggio («Talvolta bisogna compiere qualche cosa di imperdonabile per continuare a vivere» dice Jung) arriva forte e chiaro.
Paolo Mereghetti, Corriere della Sera



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La terapia del piacere
Il cineasta di «Crash» mette a nudo psiche e corpo umani nel pericoloso triangolo affettivo e intellettuale fra la «paziente» Sabina Spielrein, Jung e Freud

Una pièce tira l'altra, e dopo Polanski, Cronenberg con il suo A Dangerous Method (concorso), spericolata indagine sulla triade d'oro della psicoanalisi, Sigmund Freud, Carl Gustav Jung e Sabina Spielrein, new entry nel mondo degli strizzacervelli in seguito alla scoperta del suo epistolario. Succede però che il «ritrovamento» di grandi protagoniste della storia non superi le ragioni della loro cancellazione. Scomode presenze negli indici accademici. Così il film presenta: Freud, Jung e Sabina. Lei, donna-schermo, trait-d'union di una relazione impossibile, personale e teorica tra il macho Sigmund (Viggo Mortensen) con la sua «fissazione» sul sesso, esibito in forma di sigaro a lunga durata, e il femmineo Carl Jung (Michael Fassbender, Hunger di Steve McQueen), l'allievo prediletto, futuro erede dell'autore dell'Interpretazione dei sogni. In mezzo, lei, la 18enne russa Sabina (Keira Knightley, Pirati dei Caraibi) che arriva alla clinica di Zurigo del 29enne Jung come una donna-lupo, isteria a mille, una furia. L'attrice deforma il suo visetto da testimonial di Coco Chanel in una maschera dell'orrore, digrignante e tremante, prima di abbandonarsi alla freudiana «terapia delle parole» applicata da Jung.
Lo stupore morale di Cronenberg, canadese di rigore calvinista, ci ha regalato i migliori incubi con Videodrome, La Mosca, Crash, Spider fino al delirio purissimo di eXistenZ ed è qui a confronto con le origini della «malattia». Raccontami la tua infanzia... Ma come è successo a Polanski, anche Cronenberg deve spremere i suoi demoni da un testo «moderato», la sceneggiatura di Christopher Hampton, pluripremiato drammaturgo inglese, autore di script di successo (Mary Reilly, Il console onorario e Carrington, esordio alla regia) che ha tradotto per il cinema il suo lavoro teatrale, The Talking Cure (ispirato al libro di John Kerr, A Most Dangerous Method). In campo c'è il produttore Jeremy Thomas, già in tandem con Cronenberg in Crash e in Il Pasto Nudo.
Il segno del regista è più un mood sotterraneo e (come per Polanski e Garrel) un modo di fare cinema per cui il film lievita e vola via, lontano dai «caratteri», da questa Sabina amante appiccicosa di Jung, sempre pronto a sculacciarla per darle godimenti di paterna memoria. A corrompere l'impettito studioso, sposato con una prolifica Emma (notevolissima Sarah Gadon dal viso spettrale) ci pensa un degenerato Otto Gross (Vincent Cassel), psicanalista sfrenato nel seguire la terapia del piacere, e fautore della poligamia. Insomma, Jung si abbandona a pensieri erotico-mistici, astrologia, spiritualismo... new age. Freud non lo sopporta, lo mette in guardia, ma, paradossalmente, il pansessista Jung comincia a diffidare del binomio freudiano sessualità-disordini emotivi. Mentre se ascoltasse un po' di più Spielrein, invece di frustrarla, il dissidente approderebbe in anticipo al femminismo cyborg di Judith Butler e Donna Haraway passando per Simone De Beauvoir. Teorie sul (trans) gender che Freud ha ben illuminato. Il padre della psicoanalisi in questi quadretti bignami fa invece una figuraccia, un po' trombone e, a sorpresa, sionista. Sarà vero che per conquistare alla sua causa Sabina Spielrein e allontanarla dal ricco borghese «esoterico» Jung le ricordi «che noi ebrei dobbiamo stare insieme»? Siamo più o meno nel 1933, l'anno di Hitler. Nel 1941 la psicoanalista dimenticata che ha suggerito a Freud di considerare il sesso come una «perdita di sé», una frantumazione dell'io, in bilico sulla pulsione di morte, fu catturata e uccisa dai nazisti insieme alle sue due figlie. A lei, Roberto Faenza ha dedicato nel 2003 Prendimi l'anima, concentrato sul carteggio epistolare con Jung. Speriamo in un sequel. [...]
Mariuccia Ciotta, Il Manifesto



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QUEI METODI PERICOLOSI DI FREUD E JUNG - Cronenberg si ispira al triangolo inquieto tra il padre della psicoanalisi, il suo discepolo prediletto e un’allieva-paziente per tracciare un ritratto delle lotte di potere che nascono tra personalità forti e creative.
Un giornalista chiede a Viggo Mortensen cos’è il pupazzetto che tiene accanto a sé, sul tavolo delle conferenze stampa. «È la mascotte del San Lorenzo deAlmagro, la squadra di calcio di Buenos Aires per la quale faccio il tifo. Se volete potete rivolgere le domande a lei». David Cronenberg osserva sornione il proprio attore, poi dice: «Avete capito con chi avevo a che fare, sul set?». E' molto lieve e simpatica, l’atmosfera fra regista e attori di A Dangerous Method, il film di Cronenberg passato ieri in concorso. E pensare che il tema del film, invece, è tutt’altro: Mortensen interpreta Freud, il tedesco Michael Fassbender è Jung (anche se nel film, per motivi di coproduzione internazionale, è costretto a recitare in inglese) e l’inglese Kiera Knightley è Sabina Spielrein, prima paziente di Jung poi forse sua amante, una delle primedonne ad esercitare la professione di psicoanalista. Tanto per completare il quadro da film-Onu, Cronenberg è canadese e Mortensen, di padre danese e madre americana, è vissuto per anni da ragazzo in Argentina: il suo tifo per un oscuro club di Buenos Aires non è un segno di follia anche se Cronenberg, sempre scherzando, aggiunge: «Scegliere gli attori per questo film è stato un modo di introdurli gentilmente all’idea che avevano bisogno di aiuto. Infatti, li vedete: ora sono personcine per bene, prima erano dei pazzi nevrotici!» (ovviamente Viggo, Michael e Kiera sghignazzano alla battuta). In realtà, vedendo A Dangerous Method ci è venuto il forte sospetto che non si tratti, sotto sotto, di un film sulla psicoanalisi, bensì di un ritratto delle lotte di potere che possono nascere all’interno di un mondo accademico, o di qualsiasi ambiente dove le questioni di ego si confrontino da un lato con una tormentata creatività, dall’altro con la gestione di enormi somme di denaro. E se questa vi sembra una plausibile descrizione del mondo del cinema, forse non avete torto. La verità è che, all’inizio del Novecento, Freud era una star e Jung ambiva a diventarlo. Quando prende in cura la Spielrein, Jung – almeno nel film – intuisce subito il suo enorme potenziale, sia come paziente sia come futura studiosa. La sceneggiatura di Christopher Hampton suggerisce che la giovane diventi in qualche modo il «terreno di scontro» tra il padre della psicoanalisi e il suo giovane rivale: una lettura, nemmeno tanto sotterranea, del film è il modo disinvolto con il quale Freud e Jung interagiscono con l’universo femminile, cornificando abbondantemente le proprie donne e spesso sfruttandone le intuizioni. Non a caso il personaggio di gran lunga più bello ed emozionante è quello della moglie di Jung, Emma, interpretata dalla splendida attrice canadese Sarah Gadon, che finora ha fatto quasi esclusivamente televisione. Emma resta sullo sfondo, ma Hampton e Cronenberg lasciano intuire che ella tutto sappia e tutto capisca, fin dal primo incontro fra Jung e la Spielrein, e abbia dell’animo umano un’istintiva comprensione assai più profonda di quella del marito. Lettura intrigante, lo ammetterete: Freud e Jung come maschi immaturi e competitivi, geniali ma pronti a rubarsi le idee (e le ricche sovvenzioni) giocando sulla pelle di amici, colleghi, pazienti. Anche se Cronenberg non sminuisce certo la portata epocale delle loro scoperte: «La psicoanalisi nasce in un momento, e in un contesto storico – quello dell’Europa colta e civilizzata del primo Novecento –, in cui l’uomo europeo si crede avviato a un avvenire radioso. Freud mette invece l’Europa di fronte a ciò che davvero è, intuendo una violenza inconscia che ben presto esploderà nelle carneficine della prima guerra mondiale e dell’Olocausto. Io sono convinto che oggi siamo molto diversi dai pazienti di Freud e Jung, perché la presenza della tecnologia ha sensibilmente modificato il funzionamento del nostro cervello, sia a livello conscio che a livello non conscio». Questo è il retro-pensiero del regista, leggibile nel film solo in parte. Forse a causa del copione di Hampton, bravo volgarizzatore più che grande scrittore, A Dangerous Method rimane abbastanza in superficie, e lo stile di solito insinuante di Cronenberg si perde in una ricostruzione d’epoca elegante ma poco emozionante. Fassbender e Mortensen sono corretti, la Knightley è insopportabile: tra i tanti modi di interpretare una pazza sceglie il peggiore, quello tutto smorfie e gesti esteriori.
Alberto Crespi, L'Unità



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Una relazione bollente raccontata in modo gelido
Un film gelido e molto controllato su una delle relazioni più bollenti del ’900. Uno dei registi più visionari di oggi alle prese con una materia così incandescente (e con personaggi talmente imponenti) che finisce per raffreddare e razionalizzare tutto. La vera storia dello strano triangolo che unì Jung, Freud e Sabina Spielrein, trasformata in cinema sulla base della commedia di Christopher Hampton The Talking Cure, a sua volta ispirata al libro di John Kerr A Most Dangerous Method. Dunque piena di dialoghi, di sedute analitiche, di scambi teorici fra Freud e il suo più illustre allievo. Cui fa da controcanto la relazione proibitissima tra Jung e la sua paziente Spielrein, isterica, masochista, autodistruttiva, ma anche colta, poliglotta, dotata di un'intelligenza e un talento che sedurranno lo stesso Freud. Sia pure, almeno nel suo caso, solo sul piano scientifico.
Chi si aspettava che Cronenberg avrebbe fatto Cronenberg si disilluda. L'autore di film perturbanti e unici come Crash, eXistenz, Inseparabili, Il Pasto Nudo, stavolta fa il bravo ragazzo. Le sculacciate inflitte all'entusiasta Sabina Spielrein (Keira Knightley) sono riprese con freddezza chirurgica. Il gioco straziante di attrazione e terrore che avvicina e allontana più volte negli anni medico e paziente, non genera scene visionarie ma resta nei confini di una violenza tutta interiore, più enigmatica che inquietante. Così la scena più “hard” di A Dangerous Method è quella in cui Jung mette alla prova la giovane paziente coinvolgendola nella seduta di analisi della moglie (incinta per giunta). Che si sottopone alla terapia delle libere associazioni mentre Jung cronometra con puntualità davvero svizzera (e quasi comica) i suoni tempi di reazione.
In tanta compostezza (ne fa le spese soprattutto l'imbambolato Freud di Viggo Mortensen), il cardine segreto del film finisce per essere lo psicanalista selvaggio Otto Gross (Vincent Cassel), eretico e outcast che predica e pratica la liberazione di ogni pulsione, incoraggiando di fatto il titubante Jung a portarsi a letto la sua paziente. Poche scene ma decisive, considerando anche la biografia di questo reietto tossicomane e forse psicotico ma a suo modo geniale, destinato a morire di stenti e rimosso per decenni dalla psicoanalisi ufficiale, ma amico di Kafka e intellettuale influente. Chissà, magari senza un copione così strutturato, Cronenberg gli avrebbe dato ben altro peso. Vedrete che prima o poi qualcuno lo farà.
Fabrizio Ferzetti, Il Messaggero



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I rivoluzionari dell'inconscio vivisezionati
Nel reparto psicologia di molte librerie, all'opera omnia dell'austriaco dottor Freud e dello svizzero dottor Jung è giustamente riservato uno scaffale a parte, speciale. E chissà che direbbero i due padri fondatori della psicoanalisi nel vedersi così emblematicamente riuniti, considerato che per profonde divergenze teoriche spezzarono nel giro di pochi anni un rapporto maestro (Freud)- allievo (Jung), avviato in maniera promettente. A Dangerous Method di David Cronenberg ripercorre fra il 1904 e il 1913 le tappe principali di quell'incontro/scontro, nel quale giocò importanza fondamentale la presenza di un terzo personaggio (anch'esso reale): Sabina Spielrein, fanciulla ebreo-russa malata di isteria su cui per prima Jung sperimentò la «talkative cure» inventata da Freud.
Nel 1906 Sabina è guarita e perdutamente innamorata del suo mentore. Lui cede alla passione (proibita, in quanto medico e uomo sposato), scoprendo di sé un io segreto, fino a quel momento represso; poi rompe il legame perché troppo «codardo filisteo borghese» per lasciare la moglie ricca e comprensiva. Intelligente e dotata, Sabina passa allora a studiare con Freud, maturando personali intuizioni sul rapporto intrinseco sesso/ morte: mentre il mistico, sciamanico Jung si fa sempre più sicuro che l'idea freudiana di mettere la libido alla base di tutto sia riduttiva.
Il film incornicia l'intrigante triangolo nel paesaggio rasserenato, tranquillo dei laghi svizzeri e della Vienna austro-ungarica, prima che l'Europa venga inondata del sangue della Grande Guerra. Interni agiati e confortevoli, belle ville, un avanguardistico ospedale psichiatrico: nella fotografia di Peter Suschitzky tutto appare luminoso, mentre il copione di Christopher Hampton, autore del dramma ispiratore della pellicola, mette a contrasto dialoghi di cristallina finezza non disgiunta da ironia con aggrovigliate situazioni provocate dal sotterraneo caos delle emozioni. E' probabilmente lo scarto fra le idee e il fattore umano che ha fatto scattare l'interesse di Cronenberg, autore postmoderno nella sua vocazione a sviscerare l'animo dei personaggi con la freddezza del vivisezionatore. Qui si direbbe che il regista canadese abbia deciso di ripartire da zero. O meglio dall'inizio, quando in un mondo ancora formale, illuso di un'idea continua di progresso, si affacciarono due rivoluzionari l'ebreo e il protestante, il razionale e lo spiritualista - che, svelando le dinamiche misteriose dell'inconscio, diedero una micidiale scossa a un apparato sociale che pareva indistruttibile: «Lo sanno che gli stiamo portando la peste?» dice Freud sbarcando in America. Michael Fassbender (Jung) e Viggo Mortensen (Freud) sono perfetti, buona la partecipazione di Vincent Cassel, Keira Knightley è attrice che non riesce a convincerci.
Alessandra Levantesi, La Stampa



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I due geni e la paziente Sabina: stavolta Cronenberg divide i fan
Sarà perché A Dangerous Method è tratto dall'opera teatrale The Talking Cure, sarà perché appunto la cura psicanalitica si basa soprattutto sulla parola, non si era mai visto un film in cui si chiacchiera così ininterrottamente. Tranne quando il medico psicanalista protestante svizzero Carl Gustav Jung frusta sul sedere coperto da gonnelloni inizio '900 la contentissima ebrea russa Sabina Spielrein, paziente amante, futura psicanalista. Ma parlare evidentemente spossa (al primo incontro, Sigmund Freud e Jung parlano per 13 ore e neppure se ne accorgono!) perché quasi sempre le più profonde discussioni sulla libido, l'inconscio, la pulsione di morte, il transfert e controtransfert, avvengono a tavola: vuoi servendosi di arrosto con cavoli nella modesta casa viennese dell'ebreo austriaco Freud davanti ai suoi sei figli, vuoi in una pasticceria, pregustando una torta Sacher con panna, vuoi nella lussuosa casa zurighese di Jung, alla ricca prima colazione e al ricchissimo tè pomeridiano. I tanti fan di David Cronenberg per questo "Metodo pericoloso" si sono divisi: c'è chi l'ha adorato per la massima perfezione formale e la capacità con cui questo regista della crudeltà riesce a non rendere ridicoli i dibattiti scientifici e peggio ancora psicanalitici, tra uomini boriosi in marsina, orologio nel taschino e grosso sigaro in bocca; c'è chi o sapendo troppo di Freud e Jung e Spielrein, o non sapendone niente, si è sentito spaesato se non raggelato, come le pazienti del film, soprattutto se supposte ninfomani, che nel famoso ospedale Burgohzli di Zurigo vengono immerse nell'acqua gelata per appunto raffreddarle in tutti i sensi. Sabina diciannovenne viene trascinata urlante e sfrenata nell'ospedale stesso, dove essendo la magrissima Keira Knightley, digrigna i denti e artiglia le dita come un aspirante vampiro. La prende in cura il non ancora trentenne Jung con la famosa novità della "talking cure": e mal gliene incoglie, perché mentre gli racconta che quando il babbo la picchiava lei, orrore, si bagnava, lui, che pure ha l'aplomb di Michael Fassbender, comincia ad avere cattivi pensieri. Lei signorina si masturba tuttora? Orrore, le basta la vista di un bastone che si deve chiudere in camera, povera isterica, e si sa benissimo cosa ne pensa il maestro Freud, da piccina va bene, ma da adulta è una vera devianza. Comunque Jung, che ha una moglie ricchissima e di perlacea bellezza molto malinconica in quanto sempre incinta (Sarah Gadon), dà ascolto a Vincent Cassel, il medico Otto Gross, figlio di un noto criminologo, che ingravida le signore a tre per volta e incita il probo Jung a lasciar perdere il civile controllo degli istinti e l'obbligatoria monogamia: viene subito ubbidito e finalmente può lasciarsi andare alla sua passione, legare al letto Sabina e frustarla con reciproca soddisfazione. E cosa ne pensa del delitto di portarsi a letto una paziente, il padre della psicanalisi Freud? Intanto bisogna avvertire che quando i due scienziati si incontrano a Vienna nel 1907, Freud ha 51 anni e il fascino insostenibile di Viggo Mortensen, che con quegli occhi ironici, quella voce suadente, quella elegante superbia, ci rende subito tutti accaniti freudiani qualsiasi cosa, sempre maschilista, dica. Sabina studia medicina e vuole diventare psicanalista, ha intuizioni scientifiche che subito i maschi le sottraggono, anche Freud! La dolce moglie di Jung, al quarto o quinto figlio, si scoccia delle corna e manda in giro lettere anonime: Jung si spaventa e tronca con lei ormai guarita ma sempre in grado di dargli una coltellata. Sabina scrive a Freud, Jung nega, Freud sgrida Sabrina, Sabrina obbliga Jung a dire la verità, Freud si mette dalla parte di Sabina, le sottrae qualche pensiero sulla pulsione di morte e in cambio le passa un paio di pazienti. Tra il padre della psicanalisi e quello che avrebbe dovuto essere il suo erede, la rottura scientifica ma anche umana avviene nel 1914: schiaffo massimo per Jung che Sabina si senta ormai freudiana. Preveggente, Freud le dice, "noi ebrei non dobbiamo mai fidarci di un ariano". Dopo la prima guerra mondiale Sabina prende il tè con la signora Jung, tutte e due con l'ennesimo etereo abito di leggera batista bianca con cui hanno attraversato tutto il film: Sabina deve essere passata finalmente alla fase vaginale perché è incinta del marito medico. Jung imbambolato e depresso l'ha sostituita con una nuova amante, pure lei sua paziente Antonia Wolff, non si sa di quali giochi erotici appassionata. Nel suo film del 2002, Prendimi l'Anima, basato sullo stesso triangolo, rivelato per la prima volta da Aldo Carotenuto, Roberto Faenza accompagna la vita di Sabina oltre gli anni di Jung e Freud: e ne racconta la tragica fine in Unione Sovietica, fucilata con le due figlie dai nazisti invasori nella sinagoga di Rostov, nel novembre del 1941. Cronenberg invece tronca la storia sul volto bagnato di lacrime di Sabina che si allontana da Zurigo, ancora bella, e con tutta la vita davanti.
Natalia Aspesi, La Repubblica



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Apparentemente A Dangerous Method può sembrare un film più convenzionale delle precedenti opere di David Cronenberg: un elegante dramma in costume ambientato tra Zurigo e Vienna alla vigilia della prima guerra mondiale. Ma basta raschiare un po’ la superficie per rendersi conto che il regista canadese si è cimentato con temi a lui familiari: l’isteria, il disgusto e la gelosia sessuale e professionale. Al di là della moderazione formale, il film si rivela sovversivo e inquietante come la maggior parte delle pellicole di Cronenberg. Inoltre può contare sulle solide performance di Viggo Mortensen e di Michael Fassbender, e nella coraggiosa, anche se discontinua, interpretazione di Keira Knightley in quello che finora, probabilmente, è stato il suo ruolo più difficile. Il film potrebbe sembrare un po’ troppo parlato. Ma quando i dialoghi sono affilati e taglienti questo non è affatto un problema.
Geoffrey Macnab, 
The Independent (da L'Internazionale)



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Zurigo 1904. Carl Gustav Jung ha ventinove anni, è sposato, in attesa di una figlia e affascinato dalle teorie di Sigmund Freud. Nell'ospedale Burgholzli in cui esercita la professione di psichiatra viene portata una giovane paziente, Sabina Spielrein. Jung decide di applicare le teorie freudiane sul caso di questa diciottenne che si scoprirà aver vissuto un'infanzia in cui le violenze subite dal padre hanno condizionato la visione della sessualità. Nel frattempo Freud, che vede in Jung il suo potenziale successore, gli manda come paziente lo psichiatra Otto Gross, tossicodipendente e dichiaratamente amorale. Saranno i suoi provocatori argomenti contro la monogamia a far cadere le ultime barriere e a convincere Jung ad iniziare una relazione intima con Sabina.
Non è difficile capire quanto questa sceneggiatura (che risale alla metà degli anni Novanta) e soprattutto questa storia con protagonisti che hanno rivoluzionato le scienze umane abbiano suscitato l'interesse di David Croneberg attento, come sempre, a vicende in cui siano centrali la complessità dell'essere umano e il coacervo di sentimenti e pulsioni che ne promuovono l'agire. Non c'è carne esposta o martoriata in questo film e neppure la violenza che esplodeva improvvisa nelle sue due ultime opere. C'è semmai un ritorno all'indagine della psiche già affrontato in Spider sotto l'egida di un romanzo di McGrath.
Sul rapporto tra Sabina Spielrein e Jung si era già puntata la macchina da presa di Roberto Faenza quando girò Prendimi l'anima. Cronenberg assume la stessa prospettiva mostrandoci l'evolvere della relazione Jung/Spielerein ma entrando in profondità anche nel rapporto maestro/discepolo che si va costruendo tra Freud e Jung. Una giovane donna urlante riempie lo schermo e una carrozza nelle prime inquadrature del film. Quel grido progressivamente si placherà ma resterà sempre sottotraccia, pronto a riemergere. Perché a Cronenberg interessa analizzare ancora una volta la fragilità dell'agire anche quando, a livelli culturali elevati, si tenta di lavorare sullo smascheramento delle cause del disagio finendo poi con il precipitarvi. C'è un'inquadratura di Carl Gustav e Sabine sdraiati vicini sul fondo di un'imbarcazione. Sembrano prigionieri di una bara in cui cercano di allentare una passione che contrasta con il lavoro che compiono sui pazienti e con la stessa deontologia professionale. In questo film poi i segni dell'elaborazione delle pulsioni cercano di trovare un incanalamento nella parola. Non solo in quella detta in sede di analisi ma anche in quella, scritta, del carteggio intercorso tra i tre protagonisti. Se Freud ammise il contributo dato dalla Spielrein alla psicoanalisi, Jung non lo fece, ma anche nel suo caso l'apporto è innegabile. Gli splendidi titoli di testa e di coda ci ricordano come i segni dell'inchiostro, su una carta che assume la porosità della pelle, abbiano inciso profondamente sulla storia del Novecento passando attraverso le illuminazioni e le contraddizioni di tre personalità in costante ricerca.
Giancarlo Zappoli, mymovies.it



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Pericolose intuizioni… La vita di chiunque si potrebbe circoscrivere, lapidariamente, a un rapporto psichiatrico d’anatemi che l’ammorbidiscano entro un “labile” labirinto d’intrichi che la sua storia tessè, un cammino di spensierata “vaghezza” che s’inerpicò per ostacoli a bloccarne il respiro, a ottunderne la mente e obnubilarla dentro il suo perimetro “freddo” o sanguinante pulsioni represse, che chissà per quanto giaceranno in un Limbo solo a sfiorarsi e mai ad affiorare.
Un virgulto tripudio d’emozioni, accudite e mai accaldate, raggelate in una misura che si frena, palpita ma non schiocca, intinta in cristallini torpori che son moribonde “tombe” dell’anima, a mordicchiarsi e premersi nelle vene, smorendole nell’apatia o in impeti che s’“euforizzeranno” troppo da gracchiar e poi diromper in urla di vaneggiamenti che furon trappole dei sospiri.
La vita di chiunque è un “quantunque”, immolato ai vissuti che si spalmarono, incendiati in lascivi crepuscoli o in un sorseggio timido alla Luna, quando l’adocchi silenzioso nel mormorio di romanticismi come vampiri cheti che si slabbrano nelle loro ferite, squarci melodici di virtù coccolate nel grembo, assopite per poi destarsi nella Notte, in un atmosferico boato che viaggerà ermetico dentro un’anima scolpita nel suo odore, nel suo dorarla o indolenzirla per “armeggiar” di candida morbidezza, o anche concupirsi nell’amore e nei suoi indistricabili profumi impalpabili, cangianti. Nel fremito roboante che si crogiola nel vago vento d’infinite corse nell’etereità o in slanci che lancian sfide a un Mondo, ossidato in mortifere baldorie a festeggiar solo mendaci chiacchiere per (non) saziarsi.
A volte, quando la svagatezza s’amareggia o il canto della malinconia si fa insopprimibile, mescolo purpurea levità alla retorica, in proclami che mi liberino da prigioni in cui mi castigai, o solo per librarmi, in fiamme di rabbia che scalcia, o perpetue afflizioni che sudan, membriche, leccando il bianco che si coagula ai dolori, patiti o inflitti nel “crocefiggersi” a una vita che, con perentoria costanza, ammanetta l’ardore & la carne, ne sevizia, di “stolto” masochismo, l’urlo che si mescerebbe all’intrepida nudità e nitidezza di te stesso se solo tu non fossi trepidante, ma una Bellissima “serata ubriaca”, il lindore dei liquorici “miei essere”, o non esserci pur vivendo d’essenza.
C’è sempre un’ombra di giaculatori ricatti che persevererà ad “affilarti” con le sue lame, un mostro a compatirti e a “porgerti” gentili omaggi per “perdonar” la tua troppa clemenza verso il Mondo, con un pianto ch’è solo ipocrisia che lagrima per la tua anima “diversa”. Che s’inietta il tuo struggerti per distruggerne incaptabili, enormemente gioiose, vivacità. Che si baciano, aggrappate, forse, solo ad altre illusioni, o a lustrar gli occhi, ormonalmente vittoriosi, per una minigonna in bicicletta, muliebre amplesso che forse neppur vivrò, ma scattò incendiario in una repentina fantasia di mia pelle che in Lei vorrebbe, disinibita, fondersi, macular in scremate tinte dalle foschie ora “garbate”, ora civettuole nel nostro immergerci l’un nell’altra, ammal(i)ati.
E’ solo vita che s’”addenta”, che, di cicatrici condivise, addolcendosi anche in virulente passioni, godendosi naviga. Ci perderemo nel nostro essercene incantati, dunque non c’incateneranno.
Intavolerai altre conversazioni ieratiche con tuo padre, “regredendo” a una “lentezza” saggia o esperendone gusti di vissuti che lui visse, immaginadolo giovane, o forse come sempre (non) è stato, come s’arrestò, “interruzione” fatale, e di come si ridestò, spattabilissimo signor che talvolta, innervosito, d’irascibili sue irrefrenabili “follie”, ammorba d’improperi, forse solo se stesso, è la blasfemia che tremava nel mostrarsi, che svergognata s’enuncia e annuncia che lui (lo) è.
Tutto procede per intuizioni, parsimoniose o ingannevoli a lacerarci, e non c’è filo conduttore nella fimografia di Cronenberg, se non condursi ove lo “incanala” la sua corrente, mente magmatica che affonda le sue radici, sconfinate, nel delirio, lo costeggia e se n’abbevera, imprimendosene per catturar il suo istinto, la Luce che lo “coglie” nel sonno o in visioni cabalistiche, tra realtà e plasmarla come vite che si domandano a “quanto ammontano”, ma poi montan, sempre leggiadramente imbizzarite o nella loro variegata bizzarria, anzi, si smontano per rimontarsi.
Una Donna “pazza” al centro nevralgico di qualcosa ch’è più d’una nevralgia, traumi inferti alla coscienza da curare, dal libro “The Talking Cure” di Christopher Hampton, da lui stesso adattato.
Inizia così, urlante e urlandoci, quindi, già quei mugolii strazianti d’un viso angelico che si “strappa”, si contorce e si sfoga dimenandosi pur anchilosato, Rattrappito, anzi, come dico io, indissolubilmente alla sua anima rapita, acerbamente legata perché forse, un po’ da tutto, n’è slegata o vorrebbe legarsi, quindi la legano al letto, la raffreddano con bagni “a incupirla” più che a scuoterla, a infangarla perché resista e combatta il suo “osceno & sporco”.
Un medico, professore delle sue teorie, Carl Gustav Jung, n’è affascinato e al contempo turbato, Lei è un demone innocente da “rendere se stessa”. Una fascinazione che diventa desiderio e passione, adulterina voglia di fuga, dalle costrizioni e dai rigidi codici ottocenteschi che furon soppressione troppo concettuale e altera del’anima. Ma, la storia, le tante storie forse, diventa(no) un ménage à trois, con un padre “putativo” forse paternalistico, che non abbraccia le derive “magiche” e gli approcci di Jung, il suo nome è un sigaro “monolitico” che sbuffa autorevole a ogni inquadratura, Freud, un Viggo Mortensen “canutamente” Sigmund, icastico nel ritrarlo quasi emergesse da una biografia dai contorni pittorici, così come gli incubi confidati, in stanze notturne d’interminabili discussioni a scandirsi nell’orologio della mente, della psiche, nelle sue (in)decifrabili e tortuose sinapsi, nella forza illuminante e rivelatrice dell’inconscio che, mentre l’assopiamo, ci sussurra chi (non) siamo.
Un clown, sessualmente esuberante e ossessivamente, compulsivamente nevrotico, quasi un’apparizione sibillina e “serpentella”, il trasgressivo Otto Gross (Vincent Cassel), “progenitore” delle rivoluzioni sessuali, dell’”orgia educativa” delle droghe”.
Il film passeggia, “lentissimo”, composto, classico come meglio non si potrebbe, di verbosità mai banale, introspettiva e “specchiante” fra Uomini che s’osservano mutarsi, si scrutano enigmaticamente, si coccolano in messaggi epistolari che (non) li scoprano, che si tendono le mani e “piangono” spesso da soli.
Film straordinario, cadenzato da squillanti suggestioni visive pur nella macchina fissa e nei primi piani di volti che si leggono, che noi intravediamo nelle loro emozioni, leggiamo coi nostri occhi.
Capolavoro che si screpola nella sua criptica “dolenza”. Forse, anche nell’abbandono di utopie che non vorrebbero lasciarli.
O nella geniale intuizione pericolosa, un’altra, di quella Donna “pazza”, Sabina Spielrein, un’immensa Keira Knightley. Isterica anche nella recitazione? No, per me soave.
Stefano Falotico, bestmovie.it



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Grande attesa a Venezia per il ritorno alla regia di David Cronenberg con il suo A Dangerous Method. Nato da una piece teatrale di Cristopher Hampton, il film esplora da vicino tre grandi e complesse personalità, i cui destini e le cui relazioni sono indissolubilmente legati alla rivoluzione psicanalitica del ventesimo secolo: tre personalità forti che tentano di trovare un riscontro, nel complesso intrecciarsi dei loro rapporti, alle teorie da loro elaborate. Zurigo, 1904. Il giovane e brillante psichiatra Carl Gustav Jung (Michael Fassbender) si trova a dover curare una singolare paziente, la giovane russa Sabina Spielrein (Keira Knightley), diciotto anni, condizione sociale agiata e una storia di umiliazioni e violenze familiari alle spalle. La ragazza è affetta da una grave forma di isteria che le provoca comportamenti aggressivi e a volte violenti, ma ha anche una mente brillante, parla fluentemente il tedesco ed è intenzionata ad intraprendere a sua volta la carriera medica nel campo psichiatrico. Nel frattempo, le rivoluzionarie idee di Sigmund Freud (Viggo Mortensen) stanno prendendo sempre più piede nel mondo della psichiatria, e lo stesso Jung, seguace delle teorie del medico austriaco, decide di applicare il suo metodo su Sabina. La ragazza migliora sensibilmente, ma intreccia anche una pericolosa relazione con il giovane psichiatra, mentre quest'ultimo, sempre più convinto che le teorie del suo maestro sul legame tra sessualità e disturbi emotivi siano insufficienti per spiegare la genesi di questi ultimi, inizia con questi un rapporto di amicizia prima epistolare, poi personale. Ma l'intreccio del sempre più intenso rapporto di Jung con Sabina, e della sua stimolante amicizia con Freud, porterà a conseguenze imprevedibili, ed emotivamente devastanti, per tutti e tre i soggetti coinvolti. Il film offre a Cronenberg lo spunto per poter ancora una volta, scegliendo un soggetto classico, indagare i contorti percorsi della mente umana. Il regista, continuando coerentemente un discorso già intrapreso nei suoi ultimi film (Spider, A History of Violence e La Promessa dell’Assassino) affronta temi a lui cari quali quello della mutazione, tutta interna alla psiche umana; il binomio amore-morte e le pulsioni sessuali che spesso sfociano in istinti autodistruttivi. Tali temi vengono trattati con estrema asciuttezza e privati di qualsiasi spettacolarità filmica come nella piece originale, solo a tratti infatti la regia si concede scene visivamente più forti (vedi gli incontri clandestini dei due amanti). I personaggi sono nel complesso ben caratterizzati e supportati da prove attoriali brillanti ed emotivamente intense.
Sara D’Agostino, voto10.it



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Il nuovo film di David Cronenberg sembra una pellicola complicata, travestita da film convenzionale, ed è per questo che molti lo hanno preso sottogamba.
A Dangerous Method racconta l’incontro tra Gustav Jung e Sabina Spielrein, la sua prima nevrotica paziente e in seguito anche lei psicoanalista, e della loro relazione amorosa.
Cronenberg passa in esame anche il rapporto tra Jung e Sigmund Freud, il suo complicarsi alla luce delle visioni discordanti su quali siano le domande da porsi, razionali e mirate esclusivamente all’analisi della psiche umana, per Freud, tese a orizzonti più ampi e di carattere mistico, quelle di Jung.
Nel cinema di Cronenberg, lo sanno bene i cinefili, avviene sempre una metamorfosi del corpo, ma da qualche film in qua essa è invisibile agli occhi…
A Dangerous Method è basato sulla parola (come la psicoanalisi, del resto), e il linguaggio (come ha detto lo scrittore William Burroughs, dal cui libro Il Pasto Nudo Cronenberg ha già tratto nel 1991 un film) è un virus, è uno strumento che impariamo a usare.
Il linguaggio non è parte di noi, lo impariamo, ci proviene da fuori, ci contagia e si propaga.
Ci guarisce o ci ammala?
La psicoanalisi degli albori è infatti chiamata la “cura parlata”, ci modifica, pone una metamorfosi in noi.
Utilizzare la parola forse è... un metodo pericoloso: “non sanno che siamo venuti a portagli la peste”, dice Freud a Jung mentre arrivano in piroscafo a New York, sotto lo sguardo fiero della Statua della Libertà.
A Dangerous Method non è un film facile da amare.
Freddo, controllato, sprofondato nel milieu della società del secolo diciannovesimo, ma in verità rabbioso e appassionato.
L’unico colore caldo del film sarà il rosso del sangue su un panno dopo l’avvenuta deflorazione della Spielrein da parte di Jung.
Lì è il corpo, il sangue, il sesso, una scelta precisa da parte del regista del cosiddetto “body horror”. Corpi alle prese con i loro fantasmi, che si possono servire solo delle parole.
Un metodo pericoloso anche perché chi somministra la cura è egli stesso soggetto alla malattia, delle contraddizioni e dei desideri della psiche, dice un Jung estremamente perplesso verso la fine del film: “Talvolta bisogna compiere qualcosa di imperdonabile per continuare a vivere”.
Accettare la nostra terribile natura di uomini dotati di parola è compito non facile.
I personaggi di Cronenberg ne fanno i conti, e le spese.
Il film uscirà nei cinema il 30 settembre 2011.
Peppe Puglisi, ragusanews.com



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Finalmente è stato presentato a pubblico e critica della 68 edizione della Mostra del Cinema di Venezia A Dangerous Method, nuovo film del controverso e leggendario David Cronenberg. Il film, interpretato da Michael Fassbender, Viggo Mortensen, Keira Knightley e Vincent Cassel, racconta la storia della disputa di pensiero tra Freud e Jung, originata dalle diverse posizioni dei due autori sulla psicoanalisi. Mentre Jung, interpretato brillantemente dal lanciatissimo Michael Fassbender, si presenta come uno psichiatra a favore di una posizione più moderata nei confronti del paziente, originata da una fede incondizionata nei confronti del cambiamento umano, Freud (Viggo Mortensen) appare come un personaggio molto più radicale, sulla base della consapevolezza che il cambiamento umano è cosa assai rara e difficile nella pratica della vita reale. A complicare la relazione tra il maestro Freud e il mentore Jung vi è l’arrivo della paziente Sabina Spielrein (Keira Knightley), una ragazza colta affetta da una grave forma di schizofrenia in cura presso Jung. Jung decide di applicare alla ragazza il trattamento sperimentale di Freud conosciuto come psicanalisi o “terapia delle parole” che mostra discreti risultati sulla giovane donna, portandola a divenire una sorta di assistente dello psichiatra.
Una delle teorie più importanti di Freud è proprio quella che associa strettamente la sessualità ai disordini di carattere emotivo, una teoria perfettamente confermata nel personaggio di Sabina, una ragazza che riesce a provare piacere e desiderio sessuale solo in situazioni di grande umiliazione. Jung, cercando di aiutare la ragazza a superare i traumi del passato finisce per innamorarsene, andando a infrangere una delle regole primarie nel rapporto medico/paziente. Spinto dal collega psichiatra Otto Gross (Vincent Cassel) a vivere la vita in modo più intenso, senza freni inibitori, Jung decide di lasciarsi andare totalmente ad una storia passionale con Sabina, finendo col provare un forte senso di colpa nei confronti della ricca moglie, perennemente incinta e dal temperamento poco vitale. Il dolore e il senso di colpa di Jung lo spingeranno a chiudere bruscamente la storia con Sabina, finendo col negare a Freud l’evidenza della relazione con la paziente, evento che porterà il maestro a ridimensionare l’integrità professionale e la credibilità del suo allievo. Oltre alla grande differenza di pensiero tra i due autori sulla teoria della psiche, basata in Freud sulla sessualità e in Jung sul misticismo, la relazione con Sabina finirà con il causare l’inevitabile rottura tra i due.
A Dangerous Method si presenta come un buon film, costruito bene, scritto discretamente e recitato con grande professionalità da un cast di grande livello qualitativo. L’unica pecca di questa nuova pellicola di Cronenberg è la totale assenza dello spirito originale del regista, qui all’opera in modalità pilota automatico; Cronenberg, essendo un regista visionario di grande livello, appare fuori luogo in un film storico che di fantasia e originalità non ha proprio nulla. Non si riesce ad intuire bene la motivazione che ha spinto il regista a dirigere questo film così lontano dai suoi schemi originali. Privo quasi del tutto di musica e supportato da dialoghi fortemente tecnici e poco godibili da persone non laureate in psichiatria, A Dangerous Method si pone nei confronti dello spettatore come un film piatto e ripetitivo, pesante in ogni singolo minuto della proiezione. Caratterizzato da un montaggio assente che presenta una scena dopo l’altra senza un minimo di transizioni, il film scorre in modo estremamente lento, portando lo spettatore ad una sensazione di forte noia.
Le interpretazioni degli attori sono state tutte eccellenti, prima tra tutte Vincent Cassel, protagonista della parte più interessante del film; Fassbender e Mortensen, interpretando due personaggi storici si sono attenuti semplicemente ad avere una fisionomia più possibile simile ai due psichiatri, senza eccedere mai in una recitazione stereotipata o fuori luogo; un tantino più debole Keira Knightley (qui alla prova con un personaggio veramente difficile da interpretare) che pur essendo complessivamente convincente, in alcune parti del film, in particolare la parte iniziale, è scaduta un po’ nell’involontariamente comico. In conclusione A Dangerous Method è un buon film perché non presenta grandi pecche registiche ed è recitato bene, però allo stesso tempo non convince, non emoziona, non turba lo spettatore. Il rischio che si corre vedendo un film come A Dangerous Method è di non riuscire bene a comprendere che cosa si è visto e per quale motivo una produzione hollywoodiana abbia deciso di realizzarlo. A Dangerous Method è il classico film diretto in modo discreto che se non fosse esistito nessuno avrebbe sentito il bisogno di vederlo.
Carlo Andriani, newscinema.it



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Cronenberg continua il suo viaggio nei meandri della psiche umana, confezionando un’opera elegante, interessante e visivamente perfetta.
Questa volta siamo in Europa nei primi anni del Novecento, alla vigilia del primo conflitto mondiale. Con A Dangerous Method, terzo film in gara per il Leone d’Oro, il regista punta il suo sguardo sul rapporto turbolento dei due padri della psicanalisi Sigmund Freud (un eccellente Viggo Montersen) e il suo allievo Carl Jung (Michael Fassbender).
Tratto dal testo teatrale The Talking Cure di Christopher Hampton e ispirato al libro A Most Dangerous Method di John Kerr, il film offre a Cronenberg un’altra occasione per continuare a giocare con le creature psichiche e fisiche che abitano l’essere umano. Ma se la psiche è il luogo simbolico in cui questa esplorazione dell’interiorità ha inizio, Vienna e Zurigo sono i luoghi geografici dove si sviluppa un racconto oscuro che cambierà per sempre le sorti del pensiero moderno. Il Professor Freud elabora un concetto fino ad allora inedito, l’inconscio. L’identità umana è stratificata (SuperIo, Io, Es) ed è l’inconscio a regolare il pensiero, gli impulsi e le relazioni con l’altro. L’istinto sessuale e quel substrato della coscienza tanto caro allo scienziato austriaco, sono la base fondamentale su cui si fondano tutti i processi di interpretazione della mente umana. I sogni vengono considerati l’espressione pura e simbolica di quella parte irrazionale dell’io; attraverso di essi Freud e Jung indagano sulle origini profonde dei disturbi e dei comportamenti.
Carl Jung seguendo la scia del suo mentore estende il concetto di inconscio al mondo intero: da individuale si fa collettivo, trovando la propria autorealizzazione negli archetipi. L’attrito tra i due studiosi, però, non è puramente intellettuale: fu una donna ad interporsi tra loro, la tormentata Sabina Spielrein (divenuta psicanalista anche lei, una delle prime donne a esercitare questa professione), una fascinosa russa di discendenza ebrea, romantica e nevrotica, interpretata da una Keira Knightley decisamente sopra le righe.
A rendere i rapporti più tesi tra i due luminari è un paziente irrecuperabile, Otto Gross (Vincent Cassel), accelerando la rottura inevitabile tra i due psicanalisti. Pare che fu proprio il padre di Gross, Hans, penalista e criminologo della monarchia asburgica, a convincere Jung a diagnosticare al figlio la demenza precoce, per evitare che la condotta dissoluta del figlio compromettesse la reputazione della famiglia. Ma l’aspetto del film più interessante resta l’amore sofferto e clandestino tra Sabina e Jung, un amore che trae forza dalla gratitudine e ricuce un’identità in frantumi. Freud è testimone di una relazione di passione e tormento, pur non approvando il comportamento etico del collega accetterà di aiutare Sabina nel suo percorso di studi psicoanalitici.
Cronenberg pone l’accento sull’interscambiabilità tra il paziente e il medico; quest’ultimo attinge nel pozzo nero delle nevrosi del primo per guarire dalle proprie e il medico, d’altro canto, si sottopone ad un’attenta analisi che forse lo conduce alla libertà di essere semplicemente quello che è, senza freni inibitori, (come avrebbe detto Freud) o di diventare l’ideale di se stesso (come suggerisce Jung). Forse la realtà complessa e labirintica della mente non può essere racchiusa in una sola di queste teorie, ma di sicuro Freund e Jung sono stati i padri di una scienza in cui ogni tesi può essere confutata.
Cristina Locuratolo, doppioschermo.it



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Tratto dal testo teatrale A Talking Cure di Christopher Hampton, e ispirato al libro A Most Dangerous Method di John Kerr, il nuovo film di David Cronenberg, A Dangerous Method, risente solo in parte dell’origine teatrale della storia; la relazione fra Sigmund Freud e Carl Gustav Jung ha tanti risvolti, sfaccettature, non solo legate alla dimensione del sesso e del sogno, ma anche alla sottomissione psicologico / turbativa nella sua complessità, che poi si ripercuote sul privato delle relazioni, condizionate inevitabilmente dalle teorie fondamentaliste del maestro della psicanalisi.
Cronenberg sceglie di trattare il rapporto a tre – o meglio quattro – personaggi / pedine con uno stile elegante e morbido, legando le sue ossessive pulsioni sul corpo e la carne al linguaggio parlato, che si fa forza nelle parole che all’epoca solo certe personalità avrebbero potuto confessare e dimostrare. La sensazione è che ad attirare l’attenzione di Cronenberg sia stato soprattutto il risvolto psicologico, che come in Inseparabili e Spider devasta la fragilità umana di fronte alle repressione (c’è da credere che ogni cosa sia inevitabilmente legata al frangente sessuale). Non è il solito Cronenberg spiazzante, devastante, morboso, ma il regista riesce a trasmettere le prerogative del suo fare cinema negli occhi, nel volto e nel corpo di Keira Knightley (che nel ruolo di Sabina Spielrein, c’è da credere, lascerà il segno). La accompagnano i sobri Michael Fassbender e Viggo Mortensen. Peter Suschitzky, direttore della fotografia, e Howard Shore, autore delle musiche, elevano il film a qualcosa di plastico e coerente, plasmandolo più a ragione del cinema che del teatro.
Resta, tuttavia, il desiderio irrealizzato di sapere e vedere di più riguardo a Freud (a cui è dedicato meno spazio rispetto a Jung), dando infine per certo che il film sia incentrato sulla Spielrein, per studiare gli effetti che le teorie dei due maestri hanno sortito nel tempo sulla psiche della ragazza. Ne esce un film da leggere e da vedere come una sorta di trattato psicogeno, e in questo il viscerale e geniale regista canadese sa come aspirare le fondamenta concettuali, senza appesantirne le rivoluzionarie tesi.
Federico Mattioni, filmedvd.dvd.it



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Gli elementi significativi che caratterizzano A Dangerous Method, opera più recente di David Cronenberg appartengono a tre ordini di categoria: lo stile registico, la drammaturgia e le motivazioni profonde che hanno spinto l’autore a realizzarlo.
Gli aspetti visivi del film appaiono graniticamente chiari, nitidi, di raro equilibrio. Non esiste in questo lungometraggio una sola inquadratura inutile e compiaciuta. Anche quando sembra che Cronenberg stia debordando nel territorio della sterile estetizzazione e del formalismo si avverte l’esigenza del regista di costruire un’architettura visuale funzionale all’espressione della dimensione psicologica e drammaturgica dei personaggi e del racconto. E tale impostazione è possibile solo se dietro la macchina da presa è posto un cineasta in grado di articolare il linguaggio cinematografico con la misura e la razionalità necessaria, potremmo dire anche con eleganza e acutezza intellettuale.
La stessa misura è riscontrabile nella struttura del racconto e nei dialoghi. In questo caso, il merito va allo sceneggiatore e autore teatrale Christopher Hampton che aveva elaborato il copione già da diversi anni. Lo sguardo severo e algido di David Cronenberg e l’ossessione di Hampton di evitare ogni tipo di eccesso nella sostanza delle scene e nei dialoghi sono i fattori che hanno consentito a A Dangerous Method di divenire un’opera che potrebbe segnare una svolta nel rapporto tra cinema e psicoanalisi, sempre (purtroppo) a rischio. Il ridicolo, il grottesco e il ridondante sono, infatti, costantemente dietro l’angolo e hanno prodotto in passato molti danni.
Questo lavoro possiede qualcosa di più, un aspetto che lo salva da un possibile disastro: la forza espressiva, gelida e lucida, di un cineasta come David Cronenberg, che mai si era inoltrato così tanto non solo nella materia che forse maggiormente lo affascina ma anche in quel meccanismo di pensiero e di analisi della storia del XX secolo su cui evidentemente sentiva il bisogno di riflettere in chiave creativa e in prima persona. Un po’ come L’uomo che non c’era e A Serious Man per Joel e Ethan Coen, A Dangerous Method sembra essere il film della vita di David Cronenberg. Magari per qualcuno non il suo migliore (anche se per noi è così), ma certamente il suo più profondo, sentito, sconvolgente, intimo.
Il groviglio relazionale tra Gustav Jung, Sigmund Freud e Sabina Spilrein è organizzato attraverso procedimenti raffinati di connessione emotiva. Le implicazioni intellettuali sono fuse a quelle erotiche, l’amicizia al sentimento, la fisicità alla speculazione mentale.
Cronenberg, grazie anche al prezioso apporto di Hampton, ha reso questi personaggi “storici” più umani e veri di quanto abbiano fatto innumerevoli cronache storicistiche, biografie letterarie e altri, imbarazzanti, lungometraggi. Il regista canadese ha lavorato sulle umane fragilità, sulle sofferenze individuali, sulle tragedie personali più o meno mascherate. Ma non si è limitato a costruire dei personaggi, li ha contestualizzati all’interno di una processo storico-sociale che annunciava l’arrivo in Europa dell’orrore e dell’indicibile: il bagno di sangue della Prima Guerra Mondiale e in seguito l’immane tragedia della Shoah e dello sterminio del popolo ebraico.
Probabilmente David Croneberg non lo dirà mai, ma appare evidente come in questa sua opera venga fuori qualcosa di interiore che riguarda i suoi personali sentimenti legati all’appartenenza e al drammatico destino del popolo ebraico. La figura di Freud sembra il cardine di questo processo personale, quella di Jung la finestra aperta verso l’immaginazione, la libertà, ma anche verso l’angoscia della morte, mentre Sabina Spilrein rappresenta l’impulso alla conoscenza (fuori dagli schemi), alla verità e alla ribellione.
Per questi motivi, A Dangerous Method può essere considerato il film più personale, sofferto e autentico di David Cronenberg, regista che, comunque, di opera in opera continua a riservarci delle sorprese, sintomo di vitalità intellettuale e di freschezza creativa come raramente è possibile riscontrare nella cinematografia contemporanea.
Una doverosa citazione nei riguardi dei tre interpreti: Michael Fassbender (Jung), misurato ed efficace, Viggo Mortensen (Freud), maturo, raffinato e ricco di sfumature interpretative, Keira Knightley (Spilrein), attrice chiamata da David Cronenberg alla sua prova più difficile e commovente.
Maurizio G. De Bonis, CultFrame.com
[Modificato da |Painter| 14/09/2011 13:40]
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