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La tragedia dell'alterazione - un'analisi

Ultimo Aggiornamento: 10/06/2010 19:05
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Sesso: Maschile
08/08/2009 11:43


LA TRAGEDIA DELL'ALTERAZIONE


(...) Videodrome è la tragedia dell’alterazione del principio di realtà e della violazione della percezione del reale. L’autore riesce a rendere questa sensazione di totale manipolazione, evitando di formulare in maniera lineare l’ipotesi di partenza del film e seminando indizi e tracce lungo l’arco della vicenda. Cerchiamo, quindi, di ricomporre l’idea centrale che regge Videodrome per procedere poi alla sua analisi. Cronenberg parte dal presupposto che lo schermo televisivo è l’unico e vero occhio umano. Ne consegue che lo schermo televisivo fa ormai parte della struttura fisica del cervello umano. Pertanto la TV è la realtà e la realtà è meno della TV. Un cervello di questo tipo risulta di conseguenza facilmente manipolabile attraverso le immagini. Barry Convex, sfruttando gli effetti della esposizione alla violenza sul sistema nervoso, apre una via nel cervello attraverso la quale penetra il segnale Videodrome. Questo semina nel cervello un tumore talmente forte, da conformarsi come un organo che diventa parte integrante del cervello. A causa del nuovo organo, nascono nel cervello allucinazioni così realistiche, da sostituirsi alla realtà stessa. Non solo: la loro manipolazione dell’individuo è tanto violenta, da risultare irreversibile e scatenare mutazioni anche a livello fisico. A partire da quest’ipotesi così articolata, Cronenberg mette in scena un incubo biotecnologico che dà una forma (o meglio una non-forma) al nostro paesaggio massmediale. Se in Scanners era la trasparenza da telepatia a mettere in crisi e ad alterare i rapporti tra dentro (corpo) e fuori (realtà) e a dare vita a zone virtuali nelle quali il racconto impercettibilmente si spostava, in Videodrome, il “crollo della linea di demarcazione tra paesaggio interno e paesaggio esterno ha la sua causa scatenante nella insensatezza del paesaggio dei media” e della TV in particolare. La TV “è il grande buco nero in cui tutte le tragedie moderne precipitano, si muovono, ci aggrediscono, ci cambiano. Lo shock delle immagini, l’esplosione della diretta, la dissoluzione della coscienza” e del corpo. Potendo la TV “trasmettere questi pseudomondi direttamente nella testa del lettore, dello spettatore, dell’ascoltatore (...) la questione della definizione del reale» finisce per comprendere anche “la definizione dell’autentico essere umano”. Max Renn si perde nella rete rizomatica del Videodrome (media totale), diventando il servomeccanismo del segnale (“Sto correndo come un pazzo e non so come fermarmi”, dice). Max, spostandosi su e giù lungo l’attuazione del principio di realtà, finisce per stare a cavallo tra reale e virtuale, facendo interagire dickianamente questi due livelli e aumentando la confusione. Cronenberg riesce in questo modo a proiettare l’inquietante immagine di una realtà affetta da un tumore massmediale, che si dissolve progressivamente con il dissolversi (fisico e mentale) di Max, essendo questa data esclusivamente dalla percezione che egli ne ha. Il regista canadese in Videodrome dà corpo ad una delle più inquietanti ipotesi di Burroughs: l’attivazione di processi virali tramite codici scomposti, che vengono decifrati dal corpo di chi è esposto al messaggio. “Magari il virus è soltanto piccolissime unità di suono e di immagine? Ricordate che la sola immagine che un virus ha è l’immagine e la colonna sonora che può imporre su di voi. (...) Se potete fare geni potete prima o poi fare nuovi virus per i quali non ci sono cure. (...) Potrebbe essere fatto un virus della morte in codice che porti con sé il messaggio cifrato della morte (...) Parole e nastro trattati (...) agiscono come un virus nel senso che impongono qualcosa nel soggetto contro la sua volontà. Interessante sarebbe scoprire come potrebbero essere alterati i vecchi schemi di percezione. (...) Abbiamo considerato la possibilità che un virus possa essere attivato o anche creato da unità molto piccole di suono e di immagine”. Questo segnale/virus, come abbiamo visto, non solo altera irrimediabilmente la realtà, ma produce mutazioni fisiche. Non solo: le stesse immagini diventano carne (dice O’Blivion: «Mi accorgevo che le visioni si radicavano, divenivano carne, tanta carne»). Carne che si innesta sul/nel corpo, facendolo diventare qualcosa di nuovo. Cronenberg mette in scena la più violenta mutazione antropologica cui il cinema abbia mai dato vita: Max, diventato servomeccanismo del Videodrome, crea realtà nuove che interagiscono tra loro. Ossia gli stessi individui possono essere manipolati geneticamente per farli funzionare come televisori creanti simulacri di realtà. Per tratteggiare questa dimensione da incubo, Cronenberg spinge la compenetrazione/contaminazione fino alla fusione della dimensione organica con quella inorganica. Max, transmutato, si fonde con la sua pistola nascosta nella voragine che gli si dischiude sul ventre. La pistola e il braccio diventano un tutt’uno biomeccanico. Ma il lucido delirio tecnologico di Cronenberg va oltre. Max, decondizionato da Bianca O’Blivion, sarà l’incarnazione del videoverbo. David Cronenberg genera la transustanziazione elettronica. Videodrome, radicalizzando certe tensioni presenti nei nostri rapporti quotidiani con i media, suggerisce esplicitamente l’inutilità di contrastare un flusso di immagini, di informazioni con un altro di segno opposto: bisogna diventare la comunicazione. Bisogna diventare padroni delle nostre mutazioni. Solo così si può pensare di cambiare segno alle mutazioni antropologiche in corso. Solo dopo questa terrificante palingenesi, attuata sul e nel proprio corpo, si può avviare il processo di sovversione delle immagini del sistema. Diventare comunicazione, significa contaminare le strutture di trasmissione dell’informazione e corroderle. È questo un processo che non è più prerogativa dell’umano, come lo conosciamo, ma della “nuova carne” che Cronenberg ha evocato in tutti i suoi film. Ciò che dice Cronenberg in Videodrome è che il nostro corpo, la nostra mente, non sono più sufficienti a contrastare l’era del mass-media totale e che, per quanto terribile possa essere, dobbiamo rinunciare a parte della nostra umanità, per salvare l’idea stessa di umanità. L’ambiguità del finale, con l’agghiacciante doppio suicidio di Max, rimanda a questo progetto di palingenesi. La transmutazione come necessità e possibilità ultima. “Se non riusciamo ad adattarci psicologicamente ai cambiamenti, anche noi cominceremo a morire, dentro. Quello che sto dicendo è che oggetti, abitudini, usanze e modi di vita devono morire perché il vero essere umano possa vivere. Ed è il vero essere umano che conta di più, l’organismo vitale ed elastico che può rimbalzare, assorbire e affrontare la novità”.
Giona Antonio Nazzaro, Cinemasessanta n. 4, 1993

[Modificato da |Painter| 10/06/2010 19:05]
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