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Le interviste a Cronenberg (e al cast) (pt.1)

Ultimo Aggiornamento: 26/05/2013 19:15
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Sesso: Maschile
07/10/2007 18:41


A HISTORY OF VIOLENCE
LE INTERVISTE A CRONENBERG
PARTE 1



“Non penso a Videodrome”. Intervista con David Cronenberg

Per quanto questo lavoro ci sposti continuamente da un capo all'altro a vedere film, commentarli, male interpretarli, difenderli o abissarli, o a sentire annoiati le scontate dichiarazioni di lancio del nuovo capolavoro di turno; e ancor di più, per quanto tale routine ci sedimenti dentro e ci disaffezioni dalla nostra passione primordiale, esiste sempre una molla, una scintilla, un ritorno di acido. Per molti cinefili che sono riusciti con la forza e la testardaggine a fare di questa loro ossessione la loro vita, anche professionale, l'intervista faccia a faccia con un regista che si adora è un momento rigenerativo da non sottovalutare. È per questo, che la presenza di David Cronenberg all'ultimo festival di Venezia, in una veste più informale di quella che si confà a personaggi del suo calibro (la presentazione del suo Red Cars, affascinante libro illustrativo ispirato dalla sua grande passione per le auto) è stata l'occasione per parlare - insieme all'amico Manlio Gomarasca di Nocturno - con il regista canadese, con il quale ci siamo soffermati soprattutto sul suo ultimo, splendido A History of Violence, visto e recensito in quel di Cannes.
Sì, perché David non ama molto perdersi a parlare delle connessioni tematiche tra i suoi film o del perché ha girato Shivers in quel dato momento, forse perché ne ha già parlato troppo, o forse più semplicemente perché è stufo di ribadire del suo passato, quando ha appena realizzato un film ricco di interessanti spunti. D'altronde David Cronenberg non ha certo bisogno di presentazioni. È uno di quei registi (sempre meno, a dire il vero) dall'estetica e dalla personalità così schiacciante che la visione dei suoi film richiede sempre quello sforzo e quella curiosità che fanno del cinema ancora un fruttuoso e piacevole argomento di discussione, oltre che un potenziale fattore di crescita intellettuale. La sua filmografia è varia e mutevole (termine quest'ultimo che non si può non inserire parlando del regista canadese), quanto insistente sotto alcune tematiche e soprattutto rifiuta l'indifferenza dello spettatore, preferendogli al più lo sdegno o l'incomprensione. Chi scrive non ha mai nascosto un amore viscerale per il suo cinema, così visionario e tattile allo stesso tempo, sempre in bilico tra la riflessione filosofica e l'ostentazione visiva più truce. Allo stesso tempo, il personaggio Cronenberg si dimostra sempre molto interessante, con la sua tranquillità e gentilezza borghese in evidente contrasto con l'immagine che potrebbe trapelare dai suoi film. Meglio così, perché lo stereotipo dell'artista estremo, tormentato e sovversivo, lo abbiamo superato da anni e ci ha francamente stufati. Ma veniamo alle domande e soprattutto alle risposte:

Ho avuto modo di vedere il tuo ultimo A History of Violence al Festival di Cannes ed è un film che mi ha colpito ed affascinato molto. Ma prima di addentrarcene approfonditamente, vorrei la tua opinione su una tendenza tipica che caratterizza il mondo con cui le tue opere vengono recepite. Essendo tu, un autore dall'impronta formale e contenutistica molto forte, ogni tuo film - e quest'ultimo in particolare - alimenta un dibattito a mio avviso alquanto ozioso, sul quanto sia cronenbergheriano o meno. Cosa ne pensi?

David Cronenberg: Ad essere sincero non ho una posizione in merito, perché dopotutto è una mia creatura. Per me è un film cronenberghiano per il semplice fatto che l'ho realizzato io. E nessun altro l'avrebbe fatto allo stesso modo. Per una banale questione di sangue, quando faccio un film, quel film diventa automaticamente un mio, personale, film. Non mi preoccupo mai dei film che ho fatto in precedenza. Quando sono su un nuovo set a girare, mi preoccupo solo di quello che sto facendo in quel momento. Il passato non mi infleunza e non mi condiziona, almeno non nel modo di farmi pensare che per essere un film di David Cronenberg deve esserci questo elemento e quest'altro.
Sarà un clichè ma, davvero, un film è come un bambino. Hai un figlio, hai un sacco di idee su come dovrebbe crescere e come vorresti che diventasse, ma alla fine questo bambino non sarà mai come tu avresti voluto. E non puoi pretendere che sia qualcosa di diverso da quello che è. Per essere un bravo genitore, devi dare a tuo figlio quello di cui ha bisogno. E con un film mi comporto allo stesso modo. Una volta che mi convinco che una storia è adatta a me e decido di svilupparla, allora mi limito a mettere nel film quello di cui ha bisogno, quello che sento che mi sta chiedendo. Non sto a pensare se sta rispecchiando un film di Cronenberg. E sei dei critici pensano che chi ha fatto A History of Violence non è il Cronenberg di sempre, beh, è quello che dicono loro, è un loro problema. Aver fatto questo film è stato esattamente come aver fatto Spider, che pure, alcuni, non hanno trovato all'altezza di altri miei film, o Inseparabili. È sempre così. Una volta che decidi di fare un film il processo è sempre identico.

Coma mai hai scelto di lavorare su un fumetto? La cosa ha caratterizzato la forma del film?

David Cronenberg: All'inizio veramente non sapevo che fosse tratto da un fumetto. Pensavo che fosse un soggetto originale. E solo perché nessuno me l'ha mai detto! Quando poi ho finito di leggere il racconto, avevamo già finito di sviluppare il soggetto e il fumetto è diventato irrilevante. Per questo, ancora adesso, quando parlo di A History of Violence, lo faccio senza considerarlo come un adattamento di qualcos'altro. Non che questo sia un atteggiamento voluto, semplicemente è andata così.
La resa grafica non era per me così importante, tanto da essere completamente differente da Sin City, per esempio. Anzi, anche se inavvertitamente, il procedimento è stato l'opposto. Ho solo trovato che lo script avesse molti spunti per me interessanti, trattati secondo un'ottica mai affrontata prima. Se ci pensi bene, la maggior parte dei miei film partono sempre da un personaggio abbastanza eccentrico, grottesco. Spesso è un outsider, uomini ai margini della società, o ancora più precisamente, come in Crash, in Spider o nei due gemelli di Inseparabili, personaggi che non consentono l'mmedesimazione del pubblico. Quello che cerco di fare nei miei film è di sedurre il pubblico, non mi interessa molto farlo immedesimare. Per fare questo mi interessa farli entrare nella storia e metterli in relazione con questi personaggi, convincendoli che la tragedia ha inizio da qualcosa di difficile comprensione, non di riscontroabile nella loro quotidianeità. In questo caso invece, sono partito da una famiglia piuttosto ordinaria, una situazione domestica in cui il pubblico può immedesimarsi facilmente. Il pubblico riconoscendosi in questa famiglia è già dentro il film sin dall'inizio. Poi all'improvviso, l'imprevisto fa la sua parte ed il pubblico è dentro una situazione completamente differente, inaspettata. È una sorta di controcampo rispetto a quello che faccio abitualmente, sebbene devo dire che La Zona Morta presentava una cosa abbastanza simile. Anche lì c'era una piccola città della provincia americana, un contesto famigliare simile. Tra i film che ho fatto ritengo che sia quello che più si avvicini a A History of Violence.

Puoi approfondire questo interessante parallelismo?

David Cronenberg: Beh, c'è una connessione narrativa e allo stesso tempo politica. Se da una parte in A History of Violence, il tema portante è quello della violenza, affrontato su più livelli. Vedendolo ci chiediamo cosa siano costrette a sopportare questa piccola città e questa famiglia tranquilla? Cosa rende tutto questo possibile? In tutto questo c'è un sottotesto politco, per quanto sottile. Questo mi affascinava molto. Anche La Zona Morta era ambientato in America in un buon momento politicamente e a livello internazionale. Questo forniva eccellenti possibilità per rivisitare l'America e in qualche modo giudicarla, nonostante poi questi giudizi siano applicabili a livello universale. In A History of Violence tutto questo è meno esplicito ma c'è ed è stato anche materia di confronto tra me e Viggo Mortensen, che è un attore molto accorto e politicizzato. Per convincerlo a fare il film abbiamo difatti passato molto tempo a parlare degli aspetti politici.

La violenza che caratterizza A History of Violence è visivamente molto forte ed esplicita, ma allo stesso tempo è contornata dall'ironia. Perché questa scelta?

David Cronenberg: Non sono d'accordo che la violenza nel film sia così ironica. Sarebbe stata una scorciatoia troppo semplice usare troppo humor in questo film. È vero che fino all'arrivo del personaggio di William Hurt ci si trovi di fronte a un contesto diverso, ma da lì in poi la violenza diventa molto diretta, ed è rappresentata senza ricorrere allo slow motion, alla computer graphics o a qualsiasi tecnica che ne elimini troppo il realismo. Questo perché ero convinto che dovesse essere mostrata in quel modo. Ad ogni modo il punto è sempre lo stesso: quale che sia la percezione che se ne possa avere, ancora una volta, non mi sono imposto a priori nulla e quindi nemmeno un tipo ideale di rappresentazione della follia. Probabilmente in altri film l'uso della slow motion, ad esempio, sarebbe stato più appropriato, ma in questo ho voluto capire da dove nascesse questa violenza, dove i personaggi l'avessero appresa e cosa rappresentasse per loro. Non era arte, non era piacere, ma lavoro. Era funzionale per arrivare all'obiettivo proposto, cosa che per certi versi è ancora più disturbante di tanta altra violenza. Allo stesso tempo, se si accetta questo, allora si possono accettare anche le conseguenze della violenza. La violenza rappresentata nel mio film è molto intima, molto fisica, inflitta a una persona da un'altra persona; ci sono, è vero, delle sparatorie ma sono molto ravvicinate perché la violenza che ci circonda è inflitta sul corpo umano, per cui niente scontri automobilistici, niente esplosioni di edifici, niente di tutto questo.

Tornando solo un momento indietro nella tua carriera, ad un tuo film fondamentale per infinite ragioni come Videodrome, anche rispetto al tema appena trattato della violenza e della sua forte connotazione sessuale. Mi incuriosisce sapere cosa pensi a distanza di tempo di quel film rispetto alla tua visione del mondo attualmente?

David Cronenberg: A dire il vero a Videodrome non penso. Non ripenso mai ai miei vecchi film.

Perché?

David Cronenberg: Perché è acqua passata. Posso guardarli in quanto film, ma non posso guardarli come li vede qualcun altro. Perché ogni inquadratura è come un documento che mostra cosa ho fatto quel giorno. Quando guardo un mio film mi viene da ricordare quello che è successo durante quella giornata di lavoro sul set, cosa facevo con mia moglie, cosa facevo con gli attori e la troupe; per cui non riesco a vedere un film come un film, che comunque è una cosa che non mi interessa più di tanto. Mi interessa di più pensare a quello che farò in futuro. Per carità, mi piace l'idea di avere un corpus filmografico alle spalle che mi distingue, di avere un passato e di certo non mi voglio disconnettere da quello, ma non devo continuamente guardare i miei vecchi film cercando di perseguire una rete di connessioni con i miei nuovi lavori. È una cosa innata. Quando faccio un film, non devo preoccuparmi di rimanere fedele a certe tematiche perché riaffioreranno automaticamente in quanto frutto del mio essere. È una cosa che avviene da sola e di cui non devo preoccuparmi.
Adriano Aiello, castlerock.it
(modificata)



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A History of Violence segna per David Croneberg il ritorno ad un cinema di genere dove il fumetto, il noir e la parodia si incontrano in una fusione insolita, venata dall'umorismo tipico del regista. Nel cast protagonisti sono Viggo Mortensen, William Hurt e Maria Bello.

Qual è la responsabilità di ritrarre la violenza sul grande schermo?
Quella verso la forma d'arte: nessuno crea l'arte nel vuoto - e questo è certamente vero - la vera fedeltà sta, però, nel film stesso. Una volta che hai deciso di realizzare un progetto è in quel momento che cerchi di realizzare fino in fondo la potenza della sceneggiatura. Quando hai deciso di portare a compimento il tuo progetto è allora che il resto viene fuori in maniera molto spontanea. In quel momento sai di dovere realizzare il tuo progetto nella maniera migliore possibile. All'indomani dell'uscita di Crash, ho dovuto sostenere in Inghilterra delle lunghissime discussioni sull'argomento. La gente ha dei comportamenti violenti quando vede la violenza sullo schermo? Le persone uccidono altre persone solo perché l'hanno visto fare in un film? Se fosse vero, il mondo si spopolerebbe. Non penso sia giusto ritenere che le persone fanno quello che vedono sullo schermo. In A History of Violence ritengo di avere mantenuto intatto un atteggiamento oltremodo responsabile analizzando la violenza e il suo impatto sulla società.

Che tipo di storia è - dal suo punto di vista - quella contenuta nel film?
Il tono del film è molto popolare, ma - al suo interno - sono contenuti elementi molto interessanti e al tempo stesso disturbanti. È un po' come un film di Hitchcock dove un uomo innocente viene scambiato per qualcun altro da persone molto potenti e pericolose e - così per errore - viene trascinato in un mondo di cui non sa nulla.
È stato evidente sin da subito che si trattasse di una storia molto americana ambientata nel cuore degli Usa. Ovviamente questa considerazione l'ha resa perfetta per essere girata in Canada. Gli elementi specifici sono americani, la loro risonanza è, invece, universale.

Come ha raggiunto l'equilibrio tra l'elemento serio e quello derivato da una sorta di black humour?
Non credo che questi due aspetti si escludano vicendevolmente. Puoi essere serio e divertente al tempo stesso. Ci possono essere delle commedie serie e film come A History of violence che, invece, alla fine risultano piuttosto divertenti. In alcune scene si assiste ad una vera e propria tensione tra la serietà e il divertimento. Mi piace pensare che il pubblico si senta un po' complice di quello che vede sullo schermo. Non mi va di pensare che lo spettatore possa sentirsi escluso. L'importante è capire che cosa c'è di attraente nella violenza…

Parliamo del rapporto tra sesso e violenza…
Sesso e violenza sono sempre andati d'accordo: un po' come le uova e la pancetta. Se guardate alla storia cinematografica della violenza c'è una pressoché continua relazione tra i due elementi. C'è una componente violenta nel sesso e c'è dell'erotismo nella violenza. Si tratta di una relazione abbastanza naturale da esplorare per me.

I cast dei suoi film sono sempre formati da attori molto importanti. Come lavora con gli attori dei suoi film?
Sono molto pigro. Li scelgo per il film, dico loro il meno possibile e - come un pubblico - guardo sul monitor il film nel suo farsi. Se poi, c'è qualche nota stonata, è solo in quel momento che parlo con gli attori. Li incoraggio nel fare ciò che fanno, sapendo che le conseguenze delle loro scelte le avvertiremo sul risultato finale del film. Mentre giriamo monto mentalmente il film nella mia testa…seguo un processo inquadratura dopo inquadratura. Il mio lavoro sta nell'organizzare i dettagli.
Marco Spagnoli, cinema.data.net



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conferenza stampa: parlano D. Cronenberg e il cast
Cronenberg a Cannes per A History of Violence

Questa ricchissima edizione del Festival di Cannes è anche scenario del ritorno di David Cronenberg, geniale autore di capolavori disturbanti come Videodrome e Inseparabili, che presenta A History of Violence, un thriller tratto da un fumetto con protagonisti Viggo Mortensen, Maria Bello e William Hurt, che hanno anche acompagnato il regista canadese sulla Croisette e hanno preso parte all'affollata confenza stampa.

Mr. Cronenberg, crede che la violenza cinematica sia in qualche modo responsabile della violenza reale?

David Cronenberg: La responsabilità è dovuta solo nei confronti dell'arte. Nessuno fa arte in un vuolo spazio-temporale, ma è alla propria creazione che deve andare il pensiero. Una volta presa la tua strada, non devi pensare a queste cose. Le persone diventano violente quando assistono alla violenza ritratta in un film? Si mettono ad ammazzare quando vedono ammazzare in un film? Beh, francamente credo che se fosse così il mondo si sarebbe spopolato da un pezzo. Anzi penso che quello che abbiamo fatto in questo film rappresenti una presa di coscienza eccezionalemnete responsabile, perché è una seria discussione sulla natura della violenza e sull'impatto che ha sulla società.

La società americana.

David Cronenberg: Sin dall'inizio sono stato consapevole del fatto che si trattasse di una storia decisamente americana. Si svolge in una cittadina nel cuore tranquillo degli Stati Uniti, quasi un piccolo paradiso; naturalmente ha funzionato alla perfezione perché il film è stato girato in Canada. Ha la stessa risonanza dei film western americani: un uomo che mette mano alla pistola per proteggere la sua famiglia e la sua casa. È un tipico topos western che ho voluto approcciare ed esplorare in questo film, ed è molto americano. Ma come ogni artista vi dirà, se si vuole essere universali, bisogna ritrarre il particolare. Le specifiche sono americane, ma la riflessione sulla violenza è universale.

Lei parla di una discussione seria, ma il film è costellato di humour nero...

David Cronenberg: Non credo che le cose si escludano. Credo che si possa essere seri e divertire allo stesso tempo. Ed è vero, il film è divertente. C'è un'autentica tensione tra gli aspetti seri ed emozionali del film e quelli divertenti.

Anche qui torna il connubio tra violenza e sesso. Perché la interessa tanto?

David Cronenberg: Sesso e violenza vanno a braccetto come le uova e il bacon. Credo che ci sia sempre una componente sessuale nella violenza, e una componente violenta nella sessualità, e per me è naturale esplorare questo aspetto. Come disse George Bernard Shaw, 'il conflitto è l'essenza del dramma'.

Mr. Hurt, il suo ruolo è breve ma importante. Come ha lavorato sul suo personaggio?

William Hurt: Come ha detto giustamente David, per mandare un messaggio universale devi entrare nei dettagli. È attraverso i dettagli che entri nella vita delle persone. Così mi sono preso molto tempo prima ancora di girare, e poi in David ho trovato un grande rispetto.

Viggo Mortensen: È stato così per tutti; il film è stato uno sforzo corale guidato magnificamente da David, che aveva un'assoluta padronanza di quello che voleva ottenere. Nella mia esperienza, è raro trovare un regista con la preparazione e la sicurezza di David che allo stesso tempo permette agli attori di portare del loro, di contribuire con le proprie idee.

Maria Bello: È così che vedo David come regista, come un buon padre che tu cerchi di rendere orgoglioso, che ti lascia libertà di andare dove vuoi, ma tu vuoi sempre riavvicinarti a lui.
David ci ha lasciato libertà creativa, eppure tornavamo ad essere attratti dalla sua visione.
Adriano Aiello, castlerock.it



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"Anche se tratto da un fumetto, ho pensato che fosse un thriller interessante perché non è come tutti gli altri. È come un film di Hitchcock dove un uomo innocente viene scambiato per qualcun altro da gente senza scrupoli e viene trascinato in un mondo con cui non ha nulla a che fare".
Dopo aver incontrato Viggo Mortensen al Festiva di Cannes del 2001, Cronenberg ha subito pensato che fosse il ruolo adatto a lui: "Viggo era perfetto, egli non è solo un attore carismatico, ma ha molte altre qualità che mi hanno fatto pensare che fosse adatto ad interpretare un ruolo complesso. È un maniaco dei dettagli, cosa che io amo molto, è ossessionato dai particolari, da come il suo personaggio dovrebbe muoversi, parlare e vestirsi".
"Non credo proprio che la gente vada al cinema, veda scene di omicidi e poi esca fuori ad uccidere. Se questo fosse vero, nel mondo non ci sarebbe più nessuno".
"La verità - dice l'autore - è invece che la violenza pervade tutti i nostri rapporti, fa parte della nostra natura, si mescola con tutto, a iniziare dal sesso. Credo che la violenza venga fuori dall'impossibilità di vivere la realtà che vorremmo. Nonostante tutti i nostri tentativi di evolverci, anche attraverso la tecnologia, la violenza continua ad essere una malattia universale. Coltiviamo tutti il sogno di dominarla, così come quello di raggiungere la pace nel mondo, ma per ora tutto questo resta un sogno".
"È una storia molto americana ma comunque universale. L'unico modo per comunicare in modo universale è essere specifico, altrimenti finisci per parlare in astratto. L'idea è raccontare la storia di una persona in particolare in un posto particolare. Questa è una storia di violenza che accade ad una singola persona, ma allo stesso tempo è un film che parla della violenza negli Stati Uniti, della violenza nel cinema e anche della violenza della natura umana in generale".
"In generale, noi canadesi riusciamo a vedere meglio degli statunitensi cosa succede lì. È come il pesce che non sa nulla dell'acqua in cui nuota, se sei fuori dall'acqua vedi meglio cosa accade di quando sei dentro. È un film ambientato negli Stati Uniti con attori statunitensi, ma con una troupe canadese ed un regista canadese. È un incrocio fra Canada e Stati Uniti".
municipio.re.it/cinema
[Modificato da |Painter| 26/05/2013 19:15]
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