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RECENSIONI - Internazionali /2

Ultimo Aggiornamento: 10/02/2013 12:43
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Sesso: Maschile
10/02/2013 12:43


RECENSIONI
Rassegna stampa internazionale /2

[traduzione a cura di Max984]


[…] C’è qualche altro regista stimato che oserebbe fare un film che crei una così forte divisione a questo punto della sua carriera? Cronenberg ha 69 anni, ma è ancora interessato ad esplorare e sperimentare con il suo mezzo. Ogni inquadratura di Cosmopolis è precisa, ogni modifica esatta. […]
Cosmopolis potrebbe essere un’opera dal carattere cerebrale, ma è riempito da efficaci interpretazioni che connettono a livello emozionale. Samantha Morton meraviglia con un enorme monologo in cui avverte Eric degli iceberg finanziari verso cui sta galleggiando: non riesci in alcun modo a capire cosa stia dicendo, ma non riesci a non essere ammaliato da lei. Juliette Binoche salta fuori per un veloce e soffocante cameo nel ruolo di mercante d’arte e amante di Eric. Paul Giamatti è un uomo risentito il cui posto nella società era ritenuto obsoleto dal coraggioso nuovo mondo di Eric, e che ora non ha niente da fare: è stato relegato nel mucchio di oggetti senza valore, e non ne è felice.
Ma il film non funzionerebbe senza Pattinson, che è in ogni scena e tiene il film insieme con la sua interpretazione di un magnetico uomo potente che sta marcendo dentro — un uomo disilluso, che, avendo ammassato tutto quello che poteva forse volere, si chiede se sia sufficiente. Questa è solo una delle possibili letture di Cosmopolis: gli spettatori con la forza di arrivare sino alla fine (è richiesta disciplina) potrebbero avere interpretazioni discordanti della scena finale, il che accade spesso nei migliori film di Cronenberg. Il libro di DeLillo, ispirato dallo scoppio delle aziende che operano su internet, era critico riguardo a come gli imprenditori online avessero ridotto il potere del denaro ad un’astratta comodità (“Che significato ha spendere? Un dollaro. Un milione.”)
Il film di Cronenberg rimpiazza quel sottotesto con la più recente crisi economica. I manifestanti fuori dalla limousine di Eric, che lanciano topi morti e sfregiano la sua luccicante macchina bianca — un osceno simbolo di ricchezza — oggi sembrano controfigure del movimento di Occupy. Ma interpretare il film come una dichiarazione socio-economica è riduttivo. Questo è un film magistrale e provocatorio, strutturato rigorosamente e distaccato emotivamente, che ti affascina a livello subliminale. Cosmopolis non è per tutti. Ma se vi conquista, preparatevi ad averlo in testa per giorni.
Rene Rodriguez, Miami Herald



***

[…] Sono uscito dal cinema accusando il film, ma, poiché ci rifletto su circa dalla scorsa settimana, non riesco a togliermelo dalla testa. È girato splendidamente, controllato accuratamente, uno sguardo lento negli occhi morti e vuoti Eric Packer […]. Adattato da un romanzo di Don DeLillo, è tutto carattere, tutto umore, un tragitto lento e surreale attraverso Manhattan durante un tracollo che sembra essere stato causato, in parte, dalla stessa hybris (tracotanza, ndt) del personaggio. […]
Non penso di essere fuori luogo quando rilevo il fatto che Robert Pattinson sembri venire da un lontano universo. Parte di ciò che lo rende così convincente nel film è che qualsiasi stranezza gli proponga Cronenberg, lui si trovi a proprio agio, abbassando lo sguardo di quel volto passivo ed inespressivo […].
Jay Baruchel e Kevin Durand fanno entrambi un lavoro pulito e specifico in piccoli ruoli qui, e c’è anche una meravigliosa e purtroppo breve apparizione di Samantha Morton. Paul Giamatti quasi ruba la scena negli ultimi dieci minuti, ed è prova di quanto sia bravo nel film Pattinson, che impedisce che Giamatti si lasci prendere la mano. […]. Giamatti è grandioso, mentre dà voce a tutta la frustrazione e l’impotenza di tutti coloro che vengono coinvolti da queste forze in azione nel mondo moderno, quei ragazzini rammolliti vestiti con completi eleganti, intoccabili nelle loro bare a quattro ruote. Giamatti è determinato a demolire l’inespressiva esteriorità di Packer, per trovarvi un cuore morbido e fragile, e, quando lo fa, ha intenzione di strapparglielo.
I titoli di testa e di coda sono notevoli, una piccola meraviglia. […] [Cosmopolis] è un film magnifico su un mondo marcio, e sembra il tipo di film che ripagherà (lo spettatore, ndt) con ripetute visioni, un film così carico di dettagli che quasi ti sfida ad assorbirli tutti in quella prima visione. Cronenberg potrebbe non far più film horror al giorno d’oggi, ma c’è una qualità sporca e instabile in questo film, che può essere solo raggiunta da un regista con l’abilità di Cronenberg, e la mia scommessa è che questo film farà sentire il pubblico molto a disagio di proposito. […]
Drew McWeeny, HitFix



***

[...] Cosmopolis parla del collasso di un impero, delle rovine finanziarie di Eric, che prende una batosta per colpa di una brutta scommessa, ma anche del comune tessuto sociale che si sgretola in un modo molto familiare dopo anni di recessione e rovina economica. […]
Cosmopolis è un enigma, un film che ti sfida a capirlo, sapendo perfettamente che non lo farai mai. Ma contiene una sufficiente ironia pungente, sufficienti apparizioni improvvise di sesso e violenza, e un sufficiente numero di intense performance che fa sì che tutte le perplessità siano ricompensate – anche se potrebbe non sembrare così finche non passi un po’ di giorni a lasciare che [il film] ti filtri in mente. Vedremo molte altre interpretazioni cinematografiche della recessione, di Occupy Wall Street, del collasso del capitalismo, ma probabilmente nessuna così ironicamente amara e sorprendente come questa.
Katey Rich, cinemablend.com



***

Cosmopolis è considerato un film ‘freddo’, e lo è. [….]
E quindi la sinistra realizzazione di Cronenberg dello splendido romanzo di Don DeLillo ci connette profondamente con la superficiale esistenza di Eric Packer, permettendoci di percepire ciò che lui percepisce - o, piuttosto, e qui torna ancora la parola ‘freddo’- di non percepire quello che egli non riesce a percepire […]. Vediamo che questo tipo di ricchezza è nociva, vediamo l’incomprensibile isolamento, la sicurezza, la noia, la distanza affettiva, e tuttavia, come Packer dice al saggio errabondo interpretato da Paul Giamatti, non riusciamo ad odiare veramente i ricchi, perché, nella nostra mente, siamo tutti a dieci secondi dall’esserlo.
Il film non si chiede come il mondo sia giunto a questo punto; è sufficiente sapere che ci è arrivato, con l’esperta di teoria di Packer, Vija Kinsky, interpretata con deliziosa insensibilità da Samantha Morton, che riconduce il tutto al fatto che il denaro abbia “perso la sua qualità narrativa, come la pittura una volta. Il denaro sta parlando a sé stesso”. Siamo nel periodo surreale, post-moderno, pericoloso, auto-referenziale del denaro.
[…] La ricerca di Packer di un taglio di capelli riflette un mondo in cui le fortune si conquistano e perdono in base alla reputazione, all’apparenza. “Continuo a sentire della nostra leggenda”, dice, “Siamo tutti giovani e scaltri e siamo stati allevati dai lupi”. […]
[…] Il tempo è l’ossessione chiave in Cosmopolis; Packer parla di nanosecondi, zeptosecondi, yoctosecondi […] Un ministro della finanza si sta, presumibilmente, dimettendo perché si è fermato per un momento nel mezzo di un discorso. “Stanno cercando di interpretare il significato di quella pausa”, spiega la Melman, “L’intera economia è sconvolta perché quell’uomo ha preso fiato”.
[…]
L’humor in Cosmopolis è, inevitabilmente, non del tipo più ovvio, ma è presente nel corso [del film] […]. L’humour è una risposta molto umana a statistiche come quella rivelata in seguito ad uno studio del 2006, che ha svelato che le tre persone più ricche del mondo, tra cui Bill Gates, hanno più soldi delle 48 nazioni più povere del mondo messe insieme. Sicuramente, Cosmopolis è girato e orchestrato come una finzione distopica, ma, in realtà, la cosa più terrificante è che [il film] non ha alcun bisogno di esagerare […]
Ecco anche perché scegliere Robert Pattinson per questo ruolo è un colpo di genio. Oltre a fare una performance molto buona, egli è probabilmente la star che al momento sta ispirando alcune delle reazioni meno sane nella nostra cultura. Quando, nel climax del film, egli si confronta con un maniaco che insiste nel dire “Io so tutto quello che è detto o scritto su di te. Capisco quello che vedo nel tuo viso, dopo anni di studi”, non è difficile capire quanto brillante – e forse catartico- sia per lui questo ruolo […] Sceglierlo per il ruolo poteva essere un’occasione per usare la sua immagine iconica per fare osservazioni sulla fama, ma la partecipazione di Pattinson è troppo attiva per meritare un complimento così ambiguo.
Posso solo immaginare come questo film sarà visto in vent’anni; per me, esso costituisce una collaborazione di scrittore, regista e protagonista di una rilevanza che raramente capita nel cinema.
Catherine Bray, Film4



***

[…] Né il romanzo, né il film intendono essere realistici, naturalmente. […] Dialoghi come “Che cosa succede a tutte queste lunghe limousine che si aggirano per la città?” sarebbero ridicoli in un contesto realistico, ma Cronenberg si assicura di darci una scena di apertura in cui Eric e il suo capo della sicurezza stanno in piedi come statue e hanno uno scambio artificioso, intenzionalmente legnoso su dove stiano andando, solo per farci capire a cosa stiamo per andare incontro (“Devo aggiustare il taglio” “Incontreremo un traffico che si esprime in quarti di pollice”). […] Cronenberg mantiene molti dei suoi elementi narrativi, inclusa la linea continua del rapporto tra mente e corpo. Ma il romanzo di DeLillo si traduce più come un’autocritica che in qualcos’altro: è il ritratto di un genio che tenta di prendersi gioco del futuro e del comportamento umano in sé […]. C’è un’innegabile eco dell’autore [DeLillo], egli stesso un tipo bizzarro, controllato e lievemente recluso. Intenzionalmente o no, Cronenberg non cattura abbastanza di quell’universalità o di quel pathos. Si percepisce più distante dall’alienazione di Eric: se il libro era una sorta di apologia, il film in certi momenti sembra una storia di vendetta, il racconto di una punizione.
Niente di sbagliato in ciò, naturalmente. Se trovo il libro di DeLillo più toccante e profondo, è un mio problema, e non dovrebbe essere necessariamente una critica al film, che funziona (in gran parte) secondo modalità proprie. […]
Cronenberg riesce anche a creare in maniera convincente un mondo sensuale insieme all’allestimento claustrofobico. (Un tempo, questo regista era solito essere il primo poeta del cinema della claustrofobia.) […] In questo [film], il regista riesce anche ad avvicinarsi, in modo lieve, alla forza tattile del linguaggio di DeLillo. E si assicura di tenere la telecamera scomodamente vicina alla faccia del suo attore, per innalzare la qualità intrinseca della storia. Ma nonostante tutto questo, non riesce ad entrare nella testa di Eric, ed è difficile, alla fine, provare qualcosa per un personaggio così opaco. Cosmopolis è spesso bello a vedersi, ma a volte sembra più un film che si è isolato da sé stesso.
Bilge Ebiri, Vulture



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Il regista David Cronenberg è tornato dentro un’automobile. In Crash del 1996, il suo saturnalia delle collisioni adattato da un romanzo morbosamente sessuale di J. G. Ballard, Cronenberg inscenò avvenimenti violenti ed erotici in una sorta di teatro veicolare dell’immaginazione. […] Cronenberg ha girato un film eccentrico ed esteticamente bello — una presa in giro apatica, glaciale, concettualista. L’eroe è uno di quei giovani predatori capitalisti che hanno infestato la narrativa americana (in, per esempio, Falò delle Vanità e American Psycho). […]
In Crash, velocità e sconsideratezza dietro il volante mandavano avanti il film, ma questa volta la vita dentro una macchina si è ridotta ad un lento avanzare. […]
Eric, un giovane uomo erudito ma vuoto, vive principalmente insieme ai circuiti pulsanti dell’informazione elettronica. Riusciamo a percepire il disgusto di DeLillo per il mondo dematerializzato delle manipolazioni finanziarie; egli rende Eric una sorta di metafora da science fiction dell’essere umano, e Cronenberg ha scelto l’uomo giusto per un cyborg. […] [Pattinson] è cupo e tranquillo, un attore minimalista, ma ha abbastanza tensione da tenerci interessati nei confronti di questa persona intelligente e ripugnante. Per Eric, il passato non esiste, il presente è semplicemente denaro che sfreccia per il mondo, il futuro è il suo [mondo] da abitare. […] E le scene teatrali anti-capitaliste del libro per le strade sembrano un’anticipazione molto accurata del movimento di Occupy Wall Street. DeLillo capì perfino l’ambivalenza della protesta: quelle persone odiavano il Capitalismo o erano spaventate di essere lasciate dietro da esso?
[…] Ma mentre la violenza fuori si fa sempre più frenetica e il denaro scompare, il tono del film si fa più cupo. Eric si sgretola, perdendo lentamente la sua voglia di dominare. Diventa masochista e virtualmente indifferente a tutto, tranne alle più estreme sensazioni del corpo. Quando John Updike recensì il romanzo in queste pagine, si chiese perché noi dovessimo preoccuparci della possibile morte di quel simbolo arrogante. Una bella domanda, ma non sono sicuro che il coinvolgimento emozionale sia l’obiettivo del romanzo o del film.
David Denby, New Yorker



***

[…] La moglie di Packer rappresenta la vecchia aristocrazia, mentre lui è un miliardario che si è fatto da sé. Come si è fatto, ora si sta disfacendo, apparentemente di sua volontà, con spericolati investimenti sullo yuan cinese (cambiato rispetto allo yen giapponese del romanzo). Egli appare distrutto. […] Solo la morte, desumiamo, è la sua unica salvezza.
[…] [Eric e Benno] iniziano un dialogo di 20 minuti, coinvolgente quanto una commedia in un solo atto. Questo è cinema affascinante, bello quanto qualsiasi cosa Cronenberg abbia fatto, e mi ha ricordato del racconto breve di John Cheever sul New Yorker, Un uomo a nudo (girato nel 1968, con Burt Lancaster). […] Il film di Cronenberg ha una simile mordacità, anche se alla fine – e, probabilmente, di proposito – non tocca il cuore o strappa molta compassione per il protagonista.
Philip French, The Guardian



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[…] Cosmopolis è un grande e lento veicolo di lusso del simbolismo, ma la sua consapevole qualità, la sua paura stilistica, e il suo sottilissimo umorismo sono il modo perfetto (e forse l’unico) in cui un’enorme parabola come questa poteva funzionare per un pubblico moderno e intelligente.
C’è appena una traccia di realismo nel film, la maggior parte di cui ha il tono di una rappresentazione teatrale filmata.
[…] Cosmopolis è il miglior film di Cronenberg da eXistenZ e più visioni potrebbero collocarlo più in alto di questo. È raro un film che faccia irritare, ridere e coinvolgere le parti più artistiche della mente.
Jordan Hoffman, film.com



***

[…] Cosmopolis è un film sugli effetti umilianti e disumanizzanti del denaro […]. [Eric] può comprare cose o semplicemente averle quando vuole — sicurezza, sesso, un coniuge appropriato, forse perfino la cappella di Rothko, che vuole mantenere integra nel suo appartamento — ma poche di queste acquisizioni sembrano avere una qualche eco su di lui. Come ritratto della giusta fine della ricchezza, Cosmopolis è ossessivamente vuoto, il suo mondo è deliberatamente stipato con cose prive di significato.
È possibile che Eric vada in cerca della morte — con il mettersi intenzionalmente sulla via di una “minaccia plausibile” — perché ha perso la sua fortuna, o forse si era prefisso di perderla, come parte del suo piano per la completa autodistruzione. In ogni caso, Cosmopolis presenta un mondo dall’immagine vivida e a volte angosciosa fuori da quei finestrini oscurati, e trova qualcosa di elegiaco e terribile nel modo distaccato in cui i personaggi elaborano quello che vedono. Come dice il personaggio interpretato dalla Morton, mentre fissa il manifestante che si è dato fuoco fuori dalla limousine: “Non è originale – è un’appropriazione”.
Alison Willmore, movieline.com



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[…] Non c’è una storia di cui parlare, solo una serie di conversazioni finanziarie e filosofiche fatte velocemente e a ripetizione; a volte mi ha ricordato il brillante film sci-fi low-budget di Shane Carruth, Primer, in cui non è importante capire che cosa si stia dicendo, quanto piuttosto riconoscere come un particolare modo di comunicare possa riflettere e influenzare il modo di pensare delle persone. Più astratto e apertamente stilizzato è Cosmopolis, più appassiona. […] In generale, gli attori inglesi e canadesi capiscono (il tono del film? , ndt) ma gli americani non molto, il che diventa particolarmente problematico nella lunga scena finale del film, con un Paul Giamatti più irascibile che mai. Il suo personaggio è effettivamente concepito come in contrasto con gli altri, ma introdurre autentici sentimenti umani in questa sorta di bolla asettica non fornisce la voluta catarsi. Solo una lenta caduta.
Mike D’Angelo, AV Club



***

[…] Ecco tutto: un giorno, una limousine. Ma DeLillo ha affollato quel giorno con degli eventi. E Cronenberg, un maestro che richiama il suo lavoro surreale di eXistenZ e de Il Pasto Nudo, adatta il romanzo con l’occhio di un poeta e con un forte orecchio per il linguaggio. […] Lavorando con il talentuoso direttore della fotografia Peter Suschitzky, Cronenberg crea un mondo fatiscente all’interno di un microcosmo. In questo sogno febbrile, Pattinson è esplosivo, specialmente in una scena-climax con il grande Giamatti. Cosmopolis, tanto esigente quanto audace, non è un viaggio facile. E intendo ciò come un grande complimento.
Peter Travers, Rolling Stone

[Modificato da |Painter| 10/02/2013 12:43]
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