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RECENSIONI - Rassegna Stampa / 4

Ultimo Aggiornamento: 09/11/2011 11:19
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Post: 529
Sesso: Maschile
15/10/2011 12:17


La pellicola racconta l’evolversi della relazione tra due grandi personalità della psicanalisi, Sigmund Freud (Viggo Mortensen) e Carl Gustav Jung (Michael Fassbender), e del loro rapporto con Sabina Spielrein (Keira Knightley), giovane donna affetta da grave isteria con la quale l’analista svizzero decide di sperimentare l’allora innovativo trattamento freudiano. La scena si apre sulla coraggiosa recitazione della Knightley che, per gran parte del primo tempo, domina incontrastata lo schermo, restituendo senza inibizioni i tormenti psicologici che impediscono a Sabina di vivere una vita normale, dilaniandone tanto lo spirito quanto il corpo. Proprio nell’analisi della malattia della donna e delle sue origini emerge la nota tendenza di Cronenberg ad indagare nel lato più oscuro e perturbante dell’esperienza umana e a toccare, come solo lui sa fare, le corde più intime e sensibili dello spettatore.
Dopo un inizio convincente, il film si assesta su toni più pacati, procedendo ad approfondire la relazione fra i tre protagonisti. Mentre il rapporto tra Jung e Sabina valica ben presto i limiti della relazione medico paziente, anche grazie all’intervento di Otto Gross (Vincent Cassel), psichiatra dalla dubbia moralità in cura da Jung, il sodalizio tra i due studiosi prende avvio sotto i migliori auspici e Cronenberg ne segue il divenire, dall’apprezzamento incondizionato del discepolo verso il maestro sino ai primi dissensi che approfondiranno sempre più il divario tra i due. Proprio in questo varco si inserirà la giovane Sabina quando, dall’essere amante dell’uno, inizierà lentamente a divenire allieva dell’altro, allontanandosi sempre più dall’analista svizzero per ricercare una maggiore stabilità e una propria identità professionale.
Nonostante le grandi potenzialità offerte dalla tematica trattata, la pellicola si concentra soprattutto sui dialoghi e persino le tinte usate per disegnare le ambientazioni relegano gli scenari sullo sfondo, quasi a voler lasciare il campo libero alle conversazioni tra i protagonisti e all’evolversi dei loro rapporti; il risultato è un film un po’ verboso ed insolito per Cronenberg che, affascinato dal materiale narrativo, se ne lascia in qualche modo sopraffare senza dominarlo: nonostante l’inizio porti chiara la firma autoriale, il tocco personale del regista si perde ben presto lasciando lo spettatore davanti a un lavoro indubbiamente ben fatto, piacevole e interessante, ma dal sapore neutro, ben lontano dalle prove a cui l’autore canadese ci ha abituato.
Elisa Fontana, icine.it



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Sugli studi e le teorie di Freud e Jung, i due padri della psicoanalisi, sono scorsi fiumi e fiumi di inchiostro negli ultimi cento anni. Lavori complessi, interessanti ma probabilmente non alla portata di tutti. Eppure vale sempre la pena di scavare un po' più a fondo, alla ricerca non solo dell'origine di queste teorie, ma anche del background che le ha favorite e fatte nascere. Chi erano e come vivevano questi due grandi studiosi e pensatori? E, in generale, quanto la vita e l'esperienza personale ne hanno dettato gli studi e, in seguito, gli insegnamenti?
Questa curiosità intellettuale ha fatto nascere ulteriori ricerche ed opere, anche in prosa e cinematografiche, sulle loro vite, più o meno approfondite e/o adatte all'uomo comune piuttosto che allo studioso. Ricordiamo ad esempio Prendimi l'anima di Roberto Faenza, del 2002, o Un metodo molto pericoloso: la storia di Jung, Freud e Sabina Spielrein di John Kerr, libro che ha poi ispirato una pièce teatrale e il qui recensito film diretto dal “mastro indagatore” David Cronenberg, da sempre interessato alle tematiche che scandagliano le pulsioni dell'animo umano.
[…] Lascia perplessi questa rinarrazione della vita e del destino incrociato di queste tre leggendarie menti (più una: quella dell'altrettanto complessato dott. Otto Gross, interpretato da Vincent Cassel in alcuni intensi, ma dispersivi, minuti della pellicola). E proprio dispersivo è l'aggettivo che più si addice all'intera storia, narrata con occhio relativamente superficiale e sempre pronta ad imbeccare lo spettatore, indulgendo troppo nelle pulsioni erotiche fini a sé stesse più che nella vera psicologia indagata. Il tutto si risolve in un biopic incentrato su Jung ma al contempo indeciso sul tempo da dedicare agli altri personaggi e ai loro rapporti. Ne risulta, in finale, una cernita di situazioni e contesti assolutamente arbitraria, che pone in maggior risalto alcune vicende e alcuni tratti caratteristici alle spese di altri. È chiaro che un argomento così complesso pone davanti a delle scelte narrative indispensabili da prendere, ma è anche vero che Christopher Hempton, scrittore di grande esperienza e premio Oscar per la sceneggiatura di Le relazioni pericolose nel 1989, sembra incerto sulla direzione da far prendere alla sua storia, rendendola infine un po' dozzinale e semplicistica, nonostante il materiale a disposizione, che tra l'altro ben conosce. E lo stesso Cronenberg è raramente riconoscibile: nell'indagare le pulsioni più oscure e angosciose di menti come quelle di Freud, Jung, Gross e la Spielrein ci aspettavamo qualcuno dei suoi caratteristici viaggi nella psiche metafisici e conturbanti. E invece l'autore de La Mosca e Il Pasto Nudo sembra cedere al richiamo del mainstream, lasciando interagire un carnet di stelle hollywoodiane su un canovaccio più teatrale che cinematografico, dove si muovono diligentemente ma senza un apparente scopo.
Marco Lucio Papaleo, everyeye.it



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Ogni opera di David Cronenberg è stata sempre difficile da decifrare, faticosamente collocabile all’interno di un qualsiasi tentativo di segmentazione proposto dalla odierna divisione in genere, che per certi versi con autori come il regista canadese può senz’altro aiutare nel comporre il puzzle concepito dalla sua mente, ma il più delle volte finisce per rappresentare un mero tentativo di semplificazione di fronte alla complicatissima e sfaccetta poetica cronenberghiana.
Il suo ultimo lavoro sorprende molto. A prima vista si presenta come un prezioso nuovo contributo a temi molto cari al regista come la malattia, la deviazione patologica e la degenerazione del corpo dell’individuo protagonista delle sue storie; il che ben collima con l’acceso dibattito scientifico fra il patriarca della psicoanalisi Freud e il giovane brillante Jung, che non ha raccolto l’eredità lasciatagli dal predecessore. Ma passata una prima parte interessante, la pellicola si dimostra incapace di apportare un ulteriore contributo alla filmografia dell’autore peccando in un’ingenua e troppo scontata fedeltà al testo di riferimento, il libro di John Kerr Un metodo molto pericoloso.
Tutto ciò relega il film ad una semplice trasposizione cinematografica priva di quegli spunti geniali che hanno permesso a David Cronenberg di affermarsi e di essere apprezzato. Il film privo della sua natura cronenberghiana sconfina in inusuali registri melodrammatici che sorprenderanno i fan del regista e entusiasmeranno i suoi detrattori. L’unico punto che lega il film alla vena d’autore è il concetto di metamorfosi, che qui è senz’altro ripreso ma che diventa quasi un gioco fra i due amanti, più una maschera intercambiabile che un effettivo cambiamento.
In tutto questo rimane ingabbiato anche il talentuoso cast del film composto da una brava Keira Knightley che forse pecca per un’eccessiva esasperazione dell’interpretazione e da un ormai onnipresente Michael Fassbender. Su tutti Viggo Mortensen, nel ruolo di Freud che seppure ammirevole, diventa un personaggio patinato da romanzo ottocentesco.
Francesco Madeo, cinefilos.it



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Ineccepibile dal punto di vista della forma. Regia impeccabile, ottima fotografia, la visione è un piacere costante sul quale non si può davvero obiettare. Tutto fila liscio quindi, fin troppo. Cronenberg non si assume in questo caso nessun rischio di uscire dallo script addentrandosi ad esplorare i rapporti dei tre a modo suo, rimane sempre placato nella forma di elegante rappresentazione dei personaggi, della signorilità dei dialoghi espressa tra i due dotti della psicanalisi, la Knightley, che sebbene racconti i maltrattamenti subiti con gran prodigare di spasmi, ha sempre gli occhi asciutti e un viso sempre troppo poco provato, e nel frangente dell'esternare le emozioni più forti la cosa che non si riguarda solo lei (questo probabilmente avrebbe stonato con la patina della pellicola). Tuttavia nel complesso buona prova per tutti, Fassbender in particolare, la spunta su tutti, più di Mortensen che tutto sommato non da molto. Quindi sembra tutto troppo ancorato ad una certa, seppur ammirevole, cifra stilistica, tutto troppo dosato, moderato e hai la sensazione di non aver ricevuto davvero nulla di più personale da un grande regista, non senti che il corpo della narrazione sia mai in grado di appassionarti appieno, nonostante lo script sia interessante nel suo svolgersi per ellissi, e secondo me la storia sarebbe potuta durare ben di più, ma non c'è spazio... Alas!
Andreacrash, cinerepublic.film.tv.it



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Lui, lei, lui, l'altro. Più che un triangolo, la storia ritenuta fondativa del pensiero psicoanalitico moderno, è un quadrilatero. Dove il quarto elemento, inanimato ma pervasivo, è la psicoanalisi stessa. La relazione tra Carl Gustav Jung, che nella Zurigo dei primi del Novecento si ritaglia la sua fetta di fama medica sfidando a distanza il suo mentore-nemesi Freud, e la diciottenne russa Sabina Spielrein, è una trama di esperimenti terapeutici, autoesorcismi e passione ossessiva. E coinvolge, anche se in modo puramente intellettuale, lo stesso Sigmund eroe eponimo della psichiatria mondiale. L'acclamato David Cronenberg, che di psicologie bipolari e nevrosi distruttive è da sempre un cantore (La Mosca, Il Pasto Nudo e Crash bastano a confermarlo), si inoltra in questa torbida vicenda di pulsioni erotiche e avanguardie scientifiche con un rigore analitico che non concede troppo spazio all'elemento emotivo ma lo ingabbia in una narrazione asettica, volutamente sterilizzata. Una narrazione neutra nel ritmo, nei colori, nei costumi, nei dialoghi. Michael Fassbender è uno Jung ingessato e glaciale, che tradisce i suoi conflitti in poche smorfie contratte e per tre quarti del film sbiadisce nel suo aplomb teutonico. Viggo Mortensen, fedelissimo di Cronenberg (è al suo terzo film in tandem col regista, dopo A History of Violence e La Promessa dell'Assassino) non presta al suo Freud l'autorevolezza vegliarda che ci si aspetterebbe da un gigante del pensiero: rimane, nonostante la barba sale e pepe, il giro vita ingrossato e il sigaro incollato alle labbra, troppo bello, troppo eroico, troppo action man. E Keira Knightley, di cui si è molto lodato lo sforzo per calarsi dal suo olimpo di eroine romantiche e piratesse nella camicia di forza dell'isterica Sabina, si sforza davvero un po' troppo. I suoi tremiti, le sue torsioni facciali, i suoi accessi di follia, sono spinti al limite della caricatura. Riacquista la sua dignità e l'immobilismo che le è congeniale nella seconda metà del film, quando la Spielrein ha archiviato la sua metà oscura e si avvia a diventare la più eminente psichiatra del suo tempo: una voce appaiata, per spessore e innovazione, a quelle degli stessi Freud e Jung. Spicca su tutti il breve, esilarante cameo di Vincent Cassel: brutale e irriverente nei panni di Otto Gross, medico tossico ed erotomane, che appare e scompare nel tempo necessario a Jung per farsi convincere che la monogamia è un'illusione. Il film di Cronenberg scivola in più punti: fin troppo composto, nella sua ansia di farsi cronaca e non melodramma, si arena in un reportage piatto che non esaurisce la cronaca e snobba troppo apertamente il melodramma; è sommario, incompleto nella ricostruzione storica dei fatti (il viaggio in America di Jung e Freud si intravede ma non se ne parla), sbrigativo nello svolgere l'evoluzione dei personaggi. Resta il fascino di una pagina cruciale della storia del pensiero, scritta da menti fervide e visionarie. Ma alla Storia non si deve dire grazie. Dal cinema, quello d'autore, quello di qualità, ci si aspetta invece che sia all'altezza di raccontarla.
Elisa Lorenzini, cinema4stelle.it



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Grande attesa a Venezia per il ritorno alla regia di David Cronenberg con il suo A Dangerous Method. Nato da una piece teatrale di Cristopher Hampton, il film esplora da vicino tre grandi e complesse personalità, i cui destini e le cui relazioni sono indissolubilmente legati alla rivoluzione psicanalitica del ventesimo secolo: tre personalità forti che tentano di trovare un riscontro, nel complesso intrecciarsi dei loro rapporti, alle teorie da loro elaborate. Zurigo, 1904. Il giovane e brillante psichiatra Carl Gustav Jung (Michael Fassbender) si trova a dover curare una singolare paziente, la giovane russa Sabina Spielrein (Keira Knightley), diciotto anni, condizione sociale agiata e una storia di umiliazioni e violenze familiari alle spalle. La ragazza è affetta da una grave forma di isteria che le provoca comportamenti aggressivi e a volte violenti, ma ha anche una mente brillante, parla fluentemente il tedesco ed è intenzionata ad intraprendere a sua volta la carriera medica nel campo psichiatrico. Nel frattempo, le rivoluzionarie idee di Sigmund Freud (Viggo Mortensen) stanno prendendo sempre più piede nel mondo della psichiatria, e lo stesso Jung, seguace delle teorie del medico austriaco, decide di applicare il suo metodo su Sabina. La ragazza migliora sensibilmente, ma intreccia anche una pericolosa relazione con il giovane psichiatra, mentre quest'ultimo, sempre più convinto che le teorie del suo maestro sul legame tra sessualità e disturbi emotivi siano insufficienti per spiegare la genesi di questi ultimi, inizia con questi un rapporto di amicizia prima epistolare, poi personale. Ma l'intreccio del sempre più intenso rapporto di Jung con Sabina, e della sua stimolante amicizia con Freud, porterà a conseguenze imprevedibili, ed emotivamente devastanti, per tutti e tre i soggetti coinvolti. Il film offre a Cronenberg lo spunto per poter ancora una volta, scegliendo un soggetto classico, indagare i contorti percorsi della mente umana. Il regista, continuando coerentemente un discorso già intrapreso nei suoi ultimi film (Spider, A History of Violence e La Promessa dell’Assassino) affronta temi a lui cari quali quello della mutazione, tutta interna alla psiche umana; il binomio amore-morte e le pulsioni sessuali che spesso sfociano in istinti autodistruttivi. Tali temi vengono trattati con estrema asciuttezza e privati di qualsiasi spettacolarità filmica come nella piece originale, solo a tratti infatti la regia si concede scene visivamente più forti (vedi gli incontri clandestini dei due amanti). I personaggi sono nel complesso ben caratterizzati e supportati da prove attoriali brillanti ed emotivamente intense.
Sara D’Agostino, voto10.it



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A Dangerous Method (Un metodo pericoloso) diretto dal canadese David Cronenberg nasce da una sceneggiatura che Christopher Hampton (1946) ha tratto dal suo testo teatrale The Talking Cure (La cura della conversazione, 2002). Un copione che, a sua volta, si è ispirato al libro A Most Dangerous Method (Il metodo più pericoloso, 1994) di John Kerr (1943).
Al cento della storia ci sono i complessi rapporti fra l’ebreo austriaco Sigmund Freud (1856 – 1939), lo psichiatra svizzero Carl Gustav Jung (1875 – 1961) e la russa Sabina Spielrein (1885 – 1942). Quest’ultima, figlia di un ricco commerciante israelita, era stata curata da Jung che l’aveva guarita da una grave forma di disturbo mentale, ne era diventata l’amante per poi affermarsi come psichiatra e schierarsi dalla parte di Freud nella disputa che lo contrappose al suo ex allievo elvetico. Lo scenario è quello dei primi anni del ‘900, passando per le avvisaglie della grande carneficina legata alla Prima Guerra Mondiale e arrivando al pieno della Seconda guerra Mondiale che travolse sia il fondatore della moderna psicoanalisi, costretto a rifugiarsi a Londra per sfuggire alle persecuzioni antisemite, sia la donna, fucilata dai nazisti assieme alle due figlie nei giorni dell’occupazione dell’Unione Sovietica da parte della Wermacht. Il conflitto fra i due grandi studiosi della mente umana fu alimentato da molte discordanze che il film riassume nella certezza dell’austriaco sulla riconducibilità alla sfera sessuale di ogni comportamento umano e la disponibilità dello svizzero a guardare oltre il personale per coinvolgere anche altri fattori, prima di tutto quelli legati all’ambiente sociale. E’ una riduzione sicuramente eccessiva, ma che la regia riesce a tradurre in conflitto avvincente e in immagini precise e laccate quanto basta. Ancora una volta registriamo il contributo che viene alla riuscita dell’opera dalla preesistente base teatrale e la capacità del regista di realizzare il film senza troppo immergerlo in un clima da palcoscenico. Certo, anche qui i dialoghi sono importanti e, in qualche caso, sovrabbondanti, ma ciò che conta è che il passaggio dalla scena al grande schermo avviene preservando le esigenze cinematografiche. Nel caso in questione il cineasta imbocca la via del film classico e lo fa licenziando un prodotto non eccezionale, ma di grande interesse.
Umberto Rossi, cinemaeteatro.com



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Siamo alla vigilia della Prima Guerra Mondiale, Zurigo e Vienna diventano suggestive location di una torbida storia storia d’amore intenta a travalicare i confini della ragione e dell’intelletto e ad esplorare il lato oscuro, latente ed istintuale della sessualità. In quel di Zurigo il promettente psichiatra ventinovenne Carl Gustav Jung (Michael Fassbender) è all’inizio della sua carriera e vive con sua moglie Emma, che è in attesa di un bambino presso l’ospedale Burgholzli. Jung trova una fonte d’ispirazione negli studi e nelle teorie sperimentali del carismatico collega Sigmund Freud (Viggo Mortensen), tra queste la psicanalisi nota anche come terapia delle parole che Jung applicherà sulla tormentata paziente Sabina Spielrein (Keira Knightley), una brillante ragazza afflitta da isteria e considerata paziente difficile e piuttosto aggressiva.
L’incipit della terapia aprirà a Jung nuovi percorsi all’interno del subconscio di Sabina e ne rivelerà un’infanzia segnata da umiliazioni e maltrattamenti da parte di una figura paterna autoritaria e violenta. Quello che però sarà rivelatorio nell’applicazione da parte di Jung della terapia di Freud è la componente sessuale, elemento che si rivelerà principale innesco emozionale del disturbo che affligge Sabina, componente che confermerà le teorie di Freud sul rapporto stretto e concausale fra sessualità e disordini di carattere emotivo.
I risultati della terapia sul caso Spielreine verranno comunicati a Freud da Jung tramite un fitto scambio epistolare che sarà l’anticamera di un’amicizia e di un intenso rapporto intellettuale mentore/discepolo, tanto da portare Freud a vedere nel giovane collega il suo erede intellettuale. Nel frattempo Sabina superato con successo il trattamento intraprende la carriera di psichiatra sostenuta da Jung, mentre Freud chiederà al giovane collega di prendere in cura Otto Gross (Vincent Cassel), anche quest’ultimo uno psichiatra che oltre ad essere un tossicodipendente è un convinto assertore di una sessualità amorale, poligama e borderline, tutti elementi che intrigano Jung sempre in cerca di menti brillanti e pazienti che mostrino i sintomi di una brillante follia latente.
Il regista David Cronenberg, che si è sempre spinto oltre i confini di carne ed intelletto non poteva certo esimersi dal raccontare, stavolta in una suggestiva ambientazione di inizio ’900, gli studi pionieristici dei due padri della psicologia moderna, sempre con la sua chiave di lettura pronta a guardare aldilà dei personaggi e delle loro motivazioni intrinseche, a dare una sbirciatina nell’angolo buio celato nell’essere umano dove la luce della ragione spesso non arriva, una ricerca che attraverso film complessi come Spider ed estremi come Crash ha sempre connotato uno stile carismatico e personalissimo che fa impallidire chi fa del mestiere di cineasta un impiego come un altro.
A Dangeorus Method fa parte di un cammino ben preciso, intrapreso da Cronenberg dopo l’ansiogena fase mutazione/contaminazione conclusasi con il citato Crash ed evolutasi nella iper-violenza all’insegna del crime di A History of Violence e La Promessa dell’Assassino. Cronenberg riprende qui le fila del suo Spider cambiando prospettiva, o meglio aggiungendone molteplici, in un unico film racconta le origini della psicanalisi, le mostra attraverso due medici, ma anche di due pazienti, la tormentata Sabina Spielrein di un’intensa Keira Knightley e l’Otto Gross dell’istrionico Vincent Cassel, quest’ultimo elemento destabilizzante sempre presente, in varie forme ed incarnazioni, nei film di Cronenberg pronto ad implodere e a mostrarci quanto siano labili i confini tra follia ed umanità.
A Dangerous Method è l’ennesima intrigante ed inquetante escursione made in Cronenberg nella labirintica e fascinosa psiche umana e se amate lo stile del regista qui lo ritroverete a piccole, ma incisive dosi, forse un pò imbrigliato dal contesto storico e dal formato biopic, ma senza dubbio capace ancora di esprimere con vigore una classe difficilmente eguagliabile.
Pietro Ferraro, ilcinemaniaco.com



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Nei primi anni del Novecento, con la Grande Guerra imminente, assistiamo alla vicenda intellettuale e sentimentale di Freud, Jung e di quella Sabina Spielrein, paziente di entrambi ed amante del secondo, destinata a diventare una brillante psicanalista e ad influenzare, con le sue teorie, il pensiero dei suoi due più celebri colleghi.
Siamo ad una delle prime sequenze. La prima davvero importante nella pellicola, comunque. Nel volto di Keira Knightley/Sabina Spielrein, che nel corso della sua prima seduta con Michael Fassbender/Jung si contrae in spasmi e smorfie innaturali mentre lei si confessa, c'è la sintesi di uno dei temi portanti di tutto il cinema di David Cronenberg: l'idea e la messa in scena di un corpo che ci conosce meglio di quanto crediamo, un corpo che prima o poi lascia affiorare quello che la mente cerca disperatamente di nascondere.
Per arrivare all'asciuttezza e alla perfezione di quella sequenza, Cronenberg ci ha messo quarantadue anni e venti film, che la critica, a torto o a ragione, a voluto dividere in due “fasi estetiche”. Il primo Cronenberg, con i suoi incubi dove orrore ed erotismo si confondono; il secondo Cronenberg, nero e manierista.
Se davvero questa divisione avesse senso ci ritroveremmo con A Dangerous Method, di fronte a una terza fase della carriera del regista canadese; il film, infatti, pare ugualmente distante dal Cronenberg fanta-horror come da quello Noir.
Ma lo spezzare in due la carriera del regista di eXistenZ non ha senso alcuno. L'estetica di Cronenberg, indipendentemente dai generi narrativi attraversati, è un percorso di rara coerenza estetica e intellettuale. Nel volto contratto della Knightley convergono allo stesso modo le escrescenze vampiresche di Rabid, la lenta mutazione di Goldblum e l'eccessivo accanimento di Viggo Mortesen sui suoi avversari in A History of Violence.
Nella vicenda di Jung e Freud, sceneggiata non senza qualche didascalismo da Christopher Hampton, Cronenberg trova terreno fertile per rielaborare senza fronzoli ed eccessi quello che ha sempre messo in scena nei suoi film. Film di corpi che parlano, che gridano la loro verità a fronte di una mente vigliacca e compromessa.
Questo è il Cronenberg autore, questo è il suo cinema.
Davide Luppi, ilgrido.org

[Modificato da |Painter| 09/11/2011 11:19]
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