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Interviste a D. Cronenberg

Ultimo Aggiornamento: 09/10/2011 14:21
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Sesso: Maschile
09/10/2011 14:21

Le interviste a David Cronenberg per il film A Dangerous Method (2011).


Disturbi e paure sul lettino del Dr. Cronenberg

“Non penso mai ai miei film del passato quando ne giro uno nuovo. Anzi, ho sempre voglia di dimenticarli tutti” – parla con grande sincerità David Cronenberg quando lo incontriamo in una villa di Venezia, pochi giorni dopo che il suo A Dangerous Method […] ha diviso la critica alla sessantottesima Mostra del Cinema. Conversare mezz’ora con il regista canadese è alquanto bizzarro, dal momento che è inevitabile non pensare a tutti i suoi film meravigliosamente disturbanti, per poi ritrovarsi davanti a questa persona dalla parlantina facile e gentile. L’inquietudine non ci abbandona, quasi corressimo il rischio di ritrovarci improvvisamente legati a un lettino con il regista pronto a torturarci e trasformarci in una delle sue creature cinematografiche tipo La Mosca o Videodrome.
Ma seppelliamo tutte le fantasie disturbanti per chiedere allo stesso Cronenberg cosa, invece, disturba lui: “Non sono un tipo che rimane facilmente disturbato. Non so dirvi cosa mi disturba, forse non gradisco che la gente si aspetti da me torture e splatter. Spesso ricevo tante sceneggiature da leggere, possono essere belle storie, ma non basta. Per fare un film devi avere passione, perché è una cosa molto difficile e puoi impiegare anche dieci anni a realizzarlo”.

A Dangerous Method parla di psicoanalisti e psicoanalisi, temi sui quali Woody Allen ha il marchio di fabbrica al cinema…
Woody è famoso per prendersi tanto in giro sul fatto di essere stato in analisi per quaranta o cinquanta anni. Ma proprio per questo ti viene da pensare: sta davvero funzionando? È strano, ma nemmeno Freud faceva così: avevi un problema, andavi da lui e con un numero ragionevole di sedute tornavi a casa guarito. Credo, dunque, che il vecchio Sigmund sarebbe rimasto scioccato dal fatto che un uomo stia in analisi per tutti questi anni!

Quando e come ha cominciato a interessarsi di psicoanalisi?
Penso sia affascinante dire a te stesso: “darò i dettagli della mia vita privata a questa persona che io non conosco. È importantissimo che l’analista sia uno con cui non hai alcun rapporto personale. È una cosa straordinaria dirgli tutto sulla vita sessuale, sui sogni e le paure, in modo che quello ti aiuti a capire te stesso. Perfino sul lavoro si tratta di analizzare la gente. Pensate ai politici ad esempio! Io mi conosco bene come regista. Fare un film è difficilissimo, ci sono tante forze che ti pressano ed è lì che capisci che tipo di regista sei, quali sono le tue debolezze e le tue forze. Per dirigere devi anche affidarti al miglior team che puoi avere, e quindi devi capire le loro psicologie o le abilità.

Anche per questo lavora sempre con le stesse persone?
Sì, ma anche perché sono molto pigro. Ho girato Cosmopolis, e ho montato la mia versione in due giorni. Per A Dangerous Method ce ne sono voluti sei. Dieci anni fa non ero così, quindi oggi capisco meglio il mio metodo: non giro più la scena da diversi angoli e il mio montatore - che mi conosce da trentacinque anni - può immediatamente editare una versione del film molto simile a quella che voglio io. Dopodiché io gli modifico qualche dettaglio.

Recentemente ha dichiarato che la gente è tornata a Freud negli ultimi anni. Anche per lei è così?
Be’, sì mi sento più vicino a Freud. Una delle ragioni per cui lo preferisco è perché non ha mai perso di vista la realtà del corpo umano. All’epoca parlare di vagina, pene, genitali era un tabù. In realtà penso che la psicoanalisi sia molto legata al corpo: Freud parlava di abusi su bambini, incesti e altri temi considerati scandalosi. Eppure lui aveva curato quei pazienti e scoperto i loro traumi provocati da genitori o parenti. Ma la gente non ne voleva sapere nulla e rifiutava la verità. Jung, invece, volava via dal corpo, cercando di negarlo. È in questo momento che Jung diventa, secondo me, una specie di leader religioso più che un dottore. Questo non vuol dire che non fosse in grado di curare la gente.

In A Dangerous Method seguiamo Jung fino a un certo punto della sua carriera. Cosa gli accadde alla fine?
Ho letto un libro intitolato Il libro rosso, scritto da Jung diversi anni dopo il suo esaurimento nervoso e dopo la rottura con Freud [...]. Un libro che è stato tenuto nascosto dalla stessa famiglia dello psicoanalista fino a poco tempo fa. Adesso lo si può comprare ed è illustrato con dipinti delle sue visioni psicotiche: angeli, demoni e mostri. Se leggete la sua autobiografia – scritta solo in parte da lui – noterete che parla di alcune visioni avute a dieci anni, descrivendole chiaramente. Se fossi uno psicoanalista e vivessi nella sua epoca, non ci metterei molto a diagnosticargli disturbi psicotici.
Possiamo, allora, imparare da un uomo come Otto Gross (nel film interpretato da Vincent Cassel)?
Non credo. Lui era un hippie, non aveva le risposte. Prendeva droghe costantemente, credeva nell’amore libero e nel dire tutto quello che gli passava per la testa. Era un po’ come un precursore dell’epoca hippie.

E lei invece, come è stato il suo ‘68?
Be’ anche io ho preso droghe, un po’ di rock n’ roll, e anche un po’ di amore libero…
Pierpaolo Festa, film.it



***

Cosa ha trovato di affascinante in questa storia? Questo è un film abbastanza diverso da quelli che fa di solito. Qui si parla del lato razionale e di quello emotivo del personaggio principale, è una storia intensa.
Devo dire che a me non sembra così diverso dagli altri. Abbiamo dei personaggi carismatici, molto forti, degli scienziati, dei medici, argomento che ho già trattato in passato. Abbiamo un triangolo amoroso, molto inusuale, anche di questo mi sono già occupato. Quindi non c’è niente di nuovo a parte il fatto che queste persone si basano su personaggi storici. Quando lavori a qualcosa del genere, vorresti cercare di resuscitare queste persone, riportarle in vita. Mi piacerebbe parlare con Freud, con Jung, andare a bere qualcosa con Otto Gross. Vorrei che tornassero in vita, allora conduco delle ricerche molto accurate con gli attori. Anche Christopher Hampton ha svolto le sue ricerche per scrivere la sceneggiatura. Abbiamo fatto il possibile per ricreare queste persone, ecco l’elemento inusuale per me, non ho mai affrontato quest’aspetto prima d’ora. Le persone della storia sono tutte brillanti, eloquenti, sono in grado di esprimere il loro pensiero anche quando è astratto e complesso, poi c’è l’elemento sessuale che si mescola con l’intelletto, sono passionali riguardo le loro idee e da qui nasce anche la passione sessuale e tutto si mescola. È strano, potremmo quasi paragonarlo a Crash, la mia versione di Crash, non quella di Paul Haggis. Queste sono le ragioni che mi hanno spinto a lavorare a questo progetto.

È la storia di alcune persone che vogliono infrangere le regole, distruggere i tabù, cambiare la società. Cosa mi dice di questo aspetto del voler rivoluzionare la società, in un momento storico dove c’era segretezza e…
Repressione... Credo sia vero e da artista è facile capire questa situazione, l’idea di un personaggio instabile che non accetta la realtà della società come la vera realtà e crede che ci sia qualcosa sotto, letteralmente nell’idea di Freud, il subconscio, la coscienza nascosta. Nel film facciamo un tentativo artistico. Non accettare quella che è la visione ufficiale della realtà, credi che ci sia qualcos’altro e vuoi arrivare a quello. Penso che questo sia l’obiettivo di ogni artista e anche per gli attori è così. Quando interpreti una scena ti chiedi di cosa parli veramente la scena, cosa c’è sotto. Nella società di Vienna, Zurigo, in Svizzera, tra il 19° ed il 20° secolo, tutto era controllato benissimo, tutto funzionava bene, tutti credevano nel progresso, credevano che l’uomo si stesse evolvendo sempre di più, che si allontanasse sempre di più dal mondo animale per avvicinarsi a quello degli angeli, ma il prezzo da pagare era la repressione ed il controllo, la censura di un certo tipo di creatività non ufficiale. Freud infranse tutte queste regole, qualunque cosa facesse o non facesse, sicuramente cambiò la società e tutti glielo riconobbero, era considerato una persona molto pericolosa.

È interessante il fatto che nel film si parli della vita privata di questi due personaggi che a quel tempo erano come rockstar, erano famosi anche in America. Penso sia interessante proprio questo: sono famosi, sono popolari, sono sotto gli occhi di tutti, ma allo stesso tempo chiudono la porta, si ritrovano in una stanza ad esercitare la loro professione di psichiatri.
Sì. Questi personaggi, queste persone dovettero combattere per ottenere un riconoscimento. Sicuramente Freud lottò per il riconoscimento della psicoanalisi come una procedura medica legittima. C’erano molti ostacoli in questo senso. Uno di questi, del quale lui si rendeva conto, era il suo essere ebreo. Una delle ragioni per le quali voleva che Carl Jung diventasse il nuovo capo della psicoanalisi era perché non era ebreo. Sapeva che in quel periodo a Vienna l’antisemitismo era molto forte, era accettato da tutti. Lo sapeva perché tutte le persone del suo circolo erano ebree. Pensava che ciò che aveva inventato e capito poteva essere bollato come una scienza ebrea e quindi rifiutato per questo motivo. Dovettero sostenere molte battaglie prima di essere considerati i capi di una nuova scienza medica.

Per quanto riguarda Sabina Spielrein, in un certo senso è una donna eccezionale, in un periodo durante il quale le donne non si occupavano di scienza.
Sì, è vero. Sabina fu una precorritrice, non sapevamo nulla di lei fino al 1977, quando a Ginevra furono scoperte le lettere che scrisse a Freud e a Jung. Solo allora si venne a conoscenza della profonda influenza che lei ebbe sul pensiero di entrambi. Era una donna russa che arrivò da Jung come paziente all’età di 18 anni e si rivelò tanto brillante non solo da essere analizzata ma anche da analizzare e divenne anche lei una psicoanalista. È una storia incredibile fatta di ossessione, passione, intelletto, sessualità, tutti elementi meravigliosi.
Mauro Donzelli, comingsoon.it



***

Lei sente A Dangerous Method un lungometraggio contestualizzabile pienamente nella sua vicenda creativa, sia a livello stilistico che contenutistico?
Sapete per me ogni film è un film cronenberghiano per il semplice motivo che è opera mia. E nessun altro l’avrebbe fatta allo stesso modo. Non penso mai ai miei film precedenti, insomma non cerco di inserire per forza degli elementi che avrebbero potuto farlo sembrare un “film di Cronenberg”, per il semplice motivo che è già un film di Cronenberg.

Che cosa la affascinava in questa storia?
Facendo le ricerche sul periodo, si può capire che allora c’era un concetto di progresso ed evoluzione dell’uomo occidentale molto positivo. La gente pensava che ci stessimo evolvendo da uomini ad angeli, e Freud ha detto che non era vero. Ha affermato che sotto la razionalità si nascondono cose che potrebbero esplodere da un momento all’altro. Un concetto molto disturbante per chi credeva nel progresso e nell’ordine.

Un concetto rivoluzionario?
All’epoca si!

I film che parlano di psicoanalisi, problemi sessuali e deviazioni umane sono di solito urlati ed isterici. Lei ha scelto un registro dai toni bassi e molto calmo…
Ha ragione. L’ho fatto perché è un po’ il mio stile ma anche perché ho seguito il ritmo che avevano le lettere che si scambiavano Freud e Jung. Erano dei personaggi incredibili. Riuscivano a dirsi le cose peggiori senza perdere mai la calma e risultavano persino divertenti.

Che tipo di ricerca ha fatto?
Mi piacerebbe molto se la famiglia Jung fosse così gentile da pubblicare le altre lettere della Spielrein, quelle che non sono ancora state rese pubbliche. Non dico solo: c’è già moltissimo materiale nelle lettere rese pubbliche e per me è stato prezioso. Sarebbe interessante leggere altro.
Come vi ho già detto a quell’epoca gli epistolari erano importanti e bisogna tenere presente che in quel periodo a Vienna si consegnava la posta otto volte al giorno, si poteva mandare una lettera alla mattina e ricevere la risposta nel pomeriggio.

Parliamo del cast…
Nessuno credeva nelle capacità di Keira Neightley. E non parlo solo delle scene iniziali, in cui lei ha dell’incredibile. Ha fatto dell cose straordinarie. Viggo Mortensen lo conosciamo e non è la prima volta che lavoro con lui. Michael Fassbender non lo smuove niente. Era pronto con i suoi baffetti in ogni momento ed era sempre sorridente. E se gli chiedevi come mai fosse così di buonumore, lui rispondeva: “sapete è una così bella giornata”.
[…]
Nikola Roumeliotis, cultframe.net



***

Ci descrive il contesto storico temporale che lei ha scelto di rappresentare nel film, a partire dalla nascita della psicoanalisi?
Freud viveva a Vienna sotto l'impero austroungarico, determinato da un atteggiamento di forte antisemitismo. Era una società basata sull'ordine, che dava ai propri cittadini tutto ciò di cui avevano bisogno e si riteneva che il progresso dell'umanità continuasse, che gli esseri umani si stessero trasformando da animali in angeli, che ci fosse la chiave per risolvere tutti i problemi. Sigmund Freud invece con le sue teorie ha dimostrato che sotto questa apparente verità si nascondevano delle forze distruttive per la civiltà, creando un acceso dibattito perché sosteneva che l'umanità era rimasta una tribù, un crogiolo di uomini capaci di compiere gesti distruttivi. Nel film lo vediamo costantemente minacciato per le sue tesi e assistiamo al tentativo da parte dell'intera società di seppellirlo. Motivo per cui vengono alla superficie tutti i pregiudizi che c'erano all'epoca contro gli ebrei e in particolare contro la sua teoria sulla sessualità. L'atteggiamento antisemita sviluppato nei suoi confronti e di tutto il suo gruppo di lavoro, era il motivo per cui Freud ci teneva che Jung diventasse il suo successore e arrivasse a promulgare le sue teorie e a diffonderle. Freud aveva un suo modo di fare tagliente, con un umorismo un po' cattivo, ma non lo ritengo un aspetto negativo perché era positiva la rivoluzione che lui stava portando nel modo di pensare nell'Europa di quegli anni. Su Jung ci sono più testimonianze rispetto a Freud, su Youtube ci sono delle interviste di quando era anziano. Mi è sembrato un personaggio quasi religioso, dolce, con un atteggiamento paterno o da nonno. Certo è comprovato che lui abbia avuto un sacco di relazioni e che sua moglie le abbia tollerate, però ai miei occhi Jung è stato soprattutto un leader religioso ed è il motivo per cui Freud ad un certo punto lo ha attaccato, per questo sua deriva mistica. Per Freud era fondamentale che le sue teorie fossero dimostrate come scientifiche e promulgate da persone che avessero un atteggiamento puramente scientifico.

Che valore attribuisce alla psicoanalisi oggi?
Recentemente ho letto un articolo sul New York Times che diceva che la psicoanalisi freudiana sta diventando molto popolare in Cina e che funziona. E' una cosa sorprendente se si considera la diversità culturale che c'è tra la cultura orientale cinese e quella europea. Jung era arrivato ad affermare che la psicoanalisi freudiana funzionava soltanto sugli ebrei e invece la dimostrazione della sua popolarità lo ha smentito. Negli ultimi 15 anni la psicoanalisi freudiana è tornata molto di moda, attraverso alcuni esami clinici, come la risonanza magnetica e la tac, è stata dimostrata l’esistenza di un pensiero non conscio, simile all'inconscio. Un concetto che Freud aveva identificato e di cui oggi c'è la prova scientifica. Il problema è che oggi un'analisi costa tantissimo, Freud non avrebbe mai concepito un Woody Allen che resta in analisi per 30 anni, avrebbe concepito solo qualche breve seduta per cercare di aiutare una persona a risolvere i suoi problemi e non avrebbe mai immaginato che noi potessimo diventare dipendenti dall'analisi con lo siamo oggi. Ormai gli psichiatri hanno pochissimo tempo per curare i pazienti, un quarto d'ora al massimo a seduta, e a quel punto ricorrono alle terapie farmacologiche, prescrivendo vari farmaci per le diverse sintomatologie, dall'ansia a tutto il resto. Sicuramente è più veloce e costa meno, ma non è detto che risolva il problema.

Questo film basato molto sulla parola e con testi molto teorici da far interpretare agli attori. Come mai l’immagine passa quasi in secondo piano?
Per me il volto è un'immagine forte, un paesaggio visivo importante e il fatto di concentrarmi sui primi piani e sui volti spiega molto di me e del mio tipo di cinema. Ho sentito varie volte usare il verbo “cronenberghizzare”, non voglio essere un regista che viene identificato per qualche cosa di strano, di bizzarro e particolare nel mio cinema. Quando giro sono totalmente devoto alla mia sceneggiatura e al mio progetto e resto concentrato su questo senza stare ad elaborare tutta una serie di teorie sul mio cinema. Invece, riguardo ai dialoghi anche Inseparabili era un film molto parlato. In A Dangerous Method ci sono anche le immagini del lago, c'è tutta l'ambientazione e la ricostruzione storica della Vienna dell'epoca, le location, lo studio di Freud.

Ci descrive la figura di Sabina Spielrein, di Freud e di Jung, dal suo punto di osservazione?
Sabina Spielrein è quella che introduce il concetto di distruzione come forza creativa ed è vero che in questo senso è la scienziata che crea la svolta. E’ una figura che può terrorizzare e che può essere paragonata allo scienziato del mio film La Mosca, perché fa questa scoperta così innovativa e così lontana da quelle che erano le teorie del tempo. Quello che a me interessava in questo film non era tanto la struttura, ma la tematica. Io sono partito dalla piéce teatrale di Christopher Hampton, The Talking Cure, e quello che mi ha incuriosito di più è stato questo mènage à trois a livello intellettuale che si instaura tra di loro. Sabina è il nucleo essenziale del film, è lei che crea la situazione per un'evoluzione della teoria psicoanalitica: da un lato lei è quella che evolve di più, passando dalla malattia e dalla sua nevrosi a diventare lei stessa una psicoanalista, dall'altro mette in crisi Jung sulle sue teorie. Sigmund Freud invece, pur essendo uno psicoanalista affermato che aveva già trovato parecchi elementi scientifici a sostegno delle sue teorie, arriva ad assorbire il contributo che Sabina gli dà introducendo l'elemento fondamentale della pulsione di morte. Ognuno dei tre personaggi arriva, a modo suo, ad un'evoluzione.

Che tipo di ricerca e di documentazione ha fatto sulle teorie psicoanalitiche e come è riuscito a tradurle in materia cinematografica?
Ho letto tantissimi testi di Freud, da sempre. Mi hanno sempre appassionato, non solo per le teorie, ma anche perché sono scritti molto bene e in tedesco hanno un valore letterario. La storia di Sabina l'ho conosciuta attraverso il testo teatrale di Hampton e mi ha affascinato la storia d'amore. Però non volevo fissare l'attenzione solo su questa passione e neanche solo sull'aspetto intellettuale. Mi interessava l'aspetto scientifico, ma volevo cogliere anche quello artistico. Ho utilizzato anche un altro testo, Il mondo di ieri. Ricordi di un europeo di Stefan Zweig che dimostra quanto umorismo c'era nell'ambiente viennese scientifico del tempo. Volevamo essere molto accurati nelle ricostruzioni e mi piaceva l'idea di riprodurre questo scambio epistolare fertile fra tutti gli scienziati e che nel film è concentrato su loro tre. Si diceva che a Vienna la posta veniva consegnata cinque volte al giorno, era come le mail di oggi.

E quello strumento affascinante sulla libera associazione di idee?
E’ la ricostruzione accurata di un macchinario realmente esistito.
Barbara Sorrentini, temi.repubblica.it/micromega-online
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