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RECENSIONI - Rassegna Stampa / 2

Ultimo Aggiornamento: 05/10/2011 19:39
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Sesso: Maschile
05/10/2011 19:38


In terapia da Cronenberg

Qual è il sogno che Freud non vuole rivelare a Jung? Cento anni dopo, gli psicoanalisti di tutte le parrocchie non hanno ancora risposto alla domanda delle domande. «E se fosse stato un sogno omosessuale?» ha azzardato qualcuno l’altra sera, alla proiezione organizzata dal Centro psicoanalitico di Roma di A Dangerous Method di David Cronenberg.
Freudiani e junghiani a confronto sul film che racconta la «riprovevole relazione» tra lo psicoanalista svizzero e Sabina Spielrein, la sua bella paziente e poi amante, ebrea russa che diventerà psicoanalista a sua volta. Peccato che nessuno junghiano si sia alzato per difendere la moralità del maestro, contro quel represso di Freud che nel film di Cronenberg sembra essere ossessionato dal sesso solo degli altri. Ma il sesso con la paziente non si chiamava transfert? «È fissato con il sesso perché non lo fa» spiega a un certo punto Otto Gross, il più depravato di tutti, morto giovane ma dopo essersi divertito con droga e donne più dei due maestri messi insieme.
A quel punto lo spettatore si rilassa perché vede confermato sullo schermo quello che ha sempre applicato nella sua spicciola sociologia quotidiana e verificato al bar: di sesso parla tanto solo chi ne fa poco. Il film di Cronenberg, in questo senso, è terapeutico e aiuta a confermare altre certezze: che portarsi a letto le pazienti è un vizio antico, che il sesso arriva dove non arriva la terapia, che l’emancipazione femminile è ingombrante anche per chi insegna a liberarsi dalle proprie inibizioni, che le corna sono corna anche per uno strizzacervelli, che la psicoanalisi non poteva che essere un’invenzione ebraica.
Una sorta di bignami di Freud nel film meno freudiano di Cronenberg (pensate a Inseparabili o a Crash). «Non sono a favore della psicoanalisi applicata all’arte» ha premesso l’altra sera Domenico Chianese, ex presidente della Spi, prima di sprecare molti elogi per il film. «Si vede che Cronenberg non ha mai fatto l’analisi e non la conosce» ha infierito invece Manuela Fraire, freudiana esperta di Sabina Spielrein, «una grande psicoanalista senza essere moglie di nessuno».
A moderarli Fabio Castriota, presidente del Centro psicoanalitico di Roma. Proprio il dissenso tra i due conferma che non bisogna essere junghiani e freudiani per non andare d’accordo.
Basta essere uomini e donne. Uno ha assistito a un grande film «sulla nascita della psicoanalisi, cioè uomini che guardano il corpo isterico della donna».
L’altra ha visto la «storia immaginaria di due uomini molto potenti e di una donna inquieta che non si ribella all’autorità, il film di un nord-americano che non capisce la cultura europea e non ha capito la grandezza di Sabina Spielrein».
Un sigaro può essere solo un sigaro, diceva Jacques Lacan. Ma un film può non essere lo stesso film per tutti. Anche se freudianamente corretto come questo, girato in ambienti ricostruiti con fedeltà viscontiana, citando testi e lettere esattamente come erano stati scritti.
Peccato che gli junghiani in sala siano restati zitti, senza azzardare altre interpretazioni. Per esempio sul sogno che Freud non vuole raccontare all’allievo per «paura di perdere la mia autorità». E alla fine il dubbio rimane. Se Freud fosse stato innamorato di Jung (e quella sera glielo avesse detto) la storia della psicoanalisi sarebbe cambiata?
Giovanni Cocconi, europaquotidiano.it



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Un metodo pericoloso

La psicoanalisi è probabilmente uno dei terreni più insidiosi per il cinema, e non sembra un’esagerazione l’idea che possa riservare trappole mortali all’arte più popolare che l’essere umano è stato capace di inventare. Non è un caso che solo pochi registi siano in grado di affrontare la sfida con successo, è non è un caso neanche che fra questi ci sia il canadese David Cronenberg, maestro dell’esplorazione degli anfratti del cuore e della mente, superbo rappresentatore di pensieri restituiti all’inconsapevolezza dei substrati inconsci, da sempre generatore di immagini inappellabili e riconoscibili solo a patto di accettare la stessa sfida, quella di raccontare la crudeltà, la perversione e la conflittualità che abitano ciascuno di noi.
Dopo la presentazione in Concorso all’ultimo festival di Venezia, arriva finalmente in sala A Dangerous Method, la storia del triangolo fra Sigmund Freud (interpretato da Viggo Mortensen), il suo allievo Carl Gustav Jung (Michael Fassbender) e Sabina Spielrein (Keira Knightley), amante del secondo e paziente di entrambi. Prosegue così il percorso di rarefazione che ha portato Cronenberg a sublimare i suoi affreschi fisici di strappi, ferite e cicatrici, trasferendo progressivamente nel dominio dell’astratto e del mentale la violenza umana.
Una strada intrapresa dall’autore 68enne, figlio di un giornalista e di una pianista, con alcuni dei suoi film più recenti (tra cui A History of Violence) e che solleva i rimpianti di chi amava i deliri inediti e perturbanti (e mai privi di dialettica ironia) regalati al pubblico da pellicole come Il demone sotto la pelle, Brood, Scanners, Videodrome, La Mosca, Inseparabili e Il Pasto Nudo. A dispetto di queste nostalgie di scarse vedute e lungimiranza, Cronenberg continua a non sbagliare un colpo.
E il risultato, questa volta, ha la superficie di un teorema-labirinto (la sceneggiatura è di Christopher Hampton, portoghese autore di Relazioni pericolose, Chéri, Espiazione) da cui, a meno di non scendere a patti con la propria onestà intellettuale ed emotiva, è impossibile uscire: le pulsioni e gli istinti (di morte) a confronto con repressioni e razionalizzazioni, le umiliazioni del corpo e dello spirito e le metamorfosi, la malattia come chiave della conoscenza. Un cinema, quello di Cronenberg, autenticamente anarchico, il cui carattere (come il regista ha raccontato all’Hollywood Reporter) “non viene dalla ribellione verso la famiglia, piuttosto dall’era Eisenhower, conservatrice e repressiva: Elvis era una minaccia, e per me non è lontano da Freud. Freud era visto come un anarchico perché diceva: è tutta una facciata, la civilizzazione è repressione”. Autenticamente anarchico. Non per tutti.
Annarita Guidi, insideart.eu



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A Dangerous Method: grande film a metà

Diffidate delle idee brillanti. Affidare al visionario Cronenberg un film sul triangolo più incandescente del ’900 (già portato sullo schermo da Roberto Faenza nel 2003 con Prendimi l’anima) doveva sembrare un’idea geniale. Invece A Dangerous Method è un grande film a metà, che si vede con inesausto interesse per l’argomento ma lascia una persistente sensazione di incompiutezza.
Grandi sono i personaggi, i conflitti, i problemi. Imponente lo sfondo storico-scientifico, dagli albori della psicoanalisi (il film si apre nella clinica di Jung a Zurigo nel 1904) alla vigilia del secondo conflitto mondiale. Ma davanti a figure come Freud, Jung e l’ebrea russa Sabina Spielrein (prima paziente borderline destinata a trascinare il suo analista in una relazione molto pericolosa, poi a sua volta brillante psicanalista), perfino il massimo cine-esperto di inconscio e affini si rifugia in una regia elegante ma controllatissima.
Molti dialoghi (dietro il film c’è la commedia di Christopher Hampton The Talking Cure, a sua volta ispirata al libro di John Kerr A Most Dangerous Method). Inquadrature studiate e impassibili. Smorfie e convulsioni esasperate per sottolineare e mettere tra virgolette la «follia» di Keira Knightley, troppo bella e soprattutto troppo apollinea per una masochista che nutriva le ossessioni più inconfessabili.
Lunghi scambi teorici tra Jung e il maestro Freud (un contrito Michael Fassbender e un ironico Viggo Mortensen), con qualche guizzo più personale ai margini del racconto (l’infelicissima famiglia del dr. Freud, chiusa in un rapido scorcio).
Mentre le sonore sculacciate incassate con entusiasmo dalla paziente-amante di Jung sono riprese con un’impassibilità che evita il ridicolo involontario ma non ci fa muovere un passo verso la comprensione dei personaggi.
Dimenticate Crash e Inseparabili insomma. Stavolta Cronenberg non si tuffa tra le viscere dei suoi protagonisti, lo fanno già loro. Ma soprattutto non sceglie un punto di vista preciso, mantenendosi equidistante dai personaggi (e dal contesto storico) fino a rendere tutto nitido e distaccato ma non molto coinvolgente. Un film su commissione, in fondo. Trovata per trovata, ci si sorprende a fantasticare cosa ne avrebbe fatto il Michael Haneke di La pianista.
Fabio Ferzetti, ilmessaggero.it



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Il pericolo di assecondare le proprie deviazioni

Esce A Dangerous Method di David Cronenberg , pellicola psicanalitica con contorno di melo'.
Premesso che siamo davanti ad un ennesimo capitolo della produzione autoriale di un regista eclettico e allo stesso tempo coerente, possiamo cominciare a ragionare sopra questo esperimento via celluloide . David Cronenberg è un antensignano del body horror; con lo scorrere della sua carriera ci ha abituato a soggetti interessanti intrisi di critiche sociali ( sopratutto i primi lavori) usando l'assurdo e il diverso come metafora della normalità.
Dopo La Promessa dell'Assassino il regista canadese torna con un film apparentemente storico psicanalitico , ma carico di una valenza formale in cui si potrebbe riconoscere metà dello sviluppo sociale del ventesimo secolo. La paziente Sabrina Spielrein viene ricoverata in una clinica per malati mentali , agli arbori delle teorie psicanalitiche; lei , donna dotata di estrema cultura e acume, si apre al professor Jung, che preferisce parlare con i "malati" piuttosto che esercitare violenza su di loro. Quello che interessa al regista , qui , non è la storia fine a se stessa, ma il cambiamento dei due protagonisti. La Spielrein parlottando con il medico gli confesserà tutte le sue deviazioni di natura sessuale , il dottore metterà in discussione la sua natura di uomo a prescindere , trasformandosi in un amante, di lei, compiacente e compiaciuto.
Ecco sono le crisi i sentimenti che tengono unita tutta la vicenda , quella di Jung, incapace di accettare la sua natura, quella del suo mentore Freud , incapace di mettere se stesso e le sue teorie in discussione e sempre più dedito a farsi accettare dal mondo accademico a qualunque costo. Certo la psicologia era disciplina in fasce, ma alla noiosa accettazione di quello che si è, forse, era preferibile , provare a cambiare in persone migliori.
Il cambiamento della paziente S , che diventerà una stimata psicologa , curandosi con le teorie di Jung ma sposando quelle di Freud per opportunismo. Cronenberg dipinge un affresco di personaggi umani (ottimo l'inserto del paziente "demone" Vincent Cassel), offrendo da un lato un film che potrebbe apparire superficiale in alcune parti, ma; sapendo di dover affrontare un tema così vasto , dotato di una peculiarità apprezzabile: la scelta. Nel film quello che viene a galla sono le derive umane , necessarie per poter capire l'animo umano: "solo un matto può curare un matto" mai concetto risulterà essere più azzeccato che questo , ribadito dalla Sabrina mutata in perfetta psicologa.
Il personaggio Freud, alla fine del suo percorso e un po' disilluso ha un retrogusto malinconico, il regista riesce a mettere in scena anche le crepe di un mito, rispettandone la dignità e il genio. Pur non essendo davanti ad un capolavoro, il prodotto è godibile e a tratti molto interessante , forse per la presenza di una ricostruzione scenica minuziosa che trasposta nell'atmosfera viennese di quel periodo; sicuramente per la scelta di Keira Knightley ottima interprete di un ruolo estremamente difficile, a rischio di sembrare inadeguata, ma fermandosi, quel giusto, momento prima.
Paolo Quaglia, voceditalia.it



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Freud, Jung e Sabina: quel “dangerous method” versione Cronenberg

Un mènage à trois in bilico tra rispetto delle “norme” e abbandono agli istinti più animaleschi. Non il classico triangolo fatto di sotterfugi e bugie, ma qualcosa di più sottile e raffinato che, avanzando sul filo segreto dell’inconscio, adotta come arma principale la straordinaria potenza del dialogo. E non il triangolo comune: è dell’intreccio amoroso-intellettuale tra il professor Sigmund Freud, il dottor Carl Gustav Jung e la giovane ebrea Sabina Spielrein, prima malata di isterismo e amante di Jung, poi apprezzata psicanalista, che stiamo parlando. A Dangerous Method del canadese David Cronenberg (La Promessa dell’Assassino, A History of Violence), già passato alla 68ma Mostra del Cinema di Venezia e adesso nelle sale con Bim, descrive tutto questo con abile maestria evitando i facili tranelli del “biopic” e interessando fino alla fine non solo per la materia di per sé stimolante, ma anche (e soprattutto) per la perfezione stilistica e la profondità con cui tale materia è trattata.
Scritto dal premio Oscar Christopher Hampton che l’ha adattato dal suo testo teatrale The Talking Cure, il film ci riporta alla vigilia della Grande Guerra. Un’urlante Sabina (l’affascinate Keira Knightley) viene trascinata nell’ospedale Burgholzli di Zurigo e sottoposta alle più orrende pratiche dell’epoca (elettroshock, bagni gelati, ecc.): solo quando la prende in cura il ventinovenne Jung (Michael Fassbender), che su di lei sperimenta il “metodo pericoloso” del titolo, la ragazza comincia a dare segni di miglioramento. Jung scrive a Freud (Viggo Mortensen) chiedendogli consiglio e il “padre” della teoria delle parole glie lo dà. Viene fuori l’infanzia di Sabina che, maltrattata dal padre violento, ora si eccita ogni volta che un gesto o un comportamento la riportano indietro nel tempo. La scoperta conferma le teorie di Freud sul rapporto tra sessualità e disordini di carattere mentale ma c’è un problema: per il lungimirante Jung, sposato alla ricca e incinta Emma (Sarah Gadon), Sabina non è più solo una paziente. Che fare? Rispettare la deontologia professionale o prendersi la bella ragazza?
Il rapporto epistolare tra i due medici, intanto, si fa sempre più intenso e oltre ai preziosi consigli, Freud manda a Jung il “pericoloso” Otto Gross (Vincent Cassel), psichiatra anche lui ma psicopatico, sostenitore della poligamia e nemico acerrimo di ogni forma di morale. Il suo motto è “non reprime mai nulla”, sarà lui a spingere il fragile dottore tra le braccia di Sabina. Medico e paziente intrecceranno una “liaison dangereuse” (tra le scene la Knightley carponi e seminuda che si prende le sculacciate da Fassbender in occhialini), ma a un certo punto Jung ha paura: la moglie sospetta, se la verità viene fuori può arrivare la rovina professionale e lui decide di troncare. Da Sabina ci si aspetta una ricaduta nella follia e invece no: lei è una mente brillante, si è laureata in psicoanalisi e si è fortificata, a tal punto da inserirsi nel rapporto professionale e umano (già alla frutta) tra Freud e Jung. Anche il “maestro” sarà sedotto dall’intelligenza (e non solo) della ragazza, ma tra loro non ci sarà mai nulla. Fuori dal film Sabina diventerà un pioniere della psicologia infantile, i documenti ritrovati negli anni ’70 proveranno la sua forte influenza sul pensiero degli illustri maestri, anche se nella storia della psicoanalisi a stento viene ricordata. Riuscirà persino ad avere una vita normale: si sposerà e avrà due figlie ma morirà con loro nel 1941, fucilata dai nazisti nella sinagoga di Rostov, in Unione Sovietica.
Tornando alla finzione, a Venezia i tanti fan di Cronenberg si sono divisi: alcuni l’hanno amato per essersi confermato “grande narratore e grandissimo direttore d’attori”, altri sono stati spiazzati per non aver ritrovato quella rappresentazione estrema e allucinante della realtà che lo ha reso uno degli autori più quotati al mondo. Come la si pensi A Dangerous Method è indubbiamente un bel film, che prende per una buona serie di ragioni. A sedurre sono prima di tutto i dialoghi: non si era mai vista una pellicola in cui si parla così tanto e dove temi come l’interpretazione dei sogni, l’Io e l’Es, il transfert, le pulsioni sessuali e tutto il resto vengono scandagliati così bene. Ovviamente Cronenberg ha tratto vantaggio dagli ottimi ingredienti di base – storia intrigante, sceneggiatura impeccabile e tre attori di sicuro appeal – e però la ricetta non può riuscire se non si è in grado di combinare tutti gli elementi nelle giuste dosi.
Non è questo il caso. Qui ogni pezzo del puzzle si incastra perfettamente con l’altro: dai colori delicati di scene e costumi alle inquadrature semplici e autentiche, fino all’attenzione meticolosa per i particolari dell’epoca, tutto è lì per sostenere attori e dialogo. Il risultato è un contrasto originale tra il ritratto estremamente freddo della superficie e l’evolversi delle passioni violente che pulsano in profondità, per descrivere un mondo dove tutto è teso a controllare (invano) le pulsioni indicibili di chi lo abita. Allo spettatore resta una storia di esseri umani che, cercando di allontanare i propri pazienti da comportamenti “folli”, si rendono conto di quanto certe “norme” siano assurde e che loro stessi, come tutti noi, prima o poi devono fare i conti con i propri istinti. A Jung, che preferisce zittire gli impulsi più selvaggi e però sarà colto da una lunga crisi depressiva, è affidata la frase chiave: “talvolta bisogna compiere qualcosa di imperdonabile per continuare a vivere”.
Marialuisa Di Simone, rbcasting.com



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A dangerous Fassbender

Dopo essere rimasto (ingiustamente?) a bocca asciutta alla Biennale di Venezia, David Cronenberg cerca il consenso del pubblico delle sale per il suo A Dangerous Method, in uscita il 30 settembre.
Ci vuole coraggio. Molto coraggio. E anche parecchio talento per guidare la macchina da presa nell’indagine della psiche dei padri della psicologia/psicanalisi: Carl Gustav Jung e Sigmund Freud. Lo psicanalista viennese è da sempre avvolto da un’aura di sacralità e di mito, ogni volta che si pronuncia il suo nome. Ma di Freud non esiste solo il mito. I suoi detrattori sostengono che egli in primis fosse troppo ossessionato dal sesso, tanto da ricondurre praticamente ogni patologia psicologica proprio all’ambito libidinoso. Non è un caso che proprio di sesso e pulsioni erotiche si parli nel film di Cronenberg, e che sia questa la ragione della rottura dei rapporti tra Freud e Jung.
1904, Zurigo. Una giovane ragazza di nome Sabine Spielrein (Keira Knightley) viene portata in analisi dal giovane psicanalista Carl Jung (Michael Fassbender), cresciuto sotto la stella di Sigmund Freud (Viggo Mortensen) e ansioso di mettere in pratica i risultati delle sue ricerche sulla mente umana. Grazie al caso clinico della ragazza, in cui Jung vede una potenziale ottima psicanalista, il dottore riesce finalmente a conoscere Freud e a instaurare con lui un rapporto di forte amicizia e di intensa collaborazione scientifica, benché le loro idee sin da subito sembrino divergere: l’austriaco troppo pragmatico e legato al sesso, lo svizzero più mistico e positivo verso il recupero delle potenzialità dei pazienti. Freud domanda al giovane di prendersi cura di Otto Gross (Vincent Cassell), un medico depravato che spingerà Jung nelle braccia della sua paziente ninfomane. Per il giovane sarà un cambiamento radicale, che porterà anche alla definitiva rottura con Freud.
Premesso che il cinema non è una scienza esatta e che dunque non è vero che con la giusta alchimia di elementi si otterrà il massimo risultato, è pur vero che difficilmente un regista affermato che dirige attori da Oscar produrrà un fallimento. A Dangerous Method conferma questa tesi, infatti il ritmo narrativo e le scelte registiche di Cronenberg sono arricchite dal talento degli interpreti. Tarantino l’aveva detto: “State attenti a Michael Fassbender, quel ragazzo ha davvero qualcosa di speciale”. L’ex bastardo senza gloria si aggiudica (per Shame) la Coppa Volpi per il miglior attore a Venezia, e anche in questo film mostra tutta la sua abilità recitativa, portando in scena un Carl Gustav Jung dilaniato dal desiderio, dall’incapacità di scindere tra paziente e amante – colpa di cui storicamente è stato spesso additato – e dall’impossibilità di conciliarle sue idee psicanalitiche con quelle di Freud. Tornando al padre della psicanalisi, Viggo Mortensen non è da meno, con il distintivo sigaro perennemente tra le labbra e le continue allusioni sessuali che, assieme a un pragmatismo ossessivo, ne costituiscono il modus operandi, spesso criticato. I dialoghi tra i due sono eccezionali, lasciando lo spettatore affascinato e colpito sia dalle teorie esposte, sia dalla retorica con cui sono espresse. La vera stella è però lei, Keira Knightley, con un’interpretazione emozionante e coinvolgente nei suoi momenti di crisi nervosa, nei suoi attacchi isterici, nella sua follia. La regia di Cronenberg è gradevole, con un ritmo narrativo fluido e scorrevole, benché il tema trattato non sia certo dei più leggeri o dei più semplici da portare su grande schermo. Sappiamo che il regista non si è mai tirato indietro di fronte a scene crude (basti pensare al body-horror Crash), e A Dangerous Method non fa eccezione, in quanto il sesso, argomento cardine del film, è mostrato senza alcun tabù e non mancano sequenze di straordinaria intensità fisica ed emotiva.
La critica alle teorie di Freud sembra abbastanza evidente, come del resto la condanna alla personalità di Jung, che troppo facilmente è stato influenzato da Gross. Il tutto in un film da applausi. Quante statuette?
Lorenzo Bianchi, persinsala.it



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In nome del metodo. Amori e segreti dei padri della psicanalisi

Quando il giovane Jung incontra una strana paziente la sua vita cambierà per sempre. Dal 30 settembre al cinema, la passione senza freni che influenzerà fatalmente anche il rapporto con Freud e il loro approccio alla “cura delle parole”.
Amore e rivoluzione si scontrano, si intrecciano, si amplificano in questa storia ambientata alla vigilia della prima guerra mondiale e che coinvolge e travolge un giovane Jung (l’affascinante Michael Fassbender), una ragazza isterica, Sabina Spielrein (la straordinaria Kiera Knightley ) e il già affermato Sigmund Freud (un geniale Viggo Mortensen).
Negli anni sorprendenti in cui la nuova metodologia si sperimenta e si diffonde, Carl Gustav Jung incontra Sabina Spielrein, un’avvenente ragazza russa affetta da una grave isteria dai risvolti aggressivi. Jung decide di sperimentare sulla donna il trattamento di Freud noto all’epoca come “terapia delle parole”.
Grazie alla corrispondenza sul caso Spielrein, Jung instaura un rapporto di amicizia con Freud, ma sarà proprio la Spielrein a interporsi tra loro quando rivelerà a Freud che il giovane discepolo intrattiene con lei una relazione segreta che contravviene alla deontologia e alla morale dell’epoca: Jung, infatti, è sposato con Emma (una ispirata Sarah Gordon) che farà di tutto pur di non perderlo.
Sarà solo l’inizio di un complicato rapporto a tre che si snoderà attraverso gli anni e che ci renderà partecipi della fragilità e dell’umana sofferenza di personaggi che, cercando di ricondurre i propri pazienti all’interno delle “regole”, finiscono per rendersi conto che una norma non c’è e che loro stessi, come tutti, vivono a contatto con una dimensione proibita e selvaggia e non possono far altro che cercare di gestire queste contraddizioni nel miglior modo possibile.
Fino, a volte, a portarla all’estremo come nel caso dello psichiatra Otto Gross (l’immenso Vincent Cassel) che sarà affidato da Freud a Jung come paziente, ma la cui terapia non darà i risultati sperati. Gross si dichiarerà guarito, ma continuerà la sua vita di tossicomane e impenitente don Giovanni fino a morire di stenti a Berlino, a guerra finita.
La sceneggiatura del film si basa su fatti realmente accaduti e vanta la firma del premio Oscar Christopher Hampton. Hampton ha sviluppato il materiale traendolo da suo un testo teatrale intitolato The Talking Cure (La terapia delle parole) che a sua volta si ispira al romanzo Un metodo molto pericoloso di John Kerr (edito da Frassinelli).
David Cronenberg si è appassionato al soggetto per la sua abbondanza di trame e sottotrame che si svolgono in un momento storico denso di conseguenze: “Sapevo che il testo teatrale conteneva una grande ricchezza di spunti per lo schermo. Questa storia di passioni dilanianti all’ombra di quell’evento immane che è stata la Prima Guerra Mondiale, permetteva di scandagliare a fondo due intense relazioni inestricabilmente intrecciate fra di loro. Il fatto che i protagonisti fossero personaggi di grande spessore realmente esistiti, e che il triangolo fra Jung, Freud e Sabina abbia di fatto dato vita alla moderna psicanalisi, rendeva il tutto ancora più intrigante”
Angelo Simone, persinsala.it



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Ritratto di psicoanalisti con signora consapevole

Partendo dal centro della vicenda, su un piroscafo che dalla vecchia Europa giunge negli Stati Uniti, il dottor Freud dice al dottor Jung: “Secondo voi lo sanno che stiamo arrivando a portare la peste?” Non possiamo che sorridere.
Il consueto estremo di Cronenberg si rifugia nelle molte parole del suo ultimo film. Parole in forma di libere associazioni, esortazioni, insinuanti decodificazioni di reconditi desideri, che seppero rivoluzionare la cura delle malattie dell’anima agli albori del secolo scorso e che oggi accompagnano e sostengono il male di vivere e le crisi di molti di noi. Nelle ultime quattro generazioni, alla psichiatria violenta e coercitiva, quella da fine pena mai, si è affiancata la talking cure del dottor Freud. Dalla pièce di Christopher Hampton, Cronenberg ne racconta gli albori, i primi passi, attraverso un mondo che sta cambiando vorticosamente e i cui conflitti sfoceranno nella Grande Guerra; ma qui il contesto storico è davvero esiguo.
In un giorno dell’inverno del 1904 in una clinica di Zurigo viene ricoverata con la forza Sabina Spielrein (Keira Knightley), giovane figlia di un facoltoso mercante russo. Il corpo magro è scosso da spasmi che rompono le sue parole. Il giovane dottor Jung (Michael Fassbender) decide di sperimentare il nuovo metodo del viennese dottor Freud (Viggo Mortensen): una novità avversata da accademici oppositori. In breve tempo, Sabina impara a fare i conti con il senso di colpa che le nasce dal piacere peccaminoso che prova quando è percossa e umiliata, originato da un Edipo nutrito di vergate negli sgabuzzini dell’infanzia. Così, una giovane donna ricca, colta e malata, col desiderio di diventare medico, è la ragione dell’incontro e della relazione tra il padre della psicoanalisi e quello che per breve tempo sarà il suo delfino.
Parole, molte, che accompagnano per ore e ore i loro incontri: nella modesta casa di Vienna, alla presenza dei molti figli di Freud avvezzi a dissertazioni sulle pulsioni dell’eros, o a Zurigo, nella bella casa di Jung, emblema di una confortante e invidiabile ricchezza acquisita sposando Emma (Sarah Gadon). Quest’ultima, non è chiaro quanto sia nell’intenzione dell’autore, è una signora consapevole e lontana dagli eccessi, che con parole, pochissime, e molti sguardi, coglie le debolezze e risponde, con apparente mitezza e sostanziale fermezza, alle minacce che si addensano sulla sua vita coniugale. Freccia scagliata dall’arco di Freud è poi il paziente psichiatra tossicomane Otto Gross, cameo di Vincent Cassel, che si oppone al freno degli istinti e affidato alle cure di Jung inciterà il maestro a riconoscere e appagare un desiderio profondo e corrisposto per Sabina, nel frattempo liberata dalla psicosi e sulla buona strada per diventare anch’essa terapeuta.
Cronenberg racconta i primi passi di una vera rivoluzione del pensiero occidentale. Il suo Freud, un po’ impacciato, sottilmente frustrato, con qualche grano d’invidia ma capace d’ironia, si circonda di persone di poco conto per restare in luce. Gustav Jung, è incerto, depresso e preda di tormenti della carne e deontologici, ma nonostante tutto continuerà a “peccare”, dopo arriverà Toni, un’altra paziente anch’essa aspirante psicoanalista. Al centro è Sabina, la donna che creò la frattura, figura riemersa dall’oblio negli anni ’70 del nostro secolo a Ginevra, grazie al ritrovamento di un carteggio e già raccontata da Aldo Carotenuto in Diario di una segreta simmetria e da Roberto Faenza in Prendimi l’anima (2003). La Spielrein, allieva di Freud, appartiene alla prima generazione della psicoanalisi mondiale; è sua la tesi dell’atto d’amore come supremo annientamento della personalità sacrificata all’altro, come morte dell’individualità e pulsione distruttiva che sarà sviluppata da Freud nel suo Al di là del principio del piacere. Lasciata Vienna, prosegue con gli studi di psicologia infantile, suo allievo sarà Piaget, e prende parte all’esperienza educativa dell’Asilo Bianco a Mosca, esperienza per un’educazione alla libertà. Muore nella sinagoga di Rostov nel ’42 trucidata dai nazisti.
Gelido, denso di parole e dalla ricerca formale che rasenta la perfezione, A Dangerous Method non convince a fondo. Appare troppo semplice: tutte le tessere si incastrano in una concatenazione di causa-effetto, sostenuta da umane contraddizioni e rivalità tra docente e discente. Insicurezze, idiosincrasie, maschilismo e lotta per affermarsi, é quasi banale. Fragili sono i demiurghi che guardano al profondo e che con riluttanza sondano se stessi; e la donna, o è madre incapace di erotizzare il maschio, o è un’isterica che calamita passioni adulterine, ma con brillante intelligenza. Cronenberg ci dice che, se intellettualmente è rivoluzione, umanamente è miseria. Godibile, ma per lo spazio della sua durata, in seguito nessuna traccia.
Fabrizia Centola nonsolocinema.com



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Perché tanti affannosi sforzi per soffocare i nostri più elementari istinti naturali?
David Cronenberg presenta alla 68° Mostra d'Arte Cinematografica di Venezia, A Dangerous Method, un film sulla turbolenta relazione fra il giovane psichiatra Carl Gustav Jung, il suo mentore Sigmund Freud e Sabina Spielrein, la bella paziente che si interporrà fra loro.
Cronenberg ha compiuto quest'anno 68 anni, e il suo ultimo film è una summa dei temi da lui indagati nel corso della carriera, sotto varie prospettive: l'uomo, la malattia, il corpo, la psiche, il desiderio, le pulsioni inconsce che guidano l'agire umano. Keira Knightley, Viggo Mortensen, Michael Fassbender e Vincent Cassel lo accompagnano al Lido. Un cast di attori giovani, voluti fortemente dal regista per un film in costume che ricrea il clima di un'epoca che ha cambiato la storia della ricerca psicanalitica.
Zurigo, 1904. Un urlo di donna squarcia la composta campagna svizzera. Carl Gustav Jung (Michael Fassbender) è un giovane e brillante psichiatra all’inizio della carriera, e vive con sua moglie Emma, incinta, presso l’ospedale Burgholzli. Ispirandosi al lavoro di Sigmund Freud (Viggo Mortensen), Jung decide di tentare sulla paziente diciottenne Sabina Spielrein (Keira Knightley), affetta da una grave isteria in seguito a un’infanzia segnata da umiliazioni e maltrattamenti da parte del padre, il trattamento sperimentale di Freud noto come psicanalisi o “terapia delle parole”. La terapia psicanalitica porta alla luce una inquietante componente sessuale del disturbo di Sabina, che conferma le teorie di Freud sul rapporto fra sessualità e disordini di carattere emotivo.
Jung inizierà una corrispondenza con Freud, che vede nel giovane collega il suo erede intellettuale, sul caso Spielrein. Intanto il trattamento ha buoni risultati su Sabina, che rivela una mente brillante e inizia una carriera universitaria nella medicina.
Freud chiede a Jung di prendere in cura un collega psichiatra, Otto Gross (Vincent Cassel), tossicodipendente e convinto sostenitore della più spregiudicata amoralità. Gli argomenti di Gross contro la monogamia influenzeranno Jung, che metterà da parte il rigore etico per abbandonarsi ai suoi sentimenti verso Sabina. I due avviano una relazione sessuale violando i confini del rapporto medico/paziente.
I punti di vista di Freud e Jung sulla psiche inizieranno ben presto a divergere. Jung contesta la rigida aderenza di Freud alle teorie sulla sessualità, e inizia a inserire nel suo lavoro anche una componente mistica. Intanto cercherà di rompere con Sabina, tormentato dai sensi di colpa, e si allontana drasticamente e irreparabilmente dal maestro.
Sabina metterà fine al rapporto con Jung, bisognosa della sua libertà. Incontrerà Freud e comincerà a lavorare con alcuni dei suoi pazienti, affermandosi come brillante terapeuta.
1934. Sabina, ormai sposata e incinta, fa visita a Jung. Il matrimonio di lui è sopravvissuto alla loro relazione e ha ora una nuova amante. La Seconda Guerra Mondiale si avvicina e Jung non è più il giovane uomo pieno di ottimismo che abbiamo incontrato all’inizio. Ha imparato molto, ma nel far questo ha anche danneggiato profondamente le persone che lo circondavano e se stesso.
La sceneggiatura di A Dangerous Method nasce a metà degli anni Novanta. Christopher Hampton (già vincitore di un premio Oscar) ha sempre nutrito un profondo interesse nei confronti della psicanalisi, e si è documentato a lungo sulla relazione tra Jung, Freud e Sabina, visitando anche l’ospedale Burghölzli di Zurigo, dove ha letto le cartelle cliniche relative al caso Spielrein. Per Cronenberg ha dunque adattato per lo schermo il suo testo teatrale The Talking Cure, a sua volta ispirato allo studio Un metodo molto pericoloso (A Most Dangerous Method) di John Kerr, che prende avvio dal ritrovamento nel 1977 in uno scantinato ginevrino dei diari, lettere, abbozzi di scritti inediti dei due celebri psicanalisti e di Sabina Spielrein, ancora poco nota.
Certamente la figura di Sabina Spielrein è ancora misconosciuta (del suo rapporto con Jung si è occupato Roberto Faenza in Prendimi l'anima, che non si sofferma però sul rapporto tra Jung e Freud), ma la sua influenza nello sviluppo delle teorie psicanalitiche di Freud e Jung è tutt'altro che trascurabile. È stata una delle prime psicanaliste donne, oltre che pioniere nel suo campo specialistico, quello della psicologia infantile. Nel 1912 presentò alla Società Psicanalitica la sua teoria secondo cui l’istinto sessuale contiene sia una componente distruttiva sia una componente dinamica che tende alla trasformazione. Questa dissertazione prova che Sabina ha influenzato fortemente il pensiero di Jung e di Freud: dall’idea di Jung secondo cui gli archetipi del femminile sono presenti nell’uomo e gli archetipi del maschile sono presenti nella donna (principio di trasformazione), fino alla teoria freudiana della libido e dell’istinto di morte. Freud ha riconosciuto successivamente il suo debito intellettuale verso Sabina, mentre Jung, forse a causa della natura della loro relazione, non lo ha mai ammesso pubblicamente. Solo grazie alla scoperta delle cartelle cliniche di Sabina, del suo diario personale e della corrispondenza con Jung e Freud, ora pubblicata, è apparsa chiara la sua influenza sulle idee di entrambi.
La fotografia si allinea perfettamente alla scenografia e alle scelte di regia (la macchina da presa è molto stabile, senza movimenti stravaganti). È sorprendente la chiarezza dell'insieme che emerge da una ricostruzione raffinata e delicata degli ambienti e dei costumi dell'epoca, tesa a sostenere i dialoghi senza avere il sopravvento su di essi.
La precisione del metodo di lavoro di Cronenberg è ben nota. Stavolta sono state perfino utilizzate penne d'epoca e sono stati creati campioni della calligrafia di Freud e Jung su cui gli attori potessero esercitarsi, visto che l'elemento epistolare è molto importante all'interno del film.
“Con A Dangerous Method ho cercato di fare un film elegante che parlasse di abissi emozionali, ma non perdesse la capacità di sedurre lo spettatore. Mi hanno stimolato alcuni insoliti dettagli intimi della vicenda, che sono illuminanti per comprendere i tre protagonisti, e che restituiscono il senso di un viluppo di legami intellettuali e carnali capaci al tempo stesso di intrappolare e liberare le loro coscienze”, ha dichiarato Cronenberg, da sempre attento scrutatore della complessità dell'essere e dell'agire umano.
Una storia affascinante che non si sofferma esclusivamente sulla tematica amorosa e passionale, ma scruta le dinamiche intime del tradimento (di un marito verso sua moglie, di uno studente verso il suo maestro), dell'ambizione, dell'inganno, sullo sfondo del più vasto respiro della Storia.
Sandra Bardotti, wuz.it



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Cronenberg porta sul grande schermo non solo l’incontro/scontro tra Freud e Jung ma anche la storia d’amore tra quest’ultimo e Sabina Spielerein, sua paziente
Dopo A History of Violence e La Promessa dell’Assassino, questa volta David Cronenberg indaga sui misteri della psiche. Con A Dangerous Method, questo il titolo del suo ultimo lavoro, il regista porta sullo schermo la vera storia dell’incontro fra il giovane psichiatra Carl Gustav Jung, il suo mentore Sigmund Freud e Sabina Spielrein, una bella e giovane paziente affetta da una grave forma di isteria. Presentato in concorso alla 68ma Mostra Internazionale d’Arte Cinetografica di Venezia, la pellicola vede protagonisti rispettivamente Michael Fassbender, Viggo Mortensen e Keira Knightley. I tre attori, ben diretti da Cronemberg, riportano in vita tre figure cardine per la storia della psichiatria moderna.
Siamo nel 1904, Zurigo e Vienna sono lo scenario di formidabili scoperte che rivoluzioneranno per sempre la concezione della sessualità e della coscienza umana. Un terreno tanto misterioso quanto pericoloso che sarà incontro (prima) e scontro (successivamente) per Freud e Jung: pioniere il primo, suo erede intellettuale il secondo. Ma il caso di Sabina Spielrein, inizialmente motivo d’incontro tra Freud e Jung, in un secondo momento sarà una delle cause del loro allontanamento. Infatti, come è noto, Freud cominciò ad essere sospettoso della divergenza verso il misticismo delle teorie del giovane Jung. Ad aggravare la situazione il rapporto amoroso che quest'ultimo, influenzato dall’incontro con il collega/paziente Otto Gross (un efficace Vincent Cassel) intraprende con la giovane paziente. Emblematica la scena in cui i due psichiatri solcano le acque di un lago in una barchetta, quasi a voler significare il viaggio intrapreso da entrambi tra i flutti della mente umana.
La pellicola prosegue così su questo menage a trois fatto di incontri, corrispondenze e lunghe conversazioni. Essendo la sessualità una delle tematiche principali del film, non dovrebbe destare “scalpore” la scena in cui Fassbender frusta una svestita (per la prima volta) Keira Knightley. Non solo per questa scelta ma anche per la sua performance attoriale l’attrice sicuramente colpirà il pubblico. Infatti se nella prima parte Keira rende magistralmente l’isteria del suo personaggio, attraverso un corpo “spezzato”, smorfie e urla , nella seconda parte la bell'attrice si mostra in tutto il suo splendore e la sua sensualità. Bravo anche l’astro nascente Fassbender che, nonostante non abbia ricevuto la Coppa Volpi per questa interpretazione ma per Shame (altro film con cui era in concorso a Venezia), convince materializzando la frustrazione di Jung nel rapporto con la moglie, la sua sete di conoscenza e l'iniziale conflitto interiore e titubanza nel concedersi a Sabina (che una volta guarita verrà spinta dallo stesso Jung ad intraprendere la professione di psicoanalista).
Oltre alla regia e agli attori, altri sono gli ingredienti che fanno di A Dangerous Method un bel film. La sceneggiatura scritta dal premio Oscar Christopher Hampton (Espiazione) nonché autore di The Talking Cure, testo teatrale da cui è tratto il film. Le belle musiche cariche di pathos e composte dal vincitore di tre premi Oscar Howard Shore (la trilogia de Il Signore degli Anelli) capace di donare organicità e ritmo alla pellicola. Curiosa, infine, la scelta di Cronenberg di adoperare per la maggior parte delle riprese un’elevata profondità campo che, soprattutto nelle scene in cui i protagonisti si confrontano, permette allo spettatore di “focalizzarsi” su entrambi senza essere influenzati dalle scelte di messa a fuoco del regista.
Massimiliano Valenzano, agoranews.it
[Modificato da |Painter| 05/10/2011 19:39]
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