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Il Potere in Videodrome - analisi

Ultimo Aggiornamento: 20/07/2011 10:25
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Sesso: Maschile
20/07/2011 10:25


LA GHIGNANTE REALTÀ DEL POTERE

Max Renn, interpretato da un convincente James Woods, è il proprietario di una piccola emittente televisiva che trasmette filmati e immagini pornografiche. Un giorno, un collaboratore di Renn pare intercettare alcuni filmati strabordanti di sadismo e violenza. È il segnale Videodrome. Si snoda a partire di qui una vicenda che modificherà radicalmente la stessa percezione della realtà di Max. Il segnale, infatti, non rappresenta qualcosa di neutro, ma fa sviluppare, a coloro che vi sono esposti, un tumore al cervello e nel caso specifico di Max lo trasformano in un automa programmato per uccidere. Questo è quanto accade nel film, tuttavia la tematica che intendo esporre in riferimento alla questione del potere così come viene rappresentata da Cronenberg è qualcosa che non può non trascendere ogni nostro eventuale progetto di sinossi. La forza di Videodrome si trova, io credo, tra le pieghe del film, è nel mare sempre procelloso delle sfumature che siamo chiamati a muoverci. Seguendo una simile linea interpretativa, nel film s’incontrano alcune battute che sembrano essere sintomatiche dell’atmosfera entro la quale si muoverà l’intera vicenda: “Diamo alla gente ciò che la gente chiede”. “Cerchiamo l’eccitazione per l’eccitazione” confessa candidamente Max davanti alle telecamere di un talk-show al quale era stato invitato a partecipare. È questo uno dei punti chiave del film, dal momento che dall’altra parte dello schermo, apparentemente collegato dal suo studio, si trova un certo prof. O’blivion, che in seguito scopriremo nel ruolo di vittima illustre del segnale Videodrome.
Lo schermo televisivo, nelle parole del prof. O’blivion, si viene a caratterizzare come l’unico vero occhio della mente umana. O’blivion è un nome di fantasia, ma tra non molto, profetizza in termini ragionevoli, tutti avranno nomi di fantasia. Eppure, oltre ad essere un nome di fantasia, O’blivion, è un nome che allo stesso tempo intrinsecamente suggerisce l’intima appartenenza di questo personaggio ad una vita mass-mediatica, nella quale ognuno rappresenterà se stesso come posto all’interno di una video-arena, un video-circo, la gabbia dorata di Video-drome. Considerando tali termini pertanto, pare legittimo postulare che la connessione strettissima e perversa che Cronenberg ha di mira è quella tra spettacolo e realtà, ma con quale diritto di precedenza dell’un termine sull’altro? Senza alcuna precedenza, sarei tentato di rispondere, dove, piuttosto, si assiste ad una disorientante trasfigurazione senza requie dell’uno sull’altra e, per converso, della seconda sulla prima in un moto di sostanziale circolarità. O’blivion fa a tal punto parte del turpe baraccone mass-mediatico di Videodrome, pur restandone vittima, che la chiesa da lui fondata si definisce catodica.
Va, inoltre, considerato che lo stile del film sembra suggerire sin dall’inizio come possibile chiave di lettura il grande tema della massificazione dell’industria culturale. L’impressione è quella di assistere ad una rappresentazione che avverte il bisogno di spersonalizzarsi al fine di affermare se stessa. Intendo dire, che Cronenberg pare dotare ciò che rappresenta di un formato visivo che solitamente appartiene al genere del telefilm seriale classicamente statunitense. L’intera società americana si trova, qui, più che messa alla pubblica gogna, posta di fronte ad uno specchio, che tragicamente le rimanda la propria immagine. In questo itinerario interpretativo può inserirsi anche un aspetto spesso affrontato da certa cinematografia particolarmente critica verso i cosiddetti poteri forti ossia il problema della feticizzazione assegnata agli oggetti.
La televisione, mercificatrice e resa feticcio di una società infantilmente retrocessa ad uno stadio magico della coscienza, non è più soltanto un oggetto che veicola contenuti ad essa estrinseci, ma, al contrario, i contenuti vengono ad essere una sorta di metafora delle idee che appartengono agli individui umani, mentre la televisione assume sempre più i connotati di ciò che generalmente siamo soliti definire corpo in un’accezione fisica. È a questo livello che, a mio parere, possiamo individuare la perversione lungo la quale scorre tutto Videodrome: la televisione è l’altare sul quale il potere recita i propri sermoni. Il vero dramma è che l’altare come il corpo sta in piedi anche senza idee ed anche senza sermoni. La televisione è il solo, vero ed unico feticcio che la società rappresentata da Cronenberg è capace di venerare. Ne consegue – per adottare una forma lessicale acutamente fatta abusare al prof. O’blivion – che la lotta per il possesso delle menti sarà combattuta attraverso il mezzo-vivente della tv.
A questo punto del film, sfiorando il parossismo, Cronenberg, abbatte anche l’ultima roccaforte a difesa del principio di realtà, giacché la televisione assume i connotati della realtà – dice O’blivion, quasi un alter-ego dello stesso regista – e la realtà non può che divenir meno della televisione. L’esito non potrà che essere disumanizzante, le videoallucinazioni create da Videodrome provocano, infatti, tumori al cervello.
In un contesto che sembra risentire di atmosfere cyborg, Cronenberg continua a seguire la traiettoria del film in modo tragicamente coerente fino a dire che l’unico occhio che l’uomo ha a disposizione è lo schermo televisivo. Lontano da ogni sorta d’implicazione a carattere prospettico attraverso la quale ciascun soggetto sarebbe capace di guardare il mondo con altri occhi, l’uomo di Cronenberg può solo accogliere l’ultimo Dio che la società tardo industriale e post-moderna (ed il nesso non è affatto casuale!) gli offre, al punto di arrivare ad implementarlo nel proprio cervello.
La fine del pensiero sembra fare la sua comparsa ad un livello prettamente percettivo, ciò che appare in televisione è la nuda realtà. Una realtà intesa, naturalmente, come video-allucinazione. Qui, tuttavia, il soggetto della regia cronenberghiana non è come potrebbe sembrare ad una prima visione il concetto di realtà. O, per meglio dire, Cronenberg sviluppa l’intero film prescindendo a priori da ogni qualsivoglia interpretazione oggettivistica della realtà vissuta dall’uomo. Sin dall’inizio, pertanto, la realtà di Videodrome, potremmo dire servendoci di un paradosso, non esiste. L’unico piano del reale effettivamente riconosciuto da Cronenberg è quello della percezione. La realtà dirà, infatti, O’blivion-Cronenberg che “altro è se non la percezione della realtà”.
Il soggetto della rappresentazione diviene la morte in presa diretta del pensiero umano, la sua esaltazione, la sua esasperata ed esasperante spettacolarizzazione. È questo un punto estremamente delicato del film e, parimenti, di assoluta centralità. Il pensiero umano, accogliendo dentro di sé la luce del tubo catodico, ne raccoglie ogni contenuto. Il feticcio-tv può essere, giunti a questo punto, venerato con una fede che si colloca al livello del fanatismo con tutti i contenuti che chi gestisce il potere riconosciuto all’oggetto feticcio è in grado di veicolare.
La metabolizzazione del potere si compie a questo livello del film; il feticismo della comunicazione non ne rappresenterà altro che il fedele e inconsapevole esecutore. Parimenti un simile processo di metabolizzazione coincide anche con la stessa morte fisica dell’uomo e del suo pensiero, perché il segnale Videodrome, come detto, provoca un tumore consistente in una crescita di carne nel cervello. Il rilievo metaforico di queste immagini di Cronenberg è, a mio avviso, straordinario. La carne che cresce nel cervello di O’blivion, Max Renn e di tutti coloro che si espongono al segnale Videodrome sembra voler rappresentare il destino delle società occidentali in generale, e di quella americana in particolare, i cui soggetti sono vittime di convulsioni provocate dall’eccessiva produzione di informazioni che soffoca ogni capacità di giudizio critico, ogni atto che sembri prevedere una scelta in grado di far balzare, chi lo compie, fuori dalla gabbia d’acciaio di weberiana memoria. La carne continua a crescere, e non si assiste, com’era stato nelle aspettative di O’blivion, ad una sincronica crescita del cervello umano, ma, viceversa, alla sua fine. Il problema, tuttavia, è costituito dal segnale Videodrome e non dalle immagini, con la qual cosa Cronenberg puntualizza, prendendo posizione su un aspetto di nuovo centrale. Le immagini, infatti, ci sarebbero comunque, anche senza alcuna forma di potere, le immagini ci sono sempre state e l’uomo non sembra poterne fare a meno.
La perversione, pertanto, si annida nel segnale Videodrome che esprime una forma di potere ed è animato da un grande disegno di conquista delle menti umane. Ciò che il potere ha di mira sembra essere un gigantesco sistema di allucinazioni programmate. Il potere in Videodrome, qui il film di Cronenberg soffoca il proprio potenziale di complessità che, invece, avrebbe meritato un riconoscimento maggiore, prende le sembianze del tutto umane del sig. Convex.
A questo punto del film la narrazione, per non perdere quota, è chiamata a scegliere l’opzione politica. Barry Convex è un grande magnate del settore ottico a capo della Spectacular Optical, industria che incarna perfettamente quel capitalismo rozzamente e brutalmente cosmopolitico di matrice storicamente anglosassone, per cui in ogni quando e in ogni dove “pecunia non olet” e allora giù a fare con la medesima disinvoltura di Convex, appunto, occhiali speciali per il terzo mondo e sistemi di guida per i missili Nato.
Il potere, nell’opera cronenberghiana, è strettamente avviluppato ai meccanismi di funzionamento della società. Esso è un intero sistema, un gigante acefalo, un liquido capace di insediarsi ovunque. Il sistema di potere ha le sembianze di un’infernale macchina che non si può distruggere in quanto non la si afferra mai. Cronenberg sembra lasciar aperta la via dell’interpretazione del potere, ma non quella di un suo sovvertimento violento, come prefigura il personaggio di Montag in Fahrenheit 451, a cui dovrebbe far seguito la palingenesi della società liberata. Tuttavia, ritengo che su questo punto sia necessario chiarire ulteriormente per non incorrere in perigliosi fraintendimenti.
Nel film di Cronenberg non manca il disegno alternativo al potere, esso anzi è più manifesto rispetto a quanto si trova in Fahrenheit 451, impersonato dalla figlia di O’blivion prima e dallo stesso Max Renn poi. La resistenza fatta da Max al potere si traduce in un duplice assassinio, tra cui quello di Convex, ma culmina nel suicidio dello stesso Max; mentre la resistenza della figlia di O’blivion non è altro che di natura passiva. Essa conserva le cassette girate dal padre prima di morire, continuando in questo modo a tenerlo in vita e apre gli occhi a Max nel momento in cui gli rivela la sua ossimorica condizione di “automa cosciente”: “La possono programmare come un videoregistratore”. La resistenza che la figlia di O’blivion fa al potere di Videodrome si sostanzia da ultimo in queste azioni. Intendo dire, che mai si ha la prefigurazione di un progetto di natura sociale alternativo. Entrambi, Max e la figlia di O’blivion si ribellano, ma scegliendo due strade terribilmente funzionali al potere. Quanto detto può risultare plausibile facendo riferimento anche ad un altro ordine di motivi.
Il potere in Videodrome è un sistema, ciò significa che non è mai riferibile soltanto al singolo individuo, ma lo trascende, il segnale Videodrome è destinato a diffondersi trovando ogni volta nuovi Barry Convex. Ciò accade proprio perché la struttura è stata metabolizzata assieme ai contenuti, a livello capillare, come sintomaticamente rappresenta Cronenberg nel momento in cui Convex inserisce nella pancia, ossia, nella parte molle del corpo di Max, la videocassetta che contiene nuovi filmati Videodrome. Il sottotesto qui evocato sembra essere l’avvenuta metabolizzazione della visione della realtà come frutto di una videoallucinazione programmata.
Max è ridotto allo stato di cosa, egli è divenuto un contenitore, un ibrido che in un barlume di coscienza umana trova il coraggio di riscattarsi. E pure è un riscatto che ha la durata di un attimo e che lo condurrà non ad una fuoriuscita dal sistema, bensì alla decisione più drastica, la cancellazione di se stesso dal sistema. Un sistema, quello del potere, presentatoci come labirintico, al punto che si potrebbe anche parlare di poteri, e, al tempo stesso, capace di farsi portatore di un proprio progetto al quale puntare.
Cronenberg non mette in bocca un tale progetto a Convex, come ci si sarebbe potuti aspettare, ma all’assistente traditore di Max. È lui, infatti, a fingere di captare il segnale Videodrome per la prima volta e a mostrare il contenuto a Max. Pertanto Cronenberg sembra scegliere un manovale del potere il quale tuttavia incarna alla perfezione quei caratteri che rendono il potere diffuso e vincente: “L’America è debole e il resto del mondo aggressivo. Dobbiamo essere puri e anche forti”. Lungo questa via, il regista canadese riesce ad individuare, rappresentandocelo, il vero ganglio del potere, quel cittadino medio americano il cui indifferente lasciarsi vivere pare costituire il concreto presupposto per la sua segregazione tra le pareti del fun all’interno delle quali, ormai da troppo tempo, istericamente si dimena.
Francesco Guerra, Fucine Mute
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