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L'anomalia è l'uomo

Ultimo Aggiornamento: 20/07/2011 10:00
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Post: 529
Sesso: Maschile
20/07/2011 10:00


L’ANOMALIA È L’UOMO

Dice Cronenberg: «Per me, all'inizio c'è il corpo. È ciò che siamo, ciò che abbiamo. Siamo tutti come degli attori che si agitano sulla scena della vita e la prima cosa che abbiamo sono i nostri corpi fisici, la nostra esistenza. Nei miei film il corpo è sempre al centro. Gli giro attorno come fa un pianeta col sole. Non me ne allontano mai. E se ciò accade, più me ne allontano, meno mi sento sicuro di me. Come se diminuisse la gravità.»
Niente a che vedere, però, con la lezione classica. La centralità del corpo nel cinema di Cronenberg non è il risultato di un antropocentrismo logico e narrativo; è piuttosto una questione materica, come accade in molto cinema moderno: un'attenzione che scende dritta dall'arte contemporanea ed esplode sullo schermo, al di là dell'attore, del personaggio, del divo. Il corpo è il soggetto, non il soggetto di un'identificazione. È la superficie della scrittura e, soprattutto, dell'inscrizione della trasformazione. E, in particolare, dell'anomalia. Il corpo vale, cioè, come grado zero di esistenza della persona (drammatica e non): il dramma si svolge e manifesta meglio nel e a partire dal corpo; e il dramma è, in primo luogo, l'anomalia.
Shivers (Il demone sotto la pelle), con cui Cronenberg esordisce nel lungometraggio nel 1975, ha il valore di un manifesto: dentro il corpo, non semplicemente sul corpo, agisce l'orrore, attraverso il corpo si propaga, a causa del corpo finiscono infettati sentimenti e ragioni. L'anomalia è il progetto del dottor Hobbes: moltiplicare le possibilità dell'esistenza fisica, modificarne la struttura e rendere sovrani gli impulsi. Si profila qui uno dei grandi temi di tutto il cinema di Cronenberg, da cui spesso nasce l'anomalia horror o thriller): l'equilibrio, destinato all'imperfezione, tra carne (materia) e cervello (scienza). Perfino A History of Violence (id., 2005) vi ritorna, lavorando sul contrasto tra la "coscienza" di un corpo che vorrebbe dimenticare una sequenza di gesti e azioni compiute nel passato e la debolezza del controllo razionale.
L'anomalia manifestata dal corpo finisce così per testimoniare e rendere tangibile, in molti casi, l'azione colpevole di un superomismo mefistofelico. Sia !'"idrofobia" di Rabid (Rabid - Sete di sangue, 1977) che la metamorfosi aberrante di La Mosca discendono da un progetto medico/filosofico non diverso - per ambizioni e, soprattutto, per la violazione dei confini "divini" dell'essere umano cui mirano - da quello progettato da Hobbes. L'effetto anomalo, distruttivo e sanguinolento, coincide dunque con la condanna deWhybris umana; la proporzione del corpo, la sua unità e funzionalità risultano compromesse a partire dalla violazione di una regola divina. L'anomalia diventa epidemia, il corpo, più che mai, metafora (Cronenberg, assieme a Romero, è l'unico a essere sempre riuscito a riscattare in termini simbolici l'uso sfrenato dell'armamentario splatter e a sotterrare nel racconto della formazione e propagazione dell'anomalia una lezione di ordine morale).
Intaccando la tenuta del corpo, l'anomalia, quasi sempre, esplode e fa esplodere. La distruzione del limite-pelle e la decadenza della saldezza carnale sono i principali veicoli figurativi attraverso i quali essa si manifesta, portando fuori ciò che è normalmente dentro, spargendo ciò che è abitualmente contenuto, frammentando l'intero e dando visibilità al contagio. Il corpo, del resto, è al tempo stesso ciò che protegge e veste e ciò che espone e trasmette. Cronenberg, trasformandolo in una costante del suo cinema, fa del contagio fisico la principale forma di comunicazione tra esseri umani, rendendolo inarrestabile. L'anomalia contagiosa conduce all'animalizzazione, le "ragioni" della carne prendono il sopravvento sulla mente, il contagio rimpiazza le possibilità comunicative (e l'urto/devastazione, come rivela Crash [id., 1996], sostituisce il contatto/piacere sessuale). Non fa eccezione Scanners (id., 1981), simmetrico e opposto: l'ennesimo dottore e l'ennesimo progetto scientifico dedicati a trasformare il corpo in appendice, gonfiando le possibilità della mente. E le teste, inevitabilmente, esplodono.
La centralità dell'anomalia fisica e comunicativa nel cinema di Cronenberg non è dunque il riflesso di una visione distorta - il suo stile ha modi decisamente classici. Né, come detto, ha origine in una seduzione horror o splatter. L'anomalia è, piuttosto, una piega onnipresente della normalità, pronta a manifestarsi ogniqualvolta la normalità viene sconvolta o perturbata. L'anomalia assomiglia per questo, il più delle volte, a una rottura e a una generale "rinascenza": l'accoppiamento col tema della generazione/parto lo rivela bene; l'anomalia non è mai passeggera, è il segno di una mutazione più profonda. Che Cronenberg ricorra al lessico del cinema horror, la dice semmai lunga sulla sua visione del mondo. Anomalo è l'uomo ogni volta che cerca di intervenire sull'ordine che lo circonda e sul suo destino; inevitabilmente, ne rovina l'impianto o ne è risucchiato, come gli anti-eroi dei suoi ultimi film, inchiodati a una storia da cui non possono, pur desiderandolo, abdicare. L'immagine è statica e la deformità onnipresente; la sfiducia nelle possibilità dell'uomo ha un sapore cosmico. Lo rivela bene, infine, il trattamento cui Cronenberg sottopone la tecnologia (medica e scientifica, in primo luogo) all'interno dei suoi film. I computer, i laboratori di analisi, gli strumenti dei due inseparabili, le trasmissioni televisive di Videodrome (id., 1983), le celle di Seth Brundle The Fly (La Mosca, 1986), gli esperimenti ludici di Allegra Geller (eXistenZ, id., 1999)... La tecnologia, intesa come prolungamento/perfezionamento della facoltà umana di intervenire sulla vita dell'uomo, si traduce abitualmente nell'origine dell'anomalia. Non è mai soltanto una questione di errore: la tecnologia stessa è l'anomalia, con le sue promesse e i suoi sconfinamenti. E il corpo, in genere, ne fa le spese: l'uomo è la cavia da laboratorio delle sue stesse vanità. Perché l'anomalia, in fondo, è l'uomo.
Luca Malavasi, Cineforum n.477
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