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"History" secondo Gianni Canova

Ultimo Aggiornamento: 22/05/2011 10:46
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Sesso: Maschile
22/05/2011 10:46


A History of Violence secondo Gianni Canova

[…] “Noi ci interessiamo a un motore e al suo funzionamento solo quando avvertiamo una qualche anomalia, solo quando non funziona. Lo stesso accade con i personaggi: è il momento in cui le cose vanno male quello che fa scattare l’interesse e la curiosità dell’artista. La normalità e la funzionalità non fanno storia, difficilmente reggono un film”. History of Violence si colloca proprio in questa scia: racconta di un personaggio apparentemente “normale” che all’improvviso manifesta una singolare forma di anomalia.
[…]A History of Violence può essere letto sia in una chiave particolare (“una storia di violenza”) sia in una universale (“una storia della violenza”), quasi a voler suggerire – sin dal titolo – il doppio regime di senso che attraversa tutto il film. […] Qui siamo di fronte a un impianto narrativo molto più lineare e verosimile, decisamente “classico”, senza salti enunciativi, senza flashback indecidibili, senza contaminazioni fra diversi livelli o statuti di realtà. […] Anche questa volta Cronenberg sceglie le modalità di messinscena più consone a comunicare quel che gli sta a cuore […], la congenita presenza della violenza nella quotidianità dell’esistenza umana. […]
Mostrare quanto sia labile il confine che separa la presenza della violenza dalla sua assenza (dalla sua rimozione), rendere visibile la hybris che abita la nostra tranquilla quotidianità. Non a caso, in una scena […] il figlio del protagonista viene insultato e aggredito negli spogliatoi della scuola […]. La violenza è già qui: nella volontà di dominio. […] Ambientato in una cittadina […] al contempo del tutto realistica […] e del tutto simbolica (l’orologio pubblico fermo […]) mette in scena la vicenda di un uomo comune […] che un bel giorno si vede obbligato a fare i conti con il proprio passato, e con un’identità che credeva di aver rimosso e cancellato. […] La sua mutazione non è compiuta, la storia lo condanna a essere un ibrido, e a scontare un destino opposto ma analogo a quello di Seth Brundle, protagonista di La Mosca. Quello si vedeva diventare un altro contro la sua volontà, e non riusciva a continuare a essere quello che era e che voleva essere; questo invece non riesce a diventare un altro nonostante la sua volontà, ed è condannato a continuare a essere anche quello che ha deciso di non voler essere più. […] Tom e Joey sono […] il doppio che riemerge dall’identico. E non a caso è proprio Carl Fogarty, lo “sfregiato”, l’uomo a cui Joey ha strappato un occhio, colui che vede Joey in Tom […]. Non è con Carl che deve combattere Tom […]. È contro se stesso. È lui a minacciare la stabilità della propria vita […]. È il passato che insidia la normalità del sogno americano: il trauma originario, il crimine irrisolto e non purificato […]. Quando il figlio refrattario alla violenza impugna in fucile […] e spara al killer […], la scena è inquadrata più volte da Cronenberg da dietro i vetri di casa, in una sorta di soggettiva senza soggetto: […] è la famiglia, l’anima della casa, che contempla in campo lungo l’esplosione della violenza come condizione dolorosamente necessaria per tutelare la pace e la propria possibilità di esistere. […] Solo dopo aver coinvolto i suoi familiari nel lavacro del sangue, Joey può […] andare a chiudere i debiti con quel che è stato, percorrendo a ritroso il cammino che lo riporta al suo passato […]. La violenza, alla fine, svela il suo volto intimamente fratricida. Anche in rapporto diretto con quella riflessione sulla fraternità consanguinea che Cronenberg aveva già esplorato almeno in due film, Scanners (1981) e Dead Ringers (1988). Nel primo un fratello si fa simile all’altro per cercare di redimerlo, nel secondo due fratelli gemelli soffrono perché non riescono a diventare reciprocamente “altri” e diversi. Qui uno dei due fratelli (il cattivo) vuole punire il secondo (il buono) perché è diventato “altro” da quello che era. […]
La scena del suo ritorno a casa è di una forza e di una bellezza sconvolgenti […]. “Non ci sono mostri”, aveva detto il padre alla figlia appena risvegliata da un incubo all’inizio del film. Diceva la verità e al contempo mentiva: il mostro era lui. Ora ha gettato la maschera.
tratto da: Gianni Canova, David Cronenberg (ed. Il Castoro, 2007)
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