La Zona Morta secondo Gianni Canova
[…] La trascrizione cinematografica di Cronenberg non segue alla lettera il romanzo, ma ne coglie e ne rende alla perfezione lo “spirito” […]. Cronenberg ha trovato in King il materiale più idoneo a sviluppare la riflessione che aveva impostato nei suoi film precedenti.
[…] C’è qualcosa di cristologico o di messianico nel personaggio di Johnny Smith […], può compiere miracoli e, soprattutto, è in grado di proteggere i “buoni” e di punire i “malvagi” […]. Nessun altro film di Cronenberg presenta un sistema dei personaggi così apparentemente rigido e dicotomico […]. Ma tale rigidità è, appunto, solo apparente: […] proprio in questo film la sua riflessione sulla costituzionale ambiguità delle immagini raggiunge uno dei suoi esiti estremi.
[…] La “zona morta” di Johnny, quel
buco nero coscienziale che gli consente solo di “vedere”
l’altrove spazio-temporale, ma anche di alterare e cambiare il corso degli eventi, significa […] che l’utopia mass mediale si è come “incistata” nel suo corpo […]. In tutti i suoi film degli anni Ottanta, del resto, Cronenberg lavora
sempre sulla […] possibilità di estendere il controllo sullo spazio e sul tempo anche oltre i confini materialmente raggiungibili col corpo […]. In
La Zona Morta sperimenta invece la possibilità di usare il tatto per estendere il dominio visivo del corpo in tutte le direzioni della temporalità.
[…] Cronenberg preferisce – in piena consapevolezza – far derivare la “seconda vista” del personaggio solo dal trauma che ha subito. Il che significa che proprio il non aver visto in tempo un ostacolo (l’autocarro in mezzo alla carreggiata) diventa paradossalmente l’evento generatore che consente in seguito di vedere in ogni direzione del tempo. […] Si insinua il “virus” cronenberghiano dell’
ambiguità. Lo suggerisce chiaramente lo stesso regista […]: “Malgrado tutto, non sono sicuro che sia giusto che Johnny uccida Stillson, mi piacerebbe che il film lasciasse un retrogusto di ambivalenza. Se si concepisce il film come raccontato dal punto di vista di Johnny, come in effetti è, non si può essere sicuri che non sia un altro di quei pazzoidi che dicono di aver visto il futuro e di sapere ciò che dev’essere compiuto. Da questo punto di vista
La Zona Morta è moralmente ambiguo”. […] Il nocciolo teorico della sua riflessione è ancora quello di
Videodrome: abituati a considerare la macchina da presa come una sorta di “narratore onnisciente” […], ci obbliga a fare i conti con i paradossi del vedere. […]
Nel mondo del cineasta canadese non c’è posto per salvifici e messianici redentori. Per questo Johnny non è, come qualcuno ha scritto, uno dei pochi eroi positivi del cinema cronenberghiano, quanto piuttosto l’altra faccia del professor O’Blivion di
Videodrome: un altro testimone – sia pure, in questo caso, involontario – del fatto che ormai “l’unica realtà è quella che percepiamo coi nostri sensi”. […] Ci induce a identificarci con un
corpo mediale (quello del protagonista) finalmente attrezzato alla complessità tecnologica del mondo. Cronenberg elimina dal film tutti i riferimenti immediatamente politici presenti nel romanzo di King (Nixon, i Beatles, ecc.) per concentrarsi esclusivamente su ciò che negli anni Ottanta sta trasformando radicalmente le forme e le strutture stesse della categoria del “politico”: l’avvento di una civiltà mass mediale planetaria che obbliga tutti a […] ridefinire lo statuto comunicativo.
tratto da: Gianni Canova, David Cronenberg (ed. Il Castoro, 2007)