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Esplorazioni meccaniche

Ultimo Aggiornamento: 08/05/2011 10:56
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Sesso: Maschile
08/05/2011 10:56


ESPLORAZIONI MECCANICHE


Nella sua algida fucina il mulciber Cronenberg forgia da sempre strumenti che aiutino i suoi personaggi a porsi in relazione dialettica rispetto a quella "verità" che sta oltre la superficie del corpo. Sostituendo il fuoco di Vulcano al gelo a lui istintivamente più familiare, Cronenberg celebra il metallo asettico, chirurgico, immutabile (a differenza della carne) benché spesso agente stesso della mutazione, eleggendolo a materia più consona per aprire il varco, esplorarlo, penetrarlo, per consentire di avanzare in quella ricerca intorno all'identità che è questione centrale in tutto il suo cinema.
La messa in scena di questa celebrazione assume, come elementi fondanti la rappresentazione, non solo lo strumento metallico e il suo disvelamento, costruito come quello di un vero e proprio personaggio, ma anche la descrizione del luogo dove l'operazione sul corpo si compie: laboratorio, sala operatoria o officina, esso viene descritto dalla macchina da presa come spazio chiuso, privato, circoscritto, scrigno segreto in cui riporre e custodire i propri instrumenta artis, ma anche teatro dell'operare, endogeno e senza ritorno, del e sull'uomo croneberghiano.
È in questo spazio che si compie dunque il passaggio all'atto nell'utilizzo dello strumento stesso, quello che rivela quella concezione della scienza come disciplina puramente tecnica (utilizzata cioè secondo una logica strumentale e finalizzata a un'utilità immediata) che si impone fin dall'inizio nella filmografia del regista canadese. Già in Stereo (1969) e Crimes of the Future (1970) facevano infatti la loro comparsa profetica tavoli chirurgici e arnesi utilizzati per sezionare ciucci di gomma o esplorare narici da cui spuntavano misteriose radici fatte di cellule nervose; e solo qualche anno più tardi, abbandonata la ricerca underground, in Shivers (Il demone sotto la pelle, 1975) le mani tremanti del dottore scartavano un bisturi prima di utilizzarlo per sezionare il corpo della ragazza poggiato sul tavolo del soggiorno: quei due corpi nudi, l'uno pronto a penetrare con il metallo prima e con le mani poi l'addome dell'altra, mentre un enorme occhio su fondo rosso incombe inquietante alle sue spalle, segnavano il fulcro di quella che si configura come un'approssimativa domestica sala operatoria.
Ma se la medicina, e la chirurgia nello specifico, si offrono fin dai primordi come discipline fondanti la ricerca croneberghiana, è con Rabid – Sete di sangue (Rabid, 1977) che la medicina comincia a muoversi parallelamente all'altra ossessione tecnica ricorrente nella sua topica: la meccanica.
Chirurgia e meccanica diventano in questo film non solo le discipline che consentono l'esplorazione di una realtà altra ma anche quelle responsabili della generazione stessa di una realtà altra. Svelandosi e fondendosi nella rappresentazione dei due luoghi in cui tutto ha inizio le due tecnai (nel senso specifico di arte e mestiere in cui lo strumento metallico ha un ruolo centrale) affermano infatti la propria funzione chiave nella prospettiva generativa (o de-generativa) tanto cara alla poetica di Cronenberg.
La sala operatoria in cui Rose sta per intraprendere il suo irreversibile cammino da una parte, e l'officina in cui Hart cura la sua moto dall'altra vengono infatti rappresentate come i luoghi dove di compie o si è compiuto l'atto generativo: quello della malattia da una parte, quello del mezzo causa primigenia dall'altra; strumenti metallici e asettici da una parte, arnesi metallici e ingrassati dall'altra; adagiati su candidi cuscinetti gli uni, custoditi in multiple cassettiere e su pannelli di compensato gli altri.
Lo strumento comincia dunque qui ad essere presentato con quella liturgia della messa in scena che si andrà via via raffinando caricandosi di un portato simbolico sempre più determinante nell'equilibrio dell'indagine cronenberghiana. Plongé sull'arnese che invade l'inquadratura: geometria perfetta, rasoio piatto e lucente che di lì a breve inciderà la pelle di Rose prelevandone dalla superficie del corpo quel lembo fatale che getterà la città nell'epidemico scompiglio; dettaglio sui cassetti rossi che si aprono svelando al proprio interno un ventaglio di arnesi metallici atti ad ogni intervento sulla macchina.
E di questa liturgia della presentazione dello strumento se ne troverà spesso la riproposizione fino all'enfatizzazione massima nei due film che più raffinatamente degli altri celebrano lo strumento in quanto chiave di volta nell'articolazione dei sistemi rappresentati.
Sembra infatti legittimo poter leggere negli strumenti ginecologici per operare donne mutanti progettati dal dottor Beverly Mantle in Dead Ringers (Inseparabili, 1988) l'estremizzazione paradossale del prelevatore di pelle del dottor Keloid di Rabid. Così come era deposto su un piccolo cuscino quello, allo stesso modo ora sono celati da un panno sterile i ben più lavorati, lucenti, algidi e terrificanti strumenti ginecologici; ed è analogo anche il loro apparire in scena, svelandosi improvvisamente nella bluastra sala operatoria dei rossi fratelli Mantle come segno del non ritorno. In quel momento, rendendo visibile la non mostrabile deriva psicologica di Bev, gli strumenti denunciano come quella stessa logica strumentale della medicina che animava le ricerche sugli innesti dermici del dottor Keloid, sia stata ormai trasformata definitivamente (come definitivo è ogni percorso dei personaggi cronenberghiani) in paradosso.
D'altro canto il puntatore e lo sparabioporta maneggiati da Gas nell'officina della stazione di servizio di eXistenZ (id., 1999) potrebbero a buon titolo essere letti come l'evoluzione degli utensili metallici del garage di Hart in Rabid. Tra chiavi inglesi e ferri di ogni sorta, nella stessa identica metallica cassettiera rossa a più scomparti del giovane motociclista, Gas custodisce quei pesanti propulsori blu e grigi che, stando a metà tra una pistola per uccidere i bovini e un trapano a percussione, apriranno a Pikul le porte dell'altro mondo. «In the game... You are God... God the mechanic!», dice Gas a Pikul nella più esplicita delle dichiarazioni tecno-superomistiche di tutta la filmografia di Cronenberg.
Processi mentali, stati interiori, mondi paralleli ai quali si accede, consentendogli di prendere forma e materia, grazie all'intervento di arnesi metallici più o meno sofisticati che servono per oltrepassare il limite della superficie corporale. C'è però un'evoluzione ulteriore dello strumento nell'ultimo Croneberg: uno strumento che non apre più varchi nella superficie di quel corpo ma proprio su essa lavora continuando la sua esplorazione e complicando la ricerca della "verità".
Già anticipata in Crash (id., 1996), la macchinetta tatuatrice ritorna in Eastern Promises (La Promessa dell'Assassino, 2007), messa in scena con la consueta cura liturgica come strumento che si svela spogliandosi della sua protezione: custodita nella cassetta di legno, con tutti gli inchiostri che di lì a poco concretizzeranno la mutazione, la macchinetta di metallo lucente campeggia e domina di nuovo l'inquadratura prima di cedere il passo alla messa in scena della mutazione stessa. La solennità del momento prende così forma in un quadro perfetto, dalla composizione sacrale: la superficie della pelle non si oltrepassa più, è una coltre invarcabile che proclama non solo il non ritorno ma anche la definitiva impossibilità di svelare il mistero.
Chiara Borroni, Cineforum n.477
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