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L'ambiguità comunicativa - breve analisi

Ultimo Aggiornamento: 28/03/2011 10:32
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Sesso: Maschile
28/03/2011 10:32


L'AMBIGUITA' COMUNICATIVA

[…] La figura del chiaroveggente è saldamente radicata nell'immaginario collettivo e popolare, nonché al centro di fenomeni inspiegabili, religiosi o meno, documentati nelle più svariate regioni e culture del pianeta.
Lo scrittore culto Stephen King si è spesso cimentato nella trattazione di certi argomenti: in tal senso esempi emblematici sono i romanzi Shining e The Dead Zone, entrambi traspositati al cinema rispettivamente da Stanley Kubrick e David Cronenberg.
Se però, con Shining, Kubrick riflette sulla follia e sulla natura della mente umana, Cronenberg, con La Zona Morta, compie un notevole passo in avanti nel suo percorso d'indagine sulle trasformazioni mass mediali del corpo umano, già iniziata con Videodrome e La Mosca, e portata qui ai limiti estremi.
[…] Se c'è un vero, grande pregio nel cinema di Cronenberg, questo è di sicuro la coerenza. Sono pochi i registi in grado di affrontare un'indagine così ardua e intricata senza svilire il senso della propria arte e il proprio rapporto con il pubblico.
La Zona Morta è il primo film canonicamente hollywoodiano del regista. È il 1983, e Cronenberg per la prima volta si trova a dover lavorare su una sceneggiatura non sua. Una precedente versione della stessa era stata firmata da Stephen King ma bocciata dal produttore Dino De Laurentiis. Intanto diversi nomi si erano susseguiti prima che la produttrice Debra Hill contattasse il regista di Scannerse gli proponesse la sceneggiatura definitiva, firmata da Jeffrey Boam (autore, tra l'altro, di Indiana Jones e l'Ultima Crociata).
La successiva "trascrizione cinematografica" che Cronenberg fece del romanzo non fu letterale. Ad essere fedele fu, più che altro, la resa del cuore del racconto, tanto che King considerò il film uno dei più riusciti tra quelli tratti da uno dei suoi libri.
La struttura del film è apparentemente delle più semplici e abusate a Hollywood, basata sulla classica dicotomia bene/male e su una manicheistica divisione delle parti. Se da un lato abbiamo la figura di Johnn Smith, con cui lo spettatore s'immedesima, dai forti connotati cristologici e infantili, dall'altro troviamo una serie di villain, di antagonisti poco inclini ad essere simpatici, dai connotati demoniaci (Stillon) e sessuofili (il Serial Killer).
Johnny, con il suo carattere introverso, poco incline ai protagonismi e rigidamente cristiano (sfugge alle tentazioni della carne di Sarah, donna dal nome biblico), si trova a dover gestire un potere miracoloso e, in fine, a immolarsi sull'altare di un metaforico martirio, salvando l'umanità dalle tentazioni del corrotto aspirante senatore (l'anticristo, colui che porterà la fine del mondo sottoforma di guerra nucleare). E forse questa sembrerebbe l'unica interpretazione possibile del film se non fosse che, con un'analisi del dettaglio e un occhio alla cinematografia precedente del regista, ogni lettura hollywoodiana viene smentita e ribaltata.
Johnny Smith non è un medium nel senso comune del termine. Non è il tramite tra un'entità onnisciente e il genere umano. Dispone di un potere di origine fisica, ottenuto in seguito ad un trauma fisico. Sarcasticamente, Johnny può vedere qualunque cosa a causa di un incidente che non ha potuto evitare per un'insufficienza visiva (mentre nel romanzo di King questo era persistente e il trauma ne diveniva causa scatenante). Nel suo percorso di morte (l'incidente) e rinascita (il risveglio dal coma) ricorda molto Max Renn di Videodrome. La "Nuova Carne", la trasformazione dell'individuo in elemento "mediale", raggiunge il suo stadio più completo con Johnny Smith, evoluzione dell'uomo moderno, trasformazione in atto che porta il corpo ad acquisire sempre più le caratteristiche di un medium totale, occhio onnisciente che annichilisce le distanze tra dentro e fuori, prima e dopo, passato e futuro. Una riflessione arguta se inserita nel contesto tecnologico anni '80 e, ancor di più, se rapportata a quello attuale.
La zona morta cui il titolo si riferisce è un buco nero del cervello, un imbuto spazio-temporale in cui convergono passato (le vicende del dottore e di sua madre), presente (l'incendio e il serial killer) e futuro (la guerra atomica). È anche, però, il momento morto sul quale può agire il "libero arbitrio".
È chiaro, in questo caso, che la dimensione meccanicistica in cui Cronenberg si è sempre mosso entra in conflitto con una concezione teologica (il libero arbitrio) apparentemente estranea al regista.
In un universo ipotetico dove tempo e spazio sono circolari, chi potesse avere una visione chiara di entrambi otterrebbe anche il potere di mutarne il corso agendo su determinati eventi cardine.
Nel film, dopo aver avuto la visione di una guerra nucleare, un Johnny Smith estremamente turbato si confida e consulta con il dottor Weizak (interpretato da Herbert Lom), il suo medico. Dal discorso che fanno risulta chiaro che entrambi pensano sia lecito e giusto cambiare il corso degli eventi per evitare una catastrofe. Agire sulla storia per modificarla, anche se questo significherebbe commettere un crimine efferato come l'omicidio. Prendendo una decisione simile, però, Johnny perde automaticamente qualsiasi connotazione umana, divenendo "deus ex machina", la nuova carne che nella sua onniscienza ribadisce il meccanicismo dell'universo.
Malgrado questo, noi spettatori non possiamo essere sicuri di quanto la visione di John sia reale e quanto sia il parto di una mente ormai malata e irrimediabilmente distorta. Al di là del populismo di Greg Stillson e dei suoi metodi criminali, non abbiamo indizi che ci possano portare a credere che sia capace di causare una guerra atomica. Lo diamo per scontato, poiché fino a quel momento alcune previsioni di John si sono rivelate esatte. Ma Johnny Smith è "nuova carne" o semplicemente vittima di un "Dio Immagine" dalle forti capacità affabulatrici? È proprio da questo punto in poi che il film diventa moralmente ambiguo ed è così che si inserisce la critica all'immagine che Cronenberg effettua senza riserve, che sia quella televisiva o quella cinematografica.
Il regista, con abile mossa, mette in dubbio la veridicità dell'immagine cinematografica, quella stessa veridicità che spinge lo spettatore a prendere le parti del protagonista in nome di un'oggettività che in realtà non c'è. La macchina da presa, hollywoodianamente, diventa narratore onnisciente, tanto da far credere che quello che mostra sia, in ogni caso, la verità, fino a sostituirsi ai sensi dello spettatore. Un occhio che inquadra, a suo modo, una realtà più reale del reale.
A differenza di Videodrome però, dove questa critica coinvolgeva solo l'immagine televisiva e individuava in quella cinematografica la cura, in The Dead Zone Cronenberg arriva a una critica totale dell'immagine, che attua attraverso la rappresentazione stessa. Johnny Smith non è, come si è erroneamente pensato, un personaggio positivo. Non è uno degli elementi dicotomici alla base del film. Johnny Smith è vittima di una mitizzazione dell'immagine, dovuta alla mancanza di senso critico dello spettatore, che non s'interroga più su ciò che è vero e ciò che non lo è. L'universo materialistico in cui Cronenberg si muove non ha posto per elementi salvifici e redentori.
La zona morta che dà il titolo al film diventa, quindi, metaforicamente il punto franco che consente allo spettatore uno sguardo dubbioso su quello che lo circonda, un modo per svelare l'ambiguità della comunicazione nell'epoca della comunicazione globale. Un importante passo in avanti che troverà nei lavori successivi del regista una conferma (passando per eXistenZ e arrivando a A History of Violence).
Nonostante le tematiche non certo di facile intuizione, il film si lascia apprezzare non solo per un certo gusto melò ma anche grazie ad un cast di alto livello e (quasi) sempre all'altezza. Unica nota stonata, forse, la monoespressiva Brooke Adams.
La regia è asciutta, ma non mancano sequenze oniriche e dal forte impatto emotivo, quasi un marchio di fabbrica del regista.
Non è di certo la prova più riuscita nella cinematografia del regista, quasi a disagio con una sceneggiatura non sua, ma è un importante esempio di grande produzione che non rinuncia ad aspirazioni autoriali.
Come per quasi tutti i film di Cronenberg, molte riprese sono state effettuate in Canada, nei paesi Orono e Whitevale. Altre invece sono state effettuate nei pressi delle cascate del Niagara, al confine tra Ontario e Maine. L'ambientazione provinciale si discosta da quella metropolitana su cui ha sempre lavorato il regista.
La colonna sonora del film è di Michael Kamen (autore delle musiche di Venom, film diretto da Piers Haggard e Tobe Hooper) e non del solito Howard Shore. Cosa strana se si pensa che David Cronenberg ha sempre lavorato con la solita equipe in tutti i suoi film. La scelta venne fatta a causa di alcune politiche della produzione, affidata alla Paramount Pictures.
Le musiche sono cupe e ben si adattano alle atmosfere del film e al finale, tragicamente ambiguo.
Il film, tra quelli più di successo del regista, ha vinto un Saturn Award come "miglior film horror".
Oltre al lavoro di Cronenberg, il libro di Stephen King ha ispirato una serie televisiva di dubbio valore.
Zero00, filmscoop.it
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