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La voce di Tatiana - analisi

Ultimo Aggiornamento: 04/03/2011 13:55
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Sesso: Maschile
04/03/2011 13:55


LA VOCE DI TATIANA


«Ma i luminosi, i coraggiosi, i trasparenti - questi sono, per me, coloro che sanno più intelligentemente tacere: il loro fondo è così profondo che anche la più chiara delle acque non lo – tradisce».
(Friedrich Nietzsche, Così parlò Zarathustra)

C'è un fantasma - meglio, un angelo - che aleggia per La Promessa dell'Assassino e fa avvertire la sua presenza con ferma discrezione.
Quando Tatiana entra in scena è già sul punto di accomiatarsi fisicamente dal film. La sua apparizione in una farmacia è improvvisa; altrettanto repentina è la sua dipartita. Sin dal primo momento la ragazza sembra essere uno spettro dell'Oltretomba.
Soffermiamoci sull'incipit. Esso ci catapulta in medias res secondo una struttura significativamente bipartita. Nella prima scena Cronenberg ci propone un assaggio immediato - fulminante - delle pratiche gangsteristiche: un rasoio affetta cruentemente la gola di un uomo. Nella seconda scena compare Tatiana. Non sappiamo nulla di lei: solo che è incinta e che la sua gravidanza volge al peggio. Un fiotto di sangue le cola tra le gambe, in rima baciata con il versamento sanguigno della prima scena. È senz'altro il sangue a dar l'impronta a questo incipit.
Tatiana si eclissa, sprofonda nel baratro della morte - l'agognata morte - prima che si sappia alcunché di lei. Il film potrebbe anche finire qui, una scheggia implosa, una traccia nel deserto rapidamente coperta dalla sabbia, una dolorosa vicenda umana che si sbiadisce al pari di innumerevoli altre e viene consegnata all'oblio. Come se non fosse mai stata. La vita, il mondo, la storia vanno avanti, non possono permettersi di sostare, di attardarsi.
Eppure, nel mezzo dell'abominio, Tatiana lascia dietro di sé due segni muti, carichi di dignità umana: un diario e una figlia. La sua testimonianza assume una duplice ma unitaria forma: da una parte un racconto di sé che espone ciò che è stato e dall'altra una nuova vita. Non ci sarebbe vita veramente nuova se non sulla base di una presa di coscienza di ciò che è stato; e, inversamente, ciò che è stato si perderebbe irreparabilmente - non sarebbe neppure stato - se non ci fosse una nuova vita a proseguirne e svilupparne la vicenda.
Nonostante questi due segni di vita che soffre e di sofferenza che vive - segni del passato gravidi di futuro - la vicenda potrebbe subito spegnersi - germoglio calpestato sul nascere, fiore reciso alla radice - se qualcuno non si facesse carico di questi segni, se qualcuno non li salvaguardasse e non li testimoniasse. La storia di Tatiana sprofonderebbe comunque nell'anonimato - nell'ingiustizia dell'indifferenza - qualora non ci fosse chi raccogliesse il suo lascito. Una circostanza è emblematica: nel momento in cui il diario di Tatiana comincia a girare e a essere letto (da Anna, da Stepan ed Helen, da Semyon, da Nikolai), nel momento in cui esso comincia a produrre storia, risentiamo la voce della sua autrice. La voce over che risuona nel film non è la voce interiore di chi di volta in volta legge il diario. È proprio la voce della ragazza morta - con le sue inflessioni russe, con i suoi stenti e zoppicamenti - che continua a risuonare come dall'aldilà, angelicamente, a chiedere che la sua vita sia riscattata, che le sia fatta giustizia.
Se c'è un'immagine che racchiude la cifra de La Promessa dell'Assassino, questa è l'angelo della storia di Benjamin, l'angelo trascinato in avanti dal vento del progresso, ma che rimane pervicacemente rivolto verso le macerie, le rovine del passato. Solo uno sguardo capace di assumere su di sé queste ultime, capace dunque di attardarsi, può richiamare l'uomo alla sua responsabilità - a rammemorare - e dunque a un futuro più umano, che non sia semplicemente un cieco slancio in avanti. Ethos è, etimologicamente, il soggiorno dell'uomo. Imparare a soggiornare sulla terra, a radicarsi sempre più in quest'apertura, significa innanzitutto interrogarsi: interrogarsi intorno al presente alla luce del passato e in nome del futuro.
Tatiana se ne va, non c'è più, eppure la sua presenza continua a rifrangersi e riverberarsi sul film, a risuonare come assenza: voce over, fluttuante, frammentata, interrotta, ma insistentemente ripresa e ripetuta. Questa voce è un richiamo. Non si tratta di un'epifania di un qualche mondo ultraterreno. La voce di Tatiana si ode fintantoché qualcuno si prende cura del suo diario e di sua figlia. Rispetto a questi custodi, la voce di Tatiana è la voce della coscienza, intesa non come contenitore di precetti e norme acquisiti, ma come schiusura inesauribile della domanda di senso intorno alla propria vita, come ripresa dalla dispersione nell'incoscienza (chiusura). Testimoniare la vicenda di Tatiana significa, per Anna e Nikolai in primis, mettere in discussione la propria esistenza. Per questo motivo La promessa dell'assassino non ha minimamente a che fare con una parabola vendicativa. Qualora si inscrivesse il film in tale cornice, non si farebbe altro che sostituire una logica consolidata (tanto la routine dell'agente infiltrato, quanto quella della quotidianità lavorativa di una levatrice) con un'altra (quella che al crimine vuole associare una punizione, distinguendo i buoni dai cattivi). Il segno di Tatiana ha invece l'effetto di mettere in oscillazione i ruoli di Anna e Nikolai, di fluidificare i binari lungo cui si muovono le loro vite, ciascuna secondo le sue modalità. L'esperienza di Anna e Nikolai viene fatta uscire dagli abituali cardini. La voce richiama Anna dal suo mondo angusto di gente piccola e ordinaria e la porta a incrociare il mondo luciferino della grande criminalità (1). La voce richiama Nikolai da una totale identificazione con le sue parti di agente segreto e di malavitoso. In quanto funzioni, esse si muovono sullo stesso piano e al limite possono perfino coincidere. Quest'ambiguità "orizzontale" è secondaria nel film rispetto a quella "verticale" costituita dal rapporto di entrambe queste funzioni con la voce di Tatiana. Tale ambiguità verticale, che assume tratti dostoevskiani - si pensi in particolare al drappello dei russi trapiantati: Kirill, Nikolai, Semyon, Stepan (2) - fa da vero e proprio trait d'union tra La Promessa dell'Assassino e A History of Violence. Nell'intreccio, nell'incrocio così ambivalente, elusivo ed enigmatico di personaggi assai diversi e apparentemente estranei gli uni agli altri sta una delle autentiche possibilità dischiuse dal film: l'incontro, il confronto come istituzione di uno spazio altro (e non solo di un altro spazio).
La voce over di Tatiana è il vero motore del film. Tra essa e le immagini si apre una divaricazione: uno spazio di gioco. Ciò non significa che tale voce si muova in un'altra dimensione: essa, come si diceva, è radicata nelle cose, nei salvaguardanti. Al contempo, tuttavia, la voce della ragazza produce una sfasatura, in cui accade una continua riapertura del visibile; vale a dire: un continuo spiazzamento di un visibile che tende a imporsi e a rivendicare una perentoria, totalizzante, esaustiva presenza. La voce over, invece, costituisce la traccia di un esser presente nell'assenza. L'interazione tra i due registri in La promessa dell'assassino non ha nulla di casuale. La voce over è l'invisibile come spessore e profondità del visibile.
La soluzione adottata da Cronenberg è di una forza direttamente proporzionale alla sua semplicità. In questo modo Cronenberg ci porta in prossimità del segreto del suo cinema: una messa in scena tanto più aprente quanto più si fa priva di forzature o esibizionismi o esteriorità o marche vistose; tanto più cristallina quanto più lascia che l'inapparente si riverberi sull'apparente in modo sobrio, poco pregiudicato e perciò intimamente intenso. In caso contrario, l'inapparente - anziché stagliare l'apparente - si livellerebbe nel fatto e nell'effettuale.
La superficie dei film di Cronenberg è trasparente per via dell'evidenza con cui lascia fluire la sua profondità. Egli non ha alcun bisogno di intorbidare le acque di una pozzanghera perché il suo fondo sembri inattingibile e insondabile. Appare anzi abbastanza palese come Cronenberg stia procedendo sempre più in direzione di una depurazione dell'immagine e di uno sfrondamento di ogni orpello.
Facciamo un passo ulteriore, ai margini del film. La resa italiana del titolo è fuorviante e intende scopertamente fare dell'opera di Cronenberg un film di genere. L'originale suona: Eastern Promises, "Promesse dell'Est". Le promesse che l'Ovest fa all'Est a partire dalla posizione di forza del suo sviluppo economico e della sua dominanza mondiale si rivelano allettamenti ingannevoli, adescamenti che precipitano le vittime in una miseria sconfinata. L'Occidente sprofonda nella barbarie di un cieco abbrutimento allorché fa del suo progresso una legge di natura irrevocabilmente data, totalmente dimentica dell'originario spazio di gioco in cui si radica. A quel punto, in nome del mercato globale, viene perpetrato il crimine più funesto e desertificante: il fatto che i popoli vengano sradicati nell'appiattimento e livellamento generalizzato della mondializzazione, il fatto che l'uomo venga privato del suo soggiorno storico sulla terra. Di più ancora: in Eastern Promises pare evidente che in definitiva sono gli stessi russi a volere la depredazione del loro popolo. Ormai non vige più un'opposizione tra vittime e carnefici: ci troviamo in un contesto in cui volens nolens il mondo intero partecipa della stessa vicenda.
Di tutto ciò la voce di Tatiana - voce della popolarità russa - è silente e in-audito memento.
(1) La storia di Tatiana tocca direttamente Anna anche perché la aiuta a confrontarsi con il tormento di un suo precedente aborto.
(2) C'è una notevole aria di famiglia soprattutto con I fratelli Karamazov.
Francesco Cattaneo, Cineforum n.471
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