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L'uomo uccide ciò che ama: Cronenberg e il melò

Ultimo Aggiornamento: 17/02/2011 16:06
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Sesso: Maschile
17/02/2011 16:06


Da Inseparabili a Eastern Promises, Cronenberg e il melò

OGNI UOMO UCCIDE LE COSE CHE AMA



«Io sono un uomo che ha amato una donna creata da un uomo. Qualsiasi altra cosa non ha senso, non è niente». E, poco dopo: «Ho conosciuto e sono stato amato dalla perfezione fatta donna… lo ho una visione dell'Oriente. Vedo che dentro i suoi occhi a mandorla ci sono ancora donne disposte a sacrificare la propria vita per un uomo. Anche di un uomo il cui amore è assolutamente privo di valore. Morire con onore è meglio che vivere nel disonore. Così, alla fine, in una prigione lontano dalla Cina, io l'ho trovata: mi chiamo René Gallimard, conosciuto anche come Madama Butterfly». Sono le ultime parole di René Gallimard, funzionario dell'ambasciata francese in Cina che per anni ama una cantante dell'Opera di Pechino (fino a convincersi di aver fatto un figlio con lei, fino a rovinarsi la carriera), senza accorgersi che la sua perfetta Butterfly è in realtà un uomo. Paradossalmente tratto da una storia vera (quella del diplomatico Bernard Boursicot e del suo amante cinese Shi Pei Pu, processati per spionaggio nel 1986, che aveva ispirato la piece teatrale di David Henry Hwang, autore della sceneggiatura), M. Butterfly (id., 1993) è solo la più esplicita delle incursioni di David Cronenberg nel melodramma. Platealmente esplicita. Costantemente sottolineata dalle più celebri arie dell'opera di Puccini («Un bel dì vedremo» e «Coro a bocca chiusa», sulle quali Howard Shore elabora la propria colonna musicale), riquadrata, nei duetti dei due protagonisti, tra "quinte" teatrali (porte, specchi, finestre, androni, le strette pareti del cellulare) o addirittura messa in scena su "palcoscenici" (quello vero dell'Opera, ma anche l'aula del processo e la pedana costruita nel carcere) e chiusa da un "sipario" che si sigilla (il portellone dell'aereo sul quale sta partendo Song Liling), segnata da vere e proprie scene madri alle quali il sottotono compresso della recitazione di Jeremy Irons non toglie intensità (la prima volta che vede Song Liling sul palco, il momento in cui cede alle insistenze della donna per fare l'amore secondo le regole del pudore e le arti della femminilità orientali, il battito di ciglia e l'impercettibile sorriso incredulo quando vede entrare nell'aula del tribunale un uomo in giacca e cravatta, fino al finale quando si impadronisce dell'arte straziante della scena e della maschera e, finalmente se stesso, lascia la compostezza e il travestimento allo sguardo di dolore e rimpianto di John Lone), la storia di Gallimard e Song Liling è, in fondo, il racconto del meccanismo stesso della composizione melodrammatica: non solo l'impossibilità amorosa, la "fatalità" dell'incontro, ma soprattutto la "creazione" amorosa, l'oggetto d'amore come ostinato parto della fantasia. E il meccanismo immaginario con cui si sono scontrati tanti eroi e soprattutto eroine del melò classico, spesso venato di noir, cui solo l'astuzia puritana di Hitchcock riesce talvolta a concedere un provvisorio lieto fine; quello con cui si scontrano quotidianamente, nella vita vera, amore e sessualità.
Ma il melò ha molto da spartire, non solo cinematograficamente, con l'horror, attinge alle stesse matrici psichiche e alle stesse radici mitologiche, tratta di proibizioni, di doppi, di repressioni, di proiezioni, di trasgressioni, di principio del piacere e senso di realtà, di autodistruzione, di attrazione della morte. Il melò, che ritorna in forma "sociale" quasi sirkiana in A History of Violence (id., 2005) e in Eastern Promises (id., 2007) (dove le "famiglie" si ripresentano a chiedere il conto delle loro eredità mortali e ineluttabili, distruggendo la quiete apparente della famiglia mononucleare-coppia con figli, madre con bambino, maturi fratelli con figlia/nipote), ha sempre percorso gli incubi di Cronenberg, fino a esplodere esplicitamente negli amori impossibili messi in scena in La Mosca (che racconta anche della lotta impari di Veronica per continuare ad amare un altro diverso dall'oggetto sei suo amore, un corpo che sta mutando, un "mostro") e soprattutto in Dead Ringers (Inseparabili, 1988), che è probabilmente la più decisa "dichiarazione di intenti" di Cronenberg: non "solo" un uomo che ama una donna creata da un altro uomo, o una donna che ama un uomo che non è più tale, non "solo" una creatura fantastica che deflagra da dentro a impedire qualsiasi (altra) relazione umana, che divora il visibile trasformando la carne secondo le leggi mostruose della psiche. In Dead Ringers, l'oggetto fantasticato del nostro amore cammina con noi, pensa come noi, è uguale a noi.
Anche questo è ispirato a un fatto di cronaca: due ginecologi newyorkesi di successo, i gemelli Marcus, vennero trovati morti nel 1975 nel loro appartamento di Manhattan, seminudi, abbracciati, drogati. «Io posso immaginare un mondo in cui dei gemelli identici siano solo un concetto, come le sirene», racconta l'autore in Cronenberg on Cronenberg di Chris Rodley. «Il fatto che Beverly ed Elliot siano gemelli identici li trasforma in qualcosa di mostruoso. Sono creature altrettanto esotiche di The Fly (La Mosca, 1986). Qui il gioco è su un doppio binario: la separazione mente/corpo è ancora ben presente nella mia testa (e probabilmente anche nel mio corpo), ma qui il corpo è diviso in due parti... Elliot e Beverly sono una coppia, ognuno dei due incompleto in se stesso». Talmente incompleto da non riuscire a sopravvivere senza l'altro, pur sapendo che l'altro ha il potere, di volta in volta, di inibire, bloccare, trasformare la personalità (Elliot su Beverly, che dei due è il meno mondano e brillante, il più introverso e sensibile) o addirittura di uccidere (Beverly su Elliot, che non riesce a vivere senza di lui e si abbandona alla sua autodistruzione). Retto fin dall'infanzia su un rigoroso (ma fragile) gioco di compensazione, il loro equilibrio si incrina nel momento in cui entra in scena Claire, la donna mutante che ha l'utero triforcuto. Madre sterile e dolorosa, Claire risponde alla "femminilità" di Beverly, ma non abbastanza da entrare nel gioco mortale dei due fratelli, i due veri "amanti" della storia. Tragicamente asettico, segnato dal rosso vivo delle improbabili divise ospedaliere e dall'interpretazione sottilmente schizofrenica del corpo melodrammatico per eccellenza di Cronenberg (Jeremy Irons, "primadonna" che ben unisce maschile e femminile, sadismo e masochismo), Dead Ringers, dove ci sono pochi specchi, ma una continua, ossessiva rifrazione dei due protagonisti, va dritto al cuore del nodo ultimo del melò: quella creatura fantastica e mostruosa che amiamo siamo noi e per liberarcene possiamo solo uccidere (una parte di) noi stessi.
Emanuela Martini, Cineplus n.477

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