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L'invenzione delle esistenze - analisi

Ultimo Aggiornamento: 17/02/2011 16:04
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Sesso: Maschile
17/02/2011 16:04


L’INVENZIONE DELLE ESISTENZE


Ancora una volta lo sguardo d'autore di Cronenberg (autore canadese, ci tiene a precisarlo), orfano ormai da tre film di una sceneggiatura scritta di suo pugno, si trova a (voler) osservare lo straniero. In A History of Violence c'erano gli Stati Uniti, i vicini al di là della frontiera, con i loro generi (il western) e le loro ossessioni (la difesa della casa, il pericolo che viene da fuori, la violenza da combattere con la violenza). In La Promessa dell'Assassino c'è il vecchio continente. La Londra astratta ma riconoscibile di Spider, paesaggio della mente dello schizofrenico protagonista, diventa qui livida e realistica ma paradossalmente sconosciuta, perché l'unico punto di vista messo in scena è quello di altri stranieri: immigrati russi integrati o padrini fondatori di una criminale sottosocietà che infetta l'ospite.
Cronenberg nei suoi ultimi film, in virtù di questo distacco (geografico e autoriale), guadagna in essenzialità e lucidità, arrivando a una forma quasi classica. Per raggiungere l'obiettivo dichiarato di ottenere la messa in scena migliore per gli script adottati, non esita a rinunciare all'evidenza delle sue ossessioni e alla riconoscibilità dei suoi stilemi. Per un regista che ha creato una poetica e un immaginario imprescindibili quando si parla del corpo e delle sue mutazioni, è quasi una perdita di identità, una spersonalizzazione come tentativo di reinventarsi, dopo che con eXistenZ era stato tacciato di aver riproposto riflessioni già sviscerate nei suoi precedenti capolavori. Questo nuovo corso ha suscitato gli entusiasmi della critica, eppure, di fronte a una perfezione che a momenti sfiora l'algido, in controtendenza abbiamo nostalgia dell'emozione della mossa irrazionale, dell'insicurezza feconda di chi esplora. Ma è anche vero che le ultime prove hanno fatto emergere con una limpidezza dolorosa il tema cardine di tutto il cinema di Cronenberg, che è proprio quello dell'identità e delle sue fragilità. L'instabilità fisica dei primi gore, metafora di quella mentale, diventa subdolamente invisibile, e senza assistere allo spettacolo sintomatico delle trasformazioni del corpo riusciamo lo stesso a percepire quelle irrappresentabili della mente.
Il rapporto speculare tra A History of Violence e Eastern Promises illumina proprio questo punto. Stesso attore protagonista, Viggo Mortensen, che recita parti del tutto complementari: nel primo caso Joey Cusak, pericoloso esponente della criminalità organizzata, per lasciarsi alle spalle il passato si cala nei panni fittizi di Tom Stall, perfetto americano medio con moglie in carriera; nel secondo l'autista killer della vory v zakone (letteralmente: ladri nella legge) è in realtà l'alias inventato da un agente infiltrato dell'Fsb (ex-Kgb). Sono personaggi che hanno deciso di cambiare, seppure in direzioni opposte, modo di agire, di muoversi, di pensare, con la sola forza di volontà. Tom Stall/Joey Cusak si è trasformato nell'intimo, ha cancellato il suo passato, si è costruito una nuova memoria. «Ho passato tre anni a diventare Tom Stall. Io prima di conoscerti non ero niente», dice alla moglie che ha scoperto tutto. Nikolai Luzhin invece vive borderline, costringe il proprio corpo a quei comportamenti immorali e criminali che è lì per debellare (fare sesso con una giovane obbligata a prostituirsi e stordita con l'eroina, mutilare un cadavere per renderlo irriconoscibile...) e ripete in continuazione ad Anna: «Sono solo un'autista». Entrambi i personaggi interpretano un personaggio, conducono un'esistenza di pura simulazione. E pure simulazioni sono i protagonisti/avatar e i mondi/scenari di eXistenZ, dove un pubblico selezionato partecipa alla presentazione dimostrativa di un videogioco rivoluzionario. Il computer diventa organico e il corpo umano è guidato come una macchina. L'eroina in pericolo e il suo aiutante sono "giocati" da coloro che alla fine si rivelano gli antagonisti che attentano alla vita del creatore del videogioco. Il principio di identità che, come spiegano le grammatiche, si esprime nei nomi propri grazie alla maiuscola, qui è abolito fin dal titolo (1). eXistenZ rinuncia all'identità della maiuscola iniziale per crearne due, rifiuta di dirci dov'è l'inizio, così come non sappiamo dove finisce un'identità e ne comincia un'altra nei personaggi doppi cronenberghiani.
«Creiamo quotidianamente nuove o doppie identità,» ha detto il regista. «Non esiste un'identità unitaria: nella sua individuazione c'è sempre un forte intervento della volontà creativa. La mattina quando noi ci svegliamo prima di fare il caffé dobbiamo fare noi stessi. In Spider ho analizzato cosa succede quando questa volontà smette di funzionare, quando un individuo non può più creare e sostenere un'identità» (2).
Chi invece sa bene come farlo è Song Liling, la cantante dell'Opera di Pechino di M. Butterfly che fa innamorare di sé il diplomatico francese René Gallimard. «Sono un uomo che ha amato una donna creata da un uomo», sintetizza poeticamente René. La M puntata sta infatti per Mister: Song è in realtà un uomo e interpreta talmente bene il suo ruolo da far credere a René di aver avuto un figlio da lui. Un'identità la si può creare ma la si può anche smarrire nel delirio della propria creatività (Il Pasto Nudo), la si può perdere in un incidente stradale al posto della vita (Crash), la si può condividere col proprio gemello (Inseparabili), la si può fondere con quella di un insetto per diventare un unico altro (La Mosca), ci si deve rinunciare perché in contatto con tutte quelle future degli altri (La Zona Morta), può essere manipolata attraverso la fascinazione/repulsione delle immagini televisive (Videodrome)…
Da Pirandello a “La vita quotidiana come rappresentazione” di Goffman, è assodato che ciascuno si trova a interpretare ruoli specifici in diverse situazioni sociali, da quella lavorativa a quella fondamentale della famiglia, prima espansione dell'individualità, cellula basilare della società.
La Promessa dell'Assassino è la storia della rigidità, della confusione e dell'usurpazione di questi ruoli. È una storia di figli, fratelli, madri, padri, mancati o assenti, reali o ideali... In quanto figlia, Anna (Naomi Watts) ha recentemente perso il proprio genitore e trova in Semyon (Armin Mueller-Stahl) un'inaspettata figura paterna; in quanto madre, ha perso un bambino e trova una bambina, che scopre essere frutto di uno stupro compiuto dallo stesso Semyon, apparentemente ristoratore appassionato e bonario, in realtà al vertice della malavita russa a Londra. Anche il papà di Anna era russo, ma lei non conosce una parola di questa lingua. Tutt'altro che ingenua, è cosciente di avere a che fare con una vicenda losca e più grande di lei e subito intuisce, pur essendone attratta, la doppiezza di Semyon. Eppure decide di non portare alla polizia il diario da tradurre della giovane violentata. Orfana e improvvisamente privata della propria identità sotto più punti di vista (in quanto ostetrica Anna si trova a dire: «è morta una mia paziente»; e a sentirsi rispondere: «Ma tu non le fai nascere le persone?»), accetta il bisogno di ricostruirla anche a costo di immergersi nel lato oscuro delle proprie radici e di se stessa, senza sapere se e come ne verrà fuori. Attraversa il male, ne prende coscienza e ne emerge (non senza sofferenza) madre adottiva. Pacificata con le sue radici, finalmente, con la sua bambina, parla russo. Da parte sua, Semyon scopre il figlio che ha sempre desiderato, quello che crede di meritare, nel fiero e irreprensibile Nikolai Luzhin, che sa sempre dire e fare la cosa giusta con la giusta freddezza, ligio al codice ma ambizioso. Negli occhi del padrino, lucidi durante la cerimonia in cui Nikolai riceve le stelle di capitano con la consueta imperturbabilità, leggiamo tutto il suo orgoglio per questo figlio elettivo. Ancora più scioccante risulta quindi la consapevolezza che tale promozione è al tempo stesso il modo per sacrificare Nikolai in favore del figlio biologico, operando uno scambio di persona (che è potentemente letterale e simbolico insieme) in vista di un attentato. Schiavo dei legami di sangue, infatti, Semyon antepone ai meriti e ai sentimenti il ruolo che per nascita spetta a Kirill (Vincent Cassel), per quanto inadeguato a ricoprirlo. Anche la vita di Kirill è una vita di simulazione. Nel suo caso la creazione dell'identità impostagli dalla società (dalla famiglia) è fallimentare perché lo porta a tradire continuamente la propria natura. Da un lato lo costringe a reprimere la sua sessualità, provocando frustrazione e risentimento, dall'altro non tiene conto della sua indole, della sua inadeguatezza come leader. Lo stesso discorso è portato al parossismo nella figura del killer autistico, che del tutto inconsapevolmente è educato a giocare il ruolo dell'omicida. Il "toccato dagli angeli", estrema marionetta, mette in evidenza senza ombra di dubbio le costrizioni che tutti subiscono in ossequio al ruolo sociale. Colui che ha l'identità più labile e manipolabile subisce tale ruolo al massimo grado e ne paga più impietosamente (la sua agghiacciante esecuzione) le conseguenze.
Poi Cronenberg, nell'epilogo, con un colpo da maestro rovescia la questione e sembra porre un'altra domanda fondamentale: quanto profondamente il ruolo che ricopriamo, le esistenze che quotidianamente ci inventiamo, arrivano a modificare la nostra stessa identità? Anna, da motociclista grintosa ma arrabbiata e insoddisfatta, diventa madre amorevole in un quadretto familiare idilliaco. E soprattutto l'ultima inquadratura su Nikolai che, arrivato al vertice del potere, siede nel ristorante come soleva fare Semyon, potrebbe denunciare la sua soddisfazione e la sua metamorfosi. Questo finale gode di un'ambiguità simile a quella di Scanners, dove la mente del fratello buono, nello scontro telepatico decisivo, riesce a sostituirsi a quella del gemello cattivo controllandone d'ora in avanti il corpo. L'illeggibile sguardo finale di Luzhin ci ricorda che per tutto il film non abbiamo mai saputo cosa egli pensasse veramente, e quale sia la portata del suo doppio gioco. Non ci è dato sapere se davvero vuole sostituirsi al "re" per distruggerne il regno o se la lusinga, le promesse del suo ruolo lo porteranno su un'altra e più cattiva strada.
(1) cfr. G.panova, David Cronenberg, Il Castoro, Milano 1993, p. 107.
(2) “Crimini sulla pelle”, intervista a cura di Giovanna Bragana, Duellanti n. 38, gennaio 2008, p. 10.
Andrea Bordoni e Matteo Marino, Cineforum n.471

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