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Il corpo sociale - analisi

Ultimo Aggiornamento: 08/02/2011 19:19
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Sesso: Maschile
08/02/2011 19:19


IL CORPO SOCIALE E LE SUE LACERAZIONI


Parafrasando il banale e innocuo titolo italiano, Cronenberg ha mantenuto vere e proprie "promesse da assassino": nei confronti dei personaggi, di cui non esita a devastare, mutilare o lacerare i corpi. Chi della sua filmografia conosca soltanto Eastern Promises apprezza la linearità, il respiro classico, la sobrietà narrativa.
E chiede se sia davvero indispensabile insistere sulle nefandezze dei criminali o sugli aspetti più cruenti e fisici del morire. Invece lo spettatore cronenberghiano, tra tanta linearità, classicità e sobrietà, aspetta fiducioso che l'autore non faccia mancare le specialità della casa: l'orrore. E non resta deluso. Già nelle prime sequenze si assiste all'azione accurata e furiosa di un giovane killer che taglia la gola a un cliente in una sala da barbiere, poi alla mortale emorragia di sangue di una sventurata giovane partoriente in un supermercato. Seguirà il particolare, così esibito da risultare un immancabile esempio del film stesso di "darsi a vedere", delle dita congelate dell'uomo precedentemente sgozzato che vengono recise con un paio di tronchesi dall'autista "di famiglia", quindi "di fiducia" della mafia russa. Costui invita le due persone lì presenti, per quanto abituate a simili spettacoli, ad allontanarsi. Ma non si premura - il regista, questa volta - di risparmiare tutto ciò allo spettatore, complice della necessità rappresentativa di operare brutalmente sui corpi, violandone in tutti i modi l'integrità. Né ci risparmia l'impatto delle ferite inferte nello spazio angusto di una sauna sul corpo nudo del nostro autista-poliziotto in incognito, oramai in ascesa nella famiglia mafiosa, il quale, pur disarmato, si difende talmente bene da riuscire a infierire sui corpi e sui volti dei due uomini che avrebbero dovuto ucciderlo. La componente fisica, diciamo pure la "corporeità" di questo film si impone ancora una volta in modo prepotente, pur tra le pieghe di una narrazione essenziale e corretta. Non ci sono più le complicazioni introdotte dalle reciproche contaminazioni di realtà o mondi possibili, le fratture tra dimensioni diverse della percezione, i cortocircuiti temporali che ancora permanevano, dopo l'exploit di Videodrome, nei più recenti eXistenZ e Spider. Cronenberg può permettersi oggi di intervenire sul corpo vivo dei suoi personaggi, in cui con sempre maggiore evidenza si riflette il corpo stesso del racconto, lasciando inalterata la successione logica e cronologica degli eventi rappresentati. In A History of Violence, di cui Eastern Promises può essere considerato un ideale prequel o una "history", una "storia" ulteriore, contigua o parallela, l'autore si rende perfettamente conto che non occorre più pasticciare con l'intreccio per suggerire come il nodo problematico riguardi immancabilmente lo spazio, la superficie, la struttura del corpo. Pur affrontando il corpo come una metafora sociale, non intende concepirlo privo di una sua realtà anche materiale e biologica, una realtà intrinseca, fatta di tessuti e sangue. Il piano della riproduzione impudica e quello della rappresentazione, il livello della messa in inquadratura e quello della lettura non possono che essere affrontati simultaneamente, chirurgicamente. Per parlare della società contemporanea, delle sue drammatiche ferite, della sua progressiva mortificazione o della forte conflittualità tra le parti che la compongono, non può fare a meno di risultare esplicito, realistico, diretto. Il suo ultimo film non differisce molto sul piano progettuale, con conseguenze anche su quello visivo, dal contemporaneo Paranoid Park di Gus Van Sant. Entrambi gli autori, dentro una logica da cinema indipendente e perciò più audace e sganciato da logiche strettamente consumistiche, stanno sempre più procedendo in una direzione di essenzialità narrativa. Paranoid Park è più lineare di Elephant, o almeno meno prigioniero della struttura narrativa che condizionava il suo film precedente e per molti versi consimile. Lo stesso discorso vale per Eastern Promises, che è meno sorprendente di A History of Violence e non ha più bisogno di procedere seguendo gli andirivieni spazio-temporali di chiara e dichiarata matrice dickiana presenti ancora in eXistenZ. Van Sant e Cronenberg erigono tracciati semplici dove tuttavia non manca l'insistenza sulle conseguenze fisiche della violenza. Se A History of Violence, come recitava il titolo, era per l'appunto una "storia della violenza", Eastern Promises è una "anatomia della violenza" o, se si preferisce, una "autopsia della violenza". I risultati di questo studio sulle conseguenze corporee dei meccanismi in atto sul corpo come nella società vengono resi di pubblico dominio, offerti al pubblico perché possa valutarli. Ma soprattutto vederli con i proprio occhi. Paranoid Park non parla di adolescenti o generalmente di giovani, non parla cioè di una generazione indolente né di una fascia d'età demotivata rispetto al resto della società. Parla di un'intera società nella quale gli effetti negativi di una parte necessariamente devono essere considerati globali. Se una parte della società muore, muore l'intera società, proprio come avviene in un organismo vivente. Se infatti un corpo viene reciso in due parti da un treno avviato lungo binari che non si sa bene dove portino, è giocoforza che quel corpo morirà. La parte cosiddetta "sana" (il mondo degli adulti), separata da quella "malata" (i figli che questi adulti hanno peraltro generato), non può sopravvivere. Il problema della generazione rappresentata in Paranoid Park, come già in Elephant, non può essere considerato a prescindere da un'analisi della società tutta. Esiste cioè un rapporto diretto come nella fisica, oltre che nel fisico, tra azione e reazione.
Cronenberg dal canto suo non si occupa di giovani, vale a dire che non è interessato alla condizione di persone che hanno una precisa età, ma di contaminazioni tra porzioni di società. Il suo Eastern Promises è un film sul melting pot, sulla interculturalità, sui flussi migratori e le dinamiche di assestamento all'interno della società globale.

L'Est entra a far parte dell'Ovest, diventando un corpo aggiunto, innestato, relativamente estraneo. L'operazione a prima vista sembrerebbe riuscita, e l'integrazione essere divenuto un fatto compiuto. Certo, occorrono perfezionamenti, e gli assestamenti sulla lunga durata si fanno sentire. La mafia russa è dunque una metafora. Come il Kgb. Sono rispettivamente due sistemi violenti e a loro modo coerenti di condurre il gioco: il sistema delle istituzioni non è meno spietato e infido di quello dell'istituzione mafiosa. Questo è l'Est. Dall'altra parte c'è l'Ovest, con la sua polizia e probabilmente la sua mafia. L'Ovest poliziesco si infiltra nell'Est mafioso, così come quest'ultimo si è inserito nel tessuto sociale a lungo separato dalla Guerra Fredda. Van Sant parla di separazioni, Cronenberg di congiunzioni. Ed essendo un regista quest'ultimo che concepisce il set come una sala operatoria, e l'inquadratura un tavolo per effettuare operazioni chirurgiche emblematiche, avviene che l'esperimento sociale (modelli e culture che si incontrano, scontrano, sovrappongono, interagiscono determinando un nuovo corpo socioculturale "misto") venga come un'impresa alla Frankenstein. Ordine e disordine, legge e crimine, polizia e mafia, società civile e onorata società, spinte aggregatici e disgregatrici, vecchi e giovani, bene e male stanno cercando di coesistere, a modo loro. Con risultati che sono, secondo l'autore, quelli che sceglie di mostrare. Senza giudicare. Da sempre l'autore di Scanners, La Mosca e Inseparabili ha cercato di mantenersi fuori dalla contesa, restando ugualmente sgomento: ha esposto nei termini rappresentativi a lui congeniali gli elementi che entravano in gioco e gli effetti collaterali del gioco stesso. Se sia ottimista o pessimista non sta a noi stabilirlo, né a lui proclamarlo. Ormai, come aveva lasciato intendere nella sequenza finale di A History of Violence, è meglio tacere, non fare domande e accontentarsi che la famiglia in un modo o nell'altro si sia ricomposta e si presenti ora unita, ancorché provvisoriamente. E, come afferma in Eastern Promises, conviene cominciare a guardare le cose da un altro punto di vista. Non quello dei buoni sentimenti, dei legami tra genitori e figli, della solidarietà reciproca, ma quello della violenza più spietata. L'amore per il prossimo infatti non viene in questo film contaminato dalla crudeltà più spinta. Succede esattamente il contrario: è la violenza istituzionalizzata, più o meno legittimata, a subire i contraccolpi paradossali di un'insorgenza amorosa e romantica imprevista. Un escrescenza benefica di cui il male stenta a farsene una ragione. Un tumore benigno che cresce. Un killer-poliziotto si è segretamente innamorato di una infermiera, che a sua volta si è affezionata a una creatura indifesa appena partorita da una minorenne più volte violentata. E tutto ha fatto deflagrare l'antico assetto della famiglia: sia quella mafiosa che quella della protagonista. Sono stati esiliati i rispettivi patriarchi. L'amore è un elemento molto strano per l'autore di Eastern Promises. Improbabile, ma interessante. Persino possibile.
Anton Giulio Mancino, Cineforum n.471

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