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Videodrome secondo Serge Grunberg

Ultimo Aggiornamento: 29/12/2010 12:54
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Sesso: Maschile
29/12/2010 12:54


Videodrome secondo Serge Grunberg


[...] La prima volta che [Max Renn] vede Videodrome, quanto avviene gli appare come il logico seguito della sua ricerca frenetica di un porno veramente "duro"; [...] il segnale-videodrome concretizza i suoi desideri più ardenti, desiderio commerciale, certo, ma anche personale. La "durezza" dell'immagine è senza dubbio quella del porno definitivo, "verista", "fatto sul serio"; ed è evidente che, per un pubblico ipersaturo di finzioni molli, lo spettacolo definitivo non può essere che "documentario" [...]
[...] Posto nella condizione del voyeur, lo spettatore non può mai identificarsi pienamente con Max, in quanto non è in grado di capire se questi è la vittima di un complotto o se è lui stesso ad allucinare la propria vita. Si potrebbe dire, in modo superficiale, che Videodrome denuncia i danni di una televisione che asseconda gli istinti più bassi dei consumatori. Ma le cose non sono così semplici, e Cronenberg non è certo il fustigatore che soddisfa la buona-coscienza-di-sinistra. [...]
Se l'immagine virale trasmessa da Videodrome corrisponde perfettamente ai desideri di un uomo dei media che voleva essere un pirata dei tempi moderni, ciò non accade forse solo perché è desiderata? Max rappresenta, lo si voglia o no, il telespettatore tipo, il terreno ideale per lo sviluppo di quel virus mortale; il suo sistema immunitario è stato annientato; è un divoratore di immagini, un tossicomane della televisione, sempre alla ricerca di immagini più dure [...]
[…] La prima e l’ultima immagine del film provengono da un televisore, siamo lì dall’inizio alla fine; esiste forse una vita che non sia immagine? Si tratta più o meno della stessa domanda che pone Platone evocando le ombre sui muri della caverna. […] La sua merce [di Max Renn] è l’immagine, e non un’immagine qualsiasi […] ma un’immagine puttanesca, adescatrice, un’immagine con la quale ci si isola, la pornografia domestica. […] Videodrome trasmette con uno studiato disturbo […] e con un altrettanto calcolato ritardo […] allo scopo di far credere di trasmettere da un luogo remoto. In realtà […] dovrebbe trovarsi “nella zona di Pittsburg”. […] Ciò che appariva estraneo e lontano […] si rivela vicino […], e la fascinazione che Max prova per quelle immagini “vere” viene proprio da ; le immagini hanno un carattere altamente contagioso e patogeno in quanto sono vicine. […] Videodrome rappresenta veramente lo schermo sul quale ciascuno può proiettare i propri fantasmi (salvo lo spettatore che, ironicamente, “vede” solo una sorta di gioco teletrasmesso, dai rituali ripetitivi e particolarmente soft; ecco una delle frequenti manifestazioni del senso dell’umorismo cronenberghiano). […] Max apprenderà ben presto come il segnale […] provochi un tumore maligno che genera allucinazioni e, […] verso la fine del film, verrà a sapere che Videodrome non è stato ancora diffuso, […] e di aver quindi svolto il ruolo di prima cavia, subito dopo O’Blivion, che ne è stato l’inventore e il primo “martire” […].
L’anonimo proprietario di Videodrome è la multinazionale Spectacular Optical (la televisione riassunta in una ragione sociale). Il Capitale incarnato ha “stravolto” l’invenzione dell’umanista (?) O’Blivion trasformandola in uno strumento di controllo e pressione sui futuri telespettatori […]. In un’intervista, Cronenberg rivelava come il punto di partenza della sua sceneggiatura fosse rappresentato dall’interesse che nutriva nei confronti di coloro che si chiudono soli in casa per guardare videocassette pornografiche.
E’ una sensazione di intensa solitudine, paragonabile al moderno onanismo, a regnare in un film nel quale tutto è illusione, tutto è televisione, dove non si vede praticamente mai la luce del sole […]. Max finisce per dialogare solo con monitor televisivi, con personaggi già morti, le cui apparizioni sono solo tracce “programmate” da mani invisibili e, infine, con la sua immagine che appare sul televisore, come un doppio che gli suggerisce il comportamento da tenere e gli mima i gesti del futuro suicidio. Il virus-immagine o l’immagine-virus raggiunge qui la dimensione del mito. Max, contaminato alla velocità della luce da uno spettacolo che per sedurlo assume le apparenze dei suoi desideri, si fonde letteralmente con la sua malattia. Cronenberg, non essendo un ideologo, esita fra l’attrazione per il divenire-macchina dell’uomo e la repulsione nei confronti del contagio macchinino (la macchina come cellula estranea, virale, che a poco a poco contaminerebbe il corpo umano). […] Nessuna posizione morale: non siamo di fronte a una favola edificante.
[…] Una delle scene più inquietanti del film è quella in cui Convex posa sulla testa di Max un “casco da allucinazioni” che permette di scomporre, visualizzare e analizzare le allucinazioni generate dal segnale Videodrome. […] Max, restato solo nel retrobottega, inizia a discernere forme imprecisate, che a poco a poco raggiungeranno lo stadio di definizione video e che, all’entrata di Nicki, diventeranno chiare e nitide come la pellicola cinematografica. Lo spettatore è quindi costretto a farsi carico della veridicità dell’allucinazione, nella sua realtà incarnata nell’immagine. Non può più, nella logica del film che subisce, nascondersi dietro il sembra vero […]. L’intreccio forse non è altro che una brillante e forbita metafora sul potere dell’immagine, sulle connessioni che già esistono fra la televisione e il sistema nervoso umano. I personaggi secondari (Nicki e Bianca) forse non esistono affatto, e potrebbero essere null’altro che i fantasmi complementari di un’idea, di un’immagine della donna: Nicki, la madre-amante che si trasforma rapidamente in protuberanza carnosa del tubo catodico (come in tutti i film di Cronenberg si assiste all’ipersviluppo di un organo, in questo caso la bocca di Deborah Harry, escrescenza mostruosa dello schermo televisivo) […]. All’estremo opposto è Bianca O’Blivion (Sonjia Smiths), orfana, vergine e vendicatrice che cancellerà il programma di Max e riprogrammerà il suo “istinto omicida” contro la Spectacular Optical […]. Sono chiaramente le voci della psicosi a “spingere” determinati soggetti al passaggio all’atto, e a giustificarlo.
Come in tutti i film del nostro cineasta infatti la sola “vera realtà” è quella della degradazione di un essere e della sua aspirazione alla morte. […]
Due donne […]. Due organizzazioni: una multinazionale dell’ottica […] e la Missione Catodica che, come un nuovo Esercito della salvezza, “riabilita” i rifiuti della società ricorrendo non a litanie e preghiere ma alla contemplazione passiva della televisione, ritenuta un mezzo adatto a “reinserirli nella realtà”. […] Max non smetterà di cercare di continuo il conforto fetale dello schermo televisivo sul quale appare Nicki […].
In Cronenberg non si troveranno mai trucchi del genere “commento psicoanalitico sull’azione in corso”, e inoltre, è bene ripeterlo, non sono mai prese in considerazioni ipotesi di tipo magico. In Videodrome (ma anche ne La Zona Morta, La Mosca, Inseparabili, Il Pasto Nudo) tutto si raccoglie intorno al sospetto, al dubbio di fronte alla verità dell’immagine e, procedendo, alla verità della narrazione e dei personaggi. In contrappunto, l’intreccio segue una logica implacabile, […] un insieme di atti e conseguenze che si concatenano logicamente nonostante i dati di partenza siano, in se stessi, assolutamente incredibili. […] Si potrebbe dire che Cronenberg accetta il postulato della psicologia sperimentale secondo il quale l’allucinazione non è altro che lo scivolamento (brusco o progressivo) da una realtà registrata dai sensi a un’interpretazione.
Tratto da David Cronenberg, di Serge Grunberg (Shake edizioni, 1999)
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