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PERSONE - Ballard e la sua fantascienza

Ultimo Aggiornamento: 29/12/2010 12:46
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Sesso: Maschile
29/12/2010 12:44

Devo ammettere che Cronenberg le ha sapute scegliere bene le sue ispirazioni. Ballard, Burroughs e altri (Dick, Bradbury, Asimov, King...) sono autori per cui ho una sempre crescente predilezione. Approfitto quindi della vicinanza tematica al regista per inserire in questa sezione di extra (un po' come nei dvd...) qualche articolo al fine di costituire un nucleo saggistico anche su questi incredibili scrittori, che sono nientemeno che un patrimonio letterario mondiale.
Matt - davidcronenbergitalia.tk



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Qual è la strada per lo spazio interiore

James Ballard in New Worlds, maggio 1962


Uno sventurato sottoprodotto della corsa allo spazio tra Russia e America e dell'immensa pubblicità riversata sugli astronauti in gara, è probabilmente l'identificazione ancor più stretta, nella mente del pubblico, della fantascienza con i razzi e con le pistole a raggi di Buck Rogers. Se la SF ha mai avuto una possibilità di sfuggire a questa identificazione (dalla quale derivano in gran parte i suoi mali presenti) presto tale occasione sarà svanita e il riuscito atterraggio dell'uomo sulla Luna dovrebbe sancire definitivamente questa immagine. Invece di salutare l'apparizione dell'eroe in tuta spaziale con un brontolio di disapprovazione, i lettori comuni saranno delusi quando non troveranno i classici parafernalia (cervelli robotici e hyperdrive), così come molti spettatori rimangono annoiati a morte se un western non contiene almeno una bella sparatoria. C'è stato qualche tentativo di western senza pistole, ma sembravano storie di boscaioli. Uno dei miei timori come lettore di fantascienza è che nel prossimo futuro i prodotti più seri, attualmente l'unica ragion d'essere della SF, possano essere relegati, a meno che non si rilanci drasticamente il genere, nello stesso limbo anemico occupato dagli altri generi letterari languenti, come i racconti di fantasmi e le storie investigative.
Ci sono svariate ragioni per cui non credo che la space opera possa più fornire la fonte principale di ispirazione. Per prima cosa, nel suo complesso è principalmente giovanilistica, anche se non è tutta colpa dei lettori. Mort Sahl ha definito il centro di lancio di Cape Canaveral "Disneyland Est" e, che ci piaccia o meno, il termine riassume l'atteggiamento di tanti verso la fantascienza e sottolinea gli stretti margini creativi che impone uno sfondo gremito di razzi e di balzi interplanetari.
Un poeta del calibro di Ray Bradbury può accettare le attuali convenzioni rivistaiole è trasformare un argomento cosi trito come Marte in un mondo originale e incantevole, ma il genere non può affidare la sua sopravvivenza al continuo emergere di scrittori del calibro di Bradbury. L'interesse insito nelle storie di razzi e pianeti, con le loro dimensioni limitate dal punto di vista fisico e psicologico e le asfittiche relazioni umane, è troppo debole per rendere possibile una forma narrativa autosufficiente posta su queste basi. Semmai, il successo dei voli dell'uomo nello spazio sancirà come modello per la fantascienza le limitate esperienze psicologiche degli equipaggi (accuratamente, anche se involontariamente, anticipate dagli scrittori SF).
Dal punto di vista visuale, nulla può uguagliare la space opera quanto ad ampi scenari e algida bellezza, come dimostra un qualsiasi film o fumetto, ma quanto a forma letteraria essa necessita di idee più complesse e più argomentate a sostegno. Una nave spaziale non basta. (Curiosamente, alla luce dell'attuale pletora di astronauti, l'unico elemento autentico della vecchia space opera è il dialogo legnoso e appiattito. Ma se non possiamo rimproverare più di tanto il comandante Shepard per il suo "Ragazzi, che cor sa", il sonno senza sogni del maggiore Titov dopo la sua prima notte nello spazio è stato il maggior tonfo dopo la caduta di Icaro; quanti autori di fantascienza devono aver desiderato scrivergli il copione!)
Ma la mia vera obiezione al ruolo centrale oggi occupato dalle storie nello spazio è che hanno un fascino limitato. Diversamente dal western, la SF non può basare la sua esistenza, se non vuole perdere terreno, sul piacere accidentale che può garantire a un vasto pubblico di non specialisti. Come molti media specialistici, ha bisogno di un seguito fedele e perspicace, che vi cerca piaceri specifici, come il pubblico dell'arte astratta o della musica seriale. La vecchia guardia della space opera, anche se forma la spina dorsale dell'uditorio attuale della SF, da sola non può tenere invita il genere. Come molti puristi, non sopportano bruschi cambiamenti nella dieta. Ma, a meno che la fantascienza non si evolva, prima o poi altri mezzi espressivi prenderanno il Sopravvento, strappandole questo unico privilegio di essere la vetrina del futuro.
Troppo spesso negli ultimi tempi, quando ho cercato qualcosa di intellettualmente eccitante, mi sono rivolto alla pittura o alla musica piuttosto che alla SF e sicuramente questa è la sua maggiore pecca attuale. Per attrarre il lettore critico la fantascienza deve mutare radicalmente contenuti e atteggiamento. La SF da rivista nata negli anni Trenta sta cominciando a sembrare fuori moda al lettore generico, come l'architettura pseudo-aerodinamica di quegli anni. Non è solo perché i viaggi nel tempo, la psionica e il teletrasporto (che comunque non hanno nulla a che vedere con la Scienza e che hanno implicazioni tanto strabilianti che ci vuole del genio per sfruttarle decentemente) contribuiscono a datare la SF, ma perché il lettore generico è abbastanza intelligente da capire che la maggioranza delle storie è basata su minime variazioni sul tema e non su trovate innovative.
In altre parole, la fantascienza sta diventando accademica. Storicamente, questo tipo di virtuosismo accademico è un sicuro segno di declino e può anche succedere che il vero ruolo che la SF ricoprirà in futuro sia quello di un passatempo marginale ed eclettico, simile ad altri divertimenti barocchi come il teatro Grand Guignol e la narrativa esoterica, e che le sue poche riviste si trovino soggette a sterzate editoriali opportunistiche, in base all'ultima mania popolar-scientifica.
Se ripudiamo questa possibilità, convinti che la SF possa svolgere un ruolo sempre più importante come interpretazione creativa del mondo, dove possiamo trovare una nuova fonte di idee? Innanzitutto penso che la SF debba volgere le spalle allo spazio, ai viaggi interstellari, alle forme di vita extraterrestre, alle guerre galattiche e a quel cocktail delle suddette idee che occupa i nove decimi delle riviste di settore. Sono convinto che H.G. WeIIs abbia avuto un'influenza disastrosa sul successivo sviluppo della fantascienza. Non solo le ha fornito un repertorio di idee che ha praticamente monopolizzato il genere negli ultimi 50 anni, ma ne ha anche tracciato i lineamenti stilistici: trame lineari, narrazione giornalistica, una gamma limitata di situazioni e personaggi. I lettori di fantascienza, che ne siano consapevoli o meno, sono stanchi. Questi elementi cominciano a sembrare sempre più obsoleti in confronto all'evoluzione degli altri settori della letteratura.
Mi son chiesto spesso perché la SF non dimostri lo stesso slancio sperimentale che ha caratterizzato pittura, musica e cinema durante le ultime quattro o comunque decadi, arti che hanno imboccato con convinzione la strada di una maggiore profondità spirituale, sempre più intente alla creazione di nuovi stati della mente e di nuovi livelli di consapevolezza, alla costruzione di inedite simboliche rispetto alle quali quelle vecchie cessano di essere valide. Di conseguenza, penso che la fantascienza si debba sbarazzare delle sue attuali forme narrative e delle sue trame troppo esplicite per esprimere sottili interazioni ditemi e personaggi. Scappatoie come la macchina del tempo o la telepatia, per esempio, esimono l'autore dal prendersi la briga di descrivere indirettamente le interrelazioni tra spazio e tempo. E per un curioso paradosso gli impediscono di usare la sua immaginazione, lasciandogli una ristrettissima libertà di movimento all'interno degli angusti limiti che gli impongono.
I maggiori progressi dell'immediato futuro avranno luogo non sulla Luna o su Marte, ma sulla Terra; è lo spazio interiore, non quello esterno, che dobbiamo esplorare. L'unico pianeta veramente alieno è la Terra. In passato la SF ha propeso verso le scienze fisiche - astronautica, elettronica, cibernetica - ma l'enfasi dovrebbe slittare verso le scienze biologiche, soprattutto sulle loro manipolazioni narrative e creative, implicite nel termine science fiction. La precisione, ultimo rifugio di chi non ha fantasia, non importa un accidente. I non ci serve più scienza ma più fantascienza e l'introduzione dei cosiddetti "articoli d'informazione scientifica" nelle riviste è un banale tentativo di rivestire con panni più rispettabili i vecchi stracci di Buck Rogers.
Più precisamente, mi piacerebbe vedere la SF diventare astratta e cool, inventare da zero situazioni inedite e contesti che illustrino trasversalmente i suoi temi. Per esempio, invece di trattare il tempo come una specie di pirotecnica rotaia panoramica, mi piacerebbe che fosse usato per quel che è, come una delle prospettive della personalità e che fossero elaborati concetti quali zona temporale, tempo pr6fondo, tempo archeopsichico. Vorrei trovare più idee psicoletterarie, più concetti metabiologici e metachimici, sistemi crono-biologici personali, spazi-tempi e psicologie sintetici, quei semimondi remoti e cupi che scorgiamo nei dipinti degli schizofrenici, una completa poesia speculativa, fantasia della scienza.
Credo fermamente che solo la fantascienza sia equipaggiata per diventare la letteratura di domani e che sia il solo mezzo espressivo dotato di un adeguato vocabolario di idee e situazioni. Gli standard che si propone sono più elevati di quelli di ogni altro genere letterario; d'ora in poi, credo, il lavoro più duro toccherà non a scrittori e redattori, ma al lettore, su cui ricadrà il peso di accogliere uno stile narrativo più obliquo, temi accennati, simboli e gerghi personali. La prima vera storia, quella che intendo scrivere io se non lo farà nessun altro, parlerà di un uomo privo di memoria che, sdraiato su una spiaggia, fissa una ruota arrugginita di bicicletta e cerca di estrapolare l'essenza assoluta della loro relazione reciproca. Se vi sembra astratto e poco convenzionale, tanto meglio, perché la SF dovrebbe utilizzare una dose maggiore di sperimentalismo; e se vi suona noioso, be', almeno sarà un nuovo tipo di noia.
Come commento finale, mi viene in mente lo scafandro col quale Salvador Dalì tenne una conferenza alcuni anni fa a Londra. L'operaio mandato a ispezionare la tuta gli chiese quanto si proponesse di scendere e, con espressione fiorita, il maestro esclamò: "Fino all'inconscio!", al che l'operaio rispose assennatamente: "Ho paura che non potremo scendere tanto!" Cinque minuti più tardi, si dice, Dalì a momenti soffocava entro il casco.
E questa tuta inter-spaziale che ancora ci manca ed è compito della fantascienza costruirla!
(da intercom.publinet.it)



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James Ballard nella storia della fantascienza


I Parte

[…] Mentre le opere di "Statten" [John Russell Fearn, ndr] rappresentavano la fantascienza popolare, quella un po' più impegnativa era pubblicata da John Carnell sulla rivista New Worlds. Non che tutti i numeri di questa rivista fossero eccelsi (e infatti non ebbe mai un'enorme diffusione), ma Carnell sapeva valorizzare i suoi scrittori e diede sempre molto spazio ad autori come Brian Aldiss e John Brunner e soprattutto pubblicò quelli che a lungo andare sono risultati i principali successi inglesi del campo: le storie di "Elric" scritte da Michael Moorcock e i racconti di James G. Ballard.
Ballard era stato nella Raf e in Canada aveva avuto occasione di conoscere le riviste americane di fantascienza, con un certo interesse per la produzione "sociologica" di Galaxy. Al suo ritorno in Inghilterra aveva iniziato a studiare medicina e in seguito era passato a lavorare per una rivista scientifica. I suoi primi racconti contengono gli spunti che l'avrebbero accompagnato negli anni seguenti: da una parte il disinteresse per l'avventura di esplorazione dello spazio e per l'incontro con gli alieni, dall'altra l'interesse per le scienze di tipo biologico e psicologico.
Bisogna tenere presente che Ballard è di formazione europea, anche se spesso i suoi riferimenti sono americani. Perciò alla base della sua idea di romanzo c'è Conrad e non E.R. Burroughs, ci sono le avanguardie storiche e non le soap opera della radio, il paesaggio urbano e non i great outdoors, e la terra desolata anziché l'utopia. Inoltre un grosso influsso su di lui è quello esercitato da William Burroughs, soprattutto la sua particolare sfasatura di registro consistente, per esempio, nel descrivere l'industria culturale come se fosse una banda di superdelinquenti fumettistici.
Bisogna tenere presente l'epoca in cui si Ballard si formava, tra i "giovani arrabbiati" inglesi e il "pop" americano, tutt'e due movimenti orientati verso una scrittura violenta, che per maggiore efficacia usava le trovate della narrativa popolare: e se il rapporto interpersonale di Ballard a volte ricorda Amis, l'impianto generale, in cui la realtà viene deformata con il metodo tipico dei surrealisti, è vicina a quelli di autori come Barth (Giles ragazzo capra), Wolfe (La baby aerodinamika), Vidal (Myra Breckenridge). La scrittura di Ballard si è dimostrata però più universalmente applicabile, e sotto questo aspetto lo si può paragonare al più vitale scrittore di quella leva, ossia Kurt Vonnegut.
Dopo i primi scritti in cui si ispira a varie tendenze del racconto di quegli anni (siamo verso il 1955), la sua produzione si assesta su alcuni filoni ricorrenti. Il primo è la cultura del tempo libero, con le storie di Vermilion Sands: una città balneare dove vive un gruppo di artisti che producono nuove forme d'arte, come la scultura di nuvole o le modifiche al paesaggio mediante fondali. Il secondo gruppo è quello in cui sono descritte ipotesi di nuove psicologie: qualche cambiamento dell'ambiente fa scattare "programmi" che sono all'interno del nostro cervello ma che non sappiamo di avere: per esempio, l'apparizione di un satellite artificiale spinge tutta la popolazione a buttarsi nell'oceano come lemmings. Il terzo è quello grottesco urbano, rappresentato dalle storie come Condominium, e un altro tipo di storie è quello che si potrebbe chiamare surrealista perché usa un tipo di discorso per assurdo che ricorda certe tecniche dei surrealisti (per esempio Magritte, che dipingeva rocce sospese nel cielo): racconti come Essi ci guardano dalle torri o Il gigante affogato.
Già da questa prima produzione sono chiari alcuni elementi che caratterizzano Ballard. Il primo è la forza delle sue immagini, e questa, naturalmente, è una sua dote, non è una cosa che si impari, anche se molte volte, al centro della sua immagine felice, c'è uno sfasamento di tipo lessicale analogo alla sua tecnica fondamentale di sfasare i registri di linguaggio. Per esempio le sue frasi del tipo di "coccodrilli incastonati nelle loro armature", basata sull'uso di un termine che di solito si associa a una pietra preziosa, ma che viene usato in un contesto di un animale lento e feroce. Oppure "gli strati pseudogeologici delle ere termonucleari", per descrivere la facies dell'atollo dove è stata eseguita una successione di esperimenti atomici. E' la tecnica surrealista della giustapposizione.
Un altro elemento è l'assenza delle emozioni e delle fedi, che gli viene dall'esperienza di scrivere per l'editoria scientifica. Al posto dell'emozione c'è la psicologia: invece di descrivere uno stato emotivo in cui l'autore e il lettore possono immedesimarsi, viene descritta la psicologia che sta dietro a questa emozione. Per farlo, Ballard attinge alle principali correnti della psicologia del Novecento: Freud, Jung ma anche i comportamentisti, e salta all'occorrenza dall'uno all'altro, come quando parla di IRM (innate releasing mechanisms) che è un termine dei comportamentisti (e degli etologi, che in fondo sono una loro setta eretica) e lo fonde con i concetti junghiani di inconscio collettivo. E non è che inventi queste cose a capocchia: qualche anno dopo, gli junghiani discutevano questi concetti nella loro rivista. Narrativamente questa tecnica è molto efficace perché elimina i dubbi e le alternative e finisce per dare un aspetto di verità a tutto ciò che scrive.
La sua seconda trovata tecnica è quella di operare un'inversione tra due registri di termini: quello delle cose animate e quello delle cose inanimate. In parte questo è compreso nella tecnica precedente, ma in parte è la tecnica complementare, consistente nel caricare di connotati emotivi gli accetti inanimati: per esempio quando in un racconto definisce "impudico" lo spettacolo di un'automobile rovesciata".
In un primo tempo Ballard espresse le sue idee sulla fantascienza in un articolo su New Worlds. Inizia esaminando la limitatezza della fantascienza dello "spazio esterno" e in generale di quella che presenta le macchine e la tecnologia del futuro: puntando tutte le sue carte sulla profezia, rischia di venire progressivamente sconfessata dalla realtà. Questo, si può osservare, è vero, ma occorrerebbe esaminare il valore di queste "profezie" come immagini; Ballard però aggira questa osservazione dicendo che per sfruttare il vero potenziale di simboli come l'astronave occorrerebbe uno scrittore molto superiore a quelli abituali della fantascienza. Sì, certo, ma il discorso meriterebbe un approfondimento! Egli stesso ha usato qualche volta, come nelle Tombe del tempo, le icone di questa fantascienza ricavandone con grande semplicità ottimi risultati. Tornando al suo articolo Ballard invitava gli autori a occuparsi di nuovi spunti tratti dalla psicologia e scienze affini e accennava a "psicologie sintetiche", ossia a immaginare possibili psicologie di persone umane in condizioni diverse da quelle consuete.
Il programma non è chiarissimo nell'articolo, ma diventa chiaro alla luce delle sue opere di quegli anni. Per chiarirlo occorre però fare una digressione su come Ballard intenda il rapporto tra personaggi e ambiente. L'idea è tratta dalla biologia e dalla psicologia e in genere viene sbrigativamente etichettata come "de-evoluzione" o "involuzione" (il contrario di "evoluzione"). In realtà è una posizione più articolata: l'interazione con l'ambiente porta all'evoluzione biologica, ma anche all'evoluzione dell'intelligenza e, al cambiare dell'ambiente che ci circonda - dice Ballard - possono cambiare le nostre reazioni istintive. Insomma: l'uomo si è evoluto in un certo tipo di ambiente "naturale" e Ballard si chiede come potrà evolversi nell'ambiente artificiale, ossia l'ambiente cittadino. Secondo Ballard, l'ambiente che interagisce maggiormente con noi è l'"ambiente" della comunicazione, ed egli introduce il concetto di "media landscape", "paesaggio dei media" (termine che a volte in traduzioni italiane di Ballard è stato tradotto fantasiosamente). La domanda cui Ballard cerca di rispondere è: "Se l'uomo si comportava in un certo modo nell'ambiente naturale, come si comporterà nell'ambiente mediatico", ossia l'ambiente di cartelloni pubblicitari, giornali, tv? Questo lo porta a individuare alcuni "miti", altrettanto forti come le credenze e i modelli antichi, e questi sono la bomba atomica, il mito dell'automobile veloce, e, passando alle persone, in generale i personaggi che comparivano più frequentemente nella cronaca di quegli anni: Kennedy, sua moglie, la principessa Margaret, Marylin Monroe, Elizabeth Taylor. Dopo vari tentativi, questo filone porterà a Crash, che è lo studio di una possibile psicosi indotta dal paesaggio dei media: il protagonista vuole ricreare un episodio in cui compaiono i miti del momento. Una sorta di terapia psicologica.
Però, nel primo periodo, tutti questi temi si riassumono nel suo romanzo più noto, Deserto d'acqua [ora pubblicato come Il mondo sommerso, ndr], che presenta la "psicologia sintetica" dei sopravvissuti a un cataclisma naturale che ha riportato sulla terra le condizioni dell'era dei dinosauri.

II Parte

Concludevamo citando il tema della "psicologia sintetica", a cui Ballard accennava nel suo "manifesto" (nel senso con cui usavano il termine i surrealisti) apparso sulla rivista New Worlds e intitolato Come si arriva allo spazio interno? In questo articolo proponeva agli autori e ai lettori di fantascienza di dedicarsi a temi suggeriti dalla psicologia.
Accennavamo anche a Deserto d'acqua, che presenta la "psicologia sintetica" dei sopravvissuti a un cataclisma naturale che ha riportato sulla terra le condizioni dell'era dei dinosauri. Il romanzo è ricco di immagini vivide, e la sua immagine più ricorrente è quella che si potrebbe chiamare "dell'inversione paleontologica", o "della stratigrafia inversa". La spiego per mostrare il tipo di operazione che Ballard compie sulla scienza. In geologia le rocce si presentano a strati, e il criterio fondamentale è che lo strato inferiore è più vecchio di quello superiore. Lo stesso vale per i fossili. Dato che in genere le forme più evolute vengono dopo quelle meno evolute, la serie dei vari strati corrisponde a vari livelli di evoluzione: salendo si hanno fossili superiori, a quota più alta corrisponde forma più evoluta. Ballard gioca su questo principio presentandone uno inverso: sui "fossili" del ventesimo secolo - telefoni, elettrodomestici ecc. - vediamo installarsi fisicamente forme caratteristiche di passate ere geologiche, e questo porta automaticamente a un giudizio di valore (o di demerito). Nel romanzo ce ne sono molti esempi. Il romanzo appartiene però al filone delle psicologie sintetiche, come quelle due altre opere significative che sono Terminal Beach e Crash. Nel caso di Deserto d'acqua, le psicologie ritratte sono due: quella dell'uomo del ventesimo secolo e quella dell'uomo "del mondo sommerso". L'uomo del ventesimo secolo è ridotto al singolo personaggio che intende svuotare Piccadilly Circus dell'acqua che vi è contenuta: un'impresa da ventesimo secolo, un "lavoro" provvisto di uno scopo, e il fatto che sia votato all'insuccesso dimostra che quelle forme di pensiero non sono più adatte al nuovo ambiente. I personaggi del nuovo mondo sono invece quelli che vediamo per tutto il libro, che non si pongono scopi, non cercano di realizzare nulla, si limitano a vivere e a pigliare il sole, come i rettili che secondo Ballard abitavano il "mondo sommerso" di 60 milioni di anni fa. Se tornassero le condizioni del Giurassico, ci mostra Ballard, l'uomo regredirebbe alla psicologia dei dinosauri e questo sarebbe un adattamento, non diverso da quello che ha portato all'evoluzione dell'intelligenza umana.
Il secondo esempio di psicologia sintetica è il personaggio di Terminal Beach, un racconto lungo che sta a metà tra la produzione iniziale di Ballard e quella successiva, rappresentata dai racconti "non sequenziali" della raccolta The Atrocity Exhibition: i racconti costituiti da brevi paragrafi apparentemente staccati l'uno dall'altro.
Il processo che porta Ballard ai racconti non sequenziali inizia con Terminal Beach, che è ancora un racconto con una precisa storia, anche se già suddiviso in paragrafi non in sequenza. La storia è quella di una persona che a causa di un incidente automobilistico in cui ha perso i famigliari cerca qualcosa che gli permetta di trovare una stabilità mentale. La trova in una sorta di fede apocalittica o di mito dell'autodistruzione, secondo cui siamo fatti per essere distrutti. Con la solita corrispondenza tra ambiente e psicologia (che questa volta è vista in senso inverso: non è l'ambiente a creare la psicologia più adatta, ma è la psicologia a cercare l'ambiente più adatto ad essa) il protagonista cerca un ambiente che confermi la sua visione del mondo e lo trova in un atollo dove sono stati compiuti esperimenti nucleari: in mezzo a quel paesaggio di oggetti appositamente costruiti per essere distrutti, il protagonista ha la conferma della sua particolare visione del mondo. Naturalmente, l'atollo è radioattivo e il protagonista non vi può sopravvivere a lungo, cosicché la ricerca dell'ambiente più adatto a lui è una forma raffinata di suicidio, ma questa conclusione è solo un particolare secondario, rispetto al concetto fondamentale della corrispondenza tra ambiente e psiche ("a psicologia deviante ambiente deviante" e viceversa).
Anche Crash rientra in questo studio di psiche e ambiente: qui l'ambiente mediatico (quello che Ballard chiama "media landscape", ossia paesaggio mediatico) crea le sue particolari nevrosi, e in particolare quella che induce il protagonista a voler ricreare la morte simbolica dei personaggi della cronaca in un incidente automobilistico: un esempio per assurdo dell'influsso di giornali e televisione sulla mente di chi ne fa un uso eccessivo.
In queste storie Ballard si mostra come uno spirito completamente laico, che nulla concede alle ideologie e alle fedi. Anzi, sembra di vedere un tentativo di mostrare come non ce ne sia bisogno: alla sostituzione dell'emotività con la psicologia si accompagna quella dell'ideologia con la conoscenza scientifica. Naturalmente per uno psicologo queste posizioni corrispondono a un rifiuto dell'affettività per timore di venirne coinvolti, e c'è da domandarsi dove si rifugi in Ballard l'ideologia. E' lo stesso problema che si incontra esaminando molti autori degli anni 1950, e in particolare quelli del filone di Galaxy. Per esempio, dietro la tendenza iconoclastica di Sheckley c'è un sistema di valori o c'è solo una mente eccessivamente analitica?
Lo stesso discorso vale per Ballard. Dietro la sua analisi dell'uomo delle metropoli e delle sue nevrosi si nasconde un sistema di valori? Al limite, diversamente da Dick, magari anche solo quello della realtà della ragione?
Il sospetto secondo noi è giustificato, visto il suo interesse per la "waste land", il "mondo desolato". Questo tema viene dalla religione: la terra ridotta a deserto è quella che ha abbandonato Dio e la distruzione è la sua vendetta. Nei romanzi fantastici la distruzione della terra è effetto di una colpa dell'uomo, che in genere è quella di avere violato l'ambiente naturale o la morale naturale. In realtà, la superiorità del mondo naturale rispetto a quello artificiale rientra in quello che si chiama il "paradigma" di un'epoca: nel Settecento, per esempio, ciò che era artificiale veniva ritenuto superiore a ciò che era naturale: i nobili dell'epoca rimanevano estasiati davanti agli automi a orologeria che imitavano gli animali e spendevano enormi somme per farseli costruire.
C'è dunque una ideologia in questa produzione di Ballard, ed è l'ideologia umanista degli anni 1950-60: l'invito a conoscere se stessi prima di intervenire sull'ambiente, la diffidenza verso la società di massa. Il limite di questa ideologia è quello solito di limitarsi ai problemi degli stati più progrediti, e lo si vede oggi, con un'Africa semi-distrutta e un Sudamerica eternamente instabile, cosicché tutta la protesta sociale ed ecologica di quegli anni sembra una di quelle manifestazioni artistiche della comunità di Vermilion Sands: un gioco degli schermi o una scultura di nuvole.
In realtà, questa componente ecologica-religiosa (la condanna apocalittica, tradizionale nei profeti: "Gerusalemme sarai punita per le tue colpe") sembra uno spunto preso dalla polemica del tempo, non necessariamente corrispondente al nucleo più profondo dell'autore. Se è così, il Ballard più autentico, il suo "zoccolo duro", dovrebbe corrispondere a un altro tipo di storie, lontane dall'"inferno urbano" immediato dei suoi Condominium, dalle sue condanne dei media o dalle lance da lui spezzate per le comunità di artisti. Sono alcune storie che non sembrano nascere da un tema preciso (per esempio, Le tombe del tempo, Il gigante annegato, Essi ci guardano dalle torri), ma che in genere si rivelano legate al superamento del mondo reale grazie all'arte e alla bellezza (o un senso oppressivo di fronte all'ignoto come in Essi ci guardano...). Per esempio, Il gigante annegato è una parabola sulla mentalità prosaica capace di abbassare al suo livello e distruggere ogni elemento a lei superiore.
Buona parte del successo di Ballard degli ultimi vent'anni si basa sull'applicazione del suo stile a tematiche più adatte al pubblico più vasto, e il Ballard più interessante per la critica resta quello che precede L'impero del sole. Di solito hanno richiamato l'interesse i suoi romanzi dei "disastri", le opere nel filone di Crash e le sue tragicommedie urbane, anziché il tipo di racconti anomalo rispetto a questi temi. Bisognerebbe riprendere in esame quella produzione e individuare i vari filoni, i legami palesi tra loro e quelli occulti, senza lasciarsi fuorviare dai manifesti che lo stesso Ballard ha diffuso in quegli anni e che rappresentano una sola posizione: quella di Ballard che, come critico, esamina Ballard autore. Come sempre, per il solo fatto di averli scritti lui non è detto che spetti all'autore, quando indossa i panni del critico, la posizione privilegiata. Tutt'al più può essere colui che conosce meglio se stesso storicamente, ma anche in questo caso gli autori occultano sempre qualche lato di se stessi...
Riccardo Valla, fantascienza.com



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Senso e storia in James Ballard
"Urli neuronici sulle autostrade spinali"



Anche nella vecchiaia, James Ballard pare non essersi completamente liberato dei suoi fantasmi. Forse ha solo imparato a convivere con essi più civilmente, cosa che, comunque, pare sempre essergli riuscita benissimo, dopo gli anni del duro apprendistato a Lunghua, fra il 1942 e il 1945. Nei suoi ultimi due romanzi, Rushing to Paradise (1994) e Cocaine Nights (1996), ritorna un tema che da sempre circola nella sua opera, quello della colpa. Ma per Ballard la colpa non ha mai avuto la connotazione che ha nella cultura cristiana in nessuna delle sue varianti, né in quella cattolica né in quelle protestanti: non è una chiave per capire il male (e quindi il mondo), non è l’ostacolo che l’individuo deve affrontare e superare per forgiare la propria personalità. È piuttosto una dimensione antropologica diffusa, una funzione sociale che può transitare da un individuo all’altro in modo tutto sommato indifferente. Così, anche nei due romanzi citati, alcuni personaggi assumono su di sé le colpe di altri, forse di nessuno, perché la comunità possa continuare a perpetuarsi, anche nei suoi riti più stanchi e banali, perché il mondo abbia un senso.
Non è la stessa cosa che faceva il personaggio dai nomi mutevoli (Travis/Traven/Trabert) nella Mostra delle Atrocità, o il personaggio che ha il nome dell’autore in Crash? Certo, la scrittura frammentata e implosa di quelle due opere sembra lontana. La scelta dell’ultimo Ballard per la forma apparente del “giallo psicologico” richiede un ritorno alla sua prosa degli anni Cinquanta e dei primi Sessanta, forse ancora più asciugata, ancora più essenziale, in attesa però della rasoiata di una sfumatura, di una parola, di una frase che chiuda un capoverso. Ma sotto la patina di questa scrittura elegantissima non c’è nessuna pacificazione.
Oggi lo scrittore che negli anni Sessanta scoprì con più chiarezza e drammaticità (dopo William S. Burroughs) la rottura delle dighe del mondo cartesiano e la catastrofica mescolanza dell’interno con l’esterno (“il matrimonio tra ragione e incubo che ha dominato il XX secolo”), può permettersi di galleggiare sulla superficie delle acque apparentemente tornate tranquille. Ma il suo sguardo torna sempre a perforare la superficie e a restituirci quel conflitto mortale tra vita e senso che continua ad agitarsi lì sotto. Un gruppo di artisti, di performer, di teatranti, che oggi si appresti a darci una traduzione visiva dell’universo di Ballard non può, naturalmente, seguire lo scrittore in questa evoluzione. Tanto più se il loro immaginario e il loro lavoro precedente, come nel caso del gruppo Motus, si è nutrito e continua a nutrirsi di Samuel Beckett, di Francis Bacon, di Burroughs. Le loro “icone neuroniche sulle autostrade spinali” hanno bisogno di urlarle, il nuovo corpo prostetico e mutante (che Ballard aveva visto con tanta lucidità e con tanto anticipo sull’attuale era telematica e bioingegnerizzata) devono sbatterlo sulla scena, sottoporlo allo stress dell’iterazione di movimenti frenetici, la cui banalità sportivo-televisiva viene riscattata dalla clausura nella gigantesca scatola di plexiglass in cui esso si consegna allo sguardo attonito dello spettatore. In questo spettacolo così adrenalinico che è Catrame, Motus assimila e restituisce la lezione di Ballard in due modi: da un lato, utilizzando ed esaltando tutto il grezzo materiale mediatico, i luoghi condivisi del consumo televisivo e modaiolo, gli strumenti più riconoscibili della civiltà dell’immagine (come la macchina fotografica), dall’altro “raffreddando” l’urlo, la potenza del corpo “naturale” che campeggia in primo piano, con uno sfondo tecnologico di maniera, a metà fra l’astronave di 2001 e uno studio di registrazione discografica. Il mix di musica techno, di parole, di rumori, di movimenti parossistici, in una citazione esagerata della temperie postmoderna dei primi anni Ottanta, accompagna la trasformazione del corpo atletico e vuoto, il suo plateale e irritante cambio di sesso, il suo afflosciarsi e autoconsumarsi.
Da oltre quarant’anni Ballard accompagna, osserva, commenta il percorso tortuoso e spasmodico dell’immaginario contemporaneo, la metamorfosi del corpo nel passaggio dall’industriale al postindustriale, la “inscrizione nel nostro sistema nervoso delle nuove costellazioni della tecnologia”: a suo modo, l’itinerario ballardiano è una delle tappe del tentativo del secolo XX di chiudere la forbice tra arte e vita che parte da Duchamp, Joyce, Céline, e che attraverso John Cage, Yves Klein, Fluxus, Philip K. Dick, arriva oggi fino a Orlan e Stelarc. Per lui, come ha notato Daniele Brolli, “il baricentro dell’attività creativa si sposta verso la casualità e l’osservazione, il combinarsi apparentemente spontaneo delle cose”. Come anche Catrame di Motus ci invita a fare, è un’indicazione che ognuno di noi dovrebbe raccogliere, oltre il momento dello spettacolo, in un lavoro individuale e collettivo che risvegli le componenti attive del nostro essere consumatori di immaginario.

Oltre la fantascienza
Dopo aver chiuso, con La gentilezza delle donne del 1991, la breve e intensa parentesi autobiografica inaugurata con L’impero del sole, Ballard è passato nell’ultimo decennio a un nuovo ciclo di romanzi, caratterizzato da un ritorno alla fiction “pura” e da uno sguardo più ravvicinato sul presente, solo apparentemente meno duro e impietoso di quello della fine anni Sessanta e Settanta (che produsse probabilmente i suoi capolavori a tutt’oggi, The Atrocity Exhibition e Crash). Si tratta per il momento di tre romanzi, Rushing to Paradise (1994), Cocaine Nights (1996) e Super-Cannes (2000) – tutti e tre tradotti in italiano (il primo con l’infelice titolo Il paradiso del diavolo) – che potrebbero essere definiti “thriller psicopatologici.” In essi è scomparsa ogni traccia, anche lieve, di “anticipazione”; in un certo senso si potrebbe ancora parlare, naturalmente, di speculative fiction, ma il mondo di queste narrazioni è inequivocabilmente il nostro presente: nelle tecnologie, nei modi di vita, nei costumi, nelle ideologie. La torsione a cui questo presente è sottoposta è però ancora di tipo “fantascientifico”, nel senso che Ballard tenta acutamente di rendere letterali – e perciò esplicite, innervate nella struttura narrativa – quelle che nella percezione comune sono ancora solo metafore, o tendenze. È una “fantascienza del presente” che esprime ancora un’eredità swiftiana. Come se Ballard riconoscesse che le tendenze “futuribili” – le storie di moltiplicazione dell’identità e di diluizione dell’io nell’immaginario che aveva raccontato in The Atrocity Exhibition, la fusione panica di corpo e tecnologia che aveva rappresentato in Crash – in poco più di vent’anni si sono trasformate in elementi attuali della nostra esperienza, che il media landscape ancora in incubazione negli anni Sessanta è ormai definitivamente un paesaggio non solo mediale, ma direttamente e ineluttabilmente psichico. Per questo Ballard (e con lui Cronenberg) è, secondo molti psichiatri, uno dei narratori più lucidi e attendibili, anche clinicamente, della malattia mentale contemporanea.
In Rushing to Paradise ciò che Ballard mette sotto il suo sarcastico e grottesco microscopio narrativo è la perversione di una pratica ecologista e animalista che maschera la paranoia e l’estraneità ai rapporti umani di una donna solitaria e dolorosa.
Barbara Rafferty, “doctor Barbara”, è uno dei personaggi più potenti e indimenticabili usciti dalla penna dello scrittore di Shepperton. Radiata dall’albo dei medici per aver praticato eutanasie, la dottoressa Barbara persegue una “onewoman campaign” per salvare gli albatri dell’atollo hawaiano di Saint-Esprit, usato dai francesi per i loro esperimenti nucleari. L’incontro con il sedicenne americano Neil, orfano di padre, semiabbandonato dalla madre e ossessionato da fantasie di morte atomica, permette a Barbara di realizzare nell’atollo un “santuario” per la protezione delle specie animali minacciate di estinzione. Ma Saint-Esprit, tra sparizioni, febbri misteriose, visitatori trovati morti sul fondo della laguna o nel giardino della dottoressa, si rivela ben presto una via di mezzo fra una sinistra utopia femminista-animalista e un lager. Le ossessioni e le pulsioni di morte della dottoressa Barbara attirano, anche sessualmente, Neil, poi il progetto eugenetico-calvinista di lei lo respinge. Ma anche dopo la tragica conclusione, il ragazzo spera di essere “ancora abbracciato dal cuore crudele e generoso” della dottoressa.
Gli altri due romanzi, invece, sono altrettante variazioni su di un unico tema: quello della violenza, dell’aggressione e dell’assassinio come strumento di coesione sociale, all’interno di comunità artificiali e fortemente tecnologizzate che teorizzano e praticano la chiusura, e non l’apertura, rispetto al resto del mondo. Ballard mostra come la paranoia della sicurezza trasformi le nuove comunità di ricchi in un terreno di incubazione del crimine (l’aveva già fatto in Running Wild, un romanzo breve del 1988 – Un gioco da bambini), e di come il crimine diventi, in questi mondi di reclusione, il principale motore di socialità. In Cocaine Nights la comunità in questione è quella di un villaggio residenziale sulla Costa del Sol, nel sud della Spagna. In Super-Cannes, invece, siamo trasportati nei viali asettici e nelle assolate ville con piscina della “città intelligente” di Eden-Olympia, un parco tecnologico sulla Costa Azzurra molto simile a quello reale di Sophia Antipolis, la Silicon Valley d’Europa. In entrambi i romanzi agiscono due coppie maschili di protagonisti – un io narrante, che penetra dall’esterno nell’enclave, tenta goffamente di indagare su un fatto di sangue precedente al suo arrivo, e così facendo scopre progressivamente il meccanismo di perversione e violenza che sotterraneamente regge la vita di quel luogo (trasparente proiezione autobiografica dell’autore); e l’animatore locale di quello stesso meccanismo, un personaggio a metà fra un Peter Pan troppo cresciuto e uno psicopompo di criminalità, che coinvolge poco a poco il narratore nel suo gioco, e che Ballard guarda però, come sempre, con ambigua benevolenza. Il narratore di Cocaine Nights è lo scrittore di viaggi Charles Prentice (“la mia professione è attraversare frontiere”), giunto a Estrella de Mar per scagionare il fratello da un’accusa di assassinio e trascinato poco a poco da Bobby Crawford, il tennista professionista del Club Nautico, nel sottile programma di aggressioni e vandalismi con il quale quest’ultimo intende restituire alla vita la sonnacchiosa comunità di pensionati benestanti.
In Super-Cannes Paul Sinclair, pilota ed editore di mezza età arriva a Eden-Olympia in compagnia della moglie medico, e inizia quasi per caso a indagare sul massacro compiuto mesi prima dal predecessore della moglie. Non convinto dall’ipotesi dell’inspiegabile scoppio di follia, nel corso delle sue indagini Sinclair scivola progressivamente dentro il perverso meccanismo di violenza con il quale lo psichiatra Wilder Penrose vuole curare i manager e i quadri di Eden-Olympia dalle loro tensioni nevrotiche.
In nessuno dei due romanzi, naturalmente, la strada scelta si rivela priva di controindicazioni, e il finale è sempre amaro, perché protagonista e deuteragonista risultano sempre, in qualche modo, sconfitti: la scoperta della verità non disegna alcuna credibile prospettiva di liberazione. Ciò è coerente, va da sé, col lucido pessimismo di Ballard, amplificato – se possibile – dall’età. Ma ancora una volta, come in Atrocity e Crash, il nostro autore si dimostra convinto che “i comportamenti psicopatici e perversi rappresentano allo stesso tempo nuove psicopatologie e nuove terapie che la trasformazione tecnologica e sociale consente di liberare e realizzare per espellere il dolore mentale connesso alle perdite e alle organizzazioni della colpa che generano, per infrangere il vissuto di estraneità a se stessi e alla realtà che si esprime nella noia, nella depersonalizzazione, nella frammentazione dell’identità.” (Riccardo Dalle Luche).
Antonio Caronia, fantascienza.com
[Modificato da |Painter| 29/12/2010 12:46]
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