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Cronenberg secondo Grunberg (pt.1)

Ultimo Aggiornamento: 25/12/2010 19:03
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Sesso: Maschile
25/12/2010 19:03


DAVID CRONENBERG
di Serge Grunberg

(Parte 1)



[David Cronenberg] si è avvicinato al cinema, contrariamente ai cineasti della sua generazione (Lynch, i Coen, Burton, Dante ecc..), in maniera analoga a uno scrittore che scopre un nuovo strumento (il computer per esempio). La stesura di una sceneggiatura di Cronenberg non è il frutto di un'idea originale o di un adattamento sottoposto, nel corso degli anni, a diverse fasi di "trattamento" nelle quali ognuno (agenti, finanziatori, produttori e attori) aggiunge [...] le proprie considerazioni su questo o quell'aspetto del mercato. [...] Fedele al Canada (le sue riprese sono sempre state realizzate in Ontario o Quebec), alla sua troupe, al suo metodo di lavoro e soprattutto alla sua visione del mondo, è riuscito a imporre, grazie a un pubblico comunque decisamente eterogeneo, un universo che trova nel surrealismo un riferimento obbligato, ma che sfocia in una sorta di lunga autobiografia filmata di un narratore ignoto.
Lungi dal costruire un film sugli effetti speciali, confezionandoli in una sceneggiatura-tipo alla portata di qualsiasi pubblico, Cronenberg è sempre partito dalla sensazione e dalla scrittura, utilizzando le tecnologie più sofisticate del cinema moderno solo al servizio del testo.

Il virus

[...] Nella maggior parte dei film di Cronenberg è presente un programma umano, all'inizio apparentemente sano, che un virus non solo rovina ma, come accade ai computer, distrugge dall'interno [...] Un approccio essenzialmente diverso rispetto a quello di altri film dell'orrore o di fantascienza, in quanto la sua forma narrativa è prossima non tanto a un intreccio quanto a una perizia medica, tesa a registrare, talvolta in maniera documentaristico-realista, l'avanzare di una malattia. La realtà sociale, anche se abbozzata, è sempre realista (se non addirittura iperrealista) e i "mostri" non sorgono mai "per magia"; al contrario essi sono sempre individui socialmente e storicamente esistenti che, per effetto di un trauma, di una manipolazione medica o di un esperimento scientifico tentato su se stessi, si ritrovano alterati, metamorfizzati [...] L'alterazione non è tuttavia sempre negativa; essa può attribuire poteri "sovrumani", paranormali, [...] ma può anche far regredire verso l'animalità [...]. Il protagonista non recupererà mai la "salute" (la normalità); spesso, tuttavia, nemmeno lo desidera. [...] Vuole andare "fino in fondo", in un al di là della carne che non ha nulla a che vedere con la cristiana aspirazione a un'estrema purezza e piuttosto si riferisce alle speculazioni scientifiche sull'ottimizzazione delle capacità fisiche e intellettuali. La ricerca termina immancabilmente con la morte o il suicidio. [...]
Le inquietanti multinazionali dall'ideologia fascistizzante di Scanners e Videodrome mostrano in maniera eloquente come Cronenberg non sia affatto un cantore dello status quo. Tuttavia non è mai stato un autore cosiddetto "engagé", impegnato cioè a denunciare un qualunque ordine politico o socio-economico, quel tipo di cinema viene da lui definito "di propaganda" [...]. Cronenberg si presenta piuttosto come un cineasta di idee, decisamente prossimo, nelle tecniche narrative come nelle tematiche, a chi artisticamente lo ha maggiormente influenzato: William S. Burroughs. Come lui follemente innamorato della fantascienza e della biologia, concepisce le idee come un "corpo" enigmatico da affrontare con il metodo della dissezione. [...]
Il virus, la proliferazione virale, è nel contempo il tema centrale della sua opera e il modo per individuarla, la sua tecnica. [...] Infestata da un virus, la comunità umana deperisce, si disgrega, nega i suoi valori fondamentali [...]. Cronenberg, la cui morale non coincide affatto con quella dell'ideologia corrente del consenso, non assume mai il punto di vista della comunità. Fin dai primi film, le vicende di Rose (Marylin Chambers), punto di partenza di una pandemia, sono descritte dal punto di vista della donna [1]. E' un esercito anonimo, l'Ordine incarnato nella maniera più fredda e brutale, a risolvere il problema. Lo spettatore, incapace di identificarsi con questa donna fallica che sopravvive grazie al vampirismo, avverte un senso di desolazione e di demoralizzazione, che rappresenta una sorta di firma del cineasta dell'Ontario.
[...] L'approccio virale presenta il vantaggio di mettere da parte tutta la paccottiglia irrazionale che di norma circonda il paranormale. Il genere fantastico, in effetti, presuppone il rispetto di un certo numero di regole, o per meglio dire di una morale. La più comune, nelle sceneggiature di questo tipo, è: [...] non mettiamo mano alla natura (soprattutto umana), opera del Creatore! Si tratta dell'archetipo dello scienziato folle (il dottor Moreau, per esempio), archetipo nel quale trovano spazio i parti ibridi, il mostro di Frankenstein, [...] vampiri, lupi mannari, demoni, apparizioni luciferine... E' proprio per rompere con una simile tradizione che Cronenberg ha consapevolmente deciso di esplorare quel suo caratteristico ambito (che, in parte, ha lui stesso inventato e in cui l'orrore è allo stesso tempo interiore, viscerale, giocato cioè sul ripugnante e medico) [...] Strada facendo, il regista ridefinisce una sorta di materialismo estetico attraverso la sua caratteristica sensibilità, le sue ossessioni [...]
Siamo in presenza di autentiche immagini virali […]: in una profusione di immagini la cui provenienza non è mai definita, e la cui veridicità o affidabilità è ampiamente sospetta [...], lo spettatore non dispone dei punti di riferimento o degli indizi necessari per distinguere l'immagine "realista-naturalista" (che si ritiene registri l'azione così come è avvenuta) da quella onirica, allucinatoria, [...] come se volesse provocare in noi una vertigine, un dubbio sistematico [...].
Come non evocare, anche in breve, il percorso paradossale che scandisce la fortuna dell'immagine in luoghi di tradizione puritana come il Canada e gli Stati Uniti! [...] Il puritanesimo, come movimento religioso, inizia con una campagna di natura iconoclasta: nel tempio, qualsiasi quadro, ornamento o arazzo era considerato un inganno, un velo opaco che impediva la comunicazione diretta del fedele con Dio. Si ricordi lo sgomento del legionario romano che, dopo aver strappato con un trionfante taglio di spada il velo bianco che ricopriva il sancta santorium posto al centro del tempio di Gerusalemme, scopriva che [...] esso non nascondeva niente! [2] Feroce paradosso dell'America del Nord in cui la "religione catodica" è diventata veramente onnipotente e l'immagine, come dice giustamente Cronenberg, è non il sostituto o l'imitazione della vita ma la realtà ultima, la realtà rivelata. Paradosso ancor più carico d'ironia, se si pensa che Hollywood, luogo d'origine di questa "peste", fu in gran parte edificata da compagnie i cui direttori, produttori e registi erano in maggioranza ebrei! [...]
Un'analisi dettagliata, film dopo film, mostrerà infatti come la morte a cui si faceva riferimento abbia due significati: uno allegorico, l'altro puramente cinematografico [...]; non procura forse allo spettatore la soddisfazione di una risoluzione. Si tratta, con ogni probabilità, della famosa kàtharsis a cui Cronenberg fa riferimento. Cronenberg presenta sempre la morte finale del protagonista come una liberazione, come se, in qualche modo, dopo che il virus è proliferato e ha contaminato persino la narrazione, fosse necessario, in un ultimo sforzo risolutivo (che non è una degenerazione), sacrificare l'organismo per distruggere l'invasore minaccioso. [...] La risoluzione di una tensione così insopportabile diviene così la promessa di un intenso godimento [...]. Diviene anche garanzia che l'opera d'arte, percorrendo tutto il ciclo dell'esistenza (e ogni film di Cronenberg ci racconta, a modo suo, la nascita e la morte di qualcosa), raggiunge una sorta di eternità. [...]
Mai infatti i protagonisti dei suoi film manifestano il desiderio di ritornare [...] alla condizione "normale", a qualche paradiso perduto [...] in quanto, tramite l'esperienza che hanno vissuto, hanno conosciuto l'irrimediabile rovina dell'esistenza. Ogni film di Cronenberg fa passare lo spettatore dall'illusione alla disillusione.
Ne La Mosca, per esempio, Seth Brundle (Jeff Goldblum) metamorfizzato in Brundle-mosca [...], potrebbe essere soddisfatto della trasformazione subita, se essa non significasse la morte e la perdita di quella coscienza umana che gli permette di rimirarsi. Ma in che cosa consiste alla fine il teletrasporto? Non certo nel far semplicemente passare da un "telepode" A a un "telepode" B lo stesso individuo. Diversamente, si tratta di codificare il programma cromosomico [...] e quindi ricodificarlo altrove! [...] Un concepimento immacolato come una centrale informatica: il Verbo che si fa carne [...]. Fin dall'inizio, Brundle, presentando la sua scoperta, parla di un esperimento destinato a migliorare l'essere [...]. Il problema non è più viaggiare nello spazio o nel tempo ma raggiungere una condizione superumana [...]. Ad appassionare Cronenberg, in questo film che precede Inseparabili, è il problema dell'identità - concepire un essere identico, ma migliore; un essere perfetto [...] - e dell'aspetto patetico di quella ricerca di se stessi. [...] Se ciò si rivelerà impossibile, spera, fondendosi con Veronica, di acquisire qualcos’altro, [...] un altro se stesso attraverso un figlio, anche mostruoso […].
Anche Max Renn non desidera tornare allo stato di natura. Vuole raggiungere Nicki conseguendo la “nuova carne”, in un al di là della vita, entrare nella matrice del televisore, apparire in Videodrome! […]
La sequenza introduttiva di Inseparabili mostra i fratelli Mantle durante la loro infanzia […]; due fratelli gemelli, usciti dal nulla, uniti contro le donne. Diviene evidente che uno dei gemelli Mantle si presenta come il virus dell’altro, il suo ritratto celato. […] Sognano di essere uno, di pensarsi non più come coppia ma come individuo […].

L'allucinazione o il paradosso cinematografico

I surrealisti, com’è noto, accordavano scarsa stima alle storie che finivano con il classico “era solo un sogno!” In esse vedevano una sorta di truffa, un modo per non assumersi alcun rischio. Ebbene, è possibile analizzare, senza spaccare la pellicola in quattro, quasi tutti i film di Cronenberg come racconti di allucinazioni. […] Cronenberg non si propone di analizzare un fenomeno, e ancor meno un personaggio; al contrario, racconta storie in assoluta soggettività, alla maniera oggettiva di una lezione di anatomia, riservando allo spettatore una parte attiva nella loro decifrazione. La posizione che lo caratterizza è quella di un autore a tutto tondo: gli universi che crea esistono in forza di una loro intrinseca necessità; possiamo accettarli o entrare in essi più o meno agevolmente, ma il cineasta non ci consegna mai “chiavi in mano” il prodotto completo di istruzioni per l’uso. […] Per lo spettatore, infatti, la telecamera è quasi sempre uno spettatore onnisciente, una fonte di informazioni attendibile, che non “mente” mai. In quanto spettatori, prestiamo fede alle immagini, come se fossero i nostri sensi […]. In più, una consolidata tradizione vuole che le immagini dei sogni e delle allucinazioni, per essere presentate “correttamente” allo spettatore debbano essere un po’ alterate da obiettivi o filtri speciali. […] La linearità degli intrecci, il montaggio fluido, invisibile, confermano la fiducia dello spettatore in ciò che vede. […] L’allucinazione è una figura centrale del cinema di Cronenberg […], la struttura della sceneggiatura e ancor più le immagini spingono lo spettatore all’inquietudine fondamentale del voyeur che non sa più se le peripezie alle quali assiste sono “vere” […].
Ne La Zona Morta, Johnny Smith, in seguito a un incidente stradale, cade in un lungo coma al termine del quale scopre di essere in grado, solo toccandole, di vedere il futuro delle persone, o piuttosto le potenzialità delle loro esistente. […] Lo stesso Cronenberg ha insistito più volte sulla condizione paradossale in cui si trova lo spettatore dei suoi film: in effetti […], coinvolti nella narrazione e nell’aspetto patetico del personaggio “ritornato dal mondo dei morti”, non dubitiamo mai della verità delle sue visioni. E quando Johnny prende la decisione di assassinare il candidato, siamo totalmente con lui […]. Ebbene, dice Cronenberg, “se il film viene concepito come racconto dal punto di vista di Johnny come in effetti è, non si può essere sicuri che il personaggio non sia uno di quei folli convinti di aver visto il futuro e di sapere ciò che è destinato a realizzarsi. Da questo punto di vista La Zona Morta è moralmente… ambiguo”. […] Cosa fa pensare che siano vere? Solo il fatto che crediamo alle immagini e che siamo, da molto tempo, contaminati dal virus “hollywoodiano” […], da una pseudomorale da talk-show televisivo […]. Il professor O’Blivion di Videodrome non ha quindi torto, “la sola realtà è quella che percepiamo con i nostri sensi”. […]
Il fatto è che in Cronenberg esiste un’esigenza rara, quell’esigenza di verità che si ritrova in artisti quali Proust e Kafka. Ed è proprio quest’esigenza a farci vacillare. Come nel romanzo moderno, essa pone il problema della fonte dell’immagine o, nel cinema “naturalista”, di chi sia il narratore. […] Ma il regista, scaltro, ci lascia, in quanto spettatori, una libertà sufficiente per architettare le nostre sceneggiature.

I misteri dell'organismo

La metamorfosi classica è un’involuzione. Il ritorno a una condizione di semianimalità che reintroduce l disordine del caos. Nelle mitologie precristiane viene descritto un “tempo del caos” che precede la creazione, nel quale l’uomo è solo una sorta di animale […]. Giunge quindi il Verbo che separa i due regni, e l’ideologia monoteista che […] traccerà una frontiera stabile tra il sacro (l’antropomorfico) e il profano (tutto quanto è animale o ha a che fare con gli istinti animali: i sensi, la sessualità, ecc..). […] Cronenberg, da parte sua, si colloca all’interno di una linea differente da quella che si suole definire nella fantascienza, non più l’involuzione quindi ma l’evoluzione della specie umana verso il suo divenire. […] La ricerca dell’eroe cronenberghiano è in effetti indirizzata al futuro, alla mutazione, al più-che-umano se non al superumano. […] La sua originalità non è dovuta tanto alla scelta degli intrecci quanto all’assoluto rifiuto di ogni “trattamento gotico”. […] Con Inseparabili, Cronenberg ha varcato la soglia della casta dei “grandi registi”: […] la minaccia, come sempre in Cronenberg, viene dall’interno – in questo caso dalla perdita d’identità di Beverly, ossessionato dalla mancanza di autonomia rispetto al fratello – e condurrà a una deriva mortale, a una fusione nella morte […]. Come tutti hanno notato, il film possiede una magia unica (dovuta a effetti speciali che, nella loro trasparenza, rasentano la perfezione […]). La pellicola, se da una parte sembra sfuggire al “genere”, dall’altra rappresenta il compimento di un percorso: la metafora medica, il mistero dell’organismo, la maledizione implicita […] Mai Cronenberg aveva spinto così in là la descrizione “psicologica” di un personaggio (doppio) […].
[…] I mostri dei suoi film non sono robot ma uomini e donne del quotidiano […]. Nei suoi due primi film commerciali, Il demone sotto la pelle e Rabid – sete di sangue, a profanare l’essere umano sono degli scienziati: nel primo […] i corpi non subiscono alcuna mutazione. Si trasformano in “macchine desideranti”, ecco tutto! Il principio di piacere si è in qualche modo incarnato e separato dal corpo: carne allo stato puro! La comunicazione si risolve in contaminazione. […] Già in Rabid, era stato un innesto di pelle fallito a trasformare Rose in una predatrice sessuale dal comportamento da zanzara gigante. L’originalità del film risiede proprio in quell’affermazione crudele della bisessualità. […] Mentre ne Il demone sotto la pelle si comprende che gli abitanti della Sterline Tower si apprestano a conquistare il mondo, in Rabid Rose ha esitazioni di carattere morale, il suo bisogno di sangue è continuamente controbilanciato dal bisogno di amore e socialità. […] La donna finirà, come il prodotto mostruoso di un esperimento di laboratorio, in un cumulo di immondizia. […]
Diversamente, ne La Mosca e Inseparabili, come dice lo stesso Cronenberg, allo scopo di “eliminare il superfluo e arrivare alla tragedia” i protagonisti, e quindi le vittime, sono gli stessi scienziati. […] Il restringimento spaziale (scenario pressoché unico: l’appartamento-studio dei Mantle e il loft-laboratorio di Brundle) funziona come avvertimento: è qui che avviene la cosa. […] Cronenberg – e questa è la sua originalità, la sua profonda modernità, il suo “materialismo” – fa dei “film-corpo” nei quali si ha a che fare allo stesso tempo con organi […] e con organismi (spesso concepiti come montaggi, talvolta fallimentari, di organi concorrenti, ipertrofici, contaminati dalla lebbra del tempo […]). Di fronte al labirinto dell’albergo di Shining che, bene o male, ricostruisce l’immagine ideale di un cervello (in panne) e delle sue circonvoluzioni, gli scenari di Cronenberg evocano immancabilmente l’interno del corpo […]
Cronenberg parla spesso delle proprie ipotesi e sperimentazioni come se la sceneggiatura ricorrente della sua opera si metamorfizzasse in ogni film, in forme diverse. […] Quando Cronenberg paragona Johnny Smith, il protagonista de La Zona Morta, “all’archetipo dell’artista che vive allo stesso tempo dentro e fuori dalla società a causa della sua sensibilità e della sua percezione delle cose”, vi si identifica completamente; e in seguito aggiunge: “Un simile processo si ritrova in ogni mio film… nel momento in cui ci si rende conto che la propria realtà è solo una possibilità, fragile come le altre possibilità”. In Cronenberg l’angoscia è sempre “angoscia del possibile”. […] Una mancanza di controllo che sfocia nella solitudine e nella disperazione […], si applica allo stesso titolo agli ambiti della sessualità, dell’esistenza sociale e della politica […].
Ne La Mosca e Il Pasto Nudo, passando per Inseparabili, i protagonisti procedono alla sistematica dissoluzione del loro programma, del loro senso, della loro vita. Il corpo è un battello alla deriva […]. Si è parlato di “spirito” a proposito dei film di Cronenberg; personalmente credo sia più opportuno parlare di un “momento spirituale”, di una sorta di stadio dello specchio in cui […] l’“io” si disgrega davanti al riflesso (il virtuale si impone sul reale) […].
Ne La Mosca, il cineasta, ancor più che in Brood – La covata malefica, ci impone, visceralmente, l’orrore della riproduzione. Metafora della “verità” della specie e quindi anche della sua arte (dove si generano immagini), la trasmissione “della vita [intesa come] malattia” entra in disperata risonanza con la trasmissione di virus-immagine intesi come malattia dell’“anima”. […] Da una riproduzione all’altra, la qualità e la definizione dell’immagine si perdono, come usurate dai successivi passaggi. La nuova carne, in un simile contesto, si presenterebbe come un ritorno all’infanzia, ala “prima generazione” della pellicola video […].

Note:
[1] In Rabid - Sete di sangue [...] le ultime sequenze, nelle quali i soldati, nelle strade della metropoli, procedono all'esecuzione di tutti i "sospetti", e alla fine anche di Rose, il cui cadavere viene gettato in un cumulo d'immondizia, non ispirano tuttavia alcun sollievo.
[2] Allo stesso modo, Max Renn scopre nel sancta santorium della "missione catodica" che O'Blivion, il profeta della nuova religione, non esiste. O'Blivion è una parola allo stato puro, un'immensa videoteca nella quale ogni videocassetta è un sermone del profeta adatto a una specifica situazione. [...]

Tratto da David Cronenberg, di Serge Grunberg (Shake edizioni, 1999)


(continua con la Parte 2)
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