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L'illusione dell'Amore - analisi

Ultimo Aggiornamento: 23/09/2010 17:22
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Post: 529
Sesso: Maschile
23/09/2010 17:22


L'illusione dell'Amore

1964. René Gallimard è un diplomatico nell’ambasciata francese a Pechino. La sua vita sembra scivolare monotona ed indolore giorno dopo giorno. Ma René, durante un rappresentazione teatrale di Madama Butterfly, resta incantato dall’affascinante cantante Song Liling, innamorandosene perdutamente. Presto i due intraprendono una relazione pericolosa: la cantante è in realtà una spia del governo cinese; René è invece incaricato dall’ambasciata di ottenere informazioni segrete da Song. Ma questa improvvisamente sparisce, accusando di essere incinta dell’amante, e i due si perdono. Sono gli anni durante i quali Pechino vive tumultuosi cambiamenti e moti sociali, uno su tutti la Rivoluzione culturale. La cantante stessa viene rinchiusa in un campo di concentramento, mentre René, a causa di false informazioni procurategli dalla cinese, viene richiamato a Parigi. I due si ritroveranno solo quattro anni più tardi e dovranno affrontare i lor demoni privati. Si alza il sipario: Song Liling, la persona che René ha amato per anni, è in realtà un uomo. Dopo essere stato arrestato per spionaggio, René si taglia la gola in galera, proprio durante una rappresentazione di Madama Butterfly.

L’illusione dell’amore
Quando David Cronenberg vuole raccontare una storia d’amore ci si deve preparare al peggio. Basti pensare a La Mosca: che cos’era se non una dolce e crudele liason romantique? Quell’ultima scena, intrisa di misericordia e pietà, la fine di Brandle-Mosca, quel click mortale che stronca gli ultimi brandelli di umanità di Geena Davis. Certo, Cronenberg resta un narratore di sentimenti - in questo si differenzia da molti colleghi hollywoodiani: lui racconta a posteriori, non abbandona mai la cognizione di causa - e anzi, spesso i suoi eroi sono vittime delle emozioni, delle psicosi, di ciò che insomma li rende umani. In M. Butterfly l’ouverture è particolarmente rappresentativa: c’è una donna che canta; canta per un vasto pubblico, la platea è piena, tuttavia la donna sembra cantare solo per un uomo, incantato, in estasi. O forse è solo quello che l’uomo vuole credere? E tuttavia: non è quello che tutti vogliamo credere? Ma che importa. In fondo René è un uomo solo, un errante camusiano in terra straniera. E Song Liling? Basti immaginare la violenza, quella subita dal suo popolo, violentato dalla convivenza con lo straniero, e quella subita dalla cantante stessa, violentata ogni giorno dallo sguardo di decine di uomini. Il suo canto non sarà mai compreso.
“Un bel dì vedremo…” canta commovente.

L’illusione della scena
Andiamo a ripescare lo scanner protagonista dell’omonimo film del regista canadese. Con una tendenza propria dello stato di tossicodipendenza, lo scanner cerca disperatamente di zittire le voci che risuonano ossessive nella sua testa (Stranger than fiction ringrazia riconoscente…). In M. Butterfly è vero semmai il contrario: il protagonista rifiuta di ascoltare le voci, che evidentemente vogliono riportarlo alla Realtà. E qui l’amore cronenberghiano - scusate l’ossimoro - si avvicina per la prima volta ad una tendenza classicheggiante: l’amore, l’Amore, la forza che può riportare l’Uomo alla sua essenza - mai perduta del tutto - ultraterrena, che non prova pentimento nell’accecarlo, che senza remore lo strappa alla vita. Per condurlo alla più dolce follia.
E perché mai René - o qualsiasi altro essere umano con un minimo di fantasia - dovrebbe negarsi questa gioia amara? Cronenberg non lo dice - lo suggerisce appena e il suggerimento è rappresentato proprio dall’esistenza della storia stessa, che è fatalista, il cui protagonista è un predestinato - ma è facile intuire che tutta l’esistenza di René non è stata che un preambolo all’incontro con Song, una lunga ma indispensabile incubazione. Il regista dice, per l’ennesima memorabile volta, al suo protagonista: tu ti perderai. Potere dell’irrazionalità dei sentimenti?
Continuando il ripescaggio, la storia di Inseparabili offre un interessante spunto per un’osservazione. In Inseparabili la storia dei fratelli Mantle era il triste episodio di un 1 diviso in due metà, due porzioni identiche che traumatizzate dalla separazione - causata dalla schizofrenia, dalla tossicodipendenza ma soprattutto dalla passione - non riescono a sopravvivere. A ben pensarci, anche M. Butterfly è la storia di un unico intero separato. Tuttavia, se i due Mantle all’inizio della vicenda sono un unica mente in sintonia che solo successivamente perderà l’unità, in M. Butterfly è soltanto nell’epilogo che René e Song riusciranno a riunirsi. L’unione dei due avrà luogo soltanto con la distruzione dell’identità di Song - agente segreto e maschio, in realtà - e la morte di René, il quale ruba la vita sognata dell’amante. Un finale pessimista, amaro e disperato.

L’illusione dell’alter
Dall’inizio alla fine della storia è dunque la menzogna a reggere i fili. Tuttavia sono due i punti di vista attraverso i quali il film ci viene raccontato: quello personale, intimo, per niente sincero e anzi illusorio del protagonista, che nitidamente ci proietta su una parete la sua psiche e il suo desiderio; l’altro, quello del narratore (regista), disincanato, che ci mostra Song che si procura un bambino al mercato nero per ingannare René, che ci porta tra le sale dell’ambasciata e che svela la vera identità di Song.
Lo spettatore si chiede: è mai esistita la splendida cantante cinese? O forse è stata solo parto del desiderio e del senso di solitudine di René? Considerando che il film è una storia sulla perdita d’identità, potremmo dire che il francese s’innamora di se stesso? E’ difficile non ripensare ancora a Inseparabili, vuoi per l’ennesima sublime interpretazione di Jeremy Irons, vuoi perchè il dualismo crolla in entrambi i film. Ma, esattamente come in Inseparabili e Scanners, quando il singolo è costretto a questa definizione, esso finisce per crollare, incapace di affrontare la realtà del proprio rapporto con l’Altro. Le maschere, dunque, possono uccidere. Quando René, ormai in carcere, nella scena finale si trucca da geisha, emulando la perduta amante, mai esistita se non nella sua fantasia, il francese si prepara alla propria fine. Consapevolmente. Grandissima forza delle immagini.
Jeremy Irons (René Gallimard), dopo la superba (duplice) interpretazione in Inseparabili, ci fa dono di un nuovo indimenticabile personaggio, un altro loser così come lo erano i gemelli Mantle e come lo sarà lo schizzato Vaughan, troppo intenti ad tenere il passo delle proprie ossessioni per badare allo scorrere della vita. John Lone riesce a tenere un ruolo scomodo, non esserci per starci, interpretando una donna in una posizione di attiva passività, indispensabile alla sua figura. Da antologia del cinema la scena all’interno del cellulare della polizia, lungo il percorso dal tribunale al penitenziario nel quale verrà rinchiuso René: Song svela finalmente la sua identità ad un attonito René. Sottile ed elegante gioco di sguardi, Irons ci fa benedire di nuovo quei due simpatici francesi, i Lumiere, pare si chiamassero…
René può credere o meno a quello che vede, può accettare e cercare redenzione o rifiutare tutto per cullare, per qualche ultimo prezioso attimo, il sogno di una vita intera. (Forse è proprio quella, la vera illusione).
Paolo Castronovo, lankelot.eu
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