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Cronenberghiano o non cronenberghiano?

Ultimo Aggiornamento: 16/08/2010 21:11
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16/08/2010 21:11


CRONENBERGHIANO O NON CRONENBERGHIANO


«So già, come accade molto spesso, che comincerà il solito dibattito per stabilire se A History of Violence è o non è abbastanza "cronenberghiano". Ma, per me, ogni film è una cosa a sé stante e non lo giro certo tenendo conto della mia filmografia, né tantomeno di quello che la gente si aspetta da me.»
(D. Cronenberg)


1. L’aggettivazione cronenberghiana 
L’aggettivazione del cognome di un artista è un’operazione abbastanza usuale per ricavare un termine sempre utile a descrivere e riassumere in una parole le caratteristiche tipiche di quell’artista. È una pratica comune anche nell’esercizio della critica cinematografica e, anzi, è forse più usata in questo campo che in altri (basti pensare che l’aggettivo felliniano oggi si trova anche nei comuni dizionari di lingua italiana).
Naturalmente non tutti i registi godono di aggettivazioni frequenti (Bertolucciano non è che lo si usi spesso). David Cronenberg, che è fra quelli che godono di questa sorta di “onore”, occupa anche un posto particolare nell’ambito delle aggettivazione, proprio per quanto lui stesso dice nella battuta sopra citata. Cosa sia o non sia cronenberghiano nel cinema di Croneneberg crea un vero e proprio dibattito. Ma cos’è cronenberghiano? 

2. Gli elementi tematici cronenberghiani 
Iniziamo facendo un sintetico esame degli elementi tematici alla base dei lungometraggi di David Cronenberg. 

STEREO (1969) - Alterazioni psichiche
CRIMES OF THE FUTURE (1970) - Alterazioni psico-fisiche
IL DEMONE SOTTO LA PELLE (1975) - Alterazioni psichiche (socio-comportamentali) su basi fisiologiche
RABID (1976) - Alterazioni psichiche (socio-comportamentali) su basi fisiologiche
FAST COMPANY (1979) - Nessuna evidente alterazione
BROOD (1979) - Alterazioni psichiche che diventano anche fisiche
SCANNERS (1980) - Alterazioni psichiche che inducono alterazioni fisiche
VIDEODROME (1982) - Alterazioni psichiche indotte e fisiche conseguenti
LA ZONA MORTA (1983) - Alterazioni psichiche (incremento capacità percettive della mente)
LA MOSCA (1986) - Alterazioni fisiche con conseguenti alterazioni psichiche
INSEPARABILI (1988) - Alterazioni psichiche (indotte da sostanze stupefacenti)
IL PASTO NUDO (1991) - Alterazioni della realtà
M. BUTTERFLY (1993) - Alterazioni psichiche (socio-comportamentali)
CRASH (1996) - Alterazioni psichiche (socio-comportamentali)
eXistenZ (1999) - Alterazioni psichiche e della realtà
SPIDER (2002) - Alterazioni psichiche
A HISTORY OF VIOLENCE (2005) Alterazioni psichiche (socio-comportamentali)

In quasi tutti i film la psicologia dei personaggi (indicata come socio-comportamentale quando implica una deviazione nei comportamenti di un individuo rispetto alle consuete norme sociali e non solo, quindi, in ambito privato o semi-privato), gioca un ruolo fondamentale. Dunque, ad un primo esame, ci si rende subito conto che gli abituali riferimenti di molta critica alla “carne” e alle “mutazioni fisiche” nel cinema di cronenberghiano, pur essendo indubbiamente presenti nel film del regista canadese, sono corollario ad un sostrato ben più presente e importante. 

3. Il sostrato cronenberghiano. 
Questo sostrato comune a quasi tutto il cinema di David Cronenberg è dunque esprimibile col sostantivo “Alterazione”, il più delle volte una sorta di deviazione di tipo psicologico, che può accompagnarsi o essere dovuta a mutazioni fisiche. In altri casi però il concetto di alterazione tocca corde diverse.
I primi due film, Stereo e Crimes of the Future, rispetto ai successivi horror, vantano una originale impostazione sperimentale che, se da un lato ben si sposa con la stranezza dei racconti, dall’altro favorisce proprio una sottolineatura delle alterazioni psicologiche che vi si descrivono. Il rigore scenografico, tra il geometrico e l’astratto, allude ad una società futura fatta di regole ben precise, contro le quali, dunque, cozzano con tanto più fragore le alterazioni psicologiche dovute agli esperimenti di telepatia in Stereo, o alla malattia causata dall’uso di alcuni cosmetici in Crimes of the Future. Ci sono altri temi (ad es. certe pratiche sessuali o l’elemento fisico – il cosmetico), che tornano anche in alcuni dei titoli successivi, ma già da questi primi film sperimentali s’evidenzia che l’interesse primario è la mente e ciò che ne può scaturire. Se poi diamo al décor di entrambi i film un suo valore espressivo (di pulizia e ordine, ma anche di indifferenza), ecco che ci troviamo immersi in una realtà a sua volta diversa, e perciò alterata, rispetto alla norma (anche nei luoghi più tranquilli del mondo non si respira certo l’asetticità delle città di Stereo e Crimes of the future). 
Con Il demone sotto la pelle il cinema di Cronenberg si fa più commerciale nello stile e nei mezzi, ma non rinuncia comunque alla rappresentazione dei suoi temi. Torna subito, e con prepotenza, l’elemento sessuale, che qui rappresenta lo sfogo sociale esasperato dell’alterazione comportamentale dei personaggi. Torna poi l’elemento fisico (questa volta molto più organico dei cosmetici), mettendo in scena dei parassiti da inoculare negli esseri umani a scopi terapeutici, che risultano però estremamente fallimentari. Il comportamento ninfomane causato da questi fallimenti è dunque l’alterazione alla base del film. Ancora una volta Croneneberg cerca di accentuare il tutto costruendo intorno ai personaggi un ambiente ovattato (le “Starliner Towers”, dove si svolge la vicenda, sono luoghi di confort e tranquillità), ma il maggior realismo ambientale non permette al regista di spingere molto su quest’aspetto. Ciò non toglie che gli obiettivi tematici siano comunque stati raggiunti e, anzi, grazie al finale “radiofonico”, resi estremamente agghiaccianti.
In Rabid fa la sua comparsa un dato, un evento, apparentemente marginale, ma che torna poi, con maggior risalto, in altri due film di Cronenberg: l’incidente automobilistico. È infatti uno scontro tra una moto e un camion l’antefatto all’origine di tutta la vicenda. La protagonista dell’incidente viene curata da un chirurgo plastico con un innesto cutaneo sperimentale che però provoca un rigetto. Questo costringe la ragazza ad assumere un comportamento estremamente violento per soddisfare una irrefrenabile sete di sangue umano. Ecco dunque che una alterazione fisica né provoca, contemporaneamente, una comportamentale (che diviene ben presto una vera e propria epidemia), e un’altra fisica strettamente legata a quella psichica (la comparsa sotto l’ascella della protagonista di una piaga di un pungiglione in grado di succhiare il sangue). Rabid è senz’altro il primo film di Cronenberg in cui compiutamente si dà rappresentazione di quelle alterazioni genetiche che molta critica non manca di esaltare e usare per riassumere il cinema cronenberghiano. 
Fast Company è un corpo in gran parte estraneo nel cinema di Cronenberg. Racconta di gara automobilistiche e, verso la fine, mostra un incidente. Per l’importanza che viene ad assumere per i personaggi del film (come l’assume, in modo malato, in Crash), l’automobile costituisce una sorta di appendice fisco-mentale per personaggi e, seppure in maniera più comune, Fast Company rientra in quella categoria di film cronenberghiani (non solo Crash, ma anche Il Pasto Nudo e Videodrome) in cui, per dirla con le parole di Serge Grunberg, si descrive il “divenire-macchina dei corpi”. Tuttavia questa mutazione è tale (fisicamente o psicologicamente), solo negli altri film citati, mentre qui è più un “male ambientale” (l’ambiente delle corse e della velocità), quasi un tragico vizio del gioco, ma non implica in senso stretto un’alterazione come la si registra in tutti gli altri film. Pertanto, Fast Company, non è un film da cui emerge il sostrato cronenberghiano.
La trama di Brood muove, in un certo senso, all’opposto di quella di Rabid. Qui infatti è un’alterazione psicologica a produrre, in tutti i sensi, una alterazione fisica, facendo letteralmente nascere creature che incarnano l’ira della protagonista. Quest’incarnarsi della rabbia in due strani esseri semi-umani è una ulteriore evoluzione del sostrato cronenberghiano, poiché se già l’alterazione psicologica della protagonista è un elemento portante, le creature fisicamente umane, ma senza ombelico, sono una accentuazione di quell’alterazione. L’ira non può che produrre esseri alterati, in qualche modo deformi e crudeli, e non certo bambini normali.
In Scanners l’aterazione psichica è data dal potere innato degli scanners e, tematicamente, ci riporta alla materia già affrontata da Cronenberg in Stereo. Questa volta però, dismessi i panni del cinema sperimentale e indossati quelli di una cinematografia più conciliabile col pubblico, Cronenberg accentua il tema dell’alterazione, sviluppando in uno dei due protagonisti una vera e propria megalomania che lo porta a desiderare di conquistare il mondo. Il finale è una inaspettata apertura all’ottimismo, che tuttavia non smorza minimamente la drammaticità che il tema dell’alterazione, anche qui, non manca d’avere.
In Videodrome alterazioni psichiche e fisiche indotte si mescolano e dopo la parziale pausa di Scanners, il cinema di Cronenberg torna a dare alla “carne” un ruolo importante. Alla base di tutto c’è una emittente televisiva le cui trasmissioni hanno effetti sia psicologici che fisici su chi la guarda. Per la prima volta l’aspetto psicologico ha minore pregnanza rispetto a quello fisico, che, specie nella parte finale del film, acquista un ruolo dominante, concretizzando potentemente tutto il male esercitato da Videodrome. È quindi soprattutto questo il cinema sull’epopea della “nuova carne” di Cronenberg; senz’altro molto più dei precedenti, dove il “ruolo della carne” è in genere più la conseguenza di fattori precedenti.
Nel 1983 David Cronenberg realizza un film tratto da un celebre romanzo di Stephen King: La Zona Morta. Fino a questo punto è forse il film che più si può conciliare coi gusti di un pubblico abbastanza eterogeneo. Non è un horror, ma semmai un thriller soprannaturale, non ha scene cruente (fatta una parziale eccezione, ma si tratta di pochi secondi, per la scena in cui viene ritrovato il cadavere del poliziotto suicida). Curiosamente, come in Rabid, all’origine dei fatti c’è un incidente automobilistico in seguito al quale il protagonista “riceve” la sua alterazione para-psicologica, divenendo una sorta di veggente. Rispetto a tutte le alterazioni davvero inquietanti dei film precedenti, in questa si respira quasi della serenità, ma il film non manca certo di punti d’interesse. Questa alterazione, come tutte le altre finora considerate, comporta una vera e proprio sofferenza, in qualche modo ancora più drammatica se si considera che il protagonista, in questo caso, non provoca mai il male di nessuno. Anzi, la morte finale, con la rivelazione di quello che accadrà all’antagonista, dà al sacrificio del veggente una sfumatura vagamente cristologica. Questo è senz’altro un fatto nuovo per il cinema di Cronenberg (e anche per la letteratura di Stephen King), che però non muta l’importanza che il sostrato cronenberghiano acquista anche in questo film. 
Con La Mosca, remake di L’esperimento del dottor K. (1958) di Kurt Neumann, l’horror e il melodramma si fondo all’unisono. Anzi, l’horror diventa una scusa per veicolare sempre di più lo spettatore verso il melodramma. Del resto le alterazioni psicologiche si adattano facilmente al melò (pensiamo a quante se ne trovano nei personaggi di Sirk o Fassbinder), ma Croneneberg riesce ancora una volta a rendere il tutto essenzialmente emblematico e personale. La storia è una sorta di Bella e la Bestia reso ancora più inquietante dal fatto che la bestia più diventa bestia e più subisce una alterazione caratteriale in negativo, mentre la bella non può far altro che subire, più o meno passivamente, quel che accade. Il tasto del melodramma è particolarmente premuto nel finale, anche se la mostruosità della scena non ne favorisce il completo e perfetto sviscerarsi. Ma questo non è affatto un limite del film, anzi, rappresenta una dote di Croneberg, il quale riesce a piegare regole abbastanza ferree alle proprie necessità, al proprio modo di vedere e voler mostrare il dolore insito in tutte le alterazioni psicologiche a cui ha dato voce e, indubbiamente, forma. 
Inseparabili, raccontando la storia di due gemelli uniti quasi morbosamente e, alla fine, separati da una donna e dalla decadenza psichica di uno dei due (a causa dell’uso di sostanze stupefacenti), potrebbe anch’esso diventare un melodramma, forse  molto più tradizionale di La Mosca. Invece Inseparabili è un film che, su questo piano, si rivela piuttosto trattenuto. L’originalità di Cronenberg chiede ancora una volta ragione delle proprie capacità e passando attraverso un mezzo abbastanza comune di alterazione – la droga – riesce a darle forma in modo estremamente originale. Il legame che intercorre tra il tema del doppio, la sottile morbosità del rapporto tra i due gemelli, e l’ambiguità di un carattere che si sgretola (il fratello che abusa della droga altera la sua mente già abbastanza deviata nella sua condizione di “normalità”), illustrano in modo efficacemente complesso il tema dell’alterazione. 
Il Pasto Nudo, dall’omonimo romanzo di William S. Burroughs, è una svolta per Cronenberg. Se già Inseparabili è un compiuto esempio di film al confine tra “genere” e ”cinema d’essai”, qui lo sconfinamento è pienamente avvenuto. È vero che abbiamo a che fare con personaggi vagamente chandleriani, ma tutto è estremamente allucinato e distorto dalla lente mentale di Burroughs. Cronenberg quindi, una volta tanto, non altera tanto la psiche di uno o più personaggi, ma tutto quanto sta intorno, piegando però in tal modo la percezione della realtà dei suoi personaggi e quindi, in un certo senso, anche la loro psiche. Per quando quindi sia un film anomalo sotto molto punti di vista, a differenza di una vera anomalia come Fast Company, Il Pasto Nudo rientra pienamente nell’idea del sostrato che andiamo ricercando nel cinema del regista canadese. Tra l’altro qui si esplica pienamente quel concetto del “divenire-macchina dei corpi” a cui s’è già accennato parlando di Fast Company, ma che in quel caso era più un fatto esteriore che interiore (là l’auto è una estensione mentale del corpo del guidatore, qui il protagonista è appendice della sua macchina per scrivere in maniera decisamente più fisica, come anche il protagonista di Videodrome lo è della televisione).
Croneneberg prosegue il suo viaggio al di fuori del cinema di genere con M. Butterfly. È il suo primo film ambientato nel passato (nel 1964), e il primo a illustrare una doppia alterazione psicologica (un uomo finge di essere una donna, mentre un uomo eterosessuale se ne innamora in modo, come rivela il finale, ossessivo e mortale), senza passare in modo drammatico attraverso deformazioni fisiche, eccezion fatta per il travestimento. Per questo film un piccolo aggancio si potrebbe azzardare con Crimes of the Future: là è un cosmetico la causa di tutto, qui è un travestimento (e, forse, soprattutto lo svelamento di ciò che il vestito nasconde) a sconvolgere il protagonista. C’è molto di melodrammatico in M. Butterfly, più e più tradizionalmente che ne La Mosca, anche se la materia è comunque trattenuta. M. Butterfly,  insolito quanto Il pasto nudo, non tradisce la tematica cardine di Cronenberg. 
In Crash il protagonista, grazie ad un incidente stradale, arriva ad associare il piacere sessuale agli scontri automobilisti e al rischio mortale insito negli stessi. Da questo se ne deduce una evidente deviazione, e quindi una nuova descrizione dell’alterazione di un normale comportamento umano. Crash è forse il film che più di altri, affrontando uno dei cardini delle tematiche cine-psicologico-freundiane (cioè il sesso), compie un vero e proprio viaggio dentro una alterazione della psiche umana, senza avere quasi la necessità di una trama vera e propria, ma compiendo, quasi in un flusso di coscienza, un percorso senza soluzioni di continuità tra i meandri del piacere e della morte, normalmente distinti nella mente umana, ma questa volta variamente amalgamati. Ne esce un film avvolgente, conturbante e sinistramente disturbante, al punto tale che potrebbe essere considerato come l’apice del cinema cronenberghiano, nel senso di un massimo qualitativo nella messa in scena del sostrato cronenberghiano. 
eXistenZ, per certi aspetti, è quasi un ritorno alle origini per Cronenberg. Infatti, per la presenza nei corpi umani delle bio-porte, e quindi di una mutazione fisica, eXistenZ ricorda titoli come Rabid o Videodrome. La carne ha nuovamente un ruolo di grande evidenza, finendo  inevitabilmente con l’influire sulla psiche. Del resto, una società in cui è logico il modo di giocare e di entrare nel gioco così com’è descritto in eXistenZ, è necessariamente una società futura il cui rapporto con la realtà ha subito un’alterazione. Un’alterazione fisica e psico-sociale è dunque alla base di un film in cui la realtà stessa è alterata al punto tale che non sempre nel film è chiaramente distinguibile il vero dal gioco. eXistenZ diventa così un film in cui le tre alterazioni a cui s’è finora accennato - quelle fisiche, quelle psichiche e quelle della realtà – trovano tutte e tre terreno fertile. A non strappare a Crash il primato di film più cronenberghiano rimane il fatto che non tutte queste alterazioni vengono affrontate ed esaminate allo stesso livello di profondità.
Con Spider Cronenberg non offre appigli sicuri allo spettatore, anzi lo spiazza su più livelli. In primo luogo il regista canadese fa un film che non somiglia né al Croneneberg più classico (quello, per intenderci, di Rabid, Brood, Scanners…), né a quello un po’ più inconsueto (Crash, M. Butterfly, Il Pasto Nudo). Spider è infatti diverso, sia perché rinuncia all’orrore più sanguigno dei primi film, sia alle deviazioni mentali, ma comunque più corporee degli altri titoli. Questa volta l’horror risiede solo e soltanto nell’anima, nella mente del protagonista e il film propone allo spettatore il mondo oscuro così come lo vede-ricorda-immagina-inventa (e quindi altera) tale personaggio. C’è quindi una visone alterata della realtà che non è null’altro che la messa in immagini dell’alterazione mentale del protagonista. Il film è sicuramente, al pari di Crash, un’esperienza insolita e interessante, senz’altro profonda, in quanto illustra un mondo interiore ed onirico attraverso una sorta di soliloquio cerebrale (e quindi con poche parole) del protagonista.  
A History of Violence, fra tutti i film di Cronenberg è quello che, maggiormente, servendosi di una storia privata, vuole parlare della violenza come fatto sociale e quindi collettivo. Eppure, pur in una confezione di alto livello, il film pecca proprio nei contenuti. La sceneggiatura è troppo semplicistica e, tolto il protagonista e il suo primo antagonista, tutti gli altri personaggi sono prevedibili (e a tratti, come nel caso del fratello del protagonista, involontariamente ridicoli). C’è poca carne (questa volta in senso metaforico) sul fuoco, perciò il discorso di Cronenberg finisce con l’essere parziale. A History of Violence è sicuramente un film cronenberghiano, poiché descrive una normalità che viene devastata, e dunque pesantemente alterata, da elementi estranei, ma la ricerca psicologica e sociale è elementare, e non ha nemmeno lontanamente la capacità di catturare e affascinare come accade in Crash che, ancora una volta, a tutt’oggi, si dimostra il film più “in stato di grazia” di Cronenberg, perché è senz’altro il più sottilmente cronenberghiano.
Il sostrato croneneberghiano, questo concetto variamente esemplificato di “Alterazione” di una norma (psicologica in particolare, ma anche fisica e ambientale), è dunque l’essenza stessa del cinema di David Cronenberg.

Sergio Gatti, centraldocinema.it
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