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Una tragedia classica - due analisi

Ultimo Aggiornamento: 04/07/2010 14:21
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Sesso: Maschile
04/07/2010 14:21


Una tragedia classica

Nulla permette di distinguere i gemelli Elliot e Beverly Mantle: la loro somiglianza è talmente perfetta che i due, approfittando anche del fatto di essere entrambi ginecologi, si permettono continui, reciproci scambi di persona. Elliot prende un appuntamento con una paziente, ma può essere Beverly a visitarla oppure l’uno può fare il primo approccio con una donna, mentre sarà l’altro ad avere l’avventura galante. Apparentemente uniti e complici in tutto e per tutto, gli affermati gemelli si differenziano tuttavia in qualcosa: Beverly è più debole emotivamente, più disponibile ad aprirsi alle altre persone. Così, quando inizia un nuovo gioco di specchi con la paziente-attrice Claire Niveau (Genevié ve Bujold), comincia a distaccarsi dal fratello. Ma la separazione non è senza conseguenze: a poco a poco Beverly precipita in uno stato di profondo turbamento, che lo porta ad assumere dosi sempre più massicce di alcool, droghe e psicofarmaci. Benché Elliot si prodighi per aiutarlo, la crisi non sembra avere vie d’uscita, finché la storia non precipita verso un inevitabile, e atroce, finale. Sempre attratto dall’orrore profondo che scaturisce dalla dialettica tra interno ed esterno dei corpi viventi, il regista canadese David Cronenberg (Videodrome, La Mosca) si è questa volta ispirato a un fatto di cronaca realmente accaduto a New York nel 1975. Senza far ricorso a mezzi di bassa macelleria, e sfruttando al meglio la malleabilità dell’incredibile Jeremy Irons, Cronenberg firma con Inseparabili il suo film migliore, toccando vertici di altissima tensione emotiva. Inseparabili è "una tragedia classica", dice David Cronenberg, non "una storia freudiana". Beverly ed Elliot non vivono un romanzo dell’anima, una messinscena o una rappresentazione teatrale dell’inconscio. Il film non è una storia, appunto, ma una tragedia: in esso nulla davvero accade, l’essenziale è già accaduto (quelle che invece racconta la psicoanalisi sono vere storie, microromanzi di cui l’individuo è eroe e protagonista, nonostante tutto il peso dell’inconscio che su di lui grava). L’esperienza dei due gemelli, poi, non può trovare conforto e consolazione nella grandiosa e rassicurante mitologia psicoanalitica: i loro comportamenti non sono "sintomi", non rimandano ad altro, a nodi dell’anima che la razionalità dell’analisi possa illuminare e sciogliere. Dunque: non sono fantasmi psicologici che si agitano nel film, ma fantasmi materiali, di carne. E questi fantasmi hanno la radicalità, l’elementarità, la necessità della tragedia classica. Da sempre affascinato dalla materia e dal suo disfarsi, questa volta Cronenberg esplora la soglia della vita, il momento grande e terribile in cui la carne emerge dall’indistinto e si fa individuo. Se il suo film è una tragedia classica, lo è perché mette in gioco - o in crisi - l’individuazione, il fatto di aver assunto questo corpo, questo volto, diversi da ogni altro (per una potente interpretazione della tragedia greca come crisi della differenza e dell’individuazione, come riemergere di una violenza indistinta e reciproca tra gli uomini che solo una "vittima espiatoria" può ricondurre all’ordine, si veda René Girard, La violenza e il sacro, Adelphi). Con La Mosca (1987) Cronenberg percorreva la strada ricurva che, procedendo in avanti, riporta all’indietro, di nuovo al di là della soglia della vita. Il protagonista di quel film viveva - accelerata e mostruosa - l’esperienza dell’invecchiamento, della ribellione della carne che, inesorabile, nega l’individuo e lo riconduce all’indistinto da cui si è staccato. La contaminazione con i geni di una mosca, alla fine, era solo un espediente narrativo, una metafora trasparente di una necessità, di un fato che tutti coinvolge. Inseparabili radicalizza queste ossessioni, che hanno ormai la completezza di una visione del mondo. Il film si apre con disegni e figure che esprimono uno sgomento insuperabile, "ontologico" di fronte al meccanismo stesso della nascita: corpi in cui la vita di un altro individuo appare come terrificante presenza, strumenti ginecologici che hanno una mitica, arcaica mostruosità. Da questi fantasmi Beverly ed Elliot non si liberano mai, se non quando, nel rito crudele dell’epilogo, "rimediano" alla colpa d’esser nati. Questa colpa i due la vivono di continuo. Se vivere è un ripetersi del significato della nascita, un ininterrotto inventare, difendere, "soffrire" la propria differenza, la propria individualità nei confronti di ogni altra, ebbene è questo che non riesce a Beverly ed Elliot. Sono uno identico all’altro, l’uno il "doppio" dell’altro. La loro stessa carne, quotidianamente, contraddice qualunque tentativo di costruire una vera identità, una stabile differenza. Quotidianamente, appunto, vivono l’incubo di una separazione che non si realizza, di una nascita che non può compiersi. In quanto gemelli, sentono nella carne la terribile fatica di vivere che gli altri hanno saputo addomesticare con i meccanismi culturali e psicologici che popolano il mondo di differenze (il tema tragico dei gemelli è ricorrente nei miti di molte culture). Questa loro terribile fatica è vissuta dallo spettatore, direttamente nelle immagini di Inseparabili. Per quanto Jeremy Irons renda splendidamente le sottili, quasi impercettibili differenze tra Beverly ed Elliot, tuttavia resta ineliminabile una muta angoscia visiva: lo spettatore non è mai sicuro, nel profondo, se quello che vede sia Beverly o Elliot, o Beverly che imita Elliot o, ancora, Elliot che imita Beverly. Solo quando quest’ultimo si innamora di Claire - e dunque tenta di costruire una propria identità - le psicologie e i volti sembrano separarsi con qualche nettezza. Subito dopo, però, quando il film precipita verso l’epilogo, tutto torna a sprofondare nell’indistinto, e le immagini dei due gemelli si "sovrappongono". Infatti, sovrapporsi, ricongiungersi materialmente dopo la morte, è la via d’uscita dall’incubo della differenza e della vita. Una via d’uscita che imita, capovolgendolo e negandolo, il meccanismo della nascita: Beverly apre il corpo di Elliot con arnesi ginecologici irreali e mostruosi, e poi si uccide (é questo il fatto di cronaca cui il film è ispirato). Nella morte, i due corpi uniti ritrovano l’indistinto, la perduta e desiderata non-differenza. Inseparabili potrà anche non piacere, potrà respingere più d’uno spettatore, angosciato e atterrito. Ma è certo il film che consacra definitivamente Cronenberg come grande autore, potente e profondo, affascinato da fantasmi di carne...
Roberto Escobar, Il Sole 24 Ore



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Sofferenza mentale

Inseparabili (1988, D. Cronenberg) è tratto dall'omonimo romanzo di B. Woods e J. Gaesland, ispirato ad un caso di cronaca avvenuto negli anni '70.
La storia è di due fratelli gemelli, entrambi ginecologi, identici nel corpo ma non nella psiche Beverly ed Eliot Mantle (J. Irons), famosi per aver inventato un nuovo strumento ginecologico, il "divaricatore Mantle". Eliot, l'uomo di mondo, estroverso e sicuro di sé, ha un'intesa vita sociale e porta avanti l'immagine pubblica di entrambi; Beverly, lo scienziato, timido ed introverso, preferisce dedicarsi alle sue ricerche. Non essendo distinguibili fisicamente possono giocare a fare l'uno la parte dell'altro, e così accade quando conoscono Claire Niveau (G. Bujold), un'attrice frustrata perché non può avere figli. Eliott la visita per primo e la seduce complimentandosi per la sua "bellezza interiore", riferendosi all'anomalia che porta alla donna la sterilità, l'utero "triforcuto". Conquistata sessualmente, Eliott la cede a Beverly, che la coinvolge anche affettivamente, senza che la donna si renda inizialmente conto di avere a che fare con due persone. Scoperto l'inganno, Claire smaschera i gemelli e, da quel momento, la loro relazione a tre va progressivamente deteriorandosi, sino alla catastrofe psichica del delirio paranoico. I gemelli, infatti, non sono in grado di separarsi e, aiutati dall’uso di droghe, di cui Claire stessa è dipendente, che leniscono l’angoscia ed appianano le differenze, iniziano un drammatico percorso a ritroso verso l’utero materno.
Gli strumenti ginecologici, che fanno ossessivamente da sfondo ai titoli di testa, ricorrono durante tutto il film e la loro forma, così come i materiali di cui sono costruiti e lo scopo per cui vengono usati, cambiano e si trasformano nello svolgimento della storia. Cronenberg sembra utilizzarli per materializzare ed esteriorizzare gli eventi psichici che accadono nella mente dei due gemelli.
Nella prima scena del film i gemelli Mantle, ancora bambini, chiacchierano su come tutto sarebbe più semplice se anche gli uomini vivessero sott’acqua come i pesci, “che non hanno bisogno di toccarsi per fare sesso”. In effetti, i protagonisti, figure sempre nitide rispetto alle altre, comparse sfocate, costituiscono una coppia che conduce una vita ermeticamente chiusa, proprio come in un acquario, rispetto a ciò che si trova all’esterno. Essi vivono in uno stato di completa fusione, di simbiosi narcisistica, dove aspetti dell’uno vanno a completare aspetti dell’altro, tanto da farli rappresentare al regista, in un incubo di Beverly, come gemelli siamesi ancora nell’utero materno, che Claire tenta di staccare con i denti.
La loro coppia sembra realizzare l’arcaico desiderio inconscio di completare se stessi tramite un altro identico a sé; nessun evento e nessuna persona deve “toccarli” intimamente, poiché non sono in grado di tollerare la separazione e l’alterità. La pseudoidentità dei gemelli sembra plasmarsi sull’imitazione reciproca ed essere sorretta da meccanismi di difesa arcaici come la scissione, il diniego, la proiezione. Essa appare in grado di funzionare sul piano della realtà sino al momento in cui si intromette nella coppia una terza persona che, invece di consentire un passaggio evolutivo verso la separazione, porta al collasso psichico. Claire riconosce la diversa identità dei due gemelli quando avviene un coinvolgimento affettivo con uno dei due: Eliott la rimprovera per questo, dicendole che non sarebbe accaduto nulla di grave se le fossero “piaciuti tutti e due allo stesso modo”.
Claire potrebbe, come nel sogno citato, divenire lo “strumento” per separare i gemelli, per riattivarne il processo di separazione-individuazione, ma questa possibilità abortisce, forse perché è troppo simile a loro. Benché sia in grado di differenziare le identità dei gemelli Claire non è in grado di rinunciare a mettere al primo posto i propri bisogni e ad utilizzare le persone come strumenti per realizzare i propri scopi e soddisfare nell’immediato i propri desideri, nello stesso modo in cui abusa di alcol e farmaci. Tali strumenti risultano oggetti, come li definisce la McDougall (1995), “transitori” e, poiché nemmeno in parte interiorizzati, presto o tardi, si rivelano inadeguati a soddisfare tali profondi bisogni. Cosicché la persona che li utilizza non può che oscillare, all’interno di questo tipo di relazione indifferenziata, tra l’esserci dentro fino al collo, aggrappata, risucchiata, avvinghiata, ed il completo distacco, il vuoto assoluto, la perdita totale, quindi tra l’amore cannibalico (l’assoluto controllo) e l’odio mortifero e distruttivo (perdita completa), senza riuscire a stare veramente con l’altro né a stare solo. Nell’indifferenziazione, non è possibile che si compiano i passaggi necessari, anche se dolorosi, segnati dall’angoscia della scoperta dell’alterità e della differenza, dalla necessità di rinunciare ai desideri bisessuali e di onnipotenza dell’infanzia, per diventare individui separati e autonomi.
Rimane in sospeso la domanda se la gemellarità sia reale o fantasmatica, se assistiamo alle vicissitudini di due fratelli o a quelle della mente di una sola persona: l’incertezza sta nel cuore del film, controllata dallo sguardo freddo e razionalizzante del chirurgo.
tratto da: De Mari - Marchiori - Pavan, La mente altrove. Cinema e sofferenza mentale, Franco Angeli 2006

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