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Oltre la psiche - due analisi

Ultimo Aggiornamento: 10/06/2010 21:03
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Post: 529
Sesso: Maschile
10/06/2010 21:03


Oltre la psiche: percezione, creatività

[...] Nonostante i peana della critica, ad uno sguardo più attento proprio Spider potrebbe rappresentare la perfetta sintesi della moderna poetica cronenberghiana, del tutto al di fuori dalle rassicuranti e solide mura del genere "fanta-horror" degli esordi, ma anche priva di quelle parvenze hi-tech (l’effetto speciale come "evento" nel modernizzato "cinema delle attrazioni") tanto amate dai noi gggiovani, ma in realtà centellinate dal regista di Toronto a seconda delle effettive esigenze: assecondato nella sua straordinaria scultura luministica old England da un grande Peter Suschitzky, nobilitato dalla sublime partitura del suo alter ego Howard Shore, Cronenberg scandaglia i paesaggi mentali di un uomo in un salto nell’innerspace che, pur confrontandosi per la prima volta con un soggetto puramente "anormale", riesce comunque ad infondervi fino in fondo un’intima complessità.
Ma è nelle differenze tra il lavoro letterario di McGrath e quello cinematografico di Cronenberg che si può rintracciare il motivo chiave per la comprensione di Spider: se lo scrittore inglese, infatti, puntava su una scelta linguistica precisa (il diario in prima persona), con la quale, grazie alla parzialità del punto di vista, si distillava ambiguità durante tutto il percorso fatto e, in un gioco drammatico assai complesso, si era placidamente traghettati verso un repentino crescendo con shock finale, le scelte cronenberghiane puntano su altri obiettivi, rinunciando ad una narrazione poco credibile in prima persona/voice over, ponendo al centro del proprio discorso non tanto il racconto di un’abiezione (comunque presente in tutta la sua nera violenza), ma proprio il corpo del suo protagonista, presente in ogni inquadratura come unico vero testimone della propria esistenza, che rivive dentro di sé il proprio passato in un confronto-scontro con il mondo presente.
Spider-il film diventa per questo non solo la dimostrazione di un’esistenza deviante, o un esempio del cambiamento del corpo fisico e sociale che siamo/diventiamo nel nostro mondo, ma primariamente un ulteriore approfondimento delle caratteristiche "fisiche" del nostro pensiero, della nostra capacità di costruire dei mondi nuovi attraverso i nostri ricordi, della nostra "naturale" necessità di reinterpretare all’infinito gli eventi che ci strutturano internamente ed esternamente come uomini.
L’ambiguità puramente "gialla" del testo di McGrath ("Cosa nasconde Dennis Cleg?") viene quindi sostituita da una vicenda la cui misteriosità residua è solo un grimaldello per una più pura indagine esistenzialistica ("Chi è Dennis Cleg?"), il cui obiettivo non è, però, una psicanalitica ricostruzione di un movente o di una ragione (la splendida scena dello specchio rotto ne è un esempio), ma l’esplicitazione di alcune fondamentali caratteristiche dell’umano, come la creatività, la fantasia, l’immaginazione: come ha detto Cronenberg stesso in alcune interviste, Spider è "un’artista della memoria", non diversamente da "me, da voi, da tutti noi".
Spider, obiettivamente uno dei suoi lavori meno personali o facilmente audaci, non diventa però un passo falso sulla via della gloria, ma una dura (e a tratti feroce) conferma del suo lavoro precedente, stavolta concentrato in forme "pure" […].
Vincenzo Sangiorgio, cinemavvenire.it



***

Ennesima riflessione epistemologica sulla deriva immanente della percezione nonché sofferta, fosca meditazione sulla “passione” della elaborazione artistica, Spider (dall’omonimo romanzo di Patrick McGrath, anche autore della sceneggiatura) rappresenta una solida e coerente estensione teoretica dell’universo espressivo cronenberghiano nonostante le condizioni produttive di committenza (la malleveria da parte di Fiennes al progetto e il confronto spersonalizzante con l’ombra ingombrante del best-seller).
Accusato da più parti di banalizzare il sostrato freudiano del testo ricorrendo alla piattezza illustrativa di un caso limite, Cronenberg evita in realtà la trappola dello psico-dramma tenendosi lontano dai cascami eziologici usualmente associati alla descrizione della schizofrenia. Per far questo riduce i totem concettuali del padre della psicanalisi a veri e propri red herring (le dinamiche del complesso edipico che si rovesciano e si problematizzano, la reiterazione destrutturante e disgregata della scena primaria, il rocchetto di filo del “fort-da” che si tramuta espressionisticamente in ragnatela, la stordente sovrapposizione plurima delle focalizzazioni che favorisce il presunto gioco della suspense, la strizzata d’occhio alle macchie di Rorschach nei titoli di testa).
Il complesso delle figurazioni scenico-visive che ruotano attorno al protagonista del racconto (un Ralph Fiennes febbricitante e atrabiliare) rimandano a Beckett (la sospensione biascicante, i monologhi sconclusionati, l’emarginazione tormentosa di Spider) e a Kafka (quella pensione piena di personaggi in perenne attesa, l’alienazione preternaturale e la sordida mestizia del nucleo familiare, l’orizzonte metropolitano soffocante e squallido, la simbologia greve e una certa patina di squallore suburbano).
Spider fa il paio con Il Pasto Nudo nello portare allo scoperto, con partecipe patimento ed emozionante pietas, la luttuosa solitudine e la lacerante estraniazione insite in ogni elaborazione creativa (come dimostrano la grafomania maniacale quanto catartica del personaggio eponimo e la manipolazione e ricombinazione interpretativa delle coordinate spazio-temporali alla ricerca di una verità “interiore”), suggerendoci così la vera dimensione interpretativa dell’ultimo Cronenberg, di certo più vicino a Lacan che a Freud.
Fedele solo alle sue ossessioni dell’indicibile e del rimosso, Cronenberg insegue i concreti fantasmi del doppio, scandaglia i crocicchi mefitici e vertiginosi della mente con insospettabile pudore e sobrietà, aiutato dal montaggio di Ronald Sanders (ellittico e condensativo più del solito) e dal suo operatore di fiducia Peter Suschitzky (persino virtuosistico nella ricerca di tonalità marcescenti, putride, vissute); se anche rinuncia al suo usuale deliquio visionario e alla sue parossistiche figurazioni, persegue, immarcescibile, nella sua radicale recherche gnoseologica, mantenendo intatta la sua eversiva alterità di sguardo.
Marco Rambaldi, pigrecoemme.com
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