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Ballard e Cronenberg: l'uomo e il futuro

Ultimo Aggiornamento: 10/06/2010 18:30
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Post: 529
Sesso: Maschile
25/05/2010 14:05

Soggettivazione tra Ballard e Cronenberg

[...] Per cogliere la risposta alla questione del come rendere visibili le forze invisibili, utilizzo il confronto tra Ballard e un altro maestro delle deformazioni [...], David Cronenberg. [...] c'è, in breve, il problema della soggettività ad accomunare i due autori, una soggettività che è insieme soggezione e soggettivazione; soggezione perché si ha a che fare con mondi e psiche collassati, con processi mutageni che si sviluppano man mano che si complessifica, fino alla più radicale con-fusione, il rapporto tra l'uomo e la "macchina"; soggettivazione in quanto si individua, in una qualche maniera, una dimensione corporea, affettiva, intelletuale capace di articolare, nel contesto della mutazione, nuove dinamiche costruttive, di determinazione più avanzata. È soprattutto in Crash (1973) e in La mostra delle atrocità (1970), nei suoi testi più "sperimentali" e intimamente intrecciati, che si manifestano alcune delle caratteristiche più significative dell'opera complessiva di Ballard, capace di fornire "le più sconcertanti descrizioni del mondo contemporaneo e metropolitano passato al vaglio di una poetica della sensibilizzazione estrema dei contrasti interni e dei regimi sociali che conosciamo; la capacità stupefacente di farsi poeta e narratore degli aspetti più sordidi e trash dell'estetica metropolitana, dal consumismo alla pornografia cinematografica, dalle visioni e luoghi della droga all'invenzione di paesaggi ritualizzati o puramente fantastici. Un'attualizzazione in chiave contemporanea di [...] una poetica surrealista in cui materiali bassi e neutri come foto pornografiche, resoconti clinici, ombre e disturbi elettronici, vestiti e cimeli storici, [...] si fondono con pezzi di landscapes metropolitane, mitologie kennedyane, lo star-system raffreddato della pop-art americana [...]"
Zone di impatto, di transizione, segnate dalla morte e dal nulla, in cui l'uomo precipita in una seconda natura sempre più ampia e complessa, assolutamente astratta, capace di nuovi aspetti, configurazioni [...]
È indubbiamente corretto affermare che in Ballard e in Cronenberg si presta attenzione alle dinamiche della mutazione: nell'inner space, nello spazio interiore che consentirebbe una sorta di "fantasia della scienza" in grado di esplorare la dimensione meta-morfica dell'umano, e nelle composizioni stupefacenti, animate "perversamente", di quest'ultimo con la "macchina". È però da aggiungere che l'annotazione di Burroughs sulle persone fatte di immagini individua un elemento caratteristico delle pratiche artistiche di Ballard e di Cronenberg: la "natura" corporea dell'immagine, che la rende instabile e metaforica, fluida e mutevole. Il regista canadese penetra l'immagine - come ha sottolineato Gianni Canova - inseguendone le deformazioni, avvertendone gli spasmi, articolando così una ricerca visceralmente interessata ai fattori di mutazione, alle forze "invisibili" che movimentano i corpi, al di là di qualsiasi messa in uniforme [...]
Tratto da: J. G. Ballard - Ubaldo Ladini, Il futuro è morto, Mimesis Edizioni 1995



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Modelli di vita futura in Ballard e Cronenberg

[…] Un regista come David Cronenberg, vicinissimo allo scrittore inglese per sensibilità e punti di riferimento (basti pensare all’ammirazione per l’opera letteraria di William S. Burroughs) e capace di delineare “orizzonti genetici ed epidemiologici sconosciuti, epidemie sessuali, mutazioni mass-mediologiche, capacità paranormali devastanti”. […] Cronenberg tratta la realtà, in ogni suo aspetto, corporeizzandola, traducendola in carne, segnandola quindi con gli stessi “processi metabolici, idraulici, patologici e soprattutto dinamici del corpo umano”. Il lavoro viscerale del regista canadese è teso a ridare corpo all’immagine, a riscoprirne la materialità, con i suoi processi di (de)generazione. […]
Il cinema cronenberghiano è effettivamente un virus, che penetra nei corpi ammalandoli e insieme liberandoli, producendo margini spaventosi di realizzo per “istinti” apparentemente ben “repressi”. […] La “grammatica del vedere” propria del cinema consente di percepire ciò che nel nostro modo di visualizzare non esiste: lo sformarsi delle forme, le configurazioni “stravaganti” dello spazio interstiziale, del mutante per eccellenza. Rispetto a questo mostrarsi dell’irrappresentabile, a questa mutazione visiva, il cinema cronenberghiano lo traduce/tradisce nella dimensione dell’orrido e dell’incubo. A quest’ultima non si sfugge, in quanto è in essa che il nostro modo di percezione colloca le mutazioni e le metamorfosi. E’ ancora Canova ad osservare come in The Fly, “nel momento decisivo (quello della fusione tra Brundle e la mosca) […] neanche noi, in fondo, abbiamo visto davvero il teletrasporto […] Abbiamo visto il prima e il dopo, mai il durante. Perché nessun occhio sa captare il procedimento per cui un corpo diventa altro e si trasferisce altrove, nessuna telecamera è ancora in grado di filmare il processo generativo delle immagini e del cinema. Le capsule di teletrasporto di Seth Brundle sono insomma una geniale metafora cronenberghiano per dire al contempo la potenza e l’impotenza del cinema, la sua (teorica) capacità di vedere tutto, ma anche la sua (pratica) […] cecità nei momenti cruciali: quelli in cui l’immagine nasce staccandosi da un corpo e facendosi altra da lui […]”.
E’ proprio rispetto a questa incapacità (percettiva) che Cronenberg articola il suo “horror biologico”, fondato sull’idea “mortale” che l’uomo porta in sé i semi della distruzione. La morte è all’opera nel nostro stesso modo percettivo e ciò viene inesorabilmente sottolineato dal ruolo che l’innovazione tecnologica riveste al fine di realizzare una visione sempre più veloce, più chiara. […] Cronenberg e (soprattutto) Ballard possono essere “visti” e “letti” anche dall’interno dell’“estetica della sparizione” delineata da Virilio. Il dromologo francese non cessa di invitarci a riportare la nostra attenzione sulla nostra condizione di rivedenti piuttosto che di vedenti: non possiamo neanche più dirci “visionari”, vista la nostra condizione di “televisionari”, appagati dalla ripetizione tautologica dello stesso “oggetto” che caratterizza il nostro modo di percezione […]
Tratto da: Walter Benjamin, Il carattere distruttivo, Mimesis Edizioni 1995
[Modificato da |Painter| 10/06/2010 18:30]
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