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Famiglia, natura, democrazia - analisi

Ultimo Aggiornamento: 11/06/2010 14:09
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Post: 529
Sesso: Maschile
10/01/2010 12:16


A History of Violence: Lo stato di natura, la famiglia, la democrazia


La storia della violenza del regista canadese rassomiglia alla storia dell'erotismo di Bataille: non una vera impresa storiografica, ma un potente esercizio di scavo nell'oscuro campo di forze sottostante all'ordine costruito. La storia di Cronenberg è la storia di un maestro del sospetto che decostruisce la continuità del tempo e la scala fra micro e macro. Lo stato di natura viene qui descritto non come l'antefatto, ma la perdurante fonte di energia che alimenta ogni convivenza civile, a partire dalla più elementare, quella della famiglia. Un'ordinaria storia di violenza che contrappone una banda di criminali a un ex appartenente alla "famiglia" che ha cercato di cambiare vita diventa la storia stessa del farsi della civiltà. Ma nel film ripercorriamo questa storia all'indietro, come in un vertiginoso flash-back, seguendo l'epopea di un tranquillo gestore di fastfood della provincia americana costretto a imbracciare nuovamente le armi per difendere sé e i propri cari. Alla fine gli estremi verranno a coincidere: l'ordine sarà ristabilito, ma su basi che rassomigliano in modo impressionante a quelle vichiane della caverna primordiale.
 

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A History of Violence di David Cronenberg (2006) è un film per tanti aspetti agli antipodi di Amistad. Il tono pedagogico e implicitamente esortativo tipico del film spielberghiani è sostituito dal freddo sguardo da chirurgo del regista canadese; il tempo del film non ci colloca in un preciso periodo storico, ma ci immerge in una terra di nessuno sospesa fra arcaico e contemporaneo; Cronenberg non è interessato a trasmetterci una morale, ma a tracciare una genealogia della morale che porta direttamente alla frontiera fra umano e non umano. Il confronto con Amistad è tuttavia interessante proprio perché il film ci introduce a uno strato più profondo e fondativo del farsi della civiltà. Ci tuffiamo in un abisso prehobbesiano che porta allo scoperto le radici più elementari della società, quelle che traggono direttamente alimento dalle nostre pulsioni fondamentali.
L'atmosfera predominante è pervasa dal freudiano unheimlich, dal "perturbante", con il suo riferimento in negativo sia all'idea di "casa" (home) che di patria (Heimat).
L'effetto di straniamento prodotto dal film si riflette su entrambe queste aree semantiche. Nella scena finale vediamo trasformato il focolare domestico della caverna primordiale alla quale fa ritorno il cacciatore/killer dopo aver sterminato tutti i propri avversari. Ma il capovolgimento di prospettiva riguarda anche la politica, rivelando uno sfondo ctonio e acheronteo dell'ordine costituito creato negli Stati Uniti a iniziare da Filadelfia.
 

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Il titolo del film è da prendere sul serio. Cronenberg vuole davvero raccontarci una "History of Violence", la storia segreta dell'umanità assetata di violenza. Il film è basato su un'idea semplice, ma svolta con potenza e sottigliezza, alimentate da un'energia interiore che si sprigiona in un punto profondo della nostra cultura che sta pressappoco fra Vico, Nietzsche e Darwin.
Eppure non c'è nessun filosofema in questo film secco come una raffica di vento baltico, né tanto meno nessuna concessione all'estetica della violenza o, peggio, al citazionismo tarantiniano. [...] Lo spettatore comincia a sospettare che il tranquillo gestore di fastfood abbia una doppia personalità; che egli stesso sia stato un criminale che per una qualche ragione viene ora ricercato dai suoi ex soldati. Stando alle loro allusioni, l'uomo sarebbe in realtà un killer spietato e crudele, di nome Joey Cusack. [...]
Il feroce confronto tra i gangsters e Tom rivela definitivamente agli occhi dei familiari quello che in precedenza essi intravedevano solo oscuramente, la vera natura "ferina" del marito esemplare e del buon padre di famiglia. Ma questa scoperta, anziché indurre orrore o repulsione, fa scattare una reazione di riconoscimento. L'uccisione da parte del figlio dell'ultimo dei criminali e l'abbraccio con il padre che immediatamente segue hanno il sapore di un rito di passaggio che segna la definitiva acquisizione del ragazzo al mondo degli uomini. Più forte di qualsiasi discorso, la strage sembra cementare sulla nuova base di questa pedagogia della violenza il piccolo nucleo familiare. Cronenberg sceglie di mostrarci gran parte di queste scene di sangue dalle finestre della casa della famiglia, in una "soggettiva senza soggetto" (Canova 2007, p.124), quasi che la stessa dimora faccia da testimone alle inesorabili necessità della lotta mortale contro la minaccia che viene dal mondo là fuori.
Ormai Tom può confessare alla moglie il doloroso cammino che lo ha portato alla vecchia identità di Joey Cusack a quella di Tom Stall. E quando la donna chiede dove il marito si sia procurato quel nuovo nome, Tom/Joey risponde semplicemente che quel nome era "disponibile"... Indoviniamo così che per affrontare la sua nuova vita Joey si è impossessato dell'identità di una delle proprie vittime. Quello di Tom/Joey è insomma un io mostruoso e parassitario, impiantato sulla carne di qualcun altro che ha avuto la peggio nella lotta per la sopravvivenza.
Ma anche dopo la strage, l'uomo sa che la partita non sarà chiusa definitivamente finché non affronterà il capo stesso dell'organizzazione criminale, il fratello Richie (William Hurt), che lo invita a un incontro chiarificatore nella propria casa di Filadelfia. Nella sontuosa dimora del fratello, Joey si trova di fronte a un terribile alter ego: quello di chi ha scelto di continuare a vivere nel crimine, in uno "stato di natura" che non consoce le regole costrittive della civiltà cui invece Tom si è sottoposto. Il fratello "cattivo" non comprende le ragioni della scelta matrimoniale fatta da Joey: "Non ho mai conosciuto una donna che mi facesse desiderare di rinunciare a tutte le altre" egli afferma poco prima di dare ordine a un sicario di uccidere il fratello. Ma ancora una volta Tom/Joey dimostra di essere il più forte riuscendo a sterminare tutti i killer agli ordini di Richie e, infine, lo stesso fratello. Prima di fuggire l'uomo si lava nelle acque del laghetto del parco che circonda la dimora: un lavacro lustrale che mette in scena un rito di purificazione dal sapore arcaico.
Al suo ritorno a casa, Tom viene accolto dalla famiglia riunita per la cena. I familiari non si scambiano neppure una parola, ma il gioco degli sguardi ci dice che essi hanno ben chiaro che cosa il padre è andato a fare fuori città. E' la figlia più piccola ad apparecchiare il posto a tavola per l'uomo. Il coltello viene disposto sul desco all'inverso: un dettaglio che nell'aura carica di tensione dominante la scena assume il significato di un misterioso gesto apotropaico che vale a bandire dalla cerchia familiare la furia omicida paterna.
 

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In A History of Violence i temi ricorrenti in Cronenberg (il doppio, la schizofrenia, la metamorfosi) sono rielaborati per raccontare la storia di una trasformazione antropologica: addirittura il passaggio fra lo stato di natura ferino a quello della civiltà come noi la conosciamo basata sulla famiglia e il contenimento delle pulsioni omicide. La figura di Tom/Joey esprime da questo punto di vista allo stesso tempo filogenesi e ontogenesi del genere umano. E' una figura mite, ma in cui trapela tutta la malinconia da "disagio della civiltà" di chi ha dovuto reprimere la passione giocosa dell'omicidio. Nella vita precedente Tom era infatti Joey, che si pronuncia come Joy, gioia appunto, di uccidere e fare soffrire. Intuiamo che Tom era il migliore dei killer perché il più fantasioso, il più capace di trovare godimento nell'ammazzare. Così diverso in questo dal fratello, che impersona invece - anche qui il nome è significativo: "Richie", "il ricco" - una versione utilitarista del crimine, e quindi inferiore e "perdente" rispetto a quella ascendente di Joey, insuperato maestro della "gaia scienza" dell'uccidere.
Per diventare un tranquillo padre di famiglia Tom ha dovuto "attraversare il deserto". Si è evoluto, ha abbandonato lo stile di vita precedente. Si è fatto in qualche modo sapiente. In questa evoluzione si riflette tutto il mistero della sua personalità. La violenza non è stata negata, ma solo temporaneamente sospesa, rimanendo in realtà sempre presente nel sottofondo. E' questo abisso che carica la molla dell'attrazione provata dalla moglie verso un uomo apparentemente così insignificante. Questo torbido appeal di morte esplode con ferina immediatezza quando, dopo la scoperta della vera identità di Tom, il ripudio disgustato della donna si trasforma in partecipazione a un selvaggio accoppiamento. E' questa stessa sconvolgente realtà a svelarsi al figlio adolescente sciogliendo i dilemmi morali nel quale egli prima si dibatteva sul modo di affrontare l'ostilità dei bulli della scuola.
Cronenberg ci racconta tutto questo con una freddezza nordica, davvero canadese, e con tocchi di alta sapienza registica. Come nella scena dell'efferato crimine iniziale ad opera dei due killer paranoici: un lungo piano sequenza girato con una evidenza degna dell'arte iperrealista americana e che introduce un iniziale effetto spiazzante sullo spettatore con il successivo spostamento del fuoco della narrazione sulla figura di Tom.
Viggo Mortensen viene magistralmente utilizzato per interpretare una figura di malinconico uomo comune, ma incline a esprimere allo stesso tempo, e con imprevedibile torsione, una personalità aliena che porta un elemento estraneo e sinistramente est-europeo nel sogno whasp americano. Ma quell'elemento apparentemente così estraneo all'identità americana non arriva forse da Filadelfia, la culla della Costituzione americana? Quella cifra di violenza sembra quindi far parte del dna della grande nazione, ne costituisce forse uno degli elementi davvero unificanti.
Il manifestarsi improvviso e apparentemente del tutto inspiegabile di inaudite esplosioni di violenza in seno alla società americana è un elemento ricorrente della cronaca della nazione, periodicamente riproposto da tragedie come quelle recenti delle stragi nei licei di Blacksburg e Columbine (efficacemente ricostruita quest'ultima nel terribile film di Gus Van Sant). Cronenberg ripercorre la corrente di energia negativa sottostante alla formazione politica e civile americana in un postmoderno Making of the nation che finisce per circondare il protagonista della storia di un'indubbia, per quanto inquietante, aura epica.
La doppia personalità di Joey è qualcosa di più di un esempio di schizofrenia: allude alla presenza di un "doppio Stato" alla Fraenkel (Fraenkel 1942) che agisce in parallelo all'ordine costituito e che ne costituisce la potente sottotrama. Più precisamente, la vicenda di Joey è la storia del superamento di questa doppiezza, di una finale riconciliazione con questo fondo negativo. Nel finale la pace e l'ordine tornano a regnare nella famigliola dell'Indiana, ma su basi diametralmente opposte rispetto a quelle iniziali.
Questo capovolgimento di tutti i valori viene suggerito da Cronenberg senza alcun compiacimento dissacratorio, ma con una semplicità e un'ironia degne del migliore Polanski. Se Spielberg additava alla "fragilità del bene" vegliata dai delicati equilibri della Costituzione, Cronenberg ci descrive la straordinaria persistenza del male come una delle fondamentali (la principale?) forze motrici dell'umanità e dello stesso ordine costituito.
Alla prospettiva storiografica adottata da Spielberg, fa qui da controcanto un abissale atteggiamento da "maestro del sospetto" che, con l'ironia fredda dell'archeologo del sapere, scopre, attraverso le tecniche della condensazione onirica e della sovrapposizione semantica, la perdurante radice di violenza sottostante alla convivenza civile. La vicenda della trasformazione da Joey a Tom e della finale riconciliazione fra le due figure ha il sapore della metamorfosi biologica più che della dialettica hegeliana, una mutazione che innesta una forma animale su un'altra in una "storia naturale dell'umanità" nella quale non si può parlare di progresso e forse neppure di evoluzione. A dominare è infatti un rimosso che sembra restare immobile in un'eterna dimensione atemporale, come rimangono immobili le lancette dell'orologio del palazzo comunale della piccola cittadina dove vive Tom/Joey: in un paio di scene del film le vediamo inchiodate sempre sulla medesima ora, l'1.15. Come se nel cuore della città degli uomini il culmine della notte venisse a coincidere con quello del giorno.

tratto da Giovanni Tizzoni, La democrazia al cinema, Meltemi Editore 2007
[Modificato da |Painter| 11/06/2010 14:09]
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