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Il sogno di una Butterfly - analisi

Ultimo Aggiornamento: 10/06/2010 20:29
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Sesso: Maschile
22/12/2009 21:30


Il sogno di una Butterfly


Oggi siamo soddisfatti di noi stessi per la nostra capacità di criticare quei madornali errori razzisti e sessisti connessi alle rappresentazioni stereotipate dei nostri “altri” culturali. “Nostri”, qui, si riferisce alla comunità di quegli intellettuali, a Oriente e a Occidente, che hanno fatto propria la saggezza di Orientalismo di Edward Said, e che stanno all’erta nel far notare quegli assunti discriminatori che si celano dietro la produzione di artefatti culturali, in particolare di quelli che implicano rappresentazioni occidentali del non occidentale. Ma l’opera di Said, per quanto canonizza con successo la demistificazione delle pretese culturali occidentali, indica semplicemente una certa direzione nella quale c’è ancora molto lavoro da fare. Si tratta, cioè, di quella indicazione in base alla quale dobbiamo esaminare nel dettaglio le plurisfaccettate implicazioni psichiche e psicologiche del conflitto, della confusione e della tragedia che emergono dallo “scambio trans-culturale”, quando questo viene condizionato dalle iniquità e dalle ingiustizie delle storie imperialiste.
Il lavoro da fare non consiste solamente nel ripetere i messaggi smitizzati che Said ha già chiaramente consegnato nel suo libro. Abbiamo bisogno, piuttosto, di esplorare delle modalità di pensiero alternative sullo scambio trans-culturale che vadano oltre l’evidente cornice polemica dell’“anti-orientalismo” – la lezione dell’opera di Said – mettendo continuamente in questione la presunzione d’identità stabili e chiedendoci continuamente cosa altro c’è da imparare oltre le stesse identità destabilizzate. In questo capitolo, io leggo il film del 1993 M. Butterfly (diretto da David Cronenberg, con la sceneggiatura di David Henry Hwang) come esempio di un tale approccio alternativo assolutamente necessario alla problematica dell’orientalismo.
[…] Ciò che è necessario esaminare sempre più urgentemente è la fantasia, un problema generalmente riconosciuto come centrale per le percezioni e le significazioni orientaliste.
Il mio compito è reso tanto più provocatorio dal momento che il problema della fantasia, sebbene sia un fattore predominante dell’opera teatrale sulla quale il film era basato, viene solitamente accantonato moralisticamente, in questo caso anche dal commediografo Hwang. In risposta alla storia vera del diplomatico francese la cui relazione con un cantante d’opera uomo gli diede l’ispirazione per il dramma, ad esempio, Hwang scrive con sicurezza: “Io (…) deducevo che il diplomatico doveva essersi innamorato non di una persona ma di uno stereotipo della fantasia” (Hwang 1989, p.94). […]
Il mio interesse per il film M. Butterfly inizia nel punto in cui Hwang vorrebbe che ci fermassimo. Invece di essere la mia conclusione, la fantasia, costituisce l’inizio della mia indagine, che si struttura intorno a due principali questioni.
La prima: se la fantasia non è semplicemente un problema di alterazione o di utilizzazione intenzionale (della verità), ma piuttosto una parte interna della nostra coscienza […], quali sono le possibilità e le implicazioni dell’ottenere un qualsiasi tipo di identificazione sessuale o razziale in uno scambio “trans-culturale”? Inoltre, se la cosa più importante della fantasia non è la semplice dominazione di un altro ma, come sostengono Laplanche e Pontalis, […] in un costante mutamento tra modalità di dominio e sottomissione (v. Laplanche, Pontalis 1968; v. anche Kaplan 1986 e Cowie 1990), cosa si può dire, allora, dei rapporti tra Oriente e Occidente, tra donna e uomo, che è forse alterativo a quelli che si presume essi abbiano nel discorso antiorientalista?
La seconda questione importante […] riguarda come il film M. Butterfly vada anche oltre la soggettività, verso i problemi filosofici di ordine fenomenologico e ontologico. Ciò che è interessante è la modalità con cui il film collega la questione della fantasia “trans-culturale” non solo all’omosessualità, all’eterosessualità o alla razza, ma anche alla più ampia e aperta questione dei limiti della vista umana. Come tenterò di dimostrare, il film indaga quest’altra questione esplorando gli effetti fenomenologici dell’immagine e dello sguardo fisso.


“Oh, l’Oriente è l’Oriente, e l’Occidente è l’Occidente, e i sue non troveranno mai un punto d’incontro”

Personalmente ciò che ritengo straordinario nella storia di M. Butterfly è, per dirla in parole povere, il fatto che si tratti di uno stereotipo secondo il quale un uomo occidentale crede di essere romanticamente coinvolto con una donna orientale. […]
Proprio a causa della sua struttura stereotipata, la relazione tra Gallimard e Song ci permette di trattarla come una sorta di mito. In questo mito, Gallimard ricopre il ruolo del maschio bianco apparentemente attivo e dominante, mentre Song il ruolo della femmina bianca passiva e sottomessa. La sovrapposizione di elementi razziali e sessuali di questa relazione creano quello spazio in cui si svolge la storia.
Per accrescere la qualità mitica della storia nel film, il regista Cronenberg fa a meno di molte di quelle complessità che caratterizzavano sia la vera storia che l’opera teatrale. Ad esempio, mentre nella vera storia la “donna cinese” di cui si innamora il diplomatico francese appariva sempre come uomo ma rivelava al suo amato di essere in realtà una donna, nel film Song compare sempre come una donna fino alle scene finali. E, mentre l’opera teatrale contiene molti momenti comici che presentano il francese come un chiaro oggetto di scherno, il film taglia questi momenti, presentando la sua storia, invece, in uno stile elegante, contro uno sfondo oscuro e spesso confuso e contro una musica frequentemente melanconica. Con questo taglio e questa riduzione della storia, Cronenberg riesce a far risaltare in maniera decisiva la sua struttura macabra. Nello stesso tenore, quella consuetudine comune elaborata, secondo cui il personaggio “femminile” principale viene feticizzato, è mantenuta al minimo. Invece di riempire lo schermo cinematografico di abbondanti dettagli fisici, cosmetici e sartoriali, come è il caso del film al quale M. Butterfly viene spesso paragonata, Addio mia concubina, di Chen Kaige, il ritratto di Song è sommesso e discreto. Il suo canto e la sua performance teatrale sia nei teatri occidentali che in quelli orientali vengono presentati solo brevemente e sembrano piuttosto insignificanti. Alcuni critici, inclini a un approccio sensazionale ed esageratamente pittoresco ogni qual volta viene rappresentata una cultura non occidentale, sono pronti a criticare M. Butterfly sulla base della verosimiglianza. Essi fanno notare, ad esempio, in maniera sprezzante, che John Lone, che recita il ruolo di Song, non sembra una donna, che lui e Jeremy Irons non sono convincenti come amanti, e così via.
[…] Ciò che essi non sono riusciti ad afferrare per niente è che, come nel caso dell’Opera cinese di Pechino, ciò che vediamo non sono tanto gli arredi scenici realistici quanto quelli evocativi che sono concepiti per evocare e significare più che per rassomigliare a un intero ambiente.
Mentre gli effetti della verosimiglianza cedono il passo a quelli di una trama semplificata, di uno scarso dettaglio e di una caratterizzazione minimalista, l’oggetto della storia, la fantasia stessa, si intensifica. […] Siamo costretti a concentrarci su una questione assurda: cosa succede quando un uomo si innamora non di una donna o addirittura di un altro uomo, neppure di un essere umano, ma di una cosa, di una forma reificata della sua stessa fantasia? Nel contesto di questo film la domanda viene associata alla questione dell’orientalismo, per cui diventa: cosa succede se un uomo occidentale si innamora di una reificazione dell’Oriente, di quella cosa misteriosa chiamata “donna orientale”?
Sotto molti aspetti possiamo affermare che il film insegna la lezione riassunta in quella banale frase ripetuta da Mme. Gallimard, “L’Oriente è l’Oriente e l’Occidente è l’Occidente”. La conclusione della frase, per cui “i due non troveranno mai un punto d’incontro” si potrebbe interpretare, ovviamente, in conformità con l’argomento contro l’orientalismo, per cui M. Butterfly funge da lavoro didattico. Gallimard, un francese che lavora nell’Oriente esotico, nutre la tipica fantasia del maschio occidentale sull’Oriente e in particolare sulle donne orientali sottomesse. E’ così innamorato di questa sua fantasia che non è in grado di distinguere tra una falsa donna orientale e una vera. Questo rapporto fantastico con l’“altro” si potrebbe affermare, quindi, è sintomatico di un radicato imperialismo razzista, sessista e omofonico. E Gallimard può definirsi un simbolo dell’Occidente, la cui rovina è ben meritata, e così via.
Questo tipo di morale è ciò che, come ho già suggerito, il lavoro teatrale cerca di suggerire in maniera esplicita. Per Hwang il significato della fantasia è quello di essere un contenuto che ha bisogno di essere cambiato […] poiché, usando altri individui come oggetti e cose, questi vengono disumanizzati dalla fantasia. Cronenberg, d’altra parte, rifiuta questo tipo d’approccio alla fantasia e come accade nella maggior parte degli altri suo film, particolarmente per Videodrome, La Mosca, Inseparabili e Il Pasto Nudo, esplora, invece, le possibilità e le implicazioni della fantasia proprio come un processo di disumanizzazione, di decostruzione dell’umano. […] In questa drammatizzazione il film non offre più soltanto una diatriba contro la stereotipizzazione dell’Oriente da parte dell’Occidente, o delle donne da parte degli uomini, ma solleva, piuttosto, delle questioni sull’essenziale ed errato riconoscimento insito nei processi di identificazione, che l’incontro tra una donna orientale e un uomo occidentale esalta e quindi semplifica. La critica didattica e antiorientalista dell’Occidente, allora, resta una parte significativa della storia, ma non costituisce più il suo fulcro principale.
Consideriamo, ad esempio, la scena del primo incontro dei due amanti, nella quale Song, invece di comportarsi come se fosse lusingata, rimprovera Gallimard di pensare che la storia di Madame Butterfly sia una storia meravigliosa. […] Inoltre, se i ruoli fossero stati invertiti, se cioè, fosse stata una donna occidentale a sacrificare se stessa per un banale uomo giapponese, il giudizio sarebbe stato molto probabilmente che la donna fosse impazzita invece che bellissima […]
Invece di appoggiare semplicemente questa didattica, il film mette in scena in modo esplicito l’orientalismo come una struttura psichica, interpersonale che si rivela con una sua logica specifica. […] C’è, tuttavia, un’altra variazione che rende il film decisamente diverso dal dramma. Anche se può essere l’inflessibile e astuta “donna” che lavora per il Partito comunista cinese […] Song stessa è, come interpreta il ruolo Lone, attratta da Gallimard. Come lei stessa gli dice, alla fine del loro secondo incontro prima di salutarsi, “a volte, il fascino potrebbe essere reciproco”. Si tratta di una risposta che proviene dal cuore? O fa solo parte del suo gioco di ruolo? Non abbiamo modo di capirlo fino alla fine. Ciò che è fondamentale, tuttavia, è che questo cenno al fascino reciproco porta il film oltre il “messaggio” unilaterale dell’antiorientalismo che Song enuncia oralmente. E cosa è, qui, la reciprocità se non precisamente la problematica dell’“incontro” tra Oriente e Occidente, tra l’uomo e la donna? Come continuerò a sostenere, la reciprocità in questo film si realizza proprio nella forma della non-reciprocità, in modo che insieme la reciprocità e la non reciprocità costituiscono un processo simbolico di fantasia che, così come avvicina gli amanti, allo stesso modo garantisce che non si incontreranno mai più.


“La bellezza (…) della sua morte. Un (…) puro sacrificio”

Perché Gallimard è così affascinato dal personaggio di Madame Butterfly? Lo spiega dicendo che è commosso dalla bellezza della sua morte. E’ un puro sacrificio, dice, poiché, sebbene l’uomo che lei ama sia indegno, lei si sacrifica per lui. […]
Su un piano più immediato questo “puro sacrificio” descrive esattamente il ruolo che Song interpreta persino quando parla. Nel corso della loro relazione amorosa, Song compie, possiamo dire, un sacrificio di se stessa per Gallimard, un uomo che non è degno del suo amore, rispondendo alla sua fantasia. In questo esempio, il “puro sacrificio” della “donna orientale” ha lo status di quello che Lacan chiama inganno, quella mancanza di coincidenza tra l’occhio e lo sguardo fisso […], Lacan dimostra che l’ingrediente fondamentale in amore è il falso riconoscimento, un modello circolare di voglia, invito, frustrazione e desiderio che deriva dal credere che ci sia qualcosa di più dietro a ciò che vediamo (nell’amato). Ciò che Lacan chiama inganno, Jean Baudrillard lo chiama, in modo leggermente diverso, seduzione. Sedurre, dice Baudrillard, è distogliere l’altro dalla sua stessa verità, da quel segreto (di se stesso) a cui sfugge (v. Baudrillard 1979). Nel film, procurando in Gallimard l’inganno, l’illusione della “donna orientale” che si autosacrifica, Song svia Gallimard dalla sua stessa verità (specificherò ciò che penso sia la verità verso la fine del capitolo). Tuttavia, questo processo di seduzione è, come dice Song, reciproco: mentre lei adesca Gallimard con successo, la stessa Song viene anche sedotta da Gallimard in quanto è stata attirata nella sua zona di debolezza, quella debolezza proprio per la bellezza dell’auto-sacrificio di Madame Butterfly. […]
Nonostante la sua reale condizione di spia per il governo cinese, quindi, lei sembra essersi innamorata sinceramente. Ciò che seduce, in altre parole, non è la verità dell’altro, ciò che lei/lui realmente è, ma l’oggetto, quella complicità reciproca nel tessere un inganno, che agisce come una trappola sul terreno dell’incontro, assicurando che le parti si incontrino nello stesso momento in cui si sfuggono l’un l’altra […]. Far notare che si tratta di una mera fantasia non riesce solo a distruggere questo inganno ma in effetti lo accresce, lo rende più affascinante. Se, intanto, l’argomento del film non è un chiaro orientalismo, non è nemmeno solo quello dell’amore omossessuale. Come nel caso della critica alla fantasia imperialista, così l’inganno non lo si può annientare facendo notare che Gallimard è realmente un bisessuale o un gay celato.
Una lettura “omoerotica” finalizzata a mostrare quale sia davvero la preferenza sessuale di Gallimard segue un percorso parallelo alla lettura “antiorientalista” […]. In entrambi i casi il presupposto consisterebbe nella necessità di guardare al di là della struttura di superficie dell’inganno per individuare ciò che è “dietro” o “sotto”. Effettivamente, i critici che interpretano questa storia come la storia di un’identità sessuale confusa si starebbero prestando all’inganno realizzato dallo stesso film, in quanto sarebbero sedotti a dare la caccia al vero pene, la parte visibile del corpo, il “fatto” che Song sia un uomo. […] Sarebbero intrappolati dal loro stesso desiderio di un segreto, quello dello sfruttamento trans-culturale o dell’amore omosessuale – che potrebbero pensare di contribuire a svelare mentre, in realtà, sono loro stessi a esserne stati sedotti. In ogni caso, ciò che li seduce è, potremmo dire, la “purezza” di un segreto, di un orientalismo indubitabile o di un indubitabile omoerotismo, il modo in cui l’amore certo, il puro sacrificio di una “donna orientale”, seduce Gallimard.
Il film M. Butterfly, d’altro canto è molto più accattivante. Possiamo vederlo, ad esempio, nell’interessante scena all’interno della camera da letto di Song dove […] mentre è reclina su se stessa sul letto e legge riviste con donne orientali nude, Song è sorpresa dalla visita della compagna Chin, il suo contatto con le autorità del partito. La compagna Chin rimprovera sdegnosamente Song per il suo lasciarsi andare a “porcherie decadenti”. Questa scena svela per la prima volta che Song lavora per il Partito comunista cinese e che la sua relazione con Gallimard è un mezzo per scoprire i piani militari americani in Indocina. […] La reazione di Song a queste accuse moralistiche è straordinaria:
Song: “Compagna, al fine di servire meglio il grande Stato Proletario, esercito questo inganno ogni volta che posso! Io disprezzo questi abiti, tuttavia, per il nostro Grande Timoniere, lo sopporterò, così come le altre perversioni borghesi occidentali!
[…] Mi sforzo di diventare qualcun altro.”
In modo significativo l’inganno, come è descritto da Song, è passato dalla condizione della disonestà a quella dell’onore. Quella “donna orientale” seducente, come ci è dato di comprendere ora, non è solo una figura romantica ma anche una che si auto-sacrifica politicamente, che rinuncia a sé, alla sua “vera” identità, per la causa della rivoluzione, tanto che sacrifica persino i suoi momenti privati per immergersi completamente ed esclusivamente in questa causa. […] Sebbene, come pubblico, non possiamo far altro che percepire che queste parole di lealtà vengono pronunciate con ironia – che la fedeltà di Song al partito è dubbia proprio perché è così loquace a riguardo – questa scena rivela che il mito della “donna orientale” che si auto-sacrifica supera di molto la “fantasia imperialista” comunemente usata per decodificarla e mostra, inoltre, che nel suo finto ruolo, Song sta facendo parte dell’intersezione di due simbologie culturali: di quella nazionalistica come di quella erotica, dell’intraculturale come dell’interculturale.
Song non si ribella contro il suo ruolo intenzionale e prescritto in tutte e due le situazioni. Piuttosto lo interpreta, in verità, lo vive, con le sue emozioni più vere. […] Allo stesso tempo, con la rivelazione della relazione di Song con il partito, si svela una dimensione supplementare al mito di Madame Butterfly. In questa dimensione, vediamo per la prima volta, che la storia tra Song e Gallimard, che fa leva sullo stereotipo della “fantasia maschile imperialista”, è essa stessa il semplice strumento di spionaggio, un mezzo per aver accesso al regno proibito dei segreti militari di un altro paese. […] Se, come abbiamo già detto, la seduzione tra Gallimard e Song è reciproca, vediamo ora come questa reciprocità sia simultaneamente strutturata come una non reciprocità. Mentre la “donna orientale” resta un oggetto erotico dalla parte di Gallimard, da quella di Song […] è un mezzo per servirsi di uno straniero come parte del suo servizio al partito. Gallimard, quindi […] è stato identificato, piuttosto, come oggetto politico, un giocattolo […].


La forza di Butterfly; o la “donna orientale” come fallo

La messa in primo piano di questa dimensione politica supplementare della nostra storia di Madame Butterfly ci permette di leggere il personaggio di Gallimard in una chiave molto diversa da quella originariamente intesa da Hwang e seguita dalla maggior parte dei critici. L’incontro fatidico tra Oriente e Occidente ha luogo in un momento critico della politica mondiale del ventesimo secolo. […] Come un personaggio di un romanzo di Kafka, Gallimard ha un lavoro banale e mediocre come contabile, ma è uno che lo prende seriamente […]. Mentre possiamo notare che Gallimard è il perfetto esempio dell’individuo disciplinato […], è chiaramente un “lacchè” rispetto alle norme taciute della società politica. I suoi instancabili sforzi per scovare la documentazione per i conti spese dubbi significano che egli è in disaccordo con le facili corruzioni che costituiscono la sostanza del mondo burocratico […], non sa come stare alle regole del gioco.
[…] Gallimard occupa una posizione che non è dissimile da quella di Song, in quanto anche lui è un informatore burocratico […]entrambi sono strumenti manipolabili e utili ai loro rispettivi comandi politici […].
E’ in questo mondo impersonale e opprimente della burocrazia, un mondo echeggiato dalla routine della vita domestica, completata da una moglie che non capisce, da pigiami classici e spazzolini da denti per la notte, che Butterfly irrompe con una forza irresistibile. […] L’“entrata di Butterfly” […] segna prima di tutto l’alienazione di Gallimard dalla sua cultura. Invece di notare l’estraneità, l’esoticità dello spettacolo davanti a lui, Gallimard trova in Butterfly una sorta di punto d’appoggio per se stesso. (Questa è la ragione per cui il suo comportamento da questo punto in poi assume un’aria notevolmente più forte di auto-sicurezza).
Dal momento che non è completamente raggiungibile, per quanto essa si consumi attraverso il contatto sessuale, la fantasia della “donna orientale” mantiene il francese in vita, iscrivendo in lui una irrefutabile mancanza. Song esiste per Gallimard come il fallo nel senso lacaniano del termine, ossia, come l’Altro, che si presume sia sempre più di ciò che appare e che ha il potere di darci ciò che vogliamo ma anche di togliercelo. Lacan, ricordiamo, sottolinea il fatto che il fallo funziona solo quando è celato e che, una volta svelato, diventa vergogna, “demone del Pudore” (Lacan 1966, pp.689-690). La tattica di Song, tuttavia, include proprio questo “svelamento” della vergogna richiamando intenzionalmente l’attenzione su di essa in una lettera indirizzata a Gallimard: “Cosa vuole di più?” scrive. “Le ho già dato la mia vergogna”. Fingendo, allora, la perdita della dignità, Song preserva il suo potere come fallo, mentre la “vergogna” che è stata svelata, l’amore della donna orientale, continua a essere un inganno che cela il corpo maschile al di sotto.
Il modo in cui la “donna orientale” funziona come fallo si rende ancora più chiaro dal fatto che Gallimard sembra pago di questo amore, senza mai fare esperienza di una Song completamente nuda (successivamente in tribunale, rispondendo alla domanda su questo fatto incredibile, Song descriverà Gallimard come un amante che è stato molto rispettoso della sua [di Song] “‘antica tradizione amorosa orientale’ che per altro avevo inventato io, solo per lui”). Nell’unico momento in cui Gallimard arriva pericolosamente vicino a spogliarla, Song gli dice di essere incinta, spostando, quindi, il desiderio sessuale in una cornice più paternalistica. Nel frattempo Gallimard riesce ad avere quella che chiama una “relazione extraconiugale” […]. Fa risaltare la totale coincidenza tra l’occhio e lo sguardo e, di conseguenza, la mancanza proprio di un inganno nella sua relazione con quest’altra donna, […] racchiudendo il sesso completamente all’interno del regno dell’immediato e saziabile del bisogno fisico. Il sesso fatto con lei non è che un pasto casuale […].


“Sotto i vestiti, sotto tutto, ero sempre io”

Una delle scene più toccanti e indimenticabili di questo film è quella in cui, dopo la farsa in costume nell’aula giudiziaria francese, Song e Gallimard, entrambi vestiti in abiti maschili, sono seduti l’uno di fronte all’altro nel furgone della polizia che li sta portando in prigione. Mentre i due uomini si fissano reciprocamente, Song è il primo a rompere il silenzio: “Cosa vuoi da me?” chiede. […] Ha posto questa domanda in maniera imprecisa, poiché egli pensa ancora nei termini del bisogno di Gallimard di qualcosa da lui. […] Song avrebbe dovuto chiedere: “Cosa vuoi, volendo me? Qual è la tua vera domanda, che manifesti attraverso di me?”
Gallimard, d’altro canto, risponde a questa domanda (alle implicazioni filosofiche di questa) precisamente: “Sei la mia Buttefly”. Con questo tipo di scambio ciò che ha luogo tra i due ex amanti è ora un nuovo tipo di non reciprocità […], ha a che fare con il tentativo di Song di cambiare proprio i termini del loro rapporto. Invece di interpretare Butterfly nel modo in cui ha fatto per Gallimard in tutti questi anni, Song fa ora qualcosa che non ha mai fatto: si spoglia, sfidando Gallimard a vedere per la prima volta ciò che lui ha sempre voluto ma che in qualche modo non è mai riuscito a vedere. Inginocchiandosi completamente nudo davanti a Gallimard, Song lo implora di riaccendere quell’affetto che una volta esisteva tra loro. Mentre guarda teneramente verso l’alto il suo vecchio amante, Song dice, in un modo che rivela quanto lui abbia veramente amato il francese sin dal principio: “Sotto i vestiti, sotto tutto, sono sempre io”.
Se, fino a questo momento tragico, l’inganno era stato mantenuto integro perché sostenuto da entrambe le parti, Song, proprio con il gesto di spogliarsi, con cui cerca di riottenere l’amore di Gallimard, lo ha distrutto per sempre. […] Song non riesce a capire che ciò che Gallimard “vuole” non è lui, Song, che sia nell’aspetto definitivo di donna o uomo, ma è, come dice Gallimard, “Butterfly”. Dal momento che il desiderio di Gallimard non dipende né da un corpo femminile né da uno maschile, ma piuttosto dal fallo, da quella cosa velata che è la “donna orientale”, la candida rivelazione di Song del suo corpo fisico può solo essere letale. […]
Il corpo nudo distrugge l’inganno una volta per tutte dimostrando che ciò che si trovava sotto il velo per tutti questi anni è il niente, niente per la fantasia. A velo sollevato, il fallo mostra se stesso senza vergogna come semplicemente uomo, un pene, corpo patetico in tutta la sua banale vulnerabilità, che Gallimard rifiuta con ripugnanza […]. Il corpo nudo di Song deve, allora, essere in definitiva interpretato come quel Reale traumatico che fa a pezzi il sogno di Butterfly, costringendo Gallimard a risvegliarsi nell’abisso del suo io. […]


“Non è la storia; è la musica”

Dalla prospettiva di Gallimard la scomparsa di quella “menzogna” che ama, proprio di ciò in cui ha trovato un mezzo di ancoraggio per la propria identità, significa un traumatico auto-risveglio equivalente alla follia. […] E’ possibile pensare alla musica operistica come a una sorta di grande Altro, al quale i personaggi umani si sottomettono in modo tale da creare il loro “destino”. Questo destino è predetto da un’osservazione fatta da Song in una delle prime conversazioni con Gallimard a proposito del fascino per la storia di Madame Butterfly: “Il punto è,” dice “che non è la storia; è la musica”. Infatti, si potrebbe sostenere che tanto quanto la “donna orientale”, la musica è l’agente che genera la trama della storia, così che è la storia che segue la pista della musica invece che il contrario. […]
Nella Cina della metà degli anni Sessanta, non solo la musica operistica occidentale importata veniva considerata borghese e imperialista, ma addirittura le stesse forme d’arte autoctone tradizionali come l’Opera di Pechino venivano ritenute feudali e corrotte. La rivoluzione esigeva che tutte queste vestigia sospette dell’ideologia fossero purificate e sostituite da nuove pratiche progressiste. La seconda volta che Gallimard visita il teatro cinese in cui Song era solita esibirsi, si sta rappresentando un “lavoro teatrale modello” maoista con un diverso tipo di semiotica drammatica e con una sensibilità didattica notevolmente diversa. […] Esso dimostra di competere in un modo piuttosto debole con l’altro, più vecchio e “corrotto” dispositivo d’interpellanza: la musica operistica di Madama Butterfly. Quando Song guarda verso l’alto affaticata e consumata dal lavoro, le sembra di sentire un’altra voce da lontano […], riconosciamo in essa la musica familiare di Madama Butterfly, e lo sfondo grigiastro del campo di lavoro diventa la Parigi del 1968 […]. Song e Gallimard, potremmo dire, allora, si riuniscono attraverso questo persistente e corrotto “grande Altro” di Butterfly, ciò che in primo luogo li aveva tenuti insieme. […]
L’accostamento a questo punto tra la componente erotica e quella politica, il “personale” e lo “storico”, solleva una domanda solo accennata in M. Butterfly ma che, ciononostante, è cruciale per qualsiasi tipo di considerazione sulla fantasia: non è forse la stessa “rivoluzione” soltanto un altro tipo di “stereotipo di fantasia” – sembra dire il film – quello stereotipo di fantasia che sfrutta il popolo, in nome del collettivo? […]


Madame Butterfly, c’est moi

[…] La musica di Madama Butterfly si ascolterà al momento finale, come accompagnamento alla performance di Gallimard in prigione. […] Questa scena di trasformazione drammatica offre, penso, uno dei momenti più affascinanti e complessi nella storia del cinema. […]
Per prima cosa, ciò che si compie in questi ultimi momenti del film sembra essere la fusione di due identità separate. Questa fusione ci riporta, ancora una volta, al tema dell’auto-sacrificio della “donna orientale” affrontato prima, ma sotto una nuova luce. Se Gallimard è Madame Butterfly, allora, questa performance della sua identità trasformata dovrebbe, forse, essere descritta come una rappresentazione retroattiva, una replica al rallentatore di una storia, il cui significato è evidente solo ora, per la prima volta. In questa storia, Gallimard, la “donna orientale” sta sacrificando se stesso (se stessa) per un uomo (Song) che, come fa notare Gallimard, non è degno del di lui (di lei) amore. Questa fusione e scambio d’identità, attraverso il quale Gallimard si trasforma in Butterfly, è ciò che Hwang intende come “arco” fondante del suo dramma:
“il francese fantastica di essere Pinkerton e che la sua amante sia Butterfly. Entro la fine del dramma realizza d’esser stato lui quella Butterfly, il francese è stato ingannato per amore; è la spia cinese, che ha sfruttato quell’amore, allora, il vero Pinkerton” (Hwang 1989, pp.95-96)
Ritornando alla questione della seduzione, che ho affrontato prima, possiamo aggiungere, paradossalmente, che nel sedurre Gallimard, Song in effetti lo conduceva momentaneamente lontano dalla sua verità, quella di una fantasia che non è fantasia dell’altro ma piuttosto di se stesso nella parte della “donna orientale” suicida. Nel desiderare Song, Gallimard stava desiderando non proprio di possederla ma di essere lei […].
Ma se la relazione con Song è stata uno schermo contro il Reale […] la rivelazione della banale mascolinità di Song significa che questo schermo, che lo proteggeva ma gli impediva anche di vedere, è scomparso. Con lo schermo scompaiono anche le posizioni fisse che di solito vengono ascritte all’uomo e alla donna, all’Occidente e all’Oriente. In un modo simile alla discussione di Laplanche e Pontalis sulla fantasia, ciò che la fantasia su Butterfly di Gallimard realizza in questa scena finale della mostruosa trasformazione, è, in definitiva, una tarda messa in scena di un luogo di relazioni […] in cui le posizioni di dominio e di sottomissione, del maschile e femminile, di aggressore e vittima, sono infinitamente sostituibili e intercambiabili. […]
In secondo luogo […] come potremmo comprendere la sua trasformazione in termini di dinamica, di struttura di potere della visione, delle relazioni tra l’immagine e lo sguardo? […] Potremmo considerare la trasformazione di Gallimard come l’equivalente del sogno di Zhuang Zi [vedi Lacan 1973], nel quale lui, Gallimard, diventa una “Butterfly/farfalla”. Proprio nell’immagine della “donna orientale”, nel suo strano aspetto e figura, nei suoi colori brillanti, è, allora, quello spettacolo gratuito a cui Lacan accenna come la natura originaria dell’essenza dello sguardo fisso. […] La domanda implicita nella performance di Gallimard è: […] invece di essere Gallimard che sogna una Butterfly, non potrei essere io stesso il sogno di una Butterfly?
Come terzo punto, proprio quando Lacan scrive che Zhuang Zi è, nella sua essenza, “la farfalla che dipinge se stesso con i suoi colori”, così Gallimard, per essere precisi, non solo rappresenta ma piuttosto dipinge se stesso in Madame Butterfly, più precisamente, si dipinge con i suoi colori. […]
Gallimard non è solo il pittore, non solo pittore e immagine ma pittore, immagine e spettatore, tutti e tre in una volta. Questo fatto complica notevolmente il rapporto combattivo tra il pittore e lo sguardo che Lacan espone. Dipingendo se stesso come Madame Butterfly, Gallimard sta solo creando un’immagine per evitare lo sguardo (nel qual caso egli resterebbe nella soggettività del pittore)? Non è egli, forse, anche l’immagine dipinta e, quando guarda se stesso nello specchio, anche lo spettatore, colui che è da domare? […]
Questa passione/passaggio che è la pittura, potremmo dire, è un processo che rende visibile ciò che potrebbe altrimenti non esser mai visto completamente. In maniera significativa, quindi, la pittura qui si ricongiunge con il significato etimologico della parola “fantasia” che significa, precisamente, “rendere visibile”. […] Ciò che Gallimard incontra, nella sua immagine di Butterfly, in un modo che non si può più eludere, è lo sguardo come se esso lo avesse da sempre guardato.
Se questa scena della trasformazione può infatti essere vista come la rappresentazione di un’illuminazione, della scoperta di Gallimard che Madame Butterfly non è altro che lui stesso, si tratta anche di un’illuminazione come auto-decostruzione. Dalla prospettiva dell’uomo che prova un desiderio, questa illuminazione non è un progresso bensì una regressione, un passaggio nell’inerzia, nella cosa che egli ama. […] Il suicidio di Gallimard completa e rispetta la trama profetica di Madama Butterfly, ma invece di essere lui a rappresentare Butterfly è, in senso stretto, Butterfly che sta rappresentando lui. […]


Coda: nuove questioni sulla differenza culturale e l’identità

[…] Se, in questo tipo di fantasia, l’Oriente viene associato con la femminilità stessa, allora, il problema di venire a patti con l’Oriente è molto simile, strutturalmente parlando, al problema di venire a patti con la donna nella psicoanalisi, in quanto sia l’Oriente che la donna funzionano come supporto della fantasia dell’uomo bianco, come la rappresentazione della sua jouissance. Tuttavia, ciò che distingue il film di Cronenberg da molti esempi di questo tipo di rappresentazioni – si pensi, ad esempio, ai film di Bertolucci come L’ultimo imperatore, Il tè nel deserto, Il piccolo Buddha – è proprio il modo in cui l’eccessiva, visibile, pittura della fantasia alla fine ha luogo non sul corpo femminile, femminizzato, dell’altro, ma sul corpo dell’uomo bianco così che l’illuminazione coincide con il suicidio, mentre la donna, l’altro, fugge. […] In nessun punto del film M. Butterfly la soggettività di Song e il suo desiderio vengono espressi in modo chiaro, non sappiamo mai se lei è “autentica” o si maschera, se le sue emozioni sono “reali” o parte della sua superba recitazione, se non nel momento della scena del “faccia a faccia” nel furgone della polizia. In quella scena, vediamo per la prima volta che ciò che lei “vuole” è un completo rovesciamento delle leggi del desiderio che hanno strutturato la sua relazione con Gallimard. In altre parole, ciò che la “donna orientale” vuole non è nient’altro che l’eliminazione del suo (di lui) totale essere ontologico e sessuale, la sua (di lui) morte. […]
Per definizione, la morte dell’uomo bianco segnala l’alba di un modo fondamentalmente diverso di venire a patti con l’Oriente. Il film si chiude con Butterfly che torna volando in Cina. Cosa accadrà a questa “donna orientale” che esisteva come sintomo dell’uomo bianco, ora che l’uomo bianco è morto? Questa è la domanda finale con la quale veniamo congedati.

tratto da Il sogno di Butterfly, Ray Chow, Meltemi editore 2004

[Modificato da |Painter| 10/06/2010 20:29]
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