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L'ibrido incorporato - analisi

Ultimo Aggiornamento: 10/06/2010 19:06
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Post: 529
Sesso: Maschile
01/12/2009 21:19


L’ibrido incorporato: Videodrome


1. La sequenza

Uno studio televisivo normale, in attesa di iniziare un dibattito sulla pornografia, la violenza e le responsabilità del mezzo televisivo. Max, direttore di un network – Canale 83 – che manda in onda video violenti e porno, sta seduto su una poltrona, accavalla le gambe e si accende una sigaretta, dicendo qualcosa di circostanza sull’emozione che prende sempre nei dibattiti. Poi si volta per offrire una sigaretta alla sua interlocutrice. Sempre in piano sequenza, la macchina da presa si sposta alla ricerca della persona fino ad inquadrare la televisione di scena dove una bella donna vestita di rosso si volta verso di lui e dice: “No, grazie”. Un successivo stacco di montaggio mostrerà il set dove la donna vestita di rosso – Nicky – sta a fianco di Max e della conduttrice.
La sequenza dura poco più di quindici secondi, ma nella sua sintassi e nella sua, per così dire, antropologia visuale marca una pietra miliare. Segna un passaggio da un tipo di sentire il cinema ad altre forme della comunicazione visuale. Il mezzo è ancora lo stesso – il cinema, appunto – ma esso spinge verso qualcosa di totalmente altro. La donna in rosso rinchiusa nello schermo televisivo si “fa vedere” secondo un nuovo canone percettivo che sottintende o sollecita una diversa capacità di decodifica. La sequenza segnala che la sua è una presenza essenzialmente visuale prima che reale. Il reale – se sopravvive – arriva dopo. Il film è stato girato nel 1982 da un regista canadese, David Cronenberg. Si chiama emblematicamente quanto sibillinamente Videodrome.
Dalla scena iniziale appena descritta si avverte che il regista sta esplorando un modulo narrativo del tutto nuovo. Una semiotica filmica dove i limiti (o i fili) tra i codici realistici e i codici visuali tendono a confondersi e, di conseguenza, a dislocare le abitudini percettive dello spettatore. Ed è il primo a farlo, con un forte anticipo su un processo che si diffonderà con forza solo negli anni Novanta: quel gioco di interfacce tra realtà e finzione che ora si chiama realtà virtuale.
Tutto il film è un vero e proprio saggio sui mutamenti antropologici determinati dalla pervasività dei media, in particolare nello spazio visuale del desiderio: quell’intreccio irrefrenabile tra TV e porno come fonte di modifiche profonde – in gran parte ancora inesplorate – nelle coscienze e nei comportamenti.
Il suo tema generale, che continuerà anche nei film successivi, riguarda gli stati alterati di coscienza e come essi vengono incorporati, diffondendo il tema del doppio. In un certo senso, proprio attraverso l’ambiguità del doppio, si può accostare Cronenberg a un regista così diverso come Pisolini poiché, da un punto di vista del suo linguaggio, il canadese si trova a miglia di distanza dall’italiano. Eppure, nonostante le differenze, il tema del doppio li unisce, oltre ad una qual certa fascinazione per l’irregolare, per lo scandaloso e persino per l’omosessuale. Questi stati alterati si riferiscono alla coscienza solo in quanto ci concentrano sul corpo. E’ da corpo che parte l’alterazione sulla base di tecniche ritualmente collaudate. Fino a “videodrome”.
Ma sta nel linguaggio visuale espresso da Cronenberg il vero senso dell’innovazione. Nella sua antropologia della comunicazione, a partire da questo breve piano sequenza – segno di una nuova cultura visuale che il regista riesce non solo a cogliere in anticipo, ma anche, almeno in parte, a costruire – il rapporto tra arredo urbano, dialogo tra persone, sistema percettivo, immagini-TV si mescola. Ciascuno di essi si innesta in tutti gli altri. E’ la persona-TV che diventa soggetto. Un farsi vedere presente tanto quanto una persona-corpo. In essa si anticipa tutto quanto sta per accadere a Max, il disincantato eroe di un network senza scrupoli.
Questo film anticipa una tendenza nella comunicazione visuale i cui risultati finali sono del tutto aperti: e sui quali si deciderà gran parte del senso da dare al nostro essere al mondo. Per questo, Videodrome è un vero e proprio testo antropologico e come tale verrà trattato. Come cioè una fiction che plasma e modella con un decennio di anticipo i nostri modi di pensare e sentire. Una finzione che fa cultura. Con questo film la comunicazione visuale, nel suo significato più pervasivo e complesso, penetra letteralmente dentro i nostri corpi. Videodrome è un prodotto visuale ibrido, come quegli incroci tra esseri-umani ed esseri-video che mette in scena. Videodrome è un saggio sugli stati alterati del corpo e sulla mobilità fascinosa del piacere. Videodrome è un videoscape.
Il film è scomponibile in quattro piani – tra loro incrociati […] – tanti quanti i personaggi principali:
- Max, l’eroe-direttore di Canale 83; come Filius
- Nicky, l’“amica migliore” di Radio 101: come Mater
- O’Blivion, l’apostolo della Cathodic Ray Mission: come Spiritus
- Barry Convex, proprietario della Spectacular Optical: come Diabolus.
Come è evidente, tutti i personaggi ruotano intorno ai media: sono come rappresentanti tipologici dei vari media. Non si esiste se non si esercita un medium. Se non si “è” un medium.


2. Nicky: Radio 101

Dopo l’offerta della sigaretta nella memorabile sequenza appena descritta, Nicky – diva della radio che rappresenta il “partito moralista” – confessa di “essere costretta a vivere in uno stato di eccitazione anormale” ed è subito invitata a cena in diretta da Max. Qualche giorno dopo i due sono a casa di Max e lei chiede di vedere qualcosa di porno. Lui risponde di avere solo qualcosa su torture, omicidi, roba che “non c’entra col sesso”. Ma Nicky risponde: “Lo dici tu…”
Nicky comincia ad intrigare il proprietario di Canale 83 in una relazione sadomasochista sempre più dura. Prima si fa infilare spilli nelle orecchie. Poi, guardandolo fisso, si accende una sigaretta e se la colloca sul seno, bruciandolo. Infine allunga la sigaretta fumante a Max che, inorridito e sedotto ad un tempo, tenta di rifiutarla. Ma cede e quando il naso incrocia il fumo della sigaretta vi sente l’odore della carne di lei: bruciata. Forse dopo la fumerà.
Dopo aver visto le scene-pirata di tortura, lei vuole sapere da dove vengono: è lì che vuole andare. Ciò induce a modificare lo stato di coscienza di lui. In una di queste crisi, seduto a casa sua, Max vede una donna incappucciata in TV: è Nicky, che dice – suadente come in una chat line, dopo essere stata frustata: “Vogliamo te, Max. Vieni, vieni da Nicky, non farmi aspettare, ti prego”. Il corpo di Nicky si è trasformato in un visus: tutto il suo viso coincide con la visuale dello schermo. Ma non solo: comincia come a fuoriuscire, a dilatarsi, a espandersi. Lo stesso mobile TV si muove, sospira, mostra vene gonfie di desiderio al tocco della mano di Max. Ora sono inquadrate solo le labbra di Nicky che lo invitano ad entrare da lei. Dentro di lei. E Max si piega, mette il viso di fronte allo schermo TV e a poco a poco entra con la testa dentro quelle labbra aperte.
Nicky prosegue il suo viaggio verso la morte. Che sarà filmata e mostrata in video a Max. Ma Nicky continua a vivere nelle videoregistrazioni e/o nelle videoallucinazioni crescenti di Max. Nella scena finale, che interpreteremo dopo, è il viso di Nicky che ricompare per sollecitarlo verso la resurrezione della videocarne.
Nicky lavora come voce amica ad una radio; la scena dell'incontro con Max presenta tutto il lavoro in studio come basato su una totale ipocrisia verso gli ascoltatori. Una donna piange per telefono e Nicky le risponde affabile e indifferente, ammiccando a Max. Tutto è falso e vero nei media.
Nicky non è vittima né carnefice. E' un lento fluire verso la morte-TV. E' adesione visiva alla vita come tortura e alla morte come liberazione dalla vita. Non è né Justine né Juliette. Bene e male non hanno più senso, se non per casuali opportunità lavorative. Sade è morto. Ciò che gli succede è uno stato di freddezza che si scalda solo se si incorpora nel circuito neuronale e animato dei media. Nicky è impalpabile e inafferrabile: è l'odore visuale della sua carne bruciata. Carne sublimata in fumo che si innalza verso la disgregazione. “Eccoci arrivati dove dovevamo arrivare”, dirà alla fine a Max.
E' una Medea-senza-terra, deterritorializzata e infine scorporata, trasformata in videoscape, panorama erotico-elettronico. Senza origine, senza un centro, né ascendenze magiche o figli tragici. Nicky è natura snaturata. E' videonatura come unica condizione di un esistere che può godere solo dentro la sua fine. E' una videomater, una visus-mater. Lei compare per la prima volta in video (senza ancora il corpo), per rifiutare la sigaretta – e per l'ultima (senza più corpo) per spingere Max a rifiutare la vita. Dall'inizio alla fine è desiderio e annullamento del desiderio. Una bocca catodica.


3. O'Blivion: Cathodic Ray Mission

Sempre nel citato primo dibattito sull'uso della violenza era presente anche un terzo invitato: O'Blivion, annunciato come l'apostolo dei media. Solo che O'Blivion – alias “oblio” - è presente unicamente in modo virtuale, cioè in video: tutto il suo intervento è stato registrato prima, ma è come se fosse in diretta. Il suo è un intervento tra il sociologo delle comunicazioni e il predicatore: “Lo schermo televisivo” dice “è l'unico vero occhio della mente umana. O'Blivion non è il mio vero nome, ma un nome-TV. Nient'altro. Presto tutti avranno nomi-TV speciali, nomi studiati con cura”.
All'ingresso della sua chiesa dal nome insolito – Cathodic Ray Mission – ci sono in fila solo barboni, tanti homeless. All'interno del vasto salone, Max scopre tanti separé, in cui questi relitti della metropoli stanno seduti a vedere la TV. Forse programmi loschi. La chiesa catodica li sta curando, dice la figlia di O'Blivion: “da una malattia per insufficiente uso della televisione. Guardare la TV aiuta a sentirsi parte della Grande Tavolozza del mondo”. Max entra nello studio di O'Blivion. E' una raccolta quasi barocca di oggetti d'arte e divinità provenienti da tutte le parti del mondo. Nessun angolo della sala è vuoto. Tutto è ridondante. Tutto è un'inflazione di simboli morti. Di fronte alla scrivania c'è una telecamera sul treppiede.
“Mio padre rifiuta di conversare con chiunque da almeno vent'anni. Solo il monologo è il discorso che sa fare”.
Ad un certo punto, O'Blivion scoprì di essere malato, di avere un tumore che gli dava allucinazioni. Poi scoprì che era vero il contrario. Non era il tumore a creare le visioni. Erano “le visioni che diventavano carne, tanta carne che continuava a crescere. E quando mi rimossero il tumore, lo chiamarono... VIDEODROME. Io sono stato il primo caso di videodrome, la prima vittima”.
Quando la figlia decide di presentarlo a Max, lo fa entrare in una stanza piena di scaffali pieni di cassette VCR: “Questo è lui... mio padre”.
La sensazione è di entrare in quelle chiese shintoiste dove le ceneri degli antenati sono conservate nelle urne. Le urne attuali – o del futuro – sono le cassette video. In esse possiamo contenere, anziché le nostre ceneri, i nostri discorsi – i nostri monologhi – da consegnare a memoria futura. E i nostri eredi potranno catalogare queste nostre presenze “immortali” e mandarle in onda, selezionando il discorso più adatto per l'occasione come se fosse in diretta. Tutto è morto e vivo nello stesso tempo.
Le chiese catodiche sono una realtà molto più presente di quanto si possa ritenere. La grande offensiva delle chiese protestanti, specie evangeliche, nel Brasile o negli Usa, deriva dall'uso massiccio e sapiente della TV e delle prediche-TV. Le loro strategie retoriche sembrano ricalcare quelle di “padre” O'Blivion: la consapevolezza statistica che qualsiasi predica-TV conquisterà una parte dell'audience. Con certezza. Si tratta solo di percentuali. Se si aumentano le frequenze, si aumentano i fedeli-TV.
Anche O'Blivion, come Nicky, è strangolato in diretta da “qualcuno”. Da videodrome.
O'Blivion è un puro virus-TV. La sua immortalità deriva dal suo essersi preregistrato in una quantità inesauribile di cassette. O'Blivion, che oscilla tra MacLuhan e padre Jones, sfugge all'oblio con le sue cassette viventi. La sua è una presenza del tutto spirituale. E' Spiritus. Il cui logos è immortale come le sue videoregistrazioni. In lui l'autorità spirituale convive con i simboli morti di tutte le religioni dell'umanità: proprio in quanto la Cathodic Mission le riassume tutte. O'Blivion è la sintesi visuale di ogni autorità-TV. Un vero eccesso di bene.


4. Barry Convex: Spectacular Optical

Queste videoalterazioni sono volute. Non casuali. E Max risale all'origine di tali visioni, attraverso il suo interesse per le scene di tortura emesse da quello che sembra un network pirata che poi si scopre essere proprio il cuore di videodrome. Un cuore visuale di tenebra. Nel corso di questa sua ricerca, Max ha incontrato Masha, una donna anziana e libertina che lo avverte. “Videodrome ha qualcosa di così perverso che tu non hai. Ha una sua filosofia...”
Videodrome è come l'Aids: una sindrome di immunodeficienza. Solo l'origine è diversa: non è sessuale, bensì visuale. E i sintomi sono più simili di quanto si possa immaginare: producono allucinazioni. Qui si dispiega tutta la visione antropologica del regista, per mezzo dell'idea di una mutazione che incorpora letteralmente il video. Abbiamo già visto che Max entra nella bocca-TV di Nicky. Il passaggio successivo sarà l'opposto: farsi video e incorporare le cassette, incorporare i messaggi, “in-vedere” le videoregistrazioni. In una scena memorabile, lo stomaco di Max si apre in verticale, come una grande vagina, ed è penetrato da una cassetta che gli viene spinta dentro da Convex. “Cos'è del resto la nostra realtà” dice quest'ultimo “se non la percezione della realtà?”. E questa percezione dev'essere cambiata incorporando le cassette, facendo delle cassette carne.
Convex – che ha una copertura dentro un singolare negozio di oculistica, Spectacular Optical – cita Lorenzo il Magnifico per dire che l'occhio è la vera mente dell'uomo. La sua associazione segreta – che diffonde la sindrome-da-video – si basa sull'assunto di un'America che starebbe per diventare troppo debole, per cui “dobbiamo prepararci ad essere forti per sopravvivere”. E Max è stato scelto per questo qualcosa di nuovo: “Noi vogliamo che lei si apra, si apra davanti a me. C'è una cassetta che voglio farle vedere”, dice allusivo Convex.
Il suo scopo è di impossessarsi del network di Max, di Canale 83. A tal fine, l'ordine di questo vero e proprio agente del male – di questa variante di Diabolus – è di uccidere: e Max obbedisce. Va nel suo ufficio e spara a tre membri del consiglio di amministrazione con la sua pistola-protesi.
Questa Spectacular Optical si presenta come una vera e propria organizzazione terroristica clandestina che usa i livelli estremi della videotortura per infettare i cervelli e produrre videotumori cerebrali. Perché “segnali massicci di videodrome contribuiscono alla crescita del cervello”, dice Convex.
Nel suo negozio compare una scritta dal contenuto sinistro: “keeping an eye on the world”. Il mondo controllato da un unico occhio: quello di videodrome. La sua società già produce occhiali deformanti per il terzo mondo e sistemi guida per i missili Nato. Con videodrome si passa a sistemi di allucinazione programmata.
In Convex – e nelle sue spettacolarizzazioni ottiche – si concentra l'essenza del male, l'escrescenza del male che, con le sue mutazioni interconnesse alle sue visioni, potrà produrre stati alterati del corpo, alterazioni cerebrali atte a restaurare la purezza nazionale degli Usa. Ma Convex non è la TV in quanto tale, sembra dirci Cronenberg. E' uno dei racconti possibili della TV-di-carne. Convex è l'anti-Cartesio: la res cogitans, la capacità della ragione, è incorporata nelle mutazioni indotte dentro la res extensa: dentro una natura totalmente visuale. Un megavideoscape.
Ma anche quello che sembra il “corpo” di Convex morirà, per gli spari di Max, in una infinità di parti scheggiate, come avesse un mostro interno, un essere non del tutto vivo o mai del tutto nato. Un corpo catodico. La sua è l'eterna fine del male, esorcizzata infinite volte dal cinema: solo che il suo antagonista non è più il bene. E' solo Max.


5. Max: Canale 83

Eccolo, dunque, l'eroe del videodrome, che corre come su una biga impazzita lungo le autostrade visuali eccitate da messaggi sempre più duri. La sua sveglia è programmata da una segretaria che si inserisce direttamente nella TV: la Civic-TV: “il canale che vi porta a letto”. Il suo programma di lavoro è ordinato e nevrotico come la pelle del suo attore – James Woods – che si muove in modo impercettibile quanto catastrofico per il suo possessore. Una pelle televisiva. Max al lavoro contratta l'acquisto di un porno giapponese, di cui si colgono alcuni spezzoni molto (troppo) raffinati. Poi si insinua nella trappola del videodrome, dove persone normali – forse consenzienti o che “se la godono” - sono torturate. Cominciano le sue videoallucinazioni, accompagnate da penetrazioni inizialmente solo mentali di cassette viventi.
In realtà lo stato alterato della coscienza è in primo luogo una alterazione del corpo che “patisce” una sorta di mutazione percettiva e sensoriale. I sensi si fanno gradualmente sensori. L'aterazione è una allucinazione e ogni allucinazione è un programma inserito. “We're in record”, dice ambiguamente Laurie Anderson nel suo ultimo straordinario album Bright Red. Ciò va inteso non nel senso che “stiamo registrando” bensì che stiamo dentro la registrazione. Stiamo nella memoria della telecamera o del videoregistratore. Noi siamo la memoria del videoregistratore: il videoregistratore è la nostra memoria.
L'alterazione è data da una trama-che-connette lo schermo televisivo, la cassetta e la carne dello spettatore. La possessione si trasforma in videopossessione. La coscienza viene trascinata dall'alterazione che il corpo – come vista, come mente, come stomaco – subisce. Il termine più corretto dovrebbe essere “patisce”: nel senso che il patire del soggetto sotto videodrome è nello stesso tempo un desiderare e un soffrire. Max è un eroe: è l'eroe: ripercorriamo il viaggio del suo corpo. Perché Max “è” il suo corpo. E nel suo corpo prolifera il VCR.
All'inizio, Max si presenta come un cinico affarista televisivo che, svegliato dalla Civic-TV, inzuppa i resti di una pizza serale nel caffè mattutino sbirciando foto hard. Pur essendo alla ricerca per motivi professionali di nuovi generi porno (“quello che a noi manca è qualcosa di forte: che spacchi”, dice dopo aver bocciato un film giapponese troppo raffinato), viene via via risucchiato dal gioco intrigante e oscuro delle perversioni sadomaso, di cui si fa cultrice l'insospettabile Nicky. E' lei che lo spinge oltre i limiti: prima presentandosi con l'abito rosso nella discussione televisiva, poi chiedendo qualcosa di forte a casa sua, infine sollecitando pratiche sadiche da parte di Max sopra il suo corpo. Da quel momento – in un paradossale gioco di rovescio – è il corpo di Nicky che diviene incontrollabile da parte di Max: un corpo-TV, dalle grandi labbra coincidenti con lo schermo, che si aprono, iniziano come a fuoriuscire e a richiederlo “dentro”. La testa-fallo di Max è inghiottita da queste grandi labbra di Nicky.
Ogni ulteriore tappa del viaggio di Max è accompagnata da uno sprofondare lungo i canali perversi della videocomunicazione. Una volta alterato lo stato del suo corpo e allucinate le sue percezioni, Max non ha più freni. Il suo corpo si apre: al centro dello stomaco appare una sorta di cicatrice che si apre come una grande vagina. Max è come posseduto. Il suo corpo diventa un videoregistratore. E' un VCR. Le immagini non sono più solamente viste, quanto “sentite”: incorporate. Le immagini del videodrome scorrono dentro il suo corpo. “We're in record”. Come una droga. Max può vivere il film che gli è stato somministrato. Lui “è” il film registrato. La cassetta si muove, sospira, diventa pezzi di carne. La cassetta è sessuata. La cassetta è fallica e desidera il centro del corpo di Max, dove si apre quella cicatrice-vagina che inghiotte tutto.
E' questa alterazione del corpo che sconvolge Max e lo spinge a cercare la verità: così scopre il reliquiario di O'Blivion, conservato dalla figlia nella sua missione “Cathod Ray”, un reliquiario di cassette preregistrate e pronte ad andare in onda per l'eternità. Il missionario - “apostolo dei media” - credeva infatti alle nuove tecnologie che “avrebbero portato l'umanità a vivere meglio”.
Ma il vero nemico di Max sembra essere un altro: l'inventore di videodrome. E' un certo Barry Convex che usa il suo negozio di occhiali come copertura per un movimento politico-TV che vuole ristabilire l'ordine della nazione. Il negozio di ottica diventa così una grande metafora della supremazia dello sguardo: chi controlla lo sguardo – gli occhi, gli occhiali, l'ottica – controlla tutto. La campagna pubblicitaria di Convex trasforma in slogan una frase attribuita a Lorenzo de Medici: “L'amore ci entra dagli occhi”. Solo che ora lo scopo della Spectacular Optical non è quello di far entrare amore: ma il videodrome. E il videodrome “ha qualcosa di così perverso” dice Masha a Max “che tu non hai. Ha una filosofia”. Questa filosofia politico-comunicativa tende ad alterare la carne dove cadono le visioni, a farla crescere fino a farla diventare un tumore. “E quando rimossero il tumore lo chiamarono videodrome.” Videodrome morde. Vidrodrome significa torture, omicidi mutilazioni. Videodrome è come un circo o un'arena: il luogo spettacolare dove si svolge il massacro. Dove gli attori sono anche le vittime. E nessuno è più spettatore. Videodrome è la morte in diretta. E' la morte resa video e fatta incorporare dal soggetto. E così questo soggetto si trasforma da vittima a carnefice di se stesso.
Max sperimenta la realtà virtuale. Cronenberg gli fa indossare un casco luminoso, che acquisisce le venature del cervello. Esso registra le sue perversioni. O forse vi immette le perversioni di videodrome. Ormai siamo ad un gioco di specchi infiniti, in cui ogni lato è un'interfaccia dell'altro e non ha più senso domandarsi dove si origina la nuova sindrome visuale. Infatti: Max appare come uno che sta frustando un apparecchio video. Dentro il quale è racchiusa l'immagine di Nicky. Prima debolmente e titubante, poi sempre più convinto e violento, Max inizia a frustare la TV-Nicky.
Max è ormai in potere di Convex: penetrandolo con le casette, questi gli fa uccidere i suoi soci di Canale 83. il suo corpo muta nuovamente: la pistola, che prima aveva creduto di smarrire dentro al suo stomaco, ora riemerge attaccata alla sua mano. E' un grumo di materia organica dalle cui estremità si allungano come uncini di ferro che gli entrano fin dentro il braccio. Max ora “è” la pistola. I suo corpo è una protesi di un'arma videodiretta che uccide. Ma quando cerca di uccidere anche la figlia di O'Blivion, questa lo ferma con altre immagini-TV di Nicky: strangolata da quelli di videodrome. Da questo momento, Max sembra ribellarsi a videodrome in quanto seguace dell'“apostolo dei media”. Al grido di “morte a videodrome. Viva la nuova carne”, uccide Convex e si reca in un posto abbandonato sul molo di Toronto (la città del regista). Qui ricompare l'immagine di Nicky in TV. Il suo è un discorso finale: “la morte non è la fine di tutto”, dice. La sua presenza-TV attesta il suo essere divino e immortale: è lì che Max la deve raggiungere compiendo l'ultima azione.
La scena finale è emblematica per quello che sarà il destino di Max (e forse non solo di lui): dallo stesso schermo dove aveva parlato Nicky, Max osserva se stesso preregistrato (un Max-VCR) che si spara. Lo schermo esplode facendo volare pezzi sanguinolenti di carne umana (o videocarne). Dopo aver visto la scena, Max replica esattamente lo stesso gesto. E nello stesso istante in cui preme il grilletto, lo schermo del cinema (o della cassetta VCR o di Max) si spegne. Alla morte corrisponde la fine del programma TV. O del film. Dopo la cessazione della vita subentra uno stato identico a quello di un canale morto.
La grande metafora finale, quindi, sarà esattamente quella da cui partirà il più grande romanzo del genere cyberpunk (Neuromance dell'altro canadese William Gibson) un paio d'anni dopo: “Il cielo sopra il porto aveva il colore della televisione sintonizzata su un canale-TV morto” (1986: 3). Ora Max è un canale morto. Ne ha il colore. E anche la biografia.


6. Il video-doppio

Vi è un'altra scena esemplare che riassume tutto il senso del film: Max ha da poco ucciso i suoi colleghi. E' ricercato. Cammina lungo una strada e si ferma fuori del negozio Spectacular Optical. Attende qualcuno che ben presto riconosce nel suo ex-aiutante, in realtà una spia al servizio di videodrome. Al suo fianco un singolare videomendicante: ovvero un homeless che si è collocato la TV su un piccolo piedistallo, al suo fianco. Mentre sta in piedi a chiedere l'elemosina, guarda la TV: e il quel momento c'è il telegiornale che sta mandando in onda proprio la faccia di Max, a lui vicino. Tutto il panorama urbano (il visualscape) è inscrivibile nel circuito dei media. Anche il sottoproletario più misero è un videodipendente.
Tutto ha un suo doppio nel film. O meglio: ogni personaggio ha le sue repliche. Nicky è perbenista e masochista, una amante appassionata e una adepta di videodrome, è fatta di carne e di TV, il suo viso coincide con lo schermo: è realmente un enorme “visus”. L'altro visus – quello di O'Blivion – è una copia seriale e infinita di se stesso. Convex è uomo e catodo, uomo e cyborg, umano e alieno. Max possiede ed è posseduto, è uomo e donna, è observer (impresario) e viewer (utente), vittima e carnefice, nel suo visus permangono tutti gli impercettibili tremori di chi sta viaggiando nei territori sconosciuti della nuova sindrome visuale.
Scott Lash afferma che “David Cronenberg has understood his film, Scanners, The Fly, Videodrome, as taking the point of view of the virus” e paragona (giustamente) questa metodologia a quella attuata da uno dei maggiori sociologi contemporanei: “in this very important sense what Zygmunt Bauman has consacrated is a sort of sociology of the virus” (1993: 15).
La sua analisi dello straniero (colui che sperimenta la colpa senza il crimine) è più affine al cinema virale di Croneneberg che alla filosofia perbenista di Habermas. Questo è un bel salto di paradigma da condividere. Proprio l'aver assunto l'antiecologia della mente come luogo empirico della ricerca (una ecologia pervertita, serializzata, feticizzata), anche il senso di questo libro si configura come una antropologia del virus. Una antropologia virale che, solo nel calarsi nel morbo o nell'acido della comunicazione, nel suo ambiguo “farsi”, auspica di spezzare il suo doppio vincolo. Una antropologia virale nelle vene dell'antropologia visuale.
Il tema dell'alterazione dei corpi e delle coscienze sarà costante nei successivi film di Cronenberg. Ma qui si assiste a qualcosa di non superato. La potenza delle immagini, le innovazioni della sua sintassi, la riflessione sulle nostre condizioni contemporanee (come il porno che dissolve le identità sociologicamente definite e si evolve in politica) fanno di Videodrome un film che anticipa e obbliga a riflettere sulla pervasività semiotica e politica delle nuove tecnologie in un modo simile a solo altri due film: Quarto Potere di Orson Welles (Citizen Kane, 1941) per la carta stampata e Un volto nella folla di Elia Kazan (A face in the crowd, 1957) come transizione della radio alla televisione. Con Videodrome (1982), Cronenberg indaga il nesso sensi-sensori tra videoregistratore e la nascente realtà virtuale. In questo senso il suo vero erede è il film super-splatter L'uomo di acciaio (Tetsuo, 1989) di Shinya Tsukamoto.
Questi quattro film costituiscono la tetralogia sulla comunicazione e le dissolvenze antropologiche. Il cittadino Kane, il vagabondo Lonesome Rhodes, Max con la sua videocarne, il metallico Tetsuo sono tutti e quattro destinati alla stessa fine. Una dissoluzione: i media uccidono se stessi e i propri campioni. Questo è il loro sex appeal inorganico. Il loro irresistibile feticismo virtuale.

Tratto da: Antropologia della comunicazione visuale: feticci, merci, pubblicità, cinema... di Massimo Canevacci, Meltemi Editore 2001
[Modificato da |Painter| 10/06/2010 19:06]
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