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Il contagio mortale dell'Est - analisi

Ultimo Aggiornamento: 11/06/2010 14:21
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Post: 529
Sesso: Maschile
29/09/2009 22:10


Il contagio mortale dell'Est

Ossessionato da sempre per il mutamento fisico dei corpi e per le perversioni dettate dagli istinti umani, il geniale regista canadese David Cronenberg sembra confermare le sue ossessioni anche nell’ultima impresa cinematografica dal titolo Eastern Promises (La Promessa dell’Assassino), proponendoci immagini al limite del sadismo visivo e indugiando oltremisura sulle ferite del corpo, spesso causate da armi da taglio, e sul suono “disturbante” che queste lacerazioni provocano al contatto con la materia organica. Già dalla prima sequenza entriamo in un mondo nel quale la violenza fisica e psicologica è dipinta con una durezza formale senza precedenti e assistiamo prima alla stilizzata truculenza di uno sgozzamento, poi alla rottura di una placenta dovuta a un’emorragia interna, seguita da un neonato gelatinoso a cui viene applicato un respiratore, da un cadavere scongelato con il phon e da un’amputazione di dita in dettaglio.
Dopo A History of Violence ancora sangue e ancora Viggo Mortensen, attore magnifico che sembra tradurre alla perfezione la duplicità su cui si fondano entrambe le opere: ricopre un ruolo che pare uguale e contrario a quello di Tom Stall del precedente, invertendosi le coordinate: lì il Male (un Male problematico, pieno di sfumature) che, trasformatosi in Bene, veniva richiamato nel suo vecchio mondo per un ultimo, supremo confronto; qui il Bene (un Bene controverso e torbido, sia chiaro) trasfigurato nel Male ma poi improvvisamente reviviscente, dunque umano. Un Mortensen che tra l’altro si è preparato un anno intero per questa parte (ricordando il De Niro di Toro scatenato per l’impegno profuso e l’autenticità dell’interpretazione), andando a studiare nei minimi dettagli l’accento dei russi trapiantati all’estero e conoscendo direttamente esponenti della malavita organizzata dell’ex Unione Sovietica.
Qui lo troviamo nei panni di Nikolai, un “autista” al servizio di una delle famiglie esteuropee più famigerate di Londra, che fa parte della fratellanza criminale nota come “Vory V Zakone”. La famiglia è capeggiata da Semyon, l'impeccabile proprietario dell'elegante ristorante transiberiano, la cui cortesia nasconde in realtà una natura fredda e brutale; le sue fortune sono amministrate dal figlio Kirill, un uomo capriccioso e instabile, che è in realtà più legato a Nikolai che non al suo vero padre. La vita di Nikolai, da lui condotta con estrema prudenza, viene scossa quando, il giorno di Natale, incontra per caso Anna Khitrova, un'ostetrica inglese di origini russe che lavora in un ospedale a nord di Londra. Anna è molto turbata dalla tragica vicenda di una adolescente morta dando alla luce il suo bambino, e intende rintracciare la famiglia d'origine della ragazza affinché si prenda cura del piccolo orfano. Il diario personale della ragazza, scritto in russo, potrebbe aiutare Anna nella sua ricerca della verità, ma esso nasconde orribili verità. Scritto da Steve Knight, già autore del copione di Dirty pretty things di Frears, imperniato anch’esso sulla descrizione della Londra invisibile degli immigrati, Eastern Promises è confezionato come un thriller classico su cui però Cronenberg ha messo le mani pesantemente. Un percorso lucido che dura da anni e che ha spesso portato l’autore canadese a manipolare il genere, accettando lavori su commissione per poi stravolgere il materiale di partenza, e a infettare il terreno delle ordinarie storie di malavita con tutta una serie di virus e codici. Qui l’anomalia è la presenza ingombrante del corpo, capace di saturare ogni inquadratura, appesantito e segnato da numerosi tatuaggi. L’atto del tatuare è già sinonimo di violenza - inteso come atto non previsto in natura - che l’uomo infligge al proprio corpo.
L’autolesionismo si spiega come unico modo di trattenere la memoria delle proprie scelte. Il “ricordo”, infatti, di per sé è estraneo all’uomo che in natura è nudo e puro nel corpo come nella mente. Il tatuaggio diviene quindi l’allegoria dei segni indelebili che il “vivere” lascia nell’individuo. Solchi talmente profondi da non consentire, in ultima analisi, possibilità di tornare indietro e riacquisire la vera, originale, essenza umana. Essenza caratterizzata in ogni caso da un’inestirpabile radice violenta, resa da Cronenberg attraverso una sequenza sublime in cui vediamo Nikolai combattere nudo in un bagno turco contro due killer (all’opposto interamente vestiti di nero), creando una specie di danza di morte che rimarrà come una delle migliori scene d’azione della recente storia del cinema (da sola in grado di ridefinire canoni e di dettare future evoluzioni), per la capacità che ha di trasmettere il senso di violenza, sofferenza e resistenza di cui è capace il corpo umano. Cronenberg, in definitiva, traccia con forza spietata il quadro di un mondo anarchico privo di punti di riferimento, nel quale la generosità, l’altruismo, la bontà sono capricci paranoidi come tutto il resto, esaminando in particolare il condizionamento imposto in Occidente dalla gente smarrita dell’Est europeo, senza più storia né memoria, portatrice di un contagio mortale. Eastern Promises è un film terminale. Rapprende sui fotogrammi l’immagine finale della civiltà. Assimila gli uomini a sepolcri ambulanti. Marchia la pelle di segni funerari. Acquista un senso tramite la morte.
Carmelo Caramagno, effettonotteonline.it
[Modificato da |Painter| 11/06/2010 14:21]
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