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<<Prime impressioni e comprensione di History>>

Ultimo Aggiornamento: 15/04/2010 18:51
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Post: 529
Sesso: Maschile
20/07/2009 11:27


RACCONTO PERSONALE:
PRIME IMPRESSIONI INVERNALI SU A HISTORY OF VIOLENCE


A History of Violence è stato il primo film di Cronny che andai a vedere al cinema; quello precedente, Spider, uscì quando ancora non avevo bene inquadrato il suo autore, mi incuriosì ma poi lo lasciai sfuggire. Ricordo che quando entrai in sala, in compagnia di un amico altrettanto appassionato di cinema strano, l’attesa era alta. Sapevo che sarebbe stato un film diverso dai precedenti, come già Spider lo era stato, ma quando uscii dal cinema non potevo capacitarmi di quanto davvero era stato diverso.
Guidai per tornare a casa pensando più al viaggio notturno di Tom Stall verso Philadelphia che non alla strada… Ero dubbioso, incapace di comprendere appieno ciò che avevo visto. Non si trattava della solita incomprensione/stordimento post film, come per esempio dopo un eXistenZ, bensì di un’incapacità di afferrare dove Cronny volesse andare a parare uscendo con il suo film più da manuale, più ‘classico’ nel senso cinematografico del termine, più sobrio e terreno.
Maturai alcuni pensieri nei giorni successivi, nervosamente indeciso tra tornare al cinema per rivederlo oppure passarci sopra. Tutti quei pensieri non me li ricordo più, ma ricordo bene che si srotolavano lungo il filo di un punto preciso. Ovvero: Cronenberg aveva girato un film facendone protagonisti quegli aspetti della storia e dei caratteri che, fino ad allora, aveva relegato a margine. Aveva effettivamente messo in primo piano una storia di vendetta con regolamento di conti finale. Proprio quel finale non avrebbe sfigurato in un film di Scorsese, e non mi era piaciuto tanto, non ne capivo il perché.
Certo erano ovvie le intenzioni di narrare la psicologia e la violenza (e la psicologia della violenza) mediante una storia ‘reazione a catena’ ben salda alla realtà contemporanea (americana, ma non solo). Tuttavia quella semplicità, persino quell’improbabilità dei fatti che non veniva mascherata dietro veli metaforici o surreali, bensì sbattuta sullo schermo quasi enfatizzandola e stereotipandola, tutta quella concretezza da fumetto non mi andava giù del tutto (allora non sapevo che il soggetto fosse stato ispirato da un fumetto, oltretutto).
Insomma, uscimmo dalla sala stringendoci il cappotto nella fredda notte di gennaio e il mio amico era molto più soddisfatto di me. Davanti al piccolo cinema fuori città con i respiri che si condensavano, lui gridò al capolavoro sottolineando quanto fossero acidamente vere le scene di sesso.
Poco tempo dopo attendevo già l’uscita in dvd con una certa voglia di rivedere il film. La piena comprensione di questo film è stata graduale, da parte mia, e non posso totalmente escludere (perché la prima impressione è pur sempre la prima impressione) che complici della rivalutazione siano state le parole di Cronenberg stesso. Cito a memoria: “So che la gente starà domandandosi se questo film sia abbastanza ‘cronenberghiano’. Ma io non faccio i film guardando quanto possano essere ‘cronenberghiani’ né basandomi sulla mia precedente filmografia. Per me è un film cronenberghiano semplicemente perché è mio”.
È esattamente il tipo di spirito che ho sempre apprezzato da parte di un artista. E ovviamente questo segava le gambe alla mia esitazione nei confronti del film, mi faceva quasi sentire in colpa.


VERSO LA COMPRENSIONE

A due anni di distanza, dopo aver rivisto alcune volte il film, lo sento comunque “dall'altra parte del muro”, cosa inevitabilmente legata al mio approccio verso Cronenberg proprio tra Spider e History... ma non costituisce più un problema o un ostacolo all'inserimento del film nella continuity del suo autore. Tutt'altro.
Innanzitutto A History of Violence è un ottimo film; pochi dei cosiddetti ‘autori’ cinematografici avrebbero saputo realizzarlo nello stesso tagliente modo. Ci si accorge dell’inutilità della questione se sia abbastanza ‘cronenberghiano’ non appena ci si rende conto di quanto conti la sostanza piuttosto che la forma.
Eppure - viene da ribattere - Cronenberg è sempre stato un elogio della forma, il suo cinema è forma. In questo caso, il film si presenta sotto la forma precisa, puntuale, tagliente che è necessaria al suo svolgersi.

Punto uno: il grado zero, un teatro

A History of Violence è il grado zero della poetica e dello stile cronenberghiani. Perché? Cronenberg abbandona il discorso sulla forma per esplicare la sostanza. La sostanza di una “storia di violenza” è la violenza: Tom Stall è un uomo comune che si muove nella realtà urbana. Il gioco della forma come metafora (e metamorfosi) necessaria alla spiegazione e alla messa in scena (fisicità, vedi Videodrome) qui non ha alcuna utilità, non è di casa. Per rendere la sostanza, Cronenberg allestisce un teatro – l’unica forma utile – dove tutto è al suo posto al punto da tendere al fittizio (la cittadina immacolata, l'orologio fermo), poi vi inserisce un elemento che fa a pezzi questa scenografia e ne impone un'altra (antagonista). L'aspetto schizofrenico insito in colui che è sia vittima che responsabile rimane subordinato: ciò che emerge è la reazione, scatenata da un ricordo, un passato, a livello inconscio, oppure dal rimorso, dalla colpa. Gli attori recitano a tutti gli effetti su un palcoscenico: i sentimenti sono quelli, non c'è spazio per distorsioni straordinarie, tutto è concentrato sull'intervallo ordinario. È la situazione a essere straordinaria: l'antagonista, la violenza.
Il simbolismo è assente. Il corpo è umano, e reagisce creando violenza a causa della violenza. La storia segue il corso di sé stessa, chiudendosi teatralmente. L'unico simbolismo ammesso è, sempre teatralmente, quello del nucleo famigliare. Che più probabilmente si trasforma da simbolo a morale. Il finale è in realtà uno dei più lieti e teneri che ci siano mai stati offerti.

Punto due: la mutazione è sociale

È passato un altro po' di tempo e questo è sempre un bene per i film di David Cronenberg, perché sono come i meloni: devi lasciare che maturino e dopo ti saziano.
È epifania di questi giorni di come Cronenberg in A History of Violence non si sia realmente allontanato dalla sua poetica delle mutazioni. È molto più semplice di come sembri: a differenza di film come La Mosca dove seguiamo il corso della mutazione, la quale ha una principale componente fisica, in History la mutazione è già avvenuta, è ubicata all'interno di Tom Stall ed è una mutazione psicologica in primo luogo, e sociale in secondo luogo. Date queste basi, che Cronenberg era interessato a sviluppare, il film si sviluppa e si risolve nel modo essenziale caro ai canoni del regista. L'unico dubbio può restare su quel finale “lieto”, che fa scaturire i seguenti interrogativi. Chi è l'uomo che si siede a tavola, Tom o Joey? Noi pensiamo sia Tom, ma convive per forza con una parte di Joey. Che la mutazione, quindi, per una volta, sia andata a buon fine? - un po' troppo drastico, diciamo meglio: che sia stata accettata? Sia dall'individuo che l'ha subita, sia dalla società che gli sta attorno?
È a questo che il “nuovo” Cronenberg punta, analizzando alla sua maniera sfere diverse di realtà, questa volta “reali” davvero, intrecciate nel reale (leggi nostro) tessuto sociale, senza metafore ed excursus fantascientifici. Spider aveva dato il via a questa sottile, subdola esplorazione (sotto i ferri da chirurgo) della realtà, che ci aprirà scenari – temo – ben più inquietanti di metamorfosi in mosche.
“Proseguiamo verso est?” dice uno dei due killer nel prologo del film... Eastern Promises risponde.

Matt – davidcronenberg.tk

[Modificato da |Painter| 15/04/2010 18:51]
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