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Osmosi del romanzo nel film

Ultimo Aggiornamento: 10/06/2010 20:44
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Post: 529
Sesso: Maschile
06/04/2009 13:14


Osmosi del romanzo nel film (Crash di J.G. Ballard, 1973)

L’epilogo del romanzo è rivelato nell’incipit. Sin dalle prime pagine James Ballard, ossia un narratore autodiegetico (Crash è “raccontato” tutto in prima persona) introduce subito il vero personaggio principale, che è il collante dell’intero romanzo. Lette le prime pagine potremmo rimettere il libro sullo scaffale perché gli aspetti semantici del plot si esauriscono tutti nella stupenda descrizione della fine di Vaughan. Tutto quello che capita dopo è come un’unica improrogabile incommensurabile analessi che ricostruisce gli eventi. L’incidente automobilistico, orrore per tutte le persone che si reputano ragionevoli, diventa per coloro che hanno oltrepassato il confine estremo della speranza e si sono inoltrati nel limbo fluido del mondo morto (e l’autore velatamente forse infierisce sulle classi sociali più benestanti di un Regno Unito pre-thatcheriano, non ancora funestato dalle crisi economiche e dalla disoccupazione che raggiungerà livelli apocalittici negli anni ’80), diventa un nuova frontiera da raggiungere e attraversare. L’orrore della lamiera contorta, che taglia la carne e recide la vita o la riduce ai minimi termini, si innesta nel fiacco ritmo delle infedeltà coniugali, nelle esperienze sessuali extraconiugali praticate dai personaggi. Ma il sesso è rimasto nudo, spogliato dalle emozioni, privato di quegli aspetti erotici e passionali che contribuiscono a dare valore a una relazione. Tradire e fornicare non è più una trasgressione, ma una normale operazione quotidiana. Sarà l’incidente occorso all’io narrante, James Ballard, a cambiare le cose, perché sarà questo il motivo legato a una catena di altri motivi che trascineranno gli eventi fino all’ultima, ossia alla prima pagina. Seppur con una focalizzazione interna (ma inserita nell’anallessi e quindi, come lettori situati nel futuro dell’intreccio conosciamo l’epilogo, anche se non ne conosciamo i presupposti) possiamo intraprendere questo percorso che oserei definire pittorico, questa ricerca di una perfetta fusione estetica dell’uomo con la macchina. Detto così sembra uno dei tanti romanzi sull’uomo macchina, sull’androide, sugli innesti, il cyborg. Invece ritengo che la “fusione” sia più estetica che carnale. In ogni pagina sono presenti i motivi per cui vi è un rinato appagamento sessuale dei personaggi. L’appagamento però non è determinato dal masochistico desiderio di fare sesso con chi è rimasto segnato nel corpo dagli incidenti. Da una lettura meno approfondita sembrerebbe quasi che Ballard, sua moglie Catherine, la Dott.ssa Remington, Gabrielle e soprattutto Vaughan non siano altro che depravati impotenti capaci solo di godere attraverso il dolore della ferita e la perversione della cicatrice. La realtà mostrata attraverso il punto di vista di J.Ballard (che è facile indicare come il punto di vista dell’autore J.G.Ballard) è una realtà costruita attraverso forme geometriche e prolungamenti del naturale attraverso l’artificiale. Ogni curva del corpo femminile (ma anche maschile) ogni parte intima o particolare anatomico del corpo (mani, occhi, volto, orecchie, gambe, vagina, pene) sono visti attraverso rapporti con le parti metalliche e/o viniliche dell’auto, in modo da creare un’immagine univoca, di fusione armonica tra corpo e artificio.

“[Vaughan] Con il pollice […] indicò il bordo cromato del finestrino e la sua congiunzione con l’elastico ultrateso del reggiseno della giovane donna. Per un capriccio fotografico, l’uno formava con l’altro una fionda di metallo e nylon, dalla quale sembrava proiettarsi da sé, nella mia bocca, il distorto capezzolo.”[1]

In tal modo vengono create nuove forme che naturalmente deturpano il corpo umano (le forme più esaltanti sono create durante il crash vero e proprio), ma anche lo nobilitano, in quanto il corpo diventa supporto fisico del vissuto (una sorta di DVD masterizzato). Un’estetica del flusso continuo che attraversa la vita in tutte le sue forme o, se vogliamo, un’estetica di nuove armonie nate con la tecnologia, una sorta di body-art. Ma non è semplicemente questo. Non potendo esaurire un’accurata analisi nello spazio solitamente utilizzato in un post, devo sintetizzare. I nuovi rapporti di carne e tecnologia intesi come aspetti artistici, come nuove forme non stigmatizzabili, non sono sufficienti, proprio perché le nuove forme non nascono da una somma (macchina + carne), ma da una sottrazione. Non basta prendere due amanti pieni di cicatrici e riprendere i loro amplessi in un abitacolo incidentato, abbandonato in un deposito della polizia, per vedere le nuove forme. Bisogna invece intendere non la forma compiuta, fredda, realizzata, ma la forma che si sta formando, una forma dinamica, in fieri, protesa a deformarsi nell’atto stesso della sua formazione. Semplificando: bisogna descrivere, osservare il momento stesso dell’impatto, vedere il rapporto lamiera-vinile/carne, liquidi meccanici (olio motore, antigelo)/liquidi organici (sangue, sperma, urina). E’ durante l’impatto che si ha, per un attimo, la fusione totale e la formazione della Gestalt [2] vera e propria che sottrae l’integrità del corpo. Il sesso interviene ad un altro livello. Interviene quando chi porta sul suo corpo la rappresentazione della fusione subita si unisce, preferibilmente in una scenografia d’auto deformate, con un altro corpo “fornito” degli stessi requisiti. In pratica il ricordo della dinamica viene trasposto nell’atto sessuale, definendo un nuovo tipo di erotismo. E’ la stessa cosa che succede al pubblico estasiato davanti a un quadro: l’atto estetico nasce di fronte a un quadro che ha i segni del suo vissuto, visto da un pubblico che è predisposto e porta in sé gli stessi segni. Quindi i liquidi hanno la loro importanza, sono metafora del fluire della vita e delle emozioni, ma anche incarnazione della vita liquida (ma non voglio soffermarmi sui temi del romanzo). Lo spazio del romanzo riflette in pieno questi presupposti. E’ uno spazio nuovo, che potremmo dividere in due:
1) uno spazio della distanza che rappresenta il serpente contorto e freddo e allo stesso tempo vivo perché in esso pulsa un sangue metallico e lucente (i nastri argentati delle autostrade che James Ballard vede in lontananza dall’alto del suo terrazzo). Questo spazio è l’aspetto più freddo e meno preoccupante, ma in realtà e il più spaventoso, perché ci mostra l’uomo e la macchina in campo lunghissimo visti come piccoli ingranaggi di un serpente artificiale che pulsa e scorre ininterrottamente. Ma è sufficiente che una sola cellula del nastro argentato si blocchi (che un incidente ostruisca un’autostrada) affinché il mostro evidenzi la sua orribile inutile rappresentazione.
2) uno spazio intimo di cui ho già detto, ossia una conformazione carne/macchina/sesso, un amplesso visto da una distanza ridottissima, microscopica, quasi cellulare, dove ogni sentimento ogni pulsione viene registrata. E’ nello spazio ridotto che J.G. Ballard secondo me scrive le pagine migliori:

“Catherine vomitò sul mio sedile. Questa chiazza di vomito, coi suoi grumi di sangue simili a rubini liquidi, viscosa e discreta […] continua a possedere per me l’essenza del delirio erotico dello scontro automobilistico – più eccitante del suo muco rettale e vaginale, altrettanto raffinata dell’escremento di una regina delle fate o dei globuli di liquido addensati a lato delle bolle delle sue lenti a contatto. In questa magica polla, sorta dalla sua gola come una scarica di fluido dalla bocca d’un tempio remoto e misterioso, io vidi il mio riflesso: specchio di sangue, seme e vomito, distillati da una bocca i cui contorni avevano fino a pochi minuti prima aspirato senza posa dal mio pene.” [3]

Il tempo, a parte l’epilogo posto nell’incipit, sembra fluire regolarmente. Il romanzo è suddiviso in capitoli cronologici (questo aspetto è stato sfruttato bene nel film) che si susseguono senza particolari traumi. Ma c’è un altro tempo che aleggia tra le pagine di Crash. E’ il tempo sensibile e impercettibile dell’attimo eterno, dell’instancabile ricerca di una perfezione estetico-sessuale che dovrebbe trovare l’apice nell’orgasmo e in particolare nella generazione del seme maschile. Ma questo tempo (e questo aspetto secondo me è la parte più interessante del romanzo) non soddisfa, non emerge in pieno, proprio perché l’attimo è irreversibile, il seme esce ma rimane su una mano, o viene espulso dall’organo femminile per via della gravità. Insomma l’insoddisfazione rimane sempre anche inoltrandosi nell’infinitamente piccolo.
Altro aspetto è il cinema. J.G. Ballard ha voluto mettere in evidenza l’aspetto cinematografico del romanzo, ha mostrato come queste deformazioni siano possibili solo attraverso la mediazione di due arti: cinema e fotografia. Mentre il cinema riesce a mostrare l’evento da una distanza abissale (pur avvicinandosi ai particolari) senza congelare l’attimo, né fermare il tempo che tutti attraversano (anche inconsapevolmente), la fotografia (Vaughan ama fotografare le vittime dell’incidente dall’inizio alla fine, ossia da quando vengono prelevati dai medici e dai vigili del fuoco dall’auto incidentata, fino alla convalescenza) invece riesce a semplificare e immortalare i vari attimi, gli ictus della storia, restituendoci tutta l’angoscia e l’orrore dell’evento, perché la fotografia congelando l’immagine, ci restituisce la morte in atto. Ma questi sarebbero altri aspetti da approfondire magari in un prossimo post perché mi sto dilungando troppo.

[1] J.G. Ballard, Crash, Feltrinelli UE 2004 – p. 92
[2] Wikipedia: Per la psicologia della Gestalt non è giusto dividere l’esperienza umana nelle sue componenti elementari e occorre invece considerare l'intero come fenomeno sovraordinato rispetto alla somma dei suoi componenti: "L'insieme è più della somma delle sue parti"
[3] J.G. Ballard, Crash, Feltrinelli UE 2004 – p. 15-16
Luciano, cinemante.blogspot.com
[Modificato da |Painter| 10/06/2010 20:44]
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