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Intervista di Cronenberg a S. Rushdie (1995)

Ultimo Aggiornamento: 10/06/2010 17:59
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22/02/2009 12:33


Lo scrittore condannato a morte intervistato nel suo rifugio segreto dal regista Cronenberg

RUSHDIE: L'ARTE CONTRO LA PAURA

L'Europa è delusa dall'atteggiamento iraniano nei confronti di Salman Rushdie. Nell'incontro che si è svolto giovedì a Parigi tra l'inviato di Teheran e l'Unione europea non si sono fatti sostanziali passi avanti. Gli ayatollah hanno deciso di non revocare la “fatwa”, la condanna a morte emanata il 14 febbraio 1989 nei confronti dell'autore dei Versi satanici, nonostante i segnali di “ammorbidimento” lanciati nell'ultimo periodo da alcuni alti esponenti del governo iraniano. Dichiarazioni rassicuranti sul romanziere erano state fatte alcuni giorni fa in un'intervista con un quotidiano danese rilasciata da Javad Larijani, vice presidente della commissione Esteri del Parlamento. Il politico iraniano aveva detto, tra l'altro: “chiunque, sul territorio iraniano, tenti di uccidere Salman Rushdie, sarà condannato come criminale”. Pubblichiamo qui sotto l'intervista che il regista cinematografico canadese David Cronenberg è riuscito a realizzare con lo scrittore anglo-indiano in un luogo segreto di Londra. Arte, cinema, il dilemma di come passare il tempo nell'incubo della condanna a morte, sono al centro di questo eccezionale incontro blindato. David Cronenberg è noto, tra l'altro, per Scanners, La Zona Morta, Inseparabili, Il Pasto Nudo, La Mosca, M. Butterfly. Di Salman Rushdie, Mondadori sta per pubblicare il nuovo romanzo L'ultimo sospiro del moro (che sarà in libreria all'inizio del prossimo ottobre).

LONDRA - La telefonata da Scotland Yard arrivò nel tardo pomeriggio di venerdì. Dapprima pensai che fosse il servizio in camera, così non badai al nome né al titolo - ispettore? sergente? - MacLeish? “Lunedì alle 13,30 ci sarà un uomo ad aspettarla nell'atrio del suo albergo. Il suo nome è Sinclair. Prenderete un taxi insieme. Toccherà a lei pagare”. Dio mio, pensai. Che taccagneria. Siete proprio di Scotland Yard. Poi però pensai: perché mai Scotland Yard dovrebbe pagare per il mio appuntamento con Salman Rushdie? Sinclair è un giovane affabile e di bell'aspetto. Porta occhiali con la montatura metallica e un abito che dichiara la sua affezione per un Canada che non conosce classi sociali. Gli chiedo se sia lui in genere a occuparsi di Rushdie. “Di solito sono assegnato ai parlamentari - mi dice con il suo accento del nord, stretto e divertito - ma non è così eccitante come questa avventura”. Il taxi ondeggia nel traffico di Londra. Sembra che nessuno ci segua. “Non mi va che i poliziotti ascoltino le mie conversazioni” dice Rushdie. Si alza e chiude la porta. Ora i due uomini di Scotland Yard che hanno portato Rushdie all'appuntamento con me hanno per sè la camera da letto, mentre noi abbiamo il soggiorno. Sinclair è sparito dopo aver perquisito la mia borsa con una superficialità che mi ha deluso. Quando arrivo a Londra, tutti i giornali pubblicavano foto di Rushdie che, alla festa per il lancio dell'ultimo romanzo di Martin Amis, The Information, ballava con una giornalista molto graziosa. Ogni giornale aveva qualche commento che esprimeva stizza per il fatto che forse lui si divertiva. “Balla così male che dovrebbe andarsi a nascondere”, diceva uno. Petulanti e irritabili, i media inglesi sembrano avercela con Salman Rushdie e mentre siedo di fronte a lui non posso che essere sopraffatto dalla cattiveria di questo atteggiamento. Una delle cose che disprezzo del giornalismo è il disperato bisogno di fare collegamenti a ogni costo. “Oggi la gente è molto più interessata agli scrittori come personaggi che ai loro scritti”. Per un canadese, per un ragazzo delle colonie, leggere sui giornali inglesi questa robaccia su di lei - con tutte le malignità e le cattiverie - è proprio una distorsione.
“Uno degli aspetti più brutti di quanto mi è successo è stata proprio questa razza di commentatori inglesi che hanno voluto fare di me il cattivo della situazione. Un mio amico giornalista ha smesso di scrivere ritratti di personaggi perché ogni volta i suoi direttori gli dicevano che non erano abbastanza cattivi. Mettici più cattiveria. C'è della ferocia, in tutto questo. La mia unica esperienza a questo proposito è stata con John Landis, che è un mio amico, per la faccenda di Twilight Zone (Il 23 luglio 1982, un incidente di elicottero causò la morte dell'attore Vic Morrow e di due bambini vietnamiti sul set del film che John Landis stava girando, Twilight Zone). Lui e sua moglie adoravano il New York Times, ma ecco che all'improvviso il loro giornale prediletto scriveva che, appena l'elicottero si era schiantato, John si era precipitato sulle telecamere, aveva strappato la pellicola, scappando e nascondendosi per tre giorni. Lui allora prese il telefono e disse ai giornalisti: “La prima cosa che ho fatto dopo lo schianto è stata cercare di tirar fuori le vittime dall'acqua. Ci sono i testimoni. Il giorno dopo ero in tribunale e il film dell'incidente era già sotto custodia”. Il Times controllò l'informazione e disse: Sì, lei ha ragione e noi torto. John allora disse: Pubblicherete una rettifica?. E loro: Non ci pensiamo proprio. E lui: Vi denuncio. Il Times rispose: Aspettiamo con piacere la causa. Addio. Un giorno sono andato in tribunale con lui e la moglie. Era come il processo Simpson, un assoluto incubo. A me hanno riferito cose che mi lasciavano senza fiato. Per esempio, mi hanno raccontato che Al Alvarez, il poeta e critico, ha detto: Oh, Rushdie ha sempre voluto essere lo scrittore più famoso e adesso è davvero lo scrittore più famoso del mondo e ben gli sta. Quando venne proferita per la prima volta la minaccia contro di me, il ministro degli Esteri disse: Oh, gli inglesi non amano questo libro. Paragona l'Inghilterra alla Germania di Hitler. Io mi chiesi: Ma dove? Mi fai vedere dove scrivo una cosa simile nel romanzo?”.
Lei pensa che l'avesse letto davvero? “Certamente no. Un giorno venne chiesto alla persona che ora è ministro degli Esteri, con il quale devo trattare per le mie faccende, quale fosse stato il suo compito più spiacevole in politica. Lui rispose: Leggere i Versi satanici. Sono stati scritti fiumi di parole su quanto io sia arrogante e personalmente sgradevole. Si tratta di persone che non ho mai incontrato in vita mia”. Chi non è un personaggio che vive nei media, in fondo non le crede quando lei dice cose del genere. Anche per quanto mi riguarda esiste un "me" esterno che vive una vita diversa dalla mia. Quando parlo con Mel Gibson, parlo con lui ma leggo che sta con qualche donna a Santa Monica. E io sto parlando con lui e sua moglie... C'è un Mel Gibson che fa un sacco di cose di cui Mel non ha la minima idea. “Un paio di volte ho sporto denuncia e ho ricevuto le scuse. La rivista Esquire, ad esempio, aveva scritto che i miei amici gestivano un giro di prostitute per procurarmi delle donne. E la stampa scandalistica di Londra ha ripreso la notizia”. Quella comunque è la stampa scandalistica. Credo sia il loro stile. È un po' come scrivere un romanzo. Uno si dice: se fossi in quella situazione, vorrei delle donne. E come potrei procurarmele? Chiederei ai miei amici. E tutto all'improvviso diventa realtà.
“Un'alta percentuale di giornalisti britannici ritiene che ogni penny speso per proteggermi sia uno spreco. Se poi si spende perché - Dio non voglia - io mi diverta, questo è veramente orribile. Una parte del partito conservatore la pensa così. C'è una specie di musica di sottofondo: È un bastardo, è uno scrittore terribile, illeggibile, arrogante, sapeva benissimo quello che faceva, si è messo da solo nei pasticci con 'la sua stessa gente' e adesso il partito politico che ha sempre criticato deve salvargli la pelle. Perché dovremmo farlo? Per di più, è un immigrato. Tutte queste sono cose orribili. Il Cielo non voglia che uno scrittore sia mai arrogante”. Chiunque finisca in un circo come questo non è gradito. Così è stato per John Landis e così è per O. J. Simpson. “Purtroppo c'è questo mare di bile e dobbiamo nuotarci dentro. Non c'è scampo”. Questo è uno degli strani prezzi che si pagano per qualunque tipo di celebrità. È la maledizione cinese: ottieni ciò che desideri, ma non esattamente quello. “Credo che Alvarez intendesse proprio questo. Prima ero affamato di celebrità, anche se non credo più della media. Comunque non mi dà nessun piacere che la cosa cui devo la celebrità sia altro dai miei libri”. Era proprio quello che pensavo venendo da lei. Sarei qua se lei fosse soltanto uno scrittore? Probabilmente no. Forse l'avrei incontrata una volta o l'altra, ma nessun giornale mi avrebbe mandato qua. “No, non l'avrebbe fatto”.
La sua situazione fa di lei qualcosa di più di un romanziere. “La cosa strana è che questo era uno dei temi principali dei Versi satanici. Tutto ruota intorno ai media, ai messaggi globali e istantanei. Mi ricordo di aver rilasciato un'intervista subito dopo l'uscita del libro - prima dei guai - nella quale parlavo della funzione degli angeli nel mondo antico. Nel mondo della profezia, gli angeli ti portano i messaggi, le notizie. Io sostenevo che oggi, anziché gli angeli, abbiamo la televisione. Per ricevere il messaggio guardiamo la tv”. Ha mai scritto sceneggiature? “Sono letteralmente ossessionato dal cinema. Ho sempre detto che su di me i film hanno un impatto maggiore dei romanzi. Sì, ho cercato di scrivere sceneggiature, ma ogni volta sono diventate un pezzo del romanzo che stavo scrivendo. Ad esempio, ho scritto un abbozzo di sceneggiatura di un delitto d'onore avvenuto in Inghilterra: un padre aveva ucciso la figlia perché usciva con un ragazzo bianco e così svergognava la famiglia. Ho cominciato a scrivere la sceneggiatura, ma mi sono reso conto che di fatto stavo scrivendo un romanzo sull'onore e la vergogna. Era una variazione inglese sul tema di cui mi occupavo allora ed è diventato un capitolo del romanzo Shame”. Ho incontrato diversi scrittori che hanno finito per fare i registi, con risultati molto diversi. Alcuni detestavano assolutamente la cosa. Ovviamente non avevano mai avuto a che fare con attori, spazi, tecnologia. I movimenti delle persone e quel piccolo rettangolo di pellicola che chiude lo spazio sono stati una delle prime cose che ho trovato molto difficile, perché ho sempre pensato che sarei stato un narratore, che a me non sarebbe mai capitato di fare un film. I movimenti delle persone intorno a una stanza sono scultura, balletto, coreografia e sono difficili da padroneggiare. E lo devi fare con un'incredibile pressione sui tempi e la gente che guarda continuamente l'orologio. Alcuni adorano questo genere di lavoro, altri lo detestano. Ma non puoi conoscere le tue reazioni finché non provi.
“Io per poco non facevo l'attore, avevo questa voglia. Lasciata l'università, ho passato un paio d'anni cercando di farlo e ne sono venuto fuori in tempo”. Non credo se ne esca mai in tempo. Io ho recitato in un paio di cosette, ero orrendo. Ma ho fatto un piccolo film che si intitolava Blue e credo non fosse brutto. “Curiosamente, penso che adesso sarei migliore. Perché, guardando indietro al mio giovane sé che recitava, agitavo troppo le braccia. C'era troppo movimento”. È curioso. I migliori attori non sbattono neppure le palpebre, ma quando lo fanno il gesto è carico di significato. L'immobilità dei grandi attori è incredibile.
“Bene, penso che adesso saprei stare più fermo”. Ha qualche giustificazione l'idea che il romanzo sia una forma d'arte superiore al cinema? “Non credo. Se stilassimo una nostra lista personale dei grandi film e dei grandi romanzi del secolo, arriveremmo grossomodo allo stesso numero. Invece, nell'arco di un anno i film buoni superano probabilmente i buoni romanzi”. Lei è religioso? “No. Sono cresciuto in una famiglia dove la religione era assente. Tuttavia sono molto interessato alla religione: se cresci in India e passi tutta la tua vita a scrivere dell'India, non puoi non scrivere di religione”. Ho letto che lei si era convertito all'Islam... “Cinque anni fa c'è stato un momento in cui ho fatto uno stupido errore e sono stato avvicinato da alcuni musulmani britannici che hanno cercato di indurmi a fare una dichiarazione di appoggio alla loro fede, dicendomi che se l'avessi fatta la mia situazione sarebbe rapidamente migliorata. Per un paio di settimane ho detto cose molto stupide”. Ah ah. “Avevo buone ragioni per lasciarmi incantare. Pensavo: Ok. Faccio vedere a questa gente che non sono un nemico, voglio calmare le acque. Ma questo ti risucchia in un gorgo di cose che non dovresti dire perché non corrispondono a quello che pensi. Lei mi capisce, vero?” Certo. “Subito dopo aver fatto la mia dichiarazione, mi sono sentito fisicamente male, perché sentivo che in qualche misura avevo perso il mio linguaggio. Fino a quel momento mi aveva tenuto in piedi il pensiero che potevo difendere tutto quello che dicevo, e farlo nel mio linguaggio abituale. All'improvviso invece mi trovavo in quella posizione così compromettente. Così ho subito fatto dietrofront e ho detto: È stato uno sbaglio, questa non è la mia posizione: non sono ostile ai musulmani, ma sinceramente non posso definirmi musulmano. Seduto qui a parlare con lei, avevo difficoltà a immaginarla come un devoto musulmano.
“In sostanza, mi era stato offerto un accordo. Ma fu subito chiaro che era stato un errore fare quella dichiarazione e che la gente con cui trattavo era assolutamente inaffidabile”. Non è buon politico, lei... Comunque, si dice che non può più andare a Bombay. “No. E questo per me è terribile. Di tutte le rinunce, è la peggiore. Io vengo di lì, la mia famiglia vive ancora lì, mia madre vive in Pakistan e io non posso andarci”. Volevo chiederle qualcosa sulle automobili... “Da sei anni e mezzo praticamente non guido. Ma adoro le macchine...” E le moto? “Mai guidate. Ma guidare un'auto mi piace moltissimo. Qualche anno fa un amico mi ha portato sul circuito di Silverstone...” Con un'auto di Formula Uno? “Era un'auto da rally. Fantastico. Devi sempre fare il contrario di quello che ti viene istintivo fare”. Torniamo ai suoi libri. È mai stato tentato di riscriverli, una volta pubblicati? “Non i romanzi. Il fatto è che tutto è imperfetto. Proprio ieri ho raggiunto il punto di non ritorno con il mio ultimo romanzo, The Moon's Last Sigh. Ho corretto le bozze e ho finito: visto, si stampi”. Anche nei film succede così: si stampano le copie ed è fatta. “È così: quello che ho fatto ieri non mi riguarda più”. Così adesso lei è soltanto un lettore. “Sono disoccupato. Devo pensare che cosa fare nel tempo che mi resta da vivere”.
La Stampa (1995)
[Modificato da |Painter| 10/06/2010 17:59]
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