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Intervista a Deborah Harry

Ultimo Aggiornamento: 12/02/2009 18:38
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Sesso: Maschile
12/02/2009 18:38


INTERVISTA A DEBORAH HARRY


È la rockstar più fotografata del mondo, i suoi lineamenti incredibilmente seduttivi sono probabilmente più famosi della sua pila di singoli e album che la hanno portata alla fama internazionale.
Il sound e lo stile creato dalla cantante trentottenne e dal quintetto di musicisti che suonano sotto il nome di Blondie sono sinonimi della musica pop e dei nuovi tipi di beat, reggae e rap derivati dagli anni 60. Sin dal loro album d’esordio del 1976, Blondie, poi con collections quali Plastic Letters, Parallel Lines, Eat to the Beat (che uscì anche come video-album di lunga durata), Autoamerican and the Hunter, hanno portato la Harry sotto i riflettori dei media. La sua fatica solista Kookoo, i camei nei film Roadie e Union City, le apparizioni in numerosi show televisivi e pubblicità hanno ulteriormente sottolineato la sua posizione nella mente del pubblico.
L’anno scorso, la “5’ 5” beauty” è andata in Canada per essere l’interprete di un film shock, Videodrome. Scritto e diretto da David Cronenberg (Rabid, Scanners), il film illustra l’incubo dell’imprenditore televisivo Max Renn e la sua ossessione per uno show televisivo brutalmente erotico e sadomasochista, che sospetta essere reale. La Harry fa la parte di una sensuale psicologa del pop, Nicki Brand, che induce sempre più profondamente Renn nel suo orrore bio-elettronico.
Deborah Harry ha parlato di questo controverso film dal suo appartamento di Manhattan dove vive con il compositore/chitarrista dei Blondie, Chris Stein. È premurosa, delicata e sincera, talvolta lasciando che il suo senso dell’umorismo venga a galla nella conversazione (“Penso di avere quest’aria giovanile perché sono fondamentalmente pigra; il mio segreto è alzarsi tardi e stare in piedi fino a tardi!”). Soprannominata “The Punk Harlow”, è sfacciatamente attraente sia di persona che sul palco.

Prevue: Il tuo nuovo film è in qualche modo difficile da classificare. È un fantasy, un thriller, una commedia nera, un’allegoria surreale e, soprattutto, sicuramente un horror. Guardi questi tipi di film?
Debbie Harry: Si li guardo, anche la fantascienza. È quello che ho imparato di David. È un regista etico che ha un’unica filosofia che corre attraverso tutte le sue opere. Mi piace.

P: Ti piace anche essere spaventata?
DH: Oh, certo! I film horror mi spaventano molto, perciò mi copro gli occhi e sbircio tra le dita.

P: I preferiti che hai sbirciato?
DH: Psycho mi ha spaventato davvero tanto la prima volta che l’ho guardato. The Omen era buono, il terzo non era granchè. Mi è piaciuto Halloween, ma il sequel non era intenso come l’originale. L’Esorcista era terrificante. Non ho ancora visto American Werewolf, Halloween III, Poltergeist e altri dei più recenti.
Sono veramente una fan del cinema. Penso che derivi dal fatto di pensare visivamente. Per esempio quando mi vengono delle idee, le vedo come immagini, quasi come un film. Le sviluppo nella mia mente pitturandole, piuttosto che crearle con parole o sensazioni.
Non guardo i film molto, molto vecchi, mi sembra che le tecniche di recitazione siano buffe, datate. Non che i film moderni non possano essere deludenti, talvolta. Gli Studios hanno imparato la lezione. Spero che i poteri dell’industria cinematografica possano iniziare a supportare gli indipendenti che fanno alcuni dei migliori film oggigiorno.

P: Pensi che il nuovo sangue emergerà attraverso la tecnologia video con le sue sempre minori spese di produzione rispetto ai film tradizionali?
DH: Certo, ma francamente non mi piace comparare i video con i film. In effetti, obietto sempre al modo in cui molti video-artisti illuminano le loro scene. Sono così blaah!

P: Troppo naturali?
DH: Piatti, molto piatti!

P: Quando state girando, ti fai coinvolgere nell’illuminazione, suggerendo particolari e luci per creare un ambiente che ti va bene?
DH: Non ne so abbastanza. Sono stata molto fortunata perché il fotografo di Videodrome ha fatto un ottimo lavoro. Ma nelle session di fotografie o in televisione o nei video darò suggerimenti, o mi lamenterò di cose che non mi piacciono.

P: Come hai fatto ad arrivare a Videodrome?
DH: Cronenberg mi contattò attraverso il mio agente. Sono stata con i produttori a New York e più tardi sono andata in Canada.

P: Come ti ha descritto il ruolo di Nicki Brand?
DH: Voleva che avesse un’immagine da rockstar come la mia: una personalità pubblica, indipendente, severa. Era un po’ strano perché non pensava che io andassi bene per il ruolo. Voleva qualcuno tipo me, ma non credeva di poterla trovare. Poi, dopo che avevo letto la parte, ha sentito che potevo andare bene.

P: Cosa provavi?
DH: Non ci sarei andata se non pensavo di poterlo fare – o di volerlo fare.

P: Cronenberg scrisse la parte avendo te già in mente?
DH: Non penso.

P: Hai mai colto un’occasione per qualcosa di cui non eri sicura?
DH: Oh sì. In quel senso sono molto simile a Nicki Brand.

P: Eri in qualche modo apprensiva per il ruolo?
DH: Sì, volevo interpretare qualcuno di molto più simpatico e eroico di Nicki. Sai cosa intendo. Non volevo iniziare la mia carriera al cinema con una anti-eroina. Quando ho letto la parte ho pensato “Lei proprio non è simpatica.”

P: Nicki è una donna vivace con un carattere discutibile.
DH: E’ una seduttrice che lavora per l’uomo sbagliato, benché alla fine redime sé stessa. Non ero sicura di volerlo come primo grosso ruolo. Avrei preferito qualcosa di più leggero e più positivo.

P: Poi cosa ti ha attratto di Nicki Brand?
DH: Era giocosa e avventurosa. Mi è piaciuta e ho accettato.

P: Un’altra connessione con Debbie Harry?
DH: Penso di sì. Ma ci sono le dovute differenze. Mi piace provare nuove cose; non sono spaventata da cose che non conosco o che non ho mai fatto.

P: Quindi come ti sei preparata per Videodrome?
DH: Più che altro ho parlato con il regista per imparare come lui voleva che il personaggio fosse. Molta della mia concentrazione era sulla tecnica, lavorare come attrice in un film anziché su un palco.

P: Minimizzare gesti ed espressioni per il grande schermo?
DH: Sì, sono molto interessata a imparare tutto ciò, e continuare progressivamente con diversi tipi di recitazione.

P: Sei nervosa prima di salire sul palco?
DH: Sì, ovviamente.

P: E quando stai girando un film, che solitamente è più esigente di un palco?
DH: E’ completamente differente, ma ero lo stesso nervosa.

P: Come l’hai presa?
DH: Mi muovevo molto, sudavo e andavo al bagno [ride]. Seriamente, la differenza tra una performance in diretta e lavorare di fronte a una cinepresa è che puoi perfezionare quello che fai nei film. Hai la sicurezza di sapere che se sbagli, puoi tornarlo a fare un’altra volta. In diretta non puoi. Poi però in diretta puoi portare te stessa ad altezze esplosive, dare tutto ciò che hai, poi uscire. È un grandioso e lussurioso modo di recitare.

P: Come hai raccimulato energia ed emozioni per un film senza un pubblico che ti acclama?
DH: E’ un modo diverso di concentrarsi che ha qualcosa di magico. Non so. Hai un paio di prove; prendi bene la luce, il movimento, e queste cose speciali iniziano a succedere.

P: Che succede quando non accadono?
DH: Ti concentri di più.

P: Sei brava a farlo?
DH: Qualche volta. Qualche volta no. In Videodrome si sono sorpresi che io non fossi preparata. Non mi ero resa conto che stavo lavorando duramente con le mie emozioni. Dietro la cinepresa, situazioni che normalmente non sarebbero state serie mi affliggevano – piccole, stupide cose! Non avevo pensato di essere così sensibile. Ero così presa dal lavoro davanti alla cinepresa che quando finivamo di girare, qualunque cosa aveva un effetto più forte su di me di quanto normalmente avesse. Io sono una persona abbastanza tranquilla. Devi esserlo se vuoi stare nel business musicale, rock ‘n roll comunque.

P: Come ha fatto Debbie Harry a conciliarsi con Nicki Brand?
DH: Prima di tutto ho realizzato cosa stava succedendo, ho preso in mano la cosa. Non c’erano crisi selvagge ed emotive sul set; piuttosto erano più come punti ciechi di quando guidi nel traffico.

P: Suppongo che stia tutto nell’entrare nel personaggio. Quando hai davvero “trovato” Nicki Brand?
DH: In realtà verso la fine della produzione.

P: Il personaggio rimaneva con te fuori dal set?
DH: Immagino di sì; Chris mi accusava di diventare Nicki quando non avrei dovuto.

P: Chris è stato con te a Toronto?
DH: No, uh-uh! [ride] Sono molto nervosa.

P: James Woods è l’altro protagonista di Videodrome. Hai visto i suoi film?
DH: Si, ero eccitata all’idea di lavorare con lui. È un attore davvero energico, premuroso che dava suggerimenti e parlava con me delle scene. Quando c’erano giochi o diverbi sul set, era davvero d’aiuto. Non potevo essere più fortunata.

P: Hai fatto prove con Woods?
DH: No, stavano girando prima che io arrivassi, e l’agenda di Jimmy era decisamente più piena della mia.

P: Com’era lavorare con Woods?
DH: Be’, alla fine di ogni take faceva osservazioni davvero spiritose, talvolta molto sporche, per esempio quanto fosse irresistibile il suo enorme – ho dimenticato come lo chiamava!

P: E’ stato traumatico il tuo primo giorno sul set?
DH: Si ero come…uuuh! Non ho usato bene la mia energia – capisci cosa intendo.

P: Battute sbagliate, scene ripetute?
DH: Si, ma non avevo tanti problemi a recitare davanti alla cinepresa quanto con tutto il resto dietro la cinepresa. Essere disponibile per tutta quella gente – qualcuno veniva improvvisamente a fissarti gli occhi, a toccarti, a sistemarti vestiti e capelli – è qualcosa a cui non sono abituata. Ho sempre fatto le mie cose da me; durante il film, loro hanno fatto tutto. È abbastanza diverso per me.

P: Non è divertente essere viziati?
DH: Si, qualche volta. Qualche volta no. Ci sono volte in cui semplicemente non vuoi essere disturbata. Molte attrici – come Laura Hutton – hanno il loro personale servizio di make-up. Devi avere la completa fiducia in queste persone, e molta comprensione.

P: Qual è stata la più scena più drammatica e difficile?
DH: E’ stata quella nel salotto di Max Renn. C’era molto disordine, coerografia, movimento. Essendo un po’ maldestra, non proprio abile di parlare e muoversi nello stesso tempo, avevo difficoltà a farlo. Ero un po’ giù di concentrazione quel giorno. È difficile allenarsi per fare qualcosa una volta e basta. Ho dovuto veramente faticare per riuscirci. Non ricordo il numero dei takes, ma era attorno alla ventina.

P: Durante le riprese di Blade Runner, Sean Young disse che il regista Ridley Scott poteva manipolare le sue emozioni durante le conversazioni. Cronenberg faceva lo stesso con te?
DH: No, anche se penso che l’ha fatto con Jimmy, che doveva recitare una vasta gamma di emozioni.

P: Come ti sei gestita per non sentirti a disagio nelle scene di nudo?
DH: Sono state fatte con molto buongusto, non nel modo sfacciato con cui apparivano nella sceneggiatura. Non sono neanche una timidona. Non ho molto da mostrare, e non sono eccessivamente pudica. Suppongo di essere una semplice nudista.

P: Non c’è differenza tra togliersi i vestiti nei boschi e lavorare nudi davanti a una cinepresa?
DH: Non saprei, immagino dipenda dalle persone. Ero nuda in una scena d’amore, quindi sembrava molto naturale. Era molto tranquilla. Jimmy era delicato e riguardoso. Non era turbato in nessun modo, era il più cortese e professionale possibile.

P: Sei un’esibizionista?
DH: Probabilmente, ma non sono una “flasher”. [ride]

P: Come ex coniglietta di Playboy e personalità pubblica, utilizzi la tua fisicità.
DH: Sicuramente, che mi ha permesso di fare le scene di nudo senza le difficoltà che avrebbero avuto molte altre attrici

P: E’ difficile sentirsi belle e sexy sotto i riflettori e davanti ai cineoperatori?
DH: Qualche volta, ma non c’è tutto questo sesso esplicito nel film. Persino dopo la scena della doccia – che credo sia stata tagliata – avevo una salvietta addosso. Ero stata avvisata che non ci sarebbero state scene con nudi frontali nel film. Niente del tipo Elizabeth McGovern in Ragtime. Non vorrei farlo. Ricorda che ho solo detto che non vorrei, non che non lo farò. [ride]

P: Cosa ti ha convinto?
DH: La sceneggiatura giusta, ovviamente. Volevo iniziare con qualcosa di leggero. Capisci cosa intendo? Non volevo dare tutto nel primo film.

P: Le prime volte possono essere così. Hai mai ridacchiato durante una scena da nuda, sbagliando la battuta?
DH: Sì, qualcosa del genere. Ma ci siamo divertiti anche quando c'è stata un po' di frenesia verso la fine. Poi tutti hanno detto che dovrei fare una commedia con David.

P: Se potessi rigirare il film, cosa faresti in modo diverso?
DH: Ho dato il meglio che potevo all'epoca. Ma, se avessi saputo ciò che faccio ora, probabilmente lo rifarei meglio.

P: Videodrome parla di fantasie. Dicci una delle tue.
DH: Io sfrutto le mie fantasie, quindi preferisco non parlarne. Ma diventare i Blondie era una bella fantasia una volta, essere quella ragazza, essere in un gruppo rock e cantare su un palco.

P: Pensi che i tuoi fan ti accetteranno in Videodrome più di quanto fecero per Union City?
DH: Non saprei. Union City non è stato proprio un film da ragazzini. E' una strana pellicola artistica sognante, non un film che cercasse lodi. La storia originale fu scritta da Cornell Woolrich 40 anni fa, un mistery pessimistico, uno psicodramma. Penso che molte persone furono sorprese che io avessi fatto un film così “basso”. Sono stata criticata per non aver fatto qualcosa di grande, una produzione che facesse colpo, ma personalmente ho avuto recensioni molto buone! Ero scioccata.

P: Anche i tuoi fan erano sioccati. Era tutto fuorché commerciale.
DH: Per questo l'ho fatto. Volevo una parte che non mi mettesse sotto al microscopio.

P: Nondimeno, Union City non ricevette recensioni positive. La critica ti ferisce?
DH: Dipende su chi verte. Per esempio ci sono critici musicali che rispetto, che sono sani e non solo velenosi vendicatori. Accetto una critica se è sincera.

P: Videodrome avrà la sua dose di critiche. È molto controverso.
DH: Oh sì, certe persone saranno sconvolte dalla violenza, dal plot fantascientifico e dagli aspetti bio-meccanici al suo interno.

P: Questi elementi ti hanno attratto quando hai accettato la parte?
DH: Sì. La storia è perfetta per i tempi. Penso che chiunque apprezzi questo tipo di film impazzirà per esso.

P: Hai sintomi di teledipendenza?
DH: Teledipendenza? [ride] Continuare a vederla!

P: Qual'è stato l'aspetto che ti ha sorpreso di più durante la lavorazione di Videodrome?
DH: Il mio culo dolorante! Starsene seduti in attesa di filmare una scena può essere più duro di quanto pensi.

P: Capisco. Da un altro punto di vista, ci sono state battute che non hai potuto dire o scene che non hai potuto fare senza chiedere dei cambiamenti?
DH: Ogni tanto. Raramente.

P: E' stata colpa della tua inesperienza con i film?
DH: No, penso sia stato perché lo script era perfettamente scritto. David deve averlo riscritto dieci volte, perché era veramente rifinito, andava dritto al punto.

P: Eri d'accordo con i dialoghi e i comportamenti femminili scritti da Cronenberg?
DH: Difficile da dire. Nicki non porta avanti la storia; non ha così tanto tempo sullo schermo da fare la differenza.

P: Cronenberg ha sfruttato la tua immagine da sex-symbol per creare scene erotiche?
DH: Sì. Nicki deve essere abbastanza attraente da sedurre la sua vittima. Diciamo che fa in modo che le cose accadano. Non vedo l'ora di sentire cosa penserà la gente di lei.

P: E' gratificante o imbarazzante o divertente essere considerati un sex-symbol?
DH: Spesso lusinghiero; qualche volta molto sciocco. Significa solo che la gente ti vede attraente.

P: Puoi influenzare questa cosa?
DH: Sì, è qualcosa che puoi accendere e spegnere, ma non totalmente. Puoi portarlo al massimo e al minimo, per quanto serve a te.

P: Chi pensi sia un sex-symbol?
DH: Faye Dunaway e Raquen Welch sono entrambi sex-symbols, ciascuno in modo diverso. Matt Dillon è davvero carino. Anche Francis Coppola è sexy. Ha quell'intensità. La gente che mi piace è anche divertente, hanno un gran senso dell'umorismo.

P: Quale pensi che sia la tua caratteristica più sexy?
DH: La gente dice la mia bocca, i miei occhi. Penso siano i miei occhi.

P: Ti sei mai sentita esposta o violata dall'obiettivo della cinepresa, il fatto che riveli ogni cosa, ogni capello, ogni poro e lo porti alle dimensioni di uno schermo cinematografico?
DH: Non mi preoccupa questo. Ma portare le mie emozioni così in superficie ha portato alcuni ad abituarsene. Non che mi spiaccia essere così aperta, è stata solo una sorpresa scoprirlo così senza saperlo.

P: Videodrome sembra una vera esperienza di apprendimento. Qual'è il prossimo passo nella tua carriera da attrice?
DH: Dipende da questo tentativo. Sento che i produttori stiano aspettando di vedere come ho fatto questo film prima di offrirmi qualcos'altro.

[...]

Prevue (Marzo/Aprile 1983) - traduzione: Matt
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