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The Italian Machine (1976)

Ultimo Aggiornamento: 01/12/2011 17:48
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Post: 529
Sesso: Maschile
14/01/2009 12:53

THE ITALIAN MACHINE

episodio della serie "Teleplay"


Regia: David Cronenberg
Soggetto e sceneggiatura: David Cronenberg
Fotografia: Nikos Evdemon
Montaggio: David Denovan
Scenografia: Peter Douet
Costumi: Hilary Corbett
Musica: Patrick Russell
Suono: Tom Bilenkey

Produttore:
Stephen Patrick .... executive producer

Produzione:
Canadian Broadcasting Corporation (CBC)


Cast
Gary McKeehan ... Lionel
Frank Moore ... Fred
Hardee Lineham ... Bug
Chuck Shamata ... Reinhardt
Louis Negin ... Mouette
Toby Tarnow ... Lana
Géza Kovács ... Ricardo
Cedric Smith ... Luke


Distribuzione
Canadian Broadcasting Corporation (CBC) (1976) (Canada) (TV)

Specifiche tecniche:
Negative format (mm/video inches): 16 mm
Aspect ratio: 1.33 : 1
Durata: 23 minuti
Prima trasmissione tv: 1976


(fonte: imdb.com)





***


Una moto italiana bellissima ed estremamente rara viene acquistata da un collezionista d’arte ed esposta a casa sua su un piedistallo.. Lionel, Fred e Buck, tre fanatici delle moto, fingendosi giornalisti tentano di averla in tutti i modi. Satira sulla divinizzazione dell’arte e della tecnologia da parte di un consumista sempre più attratto dai valori estetici e dal funzionalismo.
nonsolocinema.com



***

Lionel, Fred e Bug, tre patiti delle moto, vengono a sapere che un commerciante locale è entrato in possesso di una Ducati Desmo Super Sport, una motocicletta italiana molto bella ed estremamente rara. Ma la moto è già stata venduta a Mouette, un collezionista d’arte. Fingendo di essere giornalisti della rivista “Techno Art World”, i tre vanno a trovare Mouette e, in salotto, trovano la motocicletta messa in mostra come una scultura insieme a Ricardo, considerato anch’egli come un oggetto artistico dal collezionista e da sua moglie, Lana. Lionel corrompe Ricardo offrendogli droga in cambio di un suo intervento per interessare Mouette alla proposta metafisica dell’acquisto di un’“opera d’arte” da parte di un’altra “opera d’arte” (un evento che sicuramente avrebbe richiamato l’attenzione delle riviste d’arte di New York). Mouette accetta la proposta, Lana acquista una nuova scultura “vivente” e i ragazzi se ne vanno in sella alle loro motociclette.
[…] nel novembre del 1976 cominciano le riprese di Rabid, sete di sangue. Nell’attesa Cronenberg aveva realizzato un altro film di trenta minuti per la CBC, questa volta per la loro serie televisiva Teleplay. Si tratta di The Italian Machine, girato in 16 mm, che Cronenberg scrive e dirige. Il film è un meraviglioso gioiello, di gran lunga l’impresa di maggior successo che Croneneberg realizza con la televisione negli anni Settanta. Nella storia si fondono l’ossessione del regista per le macchine da corsa, viste come oggetti d’arte (la “macchina” italiana del titolo è una motocicletta agognata da un gruppo di patiti di moto che incontrano varie difficoltà ad acquistarla come “object d’art”), con dei personaggi davvero eccentrici e sofisticati, interpretati in modo memorabile da attori che appariranno nei futuri film di Cronenberg: Frank Moore (Rabid), Gary McKeehan (Brood) e l’inquietante Geza Kovaks (Scanners, La Zona Morta). The Italian Machine è inoltre il primo lavoro comico che Cronenberg dirige (e tuttora anche l’ultimo […]).
Chris Rodley, Il cinema secondo Cronenberg (Pratiche Editrice)



***

Italian Machine cortometraggio di 23'' girato e scritto per la televisione canadese nel 1976 da David Cronenberg (!). La macchina come oggetto d'amore (vita?)/la macchina come oggetto d'arte (morte?). Possesso carnale versus contemplazione estetica, carne contro metallo, eros contro tanatos. La morte dell'arte (nella deriva contemporanea ridotta a "oggetto da salotto" e drammaticamente svuotata di senso), il cinico feticismo della morte e la risucchiante necessità di vita/olio da mettere nel motore dei corpi. Compiutissimo e folgorante nella sua breve durata, racconta la vicenda di tre appassionati di motociclismo, veri nerd delle due ruote, follemente traviati dalla perfetta combinazione (erotica e primariamente sessuale) di tubi e pistoni che fa funzionare una motocicletta. Il terzetto si mette sulle tracce di un ricco collezionista d'arte, “colpevole” agli occhi dei centauri di aver acquistato una Ducati 900 e di tenersela imbalsamata nel suo appartamento, in esposizione insieme ad un altro "oggetto d'arte" strappato alla vita (un modello, un ragazzo di nome Ricardo, mucose nasali causticate dall’inalazione massiva di cocaina e fredda mentalità da calcolatore elettronico). Sul finire: una sfrenata corsa liberatrice. Per la macchina/corpo oggetto d’arte (la moto tornata a correre, Ricardo tornato a vivere) e forse per l’arte in quanto tale, sottratta al vetro glaciale di una teca da museo e nuovamente capace di correre in quel circuito meravigliosamente (im)perfetto e (in)finito che è il cinema.
cinedrome.splinder.com



***

[…] Un film del 1976, il più bello e il più geniale di tutti i cortometraggi televisivi di David Cronenberg; […] scritto da lui, è decisamente il più eccentrico di tutta la sua filmografia. È infatti sostanzialmente una commedia – anche se momenti di commedia, di comicità comunque si ritrovano in diversi dei suoi film. Un film così interamente risolto fino alla fine, nel rifiuto della svolta tragica – o comunque pesante, weird – che sembra restare lì in attesa fino alla fine, invece rinuncia anche sul piano della drammaturgia questa facilissima scappatoia – tra l’altro l’avvio del finale fa pensare ovviamente a Raggiunsero il traghetto di Dreyer, forse uno dei film più grandi della storia del cinema […] Credo che il senso più profondo, come spessissimo in Cronenberg, nel suo film sia quello che giace immediatamente nell’apparente superficie, nell’apparente tranquillità scacchistica dell’atteggiamento rispetto al plot, rispetto alla narrazione. Allora i dialoghi, che sembrano sempre o troppo chiari o completamente fuori dal tessuto visivo del film, anche qui sono dialoghi che in poche battute mettono in piedi la più dura profezia sull’arte contemporanea che sia mai stata proferita al cinema. 1976, più di trent’anni fa, e già c’è l’evidenza dell’arte contemporanea come massimo svuotamento di qualunque idea dell’arte, come pura ideologia dell’esposizione, come museo in casa… la vita quotidiana come museo, anche nelle sue punte, soprattutto nelle sue punte massime. La bellezza, la bellezza di un oggetto come una moto di punta, la bellezza di una persona, di un modello che è esposto insieme alla macchina, esposto insieme alla biposto a motore. Allora diventa solo una sfida tra diverse follie, diverse ossessioni; vince l’ossessione più giocata, più libera, più folle in qualche modo, più senza esito: fare una corsa, fare anche una truffa per riuscire a entrare in possesso di questa moto ma solo per farla godere e goderne. Eppure, e questo credo che sia il senso più terribile del film, in questa lunga scena finale – che ci sembra troppo lunga o troppo corta perché non avviene poi nulla – in realtà la tragedia è già avvenuta, è che anche loro, che sembrano aver liberato la macchina ed essersi liberati loro del gallerista della vita quotidiana, sono entrati nella vera ultima unica e definitiva – in almeno cento anni – istanza museale e artistica della vita contemporanea a nulla, neanche a sé stessa: ovvero il cinema. Sono in un film, sono liberi, godono, sono a cavallo di un motore, ma non possono che girare dentro questo circuito infinito che è il cinema, nastro di Moebius del contemporaneo, il contemporaneo come nastro di Moebius e quindi immediatamente come passato galleggiante.
Enrico Grezzi (da “Fuori Orario”, Raitre)

[Modificato da |Painter| 01/12/2011 17:48]
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