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"History of Violence" dalla graphic novel al film

Ultimo Aggiornamento: 11/06/2010 14:07
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Post: 529
Sesso: Maschile
04/01/2009 18:55


A HISTORY OF VIOLENCE GRAPHIC NOVEL

Al festival di Cannes del 2005 concorsero due film-fumetto. Sin City di Robert Rodriguez (& Tarantino), tratto da sua maestà Frank Miller, e A History of Violence, di David Cronenberg, dalla graphic novel scritta da John Wagner, illustrata da Vince Locke e letterata da Bob Lappan. History è il primo “romanzo grafico” di Wagner, fumettista britannico trasferitosi negli Stati Uniti la cui fama è legata soprattutto a Judge Dredd. Vince Locke, illustratore di Sandman, si trovò a collaborare con Wagner per la prima volta. Il risultato piacque alla critica ma ebbe scarse ricadute commerciali; la versione cinematografica ha contribuito in maniera decisiva a riportare in auge una delle migliori narrazioni a fumetto degli ultimi anni, che fa di Wagner un autore paragonabile al succitato Miller, ad Alan Moore, a Chris Claremont – solo per citarne alcuni. Ne Il motore degli eventi (2001) Max Gazzè e Carmen Consoli cantano: Sensi di colpa / studiare fumetti / come minore / letteratura. Opere come A History of Violence sono letteratura tout-court. Impossibile negarlo oggi, come già negli anni ’90.
A History of Violence è l’ottavo film di Cronenberg tratto da un’opera letteraria. Vale la pena di listare gli altri: La Zona Morta (1983, da King), La Mosca (1986, dal racconto di George Langelaan del 1957 già portato sullo schermo nel ’58), Inseparabili (1988, dal romanzo Twins di Bari Wood e Jack Geasland), Il Pasto Nudo (1991, da Burroughs), M. Butterfly (1993, dalla splendida pièce di David Henry Hwang), Crash (1996, da Ballard), Spider (2002, da McGrath). Nell’adattare il fumetto di Wagner & Locke, lo sceneggiatore Josh Olson ha scelto di sfrondare, semplificare, ridurre il plot a una traiettoria lineare e impietosa. La regia di Cronenberg, snella, pulita, precisa e spietata come la sequenza dell’hammam di Eastern Promises (2007), ha fatto il resto. E dopo la visione della Promessa dell’Assassino è impossibile ignorare l’inseparabilità delle ultime due pellicole di Cronenberg. Non solo per la presenza di Viggo Mortensen… e nonostante Eastern Promises prenda le mosse da uno script originale di Steve Knight, l’autore di Dirty Pretty Things (2002), di Stephen Frears. Questo per dire che il marchio del regista – un autore, davvero, letterario – ha fatto sì che History e Promises vadano a comporre un dittico sorprendente sui temi dell’identità, della vita criminale e del ricorso alla violenza. In History abbiamo un ex mafioso sotto copertura costretto a uccidere ancora per salvaguardare la sua (nuova) famiglia, una volta che la mala l’ha scovato. In Promises, abbiamo un poliziotto della FSB (ex KGB) infiltrato nel girone della mafia russa londinese costretto a uccidere per salvare la pelle e le apparenze. Entrambi i film si concludono con un quadro che sottolinea integrazione: Tom / Joey è accettato dalla sua famiglia per quel che è (veramente), Nikolai assurge a nuovo capo della mafia russa cittadina nonostante ciò che è (veramente). Due storie speculari di identità nascoste, carsiche, in subbuglio. Non è un caso che in entrambi i film il personaggio femminile innamorato del protagonista gli rivolga la più basilare delle domande: chi sei (veramente)?
La graphic novel di John Wagner è divisa in quattro capitoli. È lunga: quasi 300 tavole. Un autentico romanzo, che trova anche lo spazio per una lunga analessi che ci riporta nella New York della gioventù di Joey, una Grande Mela vecchio stile che non può non ricordare classici filmici della mafia italoamericana come Il Padrino parte seconda e C’era una volta in America. Nel film, invece, Joey viene da “Philly” ed è colluso con la mafia irlandese. Wagner e Locke ci raccontano i primi passi di Joey nella mala, lungo le mean streets di Brooklyn, in compagnia del fratello Richie: trovano una pistola, imparano a usarla, architettano il colpaccio ai danni del boss Manzi, cavano un occhio al feroce Torrino col filo spinato. Lo stesso Torrino che, tuttavia, riesce 1) a mozzare un dito a Joey 2) a rapire Richie, destinato a restare suo ostaggio per anni, e anni, anni, mentre si scatena la caccia a un Joey in fuga e sotto copertura. Sono tutte importanti differenze rispetto al film. Il fumetto vanta una narrazione molto più stratificata e complessa, sicuramente più “a effetto” – l’abbondare di sangue fa la sua parte – ma non per questo più banale. La graphic novel ha infatti dalla sua la solida magniloquenza e l’afflato tragico delle migliori “grandi narrazioni” letterarie, compreso un finale vecchio stile che trancia la storia dopo il redde rationem. It’s over. It’s all over. La cena famigliare di cui ci rende testimoni Cronenberg è quindi un escamotage pensato appositamente per lo schermo. Il tratto filiforme, essenziale e nervoso di Vince Locke dà a A History of Violence un fascino out of time, estraneo alle mode passeggere che spesso ancorano i fumetti americani al momento della prima pubblicazione. Anche per questo il romanzo di John Wagner si configura, davvero, come una storia naturale, e universale, della violenza.
Simone Buttazzi, indie-eye.it



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History of Violence: a confronto film e fumetto

Traendo piuttosto liberamente spunto dalla graphic novel di John Wagner e Vince Locke (della quale riprende l'idea di base, ma ne cambia i nomi, e una parte dei protagonisti e dell'ambientazione), l'eclettico e geniale regista canadese David Cronenberg crea un vero e proprio capolavoro del cinema, perseguendo nella sua discesa nelle complicate volute della coscienza dell'uomo, brillantemente iniziata con il precedente Spider. Viggo Mortensen, mai così bravo, offre un volto stralunato e ambiguo a Tom-Joey [...]. E Cronenberg trasforma il personaggio del fumetto: Tom-Joey è un uomo che da giovanissimo, con il suo migliore amico, ha rubato un'ingente somma di denaro a una famiglia mafiosa di New York, facendo una vera strage in un ristorante, per vendicare l'esecuzione del fratello e del suo amico, e poi è sfuggito fino ad allora alla malavita che gli è alle costole, creandosi una nuova esistenza, prima dell'evento che lo costringerà a raccontare tutto alla famiglia e ad arrivare alla resa dei conti. Il personaggio diventa una sorta di vero e proprio schizofrenico, un uomo tranquillo con una metà oscura, pronta a scatenarsi e a riemergere nella situazione di stress cui si trova sottoposto, trasformato in un super-eroe (qui Cronenberg si prende le libertà maggiori rispetto al fumetto). E molto più drammatico, quasi centrale per il film, è il rapportarsi di questo nuovo individuo, di questo Giano bifronte, con la realtà fasulla che si era creato per questa sua esistenza fittizia, la moglie e i figli che alla fine, in una scena molto toccante, lo riaccolgono, quasi figliol prodigo tornato dal suo inferno personale. Mentre il fumetto si dilunga sulle spiegazioni di quanto avvenuto in precedenza con un ampio flashback e ci mostra il possibile sacrificio finale di Joey per salvare l'amico che credeva morto da vent'anni, Cronenberg sceglie invece il quasi totale silenzio sul passato di Joey e ci racconta questo "sogno americano" con il ritmo di un'elegia bucolica inframmezzata di giambi schizzoidi, di sussulti di violenza inaudita (graficamente iper-realistici, e perciò molto fumettistici), spiazzanti e inebrianti a un tempo, quasi a voler mettere tutti gli spettatori, tutta l'umanità a confronto con la parte nascosta in ognuno di noi, un "id" potenzialmente satanico pronto a esplodere se non irretito dalla ragione; non è assolutamente casuale lo spostamento finale della vicenda da New York a Philadelphia, la città dell'Amore Fraterno, dove in una conclusione non priva di contrappunti comici i due fratelli si confrontano per l'ultima volta e Caino uccide Caino per poter ridiventare Abele.

[...] Complicato è invece il rapporto tra originale e adattamento nel caso di A History of Violence, la cui versione cinematografica diretta da David Cronenberg (2005), ha mietuto premi ed encomi dalla critica. La prima metà del film segue infatti abbastanza fedelmente il fumetto [...]. Interpretato da Viggo Mortensen, Tom è un individuo laconico, la cui maschera di tranquilla impassibilità si trasforma in muta disperazione via via che si allunga su di lui l'ombra di un passato inconfessabile e che gli sgretola fra le dita la "normalità" cercata e costruita con tanta attenzione (è particolarmente notevole il modo in cui Cronenberg si serve del rapporto fisico tra Tom e la moglie Edie, interpretata da una bravissima Maria Bello, per delineare la crisi del protagonista). Una volta che Tom lascia il paese per fare i conti con il passato, però, fumetto e film prendono strade diverse. Mentre il primo vira decisamente in direzione grandguignol, con risultati che non mantengono le promesse iniziali, il secondo sembra invece orientarsi per il registro parodico, con l'introduzione di Richie Cusack, il fratello maggiore di Tom e boss della malavita, un William Hurt gigonesco la cui interpretazione sopra le righe appare intenzionalmente antifrastica rispetto a quella quasi abulica di Mortensen. In ogni caso, come tutti i film del regista canadese, A History of Violence è un'opera complessa e provocatoria, sicuramente uno dei risultati più importanti dell'ormai secolare rapporto di collaborazione e competizione tra cinema e comics.
Roberto Chiavini
Tratto da: aa.vv., Il cinema dei fumetti, Gremese Editore 2006
[Modificato da |Painter| 11/06/2010 14:07]
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