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Festival del Film & mostra Chromosomes (Roma ottobre 2008)

Ultimo Aggiornamento: 10/06/2010 18:01
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Sesso: Maschile
16/12/2008 20:32




Quando David Cronenberg è apparso sul palco della sala Petrassi per l'incontro con la stampa -a cui poi sarebbe seguito un paio d'ore dopo quello con il pubblico, sempre previsto all'interno del Festival Internazionale del Film di Roma 2008- si è levato un lungo applauso, nonostante la mezz'ora di ritardo accumulata nel traffico romano. Probabilmente girare Crash deve essere stato uno scherzo, al confronto....
Per rompere il ghiaccio, Cronenberg fa una battuta: "Come siete buffi con quegli auricolari sulla testa..." dice rivolgendosi ai giornalisti presenti. In effetti sono molto simili a stetoscopi medici, ma non certo del tipo di quelli usati dai gemelli Mantle nello straordinario Inseparabili. Quindi si parte con le domande, a ritmo serrato.

Si chiedono al maestro canadese dettagli sulla sua prima regia lirica, una libera trasposizione de La Mosca, da lui messa in scena a Parigi e quanto quest'ultima si possa ricollegare al suo discorso sulla mutazione, fisica e mentale, che ha da sempre contraddistinto il suo cinema.

Cronenberg: "Dirigere un'opera lirica è stata per me una sfida enorme. Volevo un'esperienza teatrale quanto più possibile pura, senza far ricorso ad effetti speciali o artifici di altro genere. Per me dirigere tutta quella gente è stato come comandare un transatlantico, affascinante ma pure tremendamente difficile. L'idea di trasporre in opera lirica La Mosca non è stata mia, ma del compositore della colonna sonora (ed abituale collaboratore del regista n.d.r.) di quel film, il mio amico Howard Shore, che ne ha scritto la musica. Nel teatro i rapporti sono completamente differenti. Il vero regista è il compositore, poi viene l'estensore del libretto, che nel caso specifico è opera dello sceneggiatore di M Butterfly David Henry Hwang, e solo per ultimo il regista vero e proprio. Per quanto riguarda la mutazione credo che il discorso sia rimasto intatto, come nei film. Sono sempre stato affascinato dal desiderio dell'essere umano di diventare qualcosa d'altro; una cosa che può avvenire anche tramite la religione o la cultura. La trascendenza è stata sempre la tematica centrale del mio cinema".

Qualcuno ricorda a Cronenberg una intervista realizzata subito dopo la morte di Stanley Kubrick, quando a proposito di Eyes Wide Shut disse che se il grande autore di Arancia Meccanica non fosse riuscito ad occuparsi del missaggio sonoro prima della sua fine, il suo film non si sarebbe potuto definire completo. Il sonoro è davvero così importante per lei?

Cronenberg: "Assolutamente sì. Me ne accorsi tanti anni fa, quando diressi Stereo (era il 1969 n.d.r.). Il silenzio totale di quel film era talmente disturbante per gli spettatori... Eppoi, soprattutto ora con le nuove tecnologie, in pratica il film può essere rigirato in fase di doppiaggio, dando nuove modulazioni alla voce e cambiando il senso di un qualsiasi dialogo pur mantenendo inalterata la sceneggiatura. La cosiddetta "post-produzione" è divenuta una produzione vera è propria, dove si crea il film, si da una tridimensionalità all'insieme..".

L'oggetto della ricerca del suo cinema si è andato progressivamente spostando dal corpo alla mente, dal visibile all'invisibile. C'è un motivo?

Cronenberg: " Io non sono mai riuscito a catturare l'invisibile, il meramente concettuale, nei miei film (dice sorridendo... n.d.r). Il cinema è essenzialmente un processo che mostra qualcosa di fisico. Il corpo deve essere sempre il punto di partenza ed è stato così anche per me. Poi, attraverso il lavoro, si cresce, si cambia...".

Vede differenza tra film di grande incasso e film d'essai?

Cronenberg: "Io faccio film per comunicare con il pubblico, e li giro seguendo il mio intuito. Non mi sono mai posto l'obiettivo di fare grandi incassi. La Mosca è tuttora la mia pellicola che ha avuto il miglior riscontro al botteghino, sebbene anche gli ultimi (A History Of Violence e La Promessa dell'Assassino, n.d.r.) non siano andati affatto male. Nel corso degli anni ho rifiutato molte proposte di realizzare grosse produzioni, ma ho sempre declinato l'invito. Dirigere ad alto budget può rivelarsi impresa assai ardua...".

Rispondono a vero le voci che la vogliono prossimo romanziere con un libro d'imminente pubblicazione?

Cronenberg (sorridendo): "Non me la sento ancora di parlarne, sono cinquant'anni che cerco di scrivere un libro! Mio padre era uno scrittore, io stesso ho sempre pensato che lo sarei diventato, prima di intraprendere la carriera cinematografica. Ora ho questa sessantina di cartelle nel cassetto e sono terrorizzato. So che il romanzo è stato già prevenduto in molti paesi del mondo ed io non ne intravedo nemmeno la fine! Comunque non è un horror, né tratterà di argomenti fantascientifici...".

Viene chiesto all'autore di eXistenZ quanto un attore debba prepararsi per essere in grado di lavorare con lui.

Cronenberg: "Ho lavorato con molti attori diversi ed il mio compito è sempre stato quello di coinvolgerli nel progetto rispettando in toto il loro metodo di lavoro. Anche io ho fatto l'attore in alcuni film e sono perfettamente a conoscenza delle enormi differenze che ci sono tra il lavoro del regista e quello dell'attore. L'attore deve per forza di cose lavorare sulla sua immagine, per riuscire ad esprimere ciò che ha dentro. Per questo cerco sempre di creare un clima piacevole sul set; gli attori devono essere sereni per poter dare il meglio di loro stessi".

L'intervista non è nemmeno terminata che con uno scatto degno della finale olimpica dei cento metri già si è scatenata la caccia al prezioso autografo. Ma per David Cronenberg ed il suo cinema così ricco e sfaccettato, questo ed altro...
Daniele De Angelis, cineclandestino.it



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Nonostante il cospicuo ritardo è impossibile irritarsi durante l’attesa di uno dei più grandi cineasti viventi e quando finalmente arriva sul palco con un’aria umile e disponibile, trattenere l’emozione è impossibile. Tra domande improbabili con preamboli assurdi del tipo “M’illumino d’immenso quando guardo le sue pellicole”, abbiamo modo di pendere dalle labbra del regista canadese che risponde esaurientemente ed intelligentemente - oltre che spiritosamente - a molte domande.

Uno dei chiodi fissi della sua filmografia è la trasformazione del messaggio in medium. C’è sempre un corpo che si trasforma, anche nelle sue ultime pellicole. E’ un percorso che continuerà a lungo?
“Penso gli uomini siano gli unici animali in grado di pensare e di sperare di poter essere diversi, di poterlo immaginare. E questo può avvenire in differenti maniere. Per me questa cosa è naturalmente interessante, è una cosa che appare incoscientemente in ogni mio film. Sono molto interessato all’idea di fare qualcosa di nuovo, di non usuale. Curare la regia di un film è come dirigere una grande nave, un vero e proprio transatlantico. Un’altra cosa che mi interessa molto fare è collaborare con i musicisti delle mie opere. Nei film di solito la musica è una cosa che viene alla fine, ma in alcuni casi come per esempio per il mio film La Mosca, la musica venne prima di tutto. E’ molto difficile creare una colonna sonora e per questo io cerco sempre di creare una via più sfot per i miei collaboratori. Vivere a Parigi e dirigere l’opera è stata un’esperienza grandiosa”.

Quando è morto Stanley Kubrick, si disse che Eyes Wide Shut fosse incompleto per via del mixaggio. Che importanza hanno per lei i suoni, le atmosfere, la colonna sonora?
“A Montreal, molti anni fa incontrai Bernardo Bertolucci che stava girando Il Conformista. Il montatore gli mostrò quanto si potesse lavorare sul film, anche in post-produzione. Si possono cambiari singoli elementi della pellicola, soprattutto con le nuove tecnologie. Il suono per me è ciò che rende tridimensionale un film, ciò che gli dona spazio e dimensione. Stereo, il mio primo film non aveva affatto colonna sonora ed era molto disturbante perchè ciò rendeva il film bidimensionale. Il suono dà solidità, tutti i suoni sono diversi e trasmettono sensazioni diverse. Se Kubrick non era coinvolto in questo aspetto di Eyes Wide Shut, allora si tratta di una pellicola incompleta. Si può distruggere un film nel mixaggio del suono, possono stravolgersi le battute, persino le interpretazioni”.

Dopo essersi occupato per molte pellicole della mutazione e trasformazione fisica, è passato ad interessarsi all’invisibile. Il suo cinema è diventato più mentale. Continuerà a lavorare sulle linee invisibili dell’inconscio umano?
“Quando dice invisibile, presumo che voglia dire astratto e non letteralmente “non visibile”. Ci sono concetti che non è possibile filmare, ma bisogna trovare una visuale per mostrare questi concetti astratti. Per me si tratta del corpo umano, ho cominciato da lì. Io comunque non ho mai pensato a me sotto questo punto di vista, questo è solo un modo di approcciarsi della critica nei miei confronti”.

Al contrario di molti altri registi della sua generazione, lei non ha ottenuto lo stesso successo di pubblico. Le dispiace non essere popolare?
“Una volta Oliver Stone mi disse: Ma non ti fa rabbia rimanere ai margini? Sinceramente è una cosa che non mi interessa, tutto quello che voglio è fare i miei film ed esprimere quello che voglio esprimere”.

Molti dei suoi film sono tratti da romanzi. Sta anche per uscire da noi un suo romanzo. Di cosa si tratta, ce ne può parlare?
“No. No, davvero. E’ stata un’esperienza interessante. Una volta una giornalista mi chiese: Ha mai pensato di scrivere un romanzo? Si, ci penso solo da 15 anni, le risposi. Sono in una fase molto delicata, non posso parlarne.”

Quali sono i suoi scrittori preferiti?
“Molti, moltissimi. Amo tanto gli scrittori russi come Dostojevsky, ma anche tutti quelli da cui ho tratto i miei film, come Burroughs”.

Quanto deve trasformarsi un attore per poter essere apprezzato da lei?
“Ognuno ha il proprio modo di lavorare. Io come regista posso solo dare delle direttive, ma il mio compito è far sentire agli attori che possono esprimere loro stessi. In genere i miei attori sanno già quello che devono fare. Non devono preoccuparsi di essere umiliati. Tra me e loro si crea un rapporto di fiducia, è una cosa quasi fisica. Ho fatto l’attore anche io qualche volta e fare il regista è una cosa completamente diversa. Non si tratta di una trasformazione magica, io sono molto collaborativo, non dico mai loro cosa fare o non fare.”
a cura di Alessandra Cavisi, livecity.it



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Arriva in ritardo ma non c'è un alito di protesta, perché David Cronenberg si detesta o si ama e la platea dell'Auditorium lo ama: senza condizioni. Pallido e gentile, con la sua faccia da ragazzo del '43 in contrasto con l'argento dei capelli, Cronenberg non tradisce le aspettative e regala al pubblico l'inquietudine del suo cinema, non con un film, ma con le 60 immagini elaborate in digitale dai fotogrammi dei suoi titoli, raccolte nella mostra Chromosomes al Palazzo delle Esposizioni. «Non tanto per indurre a riconoscere i film da cui vengono i fotogrammi, quanto per tornare indietro negli anni in cui sono stati girati e riflettere sulla mia sensibilità di allora», dice. La trasformazione dei fotogrammi è coerente con il suo cinema di cui la mutazione è un tema ricorrente, perché «noi uomini siamo gli unici animali in grado di pensare di poter essere altro da quello che siamo. Questo mi interessa. Film commerciali o elitari? Non faccio distinzioni, se ho una storia da comunicare al pubblico cerco di farlo con i miei mezzi. So che a volte i miei film suscitino disagio, ma non ci penso a priori. Del resto non ho mai avuto incassi record, l'unico successo è La Mosca, un film di vent'anni fa». L' inquietudine, a volte esasperata fino all'horror, segno del cinema dell'autore di La Promessa dell'Assassino viene da lontano, «dal primo film, Stereo, totalmente privo di suono. Chi lo vedeva restava molto disturbato, si sentiva come sordo, perché un rumore anche lieve c' è sempre nella realtà. Ho imparato l'uso e l'importanza della musica». E rispetto ai primi film, «ho rinunciato agli effetti speciali. Per esprimere qualcosa di interiore o di astratto uso il corpo, l'essenza fisica dell'attore. Sono stato attore e amo gli attori e so che loro mi amano. Il mio compito è facile, cerco di creare intorno a loro un ambiente confortevole e protetto. L' attore è un corpo, ed è giusto che siano attenti ad ogni dettaglio, dai capelli alle scarpe da indossare». La ragione per cui ha accettato che La Mosca diventasse un'opera è che «volevo qualcosa che facesse paura a me. Non ero mai salito su un palcoscenico e già questo mi spaventava e un' opera è una macchina infernale, Placido Domingo protagonista e direttore d' orchestra, era lui che comandava sui 77 strumenti dell'orchestra e sui cantanti, l'opposto di un film in cui sono solo io a decidere. Mi sono limitato alla regia teatrale, ma è stata un' esperienza fortissima». Adesso la paura la sta procurando a se stesso con la decisione di scrivere un romanzo. «Mio padre era uno scrittore, ho sempre pensato che avrei seguito la sua strada e ogni tanto mi chiedo che ci faccio nel cinema. Dopo anni ho deciso di provarci, ho trovato subito un editore e il contratto prevede versioni in tante lingue, in tedesco, in polacco, in giapponese, in italiano... Sono terrorizzato: ho scritto solo 60 pagine e non ho idea di cosa sia e di che libro sarà. So solo che non sarà un romanzo alla Stephen King».
Maria Pia Fusco, La Repubblica



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“Noi esseri umani siamo in fondo solo animali che si immaginano diversi rispetto a quel che sono, e quindi noi umani immaginiamo, desideriamo di poter essere altro attraverso molte modalità: l’arte, la religione, la cultura. Mi interessa questo desiderio di trascendenza, trasformazione tipica dell’uomo, quindi è un tema che è presente in tutti i miei film, anche se non lo faccio in modo deliberato, non parto con l’idea di raccontare una mutazione, ma è un tema ricorrente, questo è vero.
La distinzione tra ciò che è film “d’elite” e “popolare” è ancora qualcosa su cui difficilmente mi posso esprimere. Come regista faccio film per comunicare, per stabilire un contatto con il pubblico. Alcuni film sono impregnati di cultura pop del tempo e invecchiano rapidamente, ma in un certo momento storico hanno un forte impatto. Altri film invece hanno una valenza universale, ma un impatto meno immediato. Non è vero che i miei film hanno avuto un grande successo popolare, persino La Mosca che ha incassato al botteghino con le cifre che si avevano vent’anni fa, non certo come quei film che oggi fanno cento milioni di dollari o un miliardo, come Il Signore degli Anelli. Sappiamo che il cinema è nato come forma d’intrattenimento popolare, all’inizio era destinato a cameriere e commesse, e non per le persone serie. In Francia, per la prima volta, si è considerato forma d’arte. In America c’è voluto molto tempo per arrivare a questa conclusione.”
dal video “Il trasformista Cronenberg”, repubblica.it



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Incontro con David Cronenberg

Nei suoi film, è ricorrente il tema della mutazione…
"Noi uomini siamo gli unici animali che si immaginano di essere altro da quello che sono: c’è, in ogni essere umano, un desiderio di trasformazione, di trascendenza. Questo mi interessa! Non lo faccio in maniera deliberata ma è vero che è un tema ricorrente nei miei film."

Pian piano, nel suo cinema si è affermato il tema dell’invisibile…
"Non sono mai riuscito a catturare un’immagine dell’invisibile! Se per invisibile si intende ciò che è astratto, intellettuale, in fondo, non me ne occupo più di tanto. La forza di un film è nelle equivalenze visive: io, forse, parto dal corpo umano per esprimere altro, ma non ci ho mai pensato troppo."

A proposito di corpo, come avviene il lavoro con gli attori?
"Ho lavorato con molti attori straordinari, ognuno ha la propria metodologia, io devo solo far sì che tutti si sentano legati allo stesso film. Io non impongo mai niente: devo capire di cosa hanno bisogno per dare il meglio. Un attore è un corpo: io, tra l’altro, sono stato attore e so che è un’esperienza particolare. Effettivamente, sei un corpo: è per questo che gli attori si preoccupano dei capelli o delle scarpe. Non è una trasformazione magica, è un mestiere: ogni attore sa cosa fare, io devo solo aiutarlo a farlo nel miglior modo possibile."

Il suo film La Mosca è diventato un’opera lirica…
"A me allettava l’idea di fare qualcosa di completamente nuovo: mi affascinava lavorare su un palcoscenico. E’ stata un’esperienza appassionante! Il lavoro è stato fatto in tre: dal compositore che, in fondo, è il primo regista, dal librettista, poi da me. E’ stata una collaborazione molto diversa rispetto alle mie esperienze passate! Poi c’è Placido Domingo, protagonista e direttore d’orchestra: è lui che comanda sugli strumenti dell’orchestra e sui cantanti. Tutto l’opposto di un film, in cui sono solo io a decidere. E’ stata un’esperienza significativa, ben diversa rispetto al cinema."

In generale, quanto contano la musica e gli effetti sonori in un film?
"Molti anni fa, a Montreal, Bertolucci parlava di Il Conformista: diceva che, fino ad allora, aveva pensato che girare fosse la cosa più importante, poi, aveva capito, grazie ad un montatore, che la post-produzione è fondamentale. Naturalmente, in post-produzione, si può cambiare tutto. Per quanto mi riguarda, la tridimensionalità viene dalla colonna sonora, altrimenti il film è piatto. Il primo film che ho fatto era intitolato Stereo, non c’era colonna sonora, era un film bi-dimensionale: vedere un film così disturba, sconvolge e ti fa capire quanto è importante il sonoro."

Considera i suo film popolari o elitari?
"E’ ancora una volta una cosa sulla quale difficilmente posso esprimermi! Alcuni film sono impregnati di cultura pop e invecchiano rapidamente, altri hanno una valenza più universale ma, forse, sono meno d’impatto. I miei film, gradualmente, ricevono consensi ma sono lontano dal successo di film come Il Signore degli Anelli. Del resto, il cinema, all’inizio, era destinato alle commesse, alle cameriere, non alle persone “serie”: solo in Francia si è cominciato a pensare che il cinema fosse un’arte, gli americani non lo prendevano sul serio. Sono poche le arti che non nascono da una spinta popolare: c’è una straordinaria energia in questo ed è pericoloso, per un regista, ignorarla del tutto. Per quanto mi riguarda, però, sono guidato solo dal mio istinto."

Ha detto di sentirsi più legato alla letteratura che alla pittura, sta pubblicando un romanzo…
"In verità, ho scritto solo sessanta pagine! Mio padre era uno scrittore, pensavo che anch’io sarei stato scrittore, invece, eccomi qui… Il libro ancora lo devo scrivere: dopo anni, ho deciso di provare, ho trovato un editore e il contratto prevede versioni in tante lingue ma non so ancora bene che romanzo sarà. Certamente non sarà un romanzo alla Stephen King."

Quali sono i suoi scrittori preferiti?
"In questo periodo, sto leggendo la letteratura russa: Tolstoj, Dostojevski, Nabokov. Ho gusti eclettici, adoro la forma del romanzo."
Mariella Cruciani, sncci.it



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In pochi sanno che David Cronenberg doveva girare Top Gun e ancora meno che fu contattato per girare Il Ritorno dello Jedi o ancora che Oliver Stone lo ha spesso ripreso per come non faccia mai film commerciali.
Tutto questo è emerso e ha trovato conferma nelle parole del grande regista canadese in occasione dell’incontro d’autore al Festival Del Film di Roma, dove ha parlato a ruota libera con giornalisti e pubblico di sé e della sua visione del mondo.
Top Gun lo ha rimandato al mittente dicendo in maniera semplice e diretta “Non sono sufficientemente americano” (e dichiara di rispondere molto spesso in questa maniera a sceneggiature che riceve) mentre per Il Ritorno dello Jedi il contatto è stato ancora più fugace: “Ti andrebbe di dirigere il terzo episodio della saga di George Lucas?” gli chiesero contattandolo al telefono senza preavviso “Non credo mi troverei bene a fare film scritti da altri” fu la risposta e dall’altra parte la chiosa fu solamente “Ok ciao”.
E si è pentito? Forse no. E quel forse è dato dal fatto che lo stesso regista ha spiegato come all’inizio credesse che non si deve fare un film scritto da un altro, come insomma credesse nel regista/autore. Poi invece con il tempo e l’esperienza di La Zona Morta (da un libro di King) ha cambiato idea e questo gli ha aperto le porte verso un altro mondo in cui “Autore del libro e del film si penetrano come in un rapporto sessuale. Ed è una cosa altrettanto piacevole. Beh ok magari non altrettanto. Ma è bello davvero“.
Nonostante le battute Cronenberg è un uomo incredibilmente normale non solo nell’apparire e nel porsi ma anche nel parlare e nello spiegarsi. Non è ermetico come Lynch o stralunato come Burton, pur facendo un cinema che per ossessività è assimilabile a quello di questi altri due cineasti nordamericani. E’ invece un uomo di idee chiare e precisi intenti, colmo di domande e punti di interesse.
Il suo cinema violento e mutante, dice lui stesso, è tale non per quello che mostra (“ci sono film molto più violenti dei miei”) ma per come lo fa perché “io non nascondo la violenza e le sue conseguenze, quella è la parte più importante. Non dobbiamo distogliere lo sguardo di fronte a quello che possiamo essere e a quello che in alcuni casi la razza umana è, perché a differenza degli animali noi la nostra violenza la possiamo guardare, la possiamo discutere e possiamo provare ad immaginare un mondo senza“.
In un momento di grande trasporto poi il regista ha anche spiegato il suo rapporto con la tecnologia, vera estensione del corpo umano “elemento rivelatore di ciò che vorremmo essere, ciò che vorremmo fare e ciò che cerchiamo di raggiungere” e soprattutto il suo rapporto con la realtà spiegando il senso ultimo di un film duro ed ermetico come Videodrome: “Noi vediamo la realtà come questa stanza, ma un cane la vedrebbe diversamente, vedrebbe altri colori e altre forme. E così ogni altro animale. Dunque la realtà esiste ma è incredibilmente soggettiva nella percezione. In Videodrome mi chiedevo cosa potesse succedere ad un uomo la cui percezione di tale realtà fosse fortemente influenzata da come la si percepisce attraverso un medium come la televisione“.
Gabriele Niola, blog.screenweek.it



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Incontro, oggi pomeriggio, nell'ambito del Festival Internazionale del film di Roma, nella sala dell'Auditorium, con David Cronenberg, regista e rappresentante di un genere che è stato definito spesso 'body horror' e che fino al 16 Novembre sarà presente con la sua Chromosomes, 50 fotogrammi di alcuni dei suoi film più famosi, come Il Pasto Nudo, Videodrome, La Mosca, Spider, La Promessa dell'Assassino, realizzata presso il Palazzo delle Esposizioni, a Roma.
"Tu riprendi il corpo quando giri un film ed io parto proprio da lì per andare al di là del corpo stesso", afferma nella penombra della sala Petrassi dell'Auditorium Cronenberg. Le immagini, infatti, rielaborate digitalmente e stampate su tela, riproducono il viaggio attraverso il corpo umano, perno dell'esistenza, inevitabilmente intrecciato con la psiche e fonte di paure, di pulsioni insane per l'uomo terrorizzato dalla mutazione della carne, dal suo deterioramento, dalla sua contaminazione. Temi che ritroviamo in tutta la prima produzione del regista canadese, da La Zona Morta a La Mosca, da Videodrome a Crash.
Solo negli ultimi anni le opere di Cronenberg hanno assunto tinte leggermente più distaccate dalla pesante, a volte, materialità fisica, incentrate più sulla psiche in quanto creatrice di fobie, come in Spider, o di violenza e morte, come in A History Of Violence o in Eastern Promises. Ma sempre, decisamente, horror, intriso di deliri paranoici e scene splatter. Degno erede, in chiave cinematografica, dello scrittore Burroughs, tra i suoi preferiti assieme a McGrath, Dostojevski e Tolstoj.
Peraltro, viene accennato durante la conferenza stampa, il buon vecchio Cronenberg sta per pubblicare il suo primo romanzo (in Italia per Bompiani) di cui, stroncando molto simpaticamente le aspettative dei più curiosi, non ha voluto parlare. Si è dilungato invece molto sul suo rapporto intenso con la letteratura e la musica. Quest'ultima, dichiara, è una delle colonne portanti del film, anzi, ne è la sua "terza dimensione": un film senza musica o con quella sbagliata, diviene un film bidimensionale. Il regista deve scegliere le musiche sui volti, sui passi, sui corpi, sul film. E, quando un giornalista gli chiede cosa ne pensa di Eyes Wide Shut, ultima opera di Kubrick di cui il maestro non aveva scelto le musiche lui risponde senza esitazione: "Kubrick non scelse le musiche del suo film, quindi non è un suo film".
Florence Ursino, agenziaradicale.com



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«Grazie Cronenberg, mi hai salvato la vita»
Dietro quello sguardo azzurro di miope dolcezza, quei capelli bianchi a spazzola, quel sorriso timido da studente d' altri tempi, David Cronenberg nasconde bene un cuore di tenebra e una lama cinematografica capace di affondare nei nostri peggiori incubi. I suoi film, magnifici esemplari di un horror dell'anima senza fine, raccontano di spaventose metamorfosi, terrificanti mutazioni genetiche, osceni connubi tra umani e macchine... Eppure. Persino da una pellicola al limite della follia come Crash, dove persone menomate da incidenti d' auto si riuniscono in una setta, spunta un fiore inatteso. «Devo ringraziarla per quel film - ha confessato una ragazza al regista canadese, ieri protagonista di un affollatissimo incontro all'Auditorium e di una mostra, Chromosomes, a Palazzo delle Esposizioni - In passato ho avuto il corpo disintegrato da una Land Rover e Crash mi ha aiutato a uscire dal trauma. Oggi sto bene, anche se sono piena di chiodi. Sono fatta di sangue, carne e titanio... Mi sento un po' una creatura cronenberghiana». Cronenberg l'ha ringraziata «profondamente colpito dal suo racconto» e le ha mandato un bacio. Affiancato dai due moderatori, Antonio Monda e Mario Sesti, il regista ha ripercorso la sua carriera guardando clip delle sue opere. «Anche se sono molto forti, non vuol dire che io sono pessimista. Fare film per me è comunque un atto di speranza». Il corpo umano, sempre in primo piano nelle sue storie, lo affascina. «È il cardine dell'esistenza, la cosa su cui più mi concentro. Sono ateo, non credo nell'aldilà e mi è difficile rassegnarmi alla mortalità. I film mi aiutano a farlo».
G. Ma, Corriere della Sera



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CHROMOSOMES. CRONENBERG OLTRE IL CINEMA
a cura di Domenico De Gaetano, Direttore artistico di Volumina, e Luca Massimo Barbero, Curatore delle Collezioni Guggenheim di Venezia
22 ottobre - 16 novembre 2008

La mostra Chromosomes, realizzata grazie alla collaborazione del Festival Internazionale del Film di Roma, segna il debutto, in anteprima mondiale, del grande regista David Cronenberg in qualità di puro "artista".
L'autore canadese, amato da pubblico e studiosi, che ha realizzato grandi successi come La Mosca e La Promessa dell'Assassino, parlò per la prima volta del progetto di fare una mostra con le immagini dei suoi film, in una affollata conferenza stampa, tre anni fa, alla Biennale di Venezia: ora la mostra è una realtà ed è formata da circa 50 immagini individuate da David Cronenberg partendo dai fotogrammi di alcuni dei suoi film più noti: La Mosca, Videodrome, Inseparabili, Il Pasto Nudo, Spider, La Promessa dell'Assassino.
I 50 fotogrammi sono stati scelti dall'autore, catturati nei laboratori del Centro Sperimentale di Cinematografia, elaborati digitalmente sotto la supervisione di Cronenberg e stampati su tela pittorica con una modalità innovativa, per dar loro una nuova vita oltre quella che hanno vissuto sullo schermo cinematografico.
L'intenzione è proprio quella di allontanare il più possibile quelle immagini dalla loro origine cinematografica. Alcuni fotogrammi sono riconoscibili icone del suo cinema che non smettono di stupire: la testa che esplode, il braccio mutante con la pistola, gli arcani strumenti ginecologici, la cabina per il teletrasporto o la mano che sfiora sensualmente la carrozzeria di un'automobile. Altri invece appartengono all'immaginario visivo più personale del regista e appartengono ad uno dei differenti temi della mostra: il rapporto tra corpo e tecnologia, la relazione tra cinema e arte, il rapporto tra natura e modificazioni genetiche, l'estetica del videogioco e della realtà virtuale contrapposta alla scienza.
L'esposizione dei fotogrammi è intervallata da una serie di filmati che scandagliano il cinema di Cronenberg passandone in rassegna alcune tematiche. Il progetto espositivo è completato dall'installazione Red Cars, dedicata al suo progetto mai realizzato di un film sulla Ferrari, che trasforma in esposizione il libro-oggetto nel 2005. Subito dopo Crash, Cronenberg scrisse una sceneggiatura ambientata nel mondo tanto amato della Formula Uno: è il 1961 e due piloti velocissimi, il conte tedesco Von Trips e l'americano Phil Hill, si contendono la vittoria correndo sulla Ferrari 156, soprannominata "sharknose" per il suo muso a forma di squalo. Il risultato è un'esperienza audiovisiva affascinante nella quale le immagini, i video e l'installazione rappresentano tre diversi capitoli di un percorso artistico eccitante ed unico nel suo genere. La mostra è curata da Domenico De Gaetano, Direttore artistico di Volumina, e Luca Massimo Barbero, Curatore delle Collezioni Guggenheim di Venezia.
Nel catalogo, realizzato da Volumina, che accompagna la mostra, ogni fotogramma è presentato da un commento scritto da personalità del mondo dell'arte, del cinema e della scienza, tutte legate alla poetica di Cronenberg, tra cui: l'attore Viggo Mortensen, il direttore del Toronto Film Festival Piers Handling, lo scrittore William Gibson, il critico cinematografico Enrico Ghezzi, il direttore artistico della sezione L'altro Cinema-Extra del Festival Internazionale del Film di Roma Mario Sesti, il car designer Giorgetto Giugiaro. A loro è stato chiesto di scrivere un breve commento sul cinema e sull'arte di Cronenberg proprio partendo da un singolo fotogramma.
Regista canadese e maestro indiscusso del cinema contemporaneo, David Cronenberg sarà protagonista di un incontro che si terrà all'Auditorium Parco della Musica durante il Festival Internazionale del film: nel corso dell'incontro, in cui il regista parteciperà insieme ad Antonio Monda e Mario Sesti ad una conversazione che commenterà la visione di alcune delle più belle sequenze dei suoi film, sarà possibile ad ogni spettatore rivolgergli delle domande.
Nel 2008 Cronenberg ha deciso per un anno di abbandonare il cinema e di concentrare la sua attenzione su altre forme di espressione artistica, vestendo per la prima volta i panni del regista di opere liriche e di "pittore". Lo scorso luglio è andata in scena la sua prima opera lirica, The Fly, con musiche di Howard Shore, basata sul suo film di quasi venti anni prima, ad ottobre invece, in anteprima mondiale, la sua mostra come creatore ed elaboratore di immagini, aprirà proprio al Palazzo delle Esposizioni di Roma.

LA RASSEGNA

In occasione della mostra fotografica "Chromosomes. Cronenberg oltre il cinema", il Palazzo delle Esposizioni dedica un omaggio al grande regista canadese, proponendo alcune delle sue pellicole più celebri. Maestro indiscusso del cinema contemporaneo, genio rivoluzionario la cui carica visionaria si rinnova ad ogni opera, è stato definito da un altro grande dello schermo, Martin Scorsese: "Cronenberg è il XX secolo, qualcosa che sfortunatamente noi non riusciamo a controllare, nel senso che non controlliamo l'imminente distruzione di noi stessi". La sua opera funziona quindi da lente d'ingrandimento deformante del mondo contemporaneo, racconto di un'umanità mutante in simbiosi devastante con l'evoluzione tecnologica. Nei suoi film il corpo è sempre al centro - luogo di un'incessante metamorfosi sotto la pressione di pulsioni istintive spesso represse - a cui si lega il tema ricorrente della mutazione, che poi è il tema dell'identità e della sua fragilità. Il suo cinema è sporco, brutale e ossessivo, vuole disturbare il pubblico, richiamando a se stessa una società malata e piena di paure. Il suo sguardo feroce che non accetta compromessi è l'unico strumento possibile per penetrare la vita che scorre, all'opposto di molti film hollywoodiani su cui ironizza: "film violenti che non danno fastidio a nessuno. I personaggi s'ammazzano l'un l'altro in situazioni atroci, e tutto è piacevole, divertente. Gli eroi rimangono positivi. Strano, no?". Un viaggio entusiasmante nel cinema degli ultimi trent'anni attraverso le opere di un genio: dagli esordi nel genere horror negli anni 70, dove il gusto per l'estremo serve ad indagare le profondità umane, sino ai film che lo fanno conoscere al grande pubblico, Scanners e La Zona Morta, il suo cinema ci trasporta in realtà parallele, abissi dell'animo umano. Se il grande successo internazionale arriva con La Mosca, la sua sfida più grande è senza dubbio Il Pasto Nudo, che ricrea il delirio paranoico di Burroughs dopo numerosi tentativi andati a vuoto di altri registi. Cronenberg ottiene il suo primo riconoscimento a Cannes nel 1996 con Crash, che gli vale il Gran Premio della Giuria, mentre nel 1999, eXistenZ conquista l'Orso d'argento a Berlino.
palazzoesposizioni.it



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Cronenberg oltre il cinema
In mostra incubi raffinati


Ralph Finnes, scapigliato e inquieto, se ne sta seduto al tavolino di un Caffè. Il trench grigio gli cade pesante sulle spalle, le mani sono fasci di nervi tesi, la sigaretta accesa in bocca sembra riesumata dal portacenere di vetro pieno di cicche che gli sta di fronte. L'interno che lo circonda è silenziosamente spettrale, le immagini di verdi pascoli appese alla parete stridono con la bottiglietta di plastica del ketchup, la pianta pensile spicca sullo sfondo delle piastrelle bianche, la lavagnetta col menù scritto in gesso evoca scenari di "sausage" e "bacon" mentre lui fissa una solitaria tazza vuota. È una piccola grande scena tratta dal film Spider del 2002, applaudito al 55esimo Festival di Cannes, in cui il regista David Cronenberg traduceva in immagini l'Odissea borderline di uno schizofrenico uxoricida nato dalla penna visionaria di Patrick McGrath. Un fotogramma isolato con cura certosina dal regista canadese, autore di controversi capolavori come Videodrome e La Mosca (tradotto recentemente in un'opera musicale che ha debuttato al Theatre du Chatelet di Parigi e al Los Angeles Opera), per essere poi rielaborato con tecnica digitale, stampato su tela e quindi trasformato in un vero e proprio quadro che sembra veicolare l'espressivo rigore figurativo di Cézanne con le misteriose e torbide atmosfere sospese e incantate di Edward Hopper.
È solo una delle cinquanta opere d'arte che sfilano nella mostra "Chromosomes. Oltre il cinema di Cronenberg", che si apre in anteprima mondiale al Palazzo delle Esposizioni dal 21 ottobre al 16 novembre, organizzata dal Festival internazionale del Film di Roma, in collaborazione con l'associazione culturale Volumina, sotto la cura di Domenico De Gaetano e di Luca Massimo Barbero.
È un viaggio immaginifico nella raffinatezza da brivido che Cronenberg, oggi sessantacinquenne, ha saputo plasmare in trent'anni di cinematografia, da quando cominciò a turbare le platee di spettatori negli anni Settanta con quel Rabid – Sete di sangue che celebrava le gesta folli di un chirurgo che infettava le sue vittime con protuberanze falliche sotto le ascelle.
Da tempo coltivava il progetto di allestire una mostra con le immagini dei suoi film - lo aveva già annunciato in un'affollata conferenza stampa tre anni fa alla Biennale di Venezia - e il Festival romano, che lo celebra anche con un incontro pubblico all'Auditorium, seguito da quello con il suo attore feticcio Viggo Mortensen (interprete di A History Of Violence e La Promessa dell'Assassino), realizza questa sua aspettativa. Così, ecco che cinquanta frames "vivisezionati" da David Cronenberg partendo da alcuni suoi film più noti, sono stati "catturati" nei laboratori del Centro sperimentale di cinematografia ed elaborati digitalmente sotto la supervisione dello stesso Cronenberg e stampati su tela pittorica con una modalità innovativa, per dar loro una nuova identità.
Un'operazione che, secondo Cronenberg, ha molto a che fare con quelle messe in atto dai maestri Dada: "Come Marcel Duchamp col suo orinatoio - dice il regista - prendere un oggetto creato dall'uomo, toglierlo dal suo contesto abituale e metterlo in uno completamente diverso, significa trasformarlo, svelandone tutto il potenziale interpretativo". Certo, la firma iconografica dell'immaginario di Cronenberg emerge vistosa, come la mano che accarezza la carrozzeria di un'automobile sconquassata come fosse la coscia di una donna, da Crash, film sulla patologica attrazione verso gli incidenti stradali tratta dal romanzo di James G. Ballard, o il braccio "mutante" con la pistola, dove viene evocata la fusione del corpo umano con lo strumento tecnologico, da Videodrome, la cabina fumosa da teletrasposto, da La Mosca, o ancora il torace nudo solcato da bagliori bluastri di Jeremy Irons da Inseparabili, che nell'inquadratura ravvicinata del corpo steso, come osserva De Gaetano, sembra citare il "Cristo morto" di Mantegna, o l'esplosione di sangue in un interno d'ufficio da A History Of Violence.
Prelievi dai film che diventano una rivelazione più intima e nascosta della poetica cinematografica di Cronenberg, che regalano una suggestione irresistibile di quelle che sono le sue magnifiche ossessioni, come la relazione pericolosa tra corpo e macchina, natura e scienza a suon di contaminazioni genetiche, l'estetica del videogioco. Come epilogo del percorso espositivo appare l'installazione multisensoriale "Red Cars", dedicata al suo progetto mai realizzato di un film sulla Ferrari. Subito dopo Crash, infatti, Cronenberg scrisse una sceneggiatura ambientata nel mondo tanto amato della Formula Uno: è il 1961 e due piloti velocissimi, il conte tedesco Von Trips e l'americano Phil Hill, si contendono la vittoria correndo sulla Ferrari 156, soprannominata "sharknose" per il suo muso a forma di squalo. Ne nasce una complessa opera audiovisiva che offre allo spettatore l'esperienza unica di una fusione, tra video e suoni, con la macchina.
Laura Larcan, La Repubblica



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Il catalogo della mostra Chromosomes è stato pubblicato da Associazione culturale Volumina (vedere anche Bibliografia).
QUI è possibile acquistarne una copia.
[Modificato da |Painter| 10/06/2010 18:01]
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