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Cronenberg su sé stesso

Ultimo Aggiornamento: 10/06/2010 18:20
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Post: 529
Sesso: Maschile
02/06/2008 22:48


Ho riunito qui alcuni interventi di David Cronenberg tratti dal libro Il cinema secondo Cronenberg (Cronenberg on Cronenberg, Chris Rodley, Pratiche Editrice per l’Italia attualmente fuori catalogo), in cui il regista parla in generale della sua concezione del cinema e del fare cinema.
Per gli interventi a proposito di film specifici si rimanda alle cartelle di ciascun film.
Matt – davidcronenberg.tk


***

In primo luogo sono le immagini che colpiscono, poi il generale carattere inquietante del film. […] Io devo mostrare certe cose, perché sto mostrando cose che la gente non potrebbe immaginare. Se le lasciassi fuori dallo schermo non esisterebbero. Se tu stai parlando di sparare a qualcuno, o di tagliargli la gola, puoi farlo fuori dallo schermo, il pubblico avrebbe un’idea di cosa sta accadendo. Ma se immagini Max Renn in Videodrome e il taglio nel suo stomaco… Se lo avessi lasciato fuori-campo, che cosa avrebbe pensato che stava accadendo il pubblico? Semplicemente non avrebbe funzionato. […]
Non ho realizzato un solo film che non mi abbia sorpreso in termini di reazione del pubblico; le persone si sono commosse, sono state scioccate o toccate da cose che io pensavo non le avrebbero mosse di un millimetro. Per me è davvero una questione di immagini concettuali. […] Non so da dove provengano queste immagini estreme. A me sembra tutto molto chiaro, naturale e semplice così com’è. Spesso derivano dall’imperativo filosofico di una storia e quindi mi conducono a certe cose che sono richieste dal film. Non sono io a imporle, è il film stesso, la sceneggiatura stessa a richiedere una certa immagine in un certo punto, drammaticamente. E questa emerge.

Ecco un uomo che nella vita reale è dolce, ama la gente, è affettuoso, amichevole, capace di esprimersi correttamente e fa questi film orribili, malati, grotteschi, disgustosi. Allora qual è la realtà? Entrambe le cose sono reali per chi le osserva dall’esterno. Per me questi due aspetti di me stesso sono legati tra loro in un modo inestricabile. La ragione per cui ne sono sicuro è che sono pazzo. La ragione per cui sono stabile è che sono folle, per me è evidente. Più diventi anziano, più figli metti al mondo, più sei accettato nella tua società, e più diventi parte dell’istituzione, più è tenue l’attaccamento alla tua “interiorità”. La percezione che hai di te stesso è sommersa, perché gli strati o le verniciature di civilizzazione diventano sempre più spessi, ma dentro di te lo sai.

Parte della fatica di essere creativi sta nell’essere meditativi e filosofici. Tutti lo siamo. Nel cinema è un cliché: prendi un personaggio secondario, come un autista di taxi, che ti racconta la sua filosofia di vita in trentotto secondi. Anche se è amara, negativa, o nichilista, almeno è una filosofia. Masha dice a Max Renn che Videodrome è pericoloso, perché ha qualcosa che lui non possiede: una filosofia. Un individuo privo di una filosofia è debole, confuso, è in grado solo di andare a tentoni. Siamo costretti ad averla. Dopo, non importa su cosa si concentra il tuo discorso: relazioni uomo/donna, o vita e morte.

La sessualità è uno degli argomenti fondamentali. Vita, morte e sessualità sono strettamente collegati. Non puoi discuterne uno senza in qualche modo discutere gli altri. Dato che i miei film trattano molto della morte e del corpo umano, la sessualità viene discussa automaticamente. E io credo che in questo campo noi non siamo pienamente evoluti né culturalmente, né fisicamente, né in qualsiasi altro modo. I miei film sono un tentativo per scoprire come potrebbe essere, con tali premesse, un essere umano pienamente evoluto. […] Avevo letto La vita contro la morte. Il significato psicoanalitico della storia di Norman O. Brown, nel quale si discuteva la teoria della perversità polimorfa, il tipo di sessualità che appartiene al bambino: completamente pregenitale, non focalizzata ma proiettata semplicemente su ogni cosa. Una sorta di sessualità diffusa, o di sensualità. Anche il vecchio Norman si è trovato in difficoltà quando ha cercato di capire in che modo funzionasse quel tipo di coscienza dionisiaca, in una società dove devi attraversare la strada stando attento a non essere investito dalle automobili. […]
Un aspetto dell’horror, e sicuramente dei miei film, è la ripugnanza. Devo dire alle persone che alcune delle cose che trovano ripugnanti nei miei film sono fatte apposta per esserlo, è vero, ma in esse c’è anche nello stesso tempo un aspetto bello. Esiste una bellezza autentica in cose che altri trovano ripugnanti. Questo è ciò che sento, e qualche volta mi è molto difficile comunicarlo.

Non ho mai provato repulsione per il sesso. Questo è il motivo per cui io so dall’interno che la realtà di una persona e il modo in cui vive la propria vita, intimamente, giorno dopo giorno, non è ciò che viene direttamente espresso nella sua arte. Mantenendo un atteggiamento clinico e chirurgico, provo ad analizzare la natura della sessualità. Lo faccio creando dei personaggi che poi disseziono con i miei bisturi cinematografici. […] Allora mi dicono: “Ehi, ma sei proprio strano. Come mai fai tutte quelle cose assurde?” […] Ognuno di noi proietterebbe sullo schermo cose che un pubblico potrebbe giudicare antisociali, perverse e così via. E la persona che le crea potrebbe anche essere d’accordo. […]
Non so quanti film ci vorrebbero per eguagliare la complessità e la varietà della vita di un autore di cinema, la sua reale vita interiore ed esteriore. Quanti romanzi ci vorrebbero per esprimere l’universo di uno scrittore? Migliaia. Per qualche ragione il mezzo espressivo sollecita collegamenti e induce nella mente degli stati particolari di creatività. Qualcosa che ti ossessiona nella vita quotidiana potrebbe essere di nessuna ispirazione come soggetto cinematografico. […]

Devi vivere un’esistenza in equilibrio tra salvezza e catastrofe. D’altronde io, personalmente, non voglio vivere a metà tra caos e catastrofe, non voglio nessuna delle due cose e questo significa essere, di conseguenza, costantemente in oscillazione. Non credo che qualcuno abbia il controllo. […] Non c’è bisogno di antropomorfizzare i media e dire che ci controlleranno. I media non hanno un cervello; sono solo tecnologia. Ciò significa che le cose sono fuori dal controllo. Io credo che il caos sia molto vicino, questo suppongo sia uno dei motivi per cui mi sento un estraneo, semplicemente perché penso di essere più cosciente della presenza e della prossimità del caos. […] Penso che più siamo inventivi ed estremi meglio stiamo. So che si tratta di una strada pericolosa da intraprendere e quindi sto anche esplorandone i rischi. […] Faccio uscire i miei film come se fossero cose viventi, complete e organiche. Le persone che formano il mio pubblico li accolgono in questo modo. Le persone che non fanno parte del mio pubblico li dissezionano, cercando la vescica della bile per vedere se era malata o meno. Se attraversi una stanza camminando e qualcuno ti guarda come un modello potenziale, non ti vede come una persona completa, ma come un modello che farà vendere un particolare prodotto. […] Sezionare i miei film in cerca di una piccola cosa significa ucciderli sotto i ferri.

[…] l’horror è molto vicino a ciò che è primario. Tutti noi ci prepariamo alle sfide che possiamo prevedere, questo impulso è soppresso solo quando gli imperativi culturali ci impongono di non affrontare argomenti come la morte o l’invecchiamento […]. Uno dei modi in cui l’uomo lo ha sempre fatto è attraverso l’arte. […]
Lo puoi vedere con i bambini, nei loro giochi e con le loro pantomime anticipano aspetti come la loro stessa sessualità, la violenza, le difficoltà sociali. Si stanno preparando, nello stesso modo in cui le tigri giocano simulando la caccia, l’uccisione, l’accoppiamento. […] Quando Hemingway si è ucciso ho pensato che fosse una sconfitta, poi con il tempo ho cominciato a sentire che era stato un atto di coraggio. Aveva detto che le sole cose che significassero qualcosa per lui erano scopare, pescare e scrivere, e non riusciva più a farne nessuna. È stato di parola. […] Questo è esattamente il modo in cui penso al film: è la versione per adulti del gioco che fanno le tigri. Deve esserci l’elemento divertente, fresco ed eccitante.

Molte delle più alte elaborazioni del pensiero filosofico ruotano intorno all’impossibile dualismo tra mente e corpo. Anche se chiamiamo la mente anima o spirito, si tratta ancora dell’antica e assoluta spaccatura cartesiana tra i due elementi. Sembra esserci un punto in cui si devono fondere e ciò dovrebbe essere chiaro a tutti. Ma non è chiaro. Non lo è proprio. Il fondamento dell’horror, e in generale delle difficoltà della vita, è che noi non sappiamo comprendere come sia possibile morire. Perché una mente sana dovrebbe morire, solo perché il corpo non è altrettanto sano? Come può un uomo morire, ridotto a un rottame nel fisico, mentre la sua mente è assolutamente lucida? Sembra esserci qualcosa di sbagliato in tutto questo. È molto facile capire perché molti filosofi separano la mente dal corpo e dicono: “La soluzione è che, dopo la morte del corpo, la mente continua in qualche modo a lavorare”. Ma io non credo. […]
Forse tutto ciò significa che noi stiamo per cominciare una fase molto importante della nostra evoluzione, che io ritengo sarà principalmente fisica. […] Può essere una strana filosofia, o forse no, ma il mio istinto sembra suggerirmi che siamo fatti per contaminare qualsiasi cosa, lo abbiamo già fatto, e che questo si rifletterà su di noi modificandoci.

Non penso che il corpo sia necessariamente traditore, malvagio, o cattivo. È bisbetico, ed è indipendente. La chiave è nell’idea dell’indipendenza. […] Noto che a volte i miei personaggi parlano della sofferta rivoluzione della carne. Io dico a me stesso: “Ecco di cosa si tratta: l’indipendenza del corpo, rispetto alla mente, e la difficoltà della mente ad accettare ciò che quella rivoluzione potrebbe significare”.
L’interpretazione più accessibile della “Nuova Carne” in Videodrome sarebbe che tu puoi cambiare davvero l’attuale essere umano in senso fisico. Dal principio del genere umano noi siamo certamente cambiati in senso psicologico; di fatto siamo anche cambiati fisicamente. […] Ma c’è un ulteriore passo che potrebbe essere fatto, cioè quello di poter sviluppare un altro braccio, di poter realmente cambiare il proprio aspetto fisico: compiere una mutazione. Gli esseri umani potrebbero scambiarsi gli organi sessuali, o farne a meno come organi sessuali in sé, per la procreazione. Saremmo liberi di sviluppare diversi tipi di organi che potrebbero darci piacere e che non avrebbero nulla a che vedere con il sesso. La differenza tra maschio e femmina diminuirebbe, e forse diventeremmo creature meno divise e più complete. […]
Penso che la maggior parte delle malattie sarebbero scioccate se sapessero di essere considerate come tali. È una connotazione molto negativa. Per loro, riuscire a sopraffare il corpo umano e a distruggerlo è un evento molto positivo, è un trionfo. Tutto ciò fa parte del mio tentativo di rovesciare la normale interpretazione di quello che ci accade fisicamente, psicologicamente e biologicamente. I personaggi di Shivers sperimentano l’orrore perché sono ancora membri normali e regolari della generazione borghese dei grattacieli. Io mi identifico con loro dopo che sono stati contagiati. Sostanzialmente mi identifico con i parassiti. Naturalmente i personaggi sono destinati a reagire con orrore a livello conscio, sono obbligati a resistere. […] Ma, sotto, esiste qualcosa d’altro, e questo è ciò che vedremo alla fine del film. Nel finale sembrano bellissimi, non hanno un aspetto né malato né brutto. Perché non guardare ai processi di invecchiamento e di morte, per esempio, come una trasformazione? È ciò che ho fatto in La Mosca. È necessario però essere duri. Tu lo guardi ed è brutto, odioso, terribile.

Un cineasta completo dovrebbe essere capace di mettere in gioco tutti gli aspetti dell’esistenza umana, quello sensuale e quello cerebrale. Se tu metti insieme questa miscela correttamente, ottieni un esempio perfetto di saldatura della frattura cartesiana, ottieni qualcosa che fa appello sia all’intelletto che alle viscere. Se la miscela è buona, il risultato è un film completo. Io non amo particolarmente i film cerebrali, nello stesso tempo non mi piacciono nemmeno quelli che sono tutto viscere e niente cervello.

In La Zona Morta ci sono molti personaggi che la gente pensa siano veri. […] Ma ciò che mi piace di individui come Max Renn (Videodrome) e Seth Brundle (La Mosca) è che non possono spegnere la mente; così la mente scardina, interpreta, inserisce le cose nel contesto. Quando si immergono totalmente nella realtà emotiva di ciò che sta accadendo loro, vengono annientati completamente. Cercano tuttavia, malgrado la situazione, di salvare qualcosa: “Forse non si tratta affatto di una malattia. Forse è una mutazione”. Perciò ho le mie ragioni per presentare dei personaggi molto colti. A me questo li fa sembrare reali. Sono personaggi che non possono permettersi di essere patetici, tristi, deboli. Seth Brundle ha costruito la sua intera carriera, la sua vita e la sua comprensione del mondo sull’uso della mente e sul procedimento del pensiero. Non può prescindere da questo; per essere geloso, per parlare con la scimmia, deve ubriacarsi.

Io sono molto oggettivo, sono fissato con l’oggettività, il che significa che vedo immediatamente tutte le sfaccettature della storia, e il fatto che sono tutte equivalenti. […] Martin Scorsese sostiene che io non sappia di cosa trattano i miei film. Una volta mi ha detto: “Ho letto le tue interviste, ma è evidente che tu non hai idea del contenuto dei tuoi film, ma va bene lo stesso, sono ugualmente fantastici”. Io spero di non capirli. Scorsese analizza il bene e il male in termini decisamente proto-cattolici. Ma la mia condanna è che io non posso credere al diavolo, perché significherebbe credere al male assoluto e io non credo di aver mai incontrato qualcuno che si potesse considerare completamente malvagio. […] Il mio demone è l’interesse per tutte le sfaccettature.
[Modificato da |Painter| 10/06/2010 18:20]
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