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La rEXIsTenza catturata - articolo di Enrico Ghezzi

Ultimo Aggiornamento: 10/06/2010 18:26
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Post: 529
Sesso: Maschile
25/04/2008 23:04


Dé(ad)ja Vu - La rEXIsTenza catturata

A proposito di parate, per esempio. Dove guarda un film di Cronenberg mentre ci sfila davanti, pur salutandoci. Eastern Promises. Cosa ci promette (o permette di immaginare) l'ultimo Cronenberg. Ci si abituò talmente a vedere in ogni suo film la flagranza involontaria e inconfondibile del film ultimo che molti trovarono regressivo e impersonale il suo cinema degli ultimi anni (meglio: degli ultimi tempi). Dopo eXistenZ, il crash verificato del senso, il riconoscersi della macchina umana in quanto tale, la distanza da situazioni elementari e poi facilmente complicabili. Spider e A History of Violence ci convocano in quanto spettatori, classe perduta di ombre attente che era stata dissolta nella estrema dissoluzione dell'impossibile exit/uscita con cui si confonde l'esistenza, e frantumata nel crash di una rete umana non più trovata nello spiegarsi del mutante, ma già mutata automatica fantomatica. Null'altro e nulla più da oltrepassare. Cronenberg entra con naturalezza agghiacciante nell'inland empire del presente assente, è gia di nuovo nell'oltrepassato, nel cinema infine, che ci oltrepassa e trapassa. Lucidità spietata, nessuna concessione artistica lynchiana, nessuna aura, nessuna divagazione epica. La Londra astratta antipop antimoderna è nello stesso territorio della New York di Eyes Wide Shut. Un labirinto in cui gli automi si muovono insieme sperduti e infallibili. Pronti a perderci, a guardarci mentre vanno a parare altrove, a raggiunger l'est promesso minacciato in ogni ovest. A sfidarci nell'analisi fino a farci scoppiare la testa nello sforzo da scanner. Due visioni nello stesso spazio esistente situano con precisione inattesa questo est/set incerto. Italian Machine dello stesso Cronenberg e Beowulf di Zemeckis. Il primo, meno di mezz'ora, fatto per la tv canadese nel 1976, è forse anche il primo "ultimofilm" del suo autore, cioè un film in cui nulla è detto perché tutto avviene si compie è già compiuto oltrepassato. Una moto Ducati nera bellissima sottratta alla strada e al sogno degli appassionati da un collezionista che la tiene nella sua casa-galleria, esposta insieme col giovane modello amante della moglie. E infine liberata con un gioco idiota e astuto, alzando il livello dell'allucinazione artistica in una promessa di servizio su una grande rivista d'arte newyorkese a documentare la performance della ri-cessione stessa dell'oggetto. Nessun incidente finale. Sembra davvero una commedia. Quella/questa è la tragedia. Sia i veri motociclisti maniaci sia il maniaco d'arte estrema (e la moglie e l'amante, e per primultimi i nostri sguardi) sono a loro volta immediatamente captati trapassati catalogati nel museo automatico istantaneo dei presenti registrati ripetuti differiti reagiti: il cinema, ovvero quello di cui nel cinema siamo letteralmente (e circola nel film lo scarto di intensificazione distante via cocaina) dipendenti. In Beowulf, si è già detto, il sistema di "performance capturing", la possibilità tecnica di captare e "catturare" il movimento e il gioco degli attori mediante sensori che permettono poi la trasformazione dei corpi e di tutto il visibile filmico in una materia di nulla, vertigine doppia del nulla visibile digitale. Catturati dal nulla o resi al loro nulla. E al di là della drammaturgia sceneggiata, geniale è il catturarsi del mito proprio nel nulla dispiegato e formato che è la sua sostanza, ben oltre la meraviglia delle "animazioni" che animano le "anime" filmando la libertà apparente dei disegni e delle pitture più o meno personali. Una sorta di disanimazione animata, un interno/inferno e rovescio interiore della figura sfoderata. Un venir meno trionfante. Curiosamente, lo stesso disagio mi ha preso durante la scena più fisica, la lotta disperata e (av)vincente di Viggo Mortensen nella sauna, come già prima alla scena del suo obbligato "fucking" con una bellissima puttana bionda ucraina. Uso e riuso il termine "scena", desueto, perché Eastern Promises è un film di "scene", quasi esibite e dichiarate in quanto tali. Mentre Spider era una sola scena frastagliata dalla frattalità ossessiva della follia, un unico vasto set mentale sotto vetro, "securizzato" mortalmente dal cinema stesso. E A History of Violence da una sola scena risaliva alla scissione generalizzata del mondo tutto, a misura del jekyllhyde domestico, con rigore didattico sgelato, rosselliniano e wittgensteiniano. L'immagine della scena non dà conto di nulla, non scalfisce l'ambiguità, se mai la moltiplica anche mille volte rivista. Solo entrare nell'immagine, sentirla e sentirsi immagine, ovvero/oppure distruggerla nella sua separatezza spettacolare, permette di creder di capirla nel suo captarci. Risalire anche solo alla genealogia familiare rovescia la Storia non meno che la Famiglia, colte tessute insieme nella stessa famiglia, quella delle immagini. È arduo trovare nell'ultimo film di Cronenberg, ossessivo per conto suo e nei propri procedimenti sia narrativi che visivi, l'intensità concentrata dei precedenti. Quella che partiva da "casi" (sì, anche clinici) singoli e precisi nella loro collocazione separata dietro il granvetro filmico. Dopo che tutto era svanito nella scena onniproiettata in un ovunque mentale fisicizzato e spazializzato indistinguibile dell'ultima scena che a noi sembra la prima e invece è solo la stessa, appunto l'esistenza. Qui tutto il film pare un tentativo sceneggiato di disegnare il tragitto tra le prime due scene forti violente (uccisione/nascita; ma anche tra i due film precedenti), di riscattare e scontare il montaggio proibito di esse, di raccontare l'intervallo che le unisce mediante l'ennesimo jekyllhyde viggomortensen, infiltrato (soprattutto) di se stesso. Proprio il dispiegarsi in scene fa pensare a performance catturate, in direzione di un impensabile "capturing/rendering" della performance ininterrotta, la scissione permanente che è l'esperienza interiore. Affascinante veder quasi perdersi l'autore più ultimo, esitante e insistente sul confine tra l'esistere e l'existere, resistente come il corpo di Mortensen (il tronco), immobile nella posizione insostenibile di chi sa che il passaggio è così semplice da essere invisibile o risibile, istante che si muta in se stesso o puro effetto tecnico. (Richiesto di ripensare da cineasta la sala, per il film collettivo Chacun son cinéma, Cronenberg ha intanto realizzato l'ultima parodia - commedia nerissima anch'essa - dell'ultimofilm, una sorta di ultimo film filmato dall'ultimo ebreo nell'ultima sala del mondo; anzi nel cesso di essa; lui è il protagonista che si filma autofilmante prima di essere ucciso, sterminato dalla tele-verità, dalla distanza dalla verità, dalla distanza spettacolare della verità, dalla verità che è la distanza; da sé a sé, performer di se stesso per tutti e per nessuno).
Enrico Ghezzi, rollingstonemagazine.it

[Modificato da |Painter| 10/06/2010 18:26]
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