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Chacun son Cinéma (2007)

Ultimo Aggiornamento: 13/04/2008 18:06
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Sesso: Maschile
13/04/2008 18:06

CHACUN SON CINÉMA
(2007)





* Theodoros Angelopoulos : Trois Minutes
* Olivier Assayas : Recrudescence
* Bille August : The Last Dating Show
* Jane Campion : The Lady Bug
* Youssef Chahine : 47 Ans Après
* Chen Kaige : Zhanxiou Village
* Michael Cimino : No Translation Needed
* Ethan Coen : World Cinema
* Joel Coen : World Cinema
* David Cronenberg : At the Suicide of the Last Jew in the World in the Last Cinema in the World
* Jean-Pierre Dardenne : Dans l'Obscurité
* Luc Dardenne : Dans l'Obscurité
* Manoel de Oliveira : Rencontre Unique
* Raymond Depardon : Cinéma d'Eté
* Atom Egoyan : Artaud Double Bill
* Amos Gitai : Le Dibbouk de Haifa
* Alejandro González Iñárritu : Anna
* Hsiao-hsien Hou : The Electric Princess House
* Aki Kaurismäki : La Fonderie
* Abbas Kiarostami : Where is my Romeo?
* Takeshi Kitano : One Fine Day
* Andrei Konchalovsky : Dans le Noir
* Claude Lelouch : Cinéma de Boulevard
* Ken Loach : Happy Ending
* Nanni Moretti : Diaro di uno Spettatore
* Roman Polanski : Cinéma Erotique
* Raoul Ruiz : Le Don
* Walter Salles : A 8 944 km de Cannes
* Elia Suleiman : Irtebak
* Ming-liang Tsai : It's a Dream
* Gus Van Sant : First Kiss
* Lars von Trier : Occupations
* Wim Wenders : War in Peace
* Wong Kar Wai : I Travelled 9000 km To Give It To You
* Zhang Yimou : En Regardant le Film


33 corti diretti da altrettanti registi che mettono in scena i loro sentimenti a proposito del Cinema.



***


Vuota, disertata, distrutta, abbandonata, fastidiosa, malfunzionante, isolata, inutilizzata, inesistente. Ma anche luogo di ricordi, nostalgie, speranze, omaggi, incontri romantici e sessuali. Questa è la sala cinematografica per i 35 autori (tra cui due coppie di fratelli) più uno (il corto di Lynch comparirà solo nel dvd) interpellati da Gilles Jacob sulla loro concezione della stessa in occasione dei 60 anni del Festival de Cannes e presentata di rimbalzo alla seconda edizione della festa del cinema di Roma.
Quello che nasceva per una celebrazione, diventa dunque un eccezionale pagina di cinema sullo statuto del cinema contemporaneo e del suo rapporto con il uso mezzo di fruizione, per l'appunto la sala cinematografica. Montato da Jacob per consonanze e dissonanze tra i vari segmenti, Chacun son cinema - ou Ce petit coup au coeur quand la lumière s'éteint et que le film commence è un vero e proprio film che dispensa emozioni forti, vere, puramente cinematografiche, ma che al tempo stesso è capace di indagare su se stesso, sul proprio linguaggio, sul proprio statuto presente e futuro. Così il commovente Anna di Alejandro Gonzàlez Inarritu è anche uno straordinario lavoro sulla sottrazione della visione (la cecità della protagonista) e nel porsi all'incrocio tra finzionale e fattuale (la musica di Alphaville di Godard che riprende fuori dal cinema durante l'abbraccio tra i protagonisti, salvo poi fermarsi di colpo alla risposta alla domanda: "è in bianco e nero?" "No, a colori"). L'omaggio a Mastroianni e ad Antonioni del segmento di Anghelopoulos è in realtà un folgorante palesarsi del rapporto tra cinema, narrazione e durata. Wim Wenders lavora sull'irruzione del fuoricampo nel finzionale con uno straordinaria operazione intermediale (l'uso del nighshoot vison all'interno del cinema approntato dal villaggio congolese appena arrivata la pace: vedono un film di guerra). Straordinaria riflessione sul cinema come evasione nel segmento di Kaurismaki, dove i lavoratori di una fabbrica vanno al cinema a vedere il celebre L'uscita dei lavoratori dagli stabilimenti Lumiere.
Punta tutto sull'emotivo il dolce corto dei fratelli Dardenne. Ambiguo e ironico, a metà tra l'amore per il cinema e l'amore per lo stesso sesso è World Cinema, dei fratelli Coen. Nanni Moretti si pone dalla parte dello spettatore in un mix di surreale, malinconia, nostalgia e straordinaria ironia. Michael Cimino è altrettanto ironico sulla figura del regista/autore e delle sue scelte "artistiche". È invece ironia nera quella che tinge l'inquietante corto di David Cronenberg, At the suicide of the last Jew in the world in the last cinema of the world, una pessimistica previsione sul futuro del cinema (ma al tempo stesso una sua forte autoaffermazione), sostituito da non ben identificate telecamere biologiche, che nonostante le promesse non riescono a seguire fino all'ultimo il suicidio, perché in qualche modo il cinema ha deciso così, imponendo il nero. Lavora sul visibile che è allo stesso tempo vedente Egoyan con il complesso Artaud double Bill. È in un gioco di inquadrature sovraimpresse che si consuma la tragedia sempre uguale nel tempo (dall'olocausto ad oggi) del cinema di Haifa, bombardato durante la proiezione provocando una carneficina nel terrificante segmento di Amos Gitai. Omaggio, nostalgia, autobiografismo, speranze, ringraziamenti nei bei corti di Kiarostami, Chahine, Lelouch. Svicola dal tema (ma è solo un'apparenza) il sempreverde Oliveira rievocando tramite il cinema l'impossibile (e divertentissimo) incontro tra Il Papa e Kruschev (ma intanto si è passati dalla realtà del corto iniziale ambientato nella sala al film proiettato che diventa - grazie al tutto schermo - il corto stesso - tant'è che i titoli di coda sono inseriti nel suo contesto filmico e non in quello originario). Lavora ancora sulla sottrazione alla visione e sulla durata il surreale e delirante segmento di Ruiz, mentre è ancora sulla cecità e del suo rapporto con il cinema (vedere un film non vuol dire vederlo con gli occhi, anche se muto, o a schermo bianco) Chen Kaige. Per Zhang Yimou la sala cinematografica, e quindi il cinema, è l'attesa per la visione del film: normale quindi che appena arrivi il tanto atteso momento il bambino protagonista dorma. Onirici e sensuali i segmenti di Wong Kar Wai e Tsai Ming-Liang. È un tripudio ironico-gore la vendetta a suon di martellate di Lars Von Trier contro i disturbatori irriducibili della visione del film. Provocatori, irriverente e sempre caustico è il segmento di Roman Polanski. È invece dedicato al cinema il primo bacio di Gus Van Sant in un bel gioco intermediale, e simbolo dell'amore per il cinema. Esilarante e metacinematografico il corto di Elia Suleiman, mentre irriverente e delirante quello di Jane Campion, The Lady Bug. Il cinema come orgasmo è invece In the dark di Andrei Konchalovsky, dove il buio della sala è il trait d'union tra Fellini e l'atto sessuale e passionale della coppietta. Sulla forza di coesione si gioca il bel corto a equivoco di Billie August, mentre è un gioco oltrennarrativo sull'identità quello proposto da Assayas. La sala cinematografica di Salles è invece solo una facciata davanti la quale improvvisare una canzone delirante su Cannes, salvo poi scoprire che ci si è stati solo su internet. È invece un cinema abbandonato dove, come se volesse eseguire il suo compito anche in quello stato, si proietta improvvisamente un film quello mostrato da Hou Hsiao - Hsien. Il rito collettivo del cinema all'aperto è al centro del corto di Depardon. È invece un mix di (auto)ironia irresistibile e lavoro sulla storia potenziale ("ehi è già finito!" " Macchè, è appena cominciato!" Nero. Fine.) La bella giornata del geniale Kitano. Chiude e non poteva essere altrimenti l'happy ending del segmento di Loach, Happy Ending, per l'appunto, per il quale il lieto fine è quello di cercare di scegliere un film mentre si è in fila per i biglietti, salvo poi all'ultimo uscire per andare a vedere la partita.
In poche, semplici, parole: Chacun son cinema è un capolavoro da vedere e rivedere. Chi ama il cinema dopo lo amerà ancora di più, chi non lo ama se ne innamorerà. Per sempre.
Lorenzo Conte, zabriskiepoint.net




Il miglior lungometraggio di questo Festival di Cannes è finora Chacun son cinéma, serie di cortometraggi di circa tre minuti l'uno che lo stesso Festival ha prodotto - al costo di venticinquemila euro per ognuno - e montato, nella persona del suo presidente, Gilles Jacob. Perciò Chacun son cinéma è fuori concorso. Trentacinque, sui quaranta invitati, sono stati i registi che lo firmano, da Theo Anghelopulos a Zhang Yimou, passando per Nanni Moretti. Ma ci sono state assenze che hanno ferito Jacob: per esempio quella di Francis Ford Coppola, perché stava girando un film (ma ne avrebbe altri dopo Apocalypse Now, senza la palma d'oro che gliene venne); quella di Martin Scorsese, che, dice Jacob, «ha lasciato cadere la cosa, come del resto Pedro Almodóvar; il solo a non rispondere è stato Quentin Tarantino: era al culmine di Death Proof - in concorso oggi proprio qui -, ma era anche il più cinefilo fra i registi interpellati. Sembra che abbia frainteso o che fosse di cattivo umore».
Ottenuti i consensi degli altri, è cominciata la lotta per far loro rispettare lunghezza del film e termine di consegna (gennaio 2007). Alejandro Gonzalez Inarritu, Elie Suleiman e Hou Hsiao-sien aveva presentato un film lungo il doppio - sei minuti - dello stabilito, quindi Jacob ha dovuto trattarne la riduzione a quattro minuti. Il primo a consegnare è stato Raymond Depardon, l'ultimo Inarritu. Così Jacob ha potuto finire il montaggio solo a fine marzo. Ne valeva la pena? Sì. La misura brevissima esaspera pregi e difetti: i primi si fissano meglio nella memoria, i secondi ne vengono subito evacuati. E il soggetto prevale sulla sceneggiatura. Così le idee originali prevalgono sugli artifici: sono di Bille August, Youssef Chahine, Chen Kaige, i Coen, Cronenberg, Kaurismaki, Kitano, Konchalovsky, Lelouch, Loach, Oliveira (l'unico a uscire senza impacci dal tema, mettendo in scena l'incontro fra Krusciov e Giovanni XXIII), Suleiman, von Trier e Zhang Yimou i momenti più intensi. Raccontando la sala cinematografica, i cortometraggi talora citano altri i film: vari gli omaggi a Bresson, Fellini e Godard, mentre Anghelopoulos dedica il suo episodio interamente a Marcello Mastroianni. Dominante in Chacun son cinéma è una miscela di rimpianto per i film di ieri e di dolore per le sale vuote di oggi. «Non c'è miglior esempio di diversità culturale, fra documentaristi, umoristi, ironisti, erotomani, omaggi ai grandi maestri del passato. Il tono generale è nostalgico, buffo e commovente», dice ancora Jacob.
Uno dei meno ispirati e costosi è l'episodio che Nanni Moretti scrive, dirige e interpreta: non va oltre l'aneddotica autobiografica, con la sua visita in un cinema romano, occasione per rimembrare sulle sue delusioni di spettatore. Sorprendono invece l'inventiva dell'episodio di von Trier, dove lui stesso in smoking martella selvaggiamente un disturbatore; e dell'episodio di Salles, dove un brasiliano decanta il Festival di Cannes, salvo ammettere di conoscerlo solo via Internet. Che A chacun son cinéma arrivi in Italia è improbabile; in Francia ieri sera è stato già diffuso su Canal Plus.
Maurizio Cabona, Il Giornale




Festa di compleanno con litigio. L’incontro con la stampa dei trentatrè registi autori del film corale Chacun Son Cinéma finisce con Roman Polanski che lascia la sala disgustato: «La povertà delle vostre domande in un’occasione del genere mi lascia sconcertato, francamente a questo punto è meglio smettere e andare tutti al buffet». In platea si avverte qualche fremito di ribellione, qualcuno fra gli autori annuisce, ma nessuno si alza e così Polanski lascia la sala da solo, nervoso e incupito, rovinando la giornata agli organizzatori dell’evento, ma soprattutto al presidente Gilles Jacob cui si deve il merito di aver ideato e portato a termine la non facile impresa. Sul tappeto rosso, ieri sera, l’esercito dei registi è riapparso compatto per rendere omaggio a quei sessant’anni che il Festival porta con innegabile orgoglio e, dopo la proiezione, tutti insieme al gran gala dell’anniversario, ospite anche Ermanno Olmi che al Festival presenta Centochiodi accolto ieri dagli applausi della stampa estera. La foto di gruppo è un documento eccezionale, ci sono tutti, ordinati e contenti, come allievi di una classe speciale. Eppure le differenze sono enormi, certe volte abissali. Alcuni autori, come David Cronenberg e Ken Loach, prevedono per la sala cinematografica un futuro poco roseo: «Il cinema non è più quello di una volta - dice il primo - il modo in cui i film vengono visti sta cambiando e cambierà ancora, in tanti si stanno già preparando a questo nuovo linguaggio, la qualità potrà migliorare ma anche abbassarsi di molto». Ken Loach ha girato una mini-storia in cui parla di un padre e di un figlio che, dopo molte indecisioni, scelgono di andare allo stadio piuttosto che al cinema. A suo parere il problema è nelle multisale: «Le piccole sale in cui sono cresciuto, quelle dove spesso le pulci erano più numerose del pubblico, sono tutte sparite, rimpiazzate dai multiplex situati fuori dalle città. Adesso le pulci non ci sono più, ma con loro è andato via anche il cinema europeo».
Nel gruppo spicca la testa di Wim Wenders, capelli molto bianchi e molti lunghi, Nanni Moretti con maglietta rossa sembra più assonnato che interessato, i fratelli Coen siedono uno accanto all’altro, come sempre, Gus Van Sant e Roman Polanski polemizzano. Il primo sottolinea l’importanza di nuovi formati e nuove tecnologie, il secondo scuote la testa: «Da tempo sento parlare di morte del cinema, ma ricordo che lo stesso identico dibattito si era sviluppato quando erano venute fuori le cassette musicali e poi le videocassette. La verità è che non è successo proprio niente, i concerti di musica dal vivo come la visione di film in sala continuano ad esserci e ci saranno ancora perché vedere o sentire qualcosa insieme a persone che non si conoscono, nello stesso luogo e nello stesso momento, resta un’esperienza umana importante». Un’unica donna siede nel pantheon degli autori invitati per il sessantenario, è Jane Campion che sulla Croisette ha vissuto il suo exploit di autrice ai tempi di Lezione di piano: «E’ vero, sono sola, ma sono anche certa che i miei colleghi uomini vorrebbero più donne tra loro. Mi sento un po’ strana in mezzo a questa squadra di calciatori, ma sto cercando di trarre il meglio dall’occasione». Il regista di Babel Alejandro González Iñárritu è onorato di far parte della pattuglia: «Era molto difficile fare un film in tre minuti, il mio corto è un estratto di quello che in genere faccio nei mie film, sono convinto che il cinema abbia una componente spirituale, qualcosa in grado di comunicare sensazioni molto al di là delle immagini mostrate». Anche Andrei Konchalovsky parla della difficoltà della sintesi: «Mi viene in mente Puskin che, in una delle sue lunghe missive, diceva "scusate, non ho avuto il tempo di scrivere una lettera breve"». Non ha fatto una piega il maestro portoghese Manoel De Oliveira, autore di uno dei corti più riusciti e applauditi: «Ho ricevuto l’invito di Jacob, l’ho accettato, ho girato tutto in tre giorni». Takeshi Kitano ricorda: «Sono andato per la prima volta al cinema con mio fratello, ho visto un film italiano Il ferroviere di Pietro Germi, ero molto giovane, non ho capito bene il tema socioculturale che affrontava...Mi è rimasta solo una terribile impressione di tristezza, all’uscita del cienma io e mio fratello fummo assaliti e derubati, per tornare a casa abbiamo dovuto fare un lungo tratto a piedi, così la mia prima esperienza in una sala cinematografica è diventata ancora più triste». I tre minuti del brasiliano Walter Salles hanno ricevuto un mare di applausi: «Questa esperienza mi è servita per ricordare che il cinema è un’avventura collettiva, perchè un film viene fatto, visto e giudicato insieme ad altri. In questo senso il Festival di Cannes è come il baluardo della resistenza, più si gireranno film e più ci saranno Festival dove proiettarli».
Fulvia Caprara, La Stampa

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