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La realtà alternativa, il potere seduttivo

Ultimo Aggiornamento: 10/06/2010 18:19
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Sesso: Maschile
10/04/2008 16:23


Metamorfosi e trasfigurazione. La realtà alternativa di David Cronenberg

“Un mattino, al risveglio da sogni inquieti, Gregor Samsa si trovò trasformato in un grosso insetto...”
Franz Kafka – La metamorfosi

Il cinema di David Cronenberg è ricco di spunti di riflessione. La morbosa sessualità, la violenza, la visionarietà, i lati più oscuri della psicologia umana: tutti questi elementi sono il riflesso della concezione pessimistica del cineasta canadese e della sua tendenza a demolire i grandi pilastri che sono alle fondamenta della nostra ben poco civile società occidentale. Questa corrosiva critica sociale viene però effettuata tramite la distruzione stessa del concetto di realtà: nell’opera di Cronenberg infatti, la figura dell’Uomo diventa rappresentazione delle radici più marce del mondo in cui vive. Il paradosso sta nel fatto che a differenza di autori socialmente impegnati, Cronenberg stravolge la realtà filtrandola nell’allucinata psiche dei suoi personaggi, e allo stesso tempo riesce a dipingere un ritratto a tutto tondo della nostra società. Questo processo di trasfigurazione della realtà è alla base dell’estetica del regista canadese.
Fin dal suo lungometraggio d’esordio, Stereo (1969), si ravvisa la tendenza all’analisi della psiche alterata di ragazzi aventi il (non) dono della telecinesi, tema che verrà ripreso in seguito con Scanners (1981). L’ingenuità della pellicola però non rende affatto l’idea di metamorfosi fisica che pervade la trilogia degli “horror biologici”, in cui si ravvisa invece il tentativo di spiegare la natura violenta dell’Uomo tramite la mutazione fisica, diventandone quindi un raccapricciante riflesso. Il più debole dei i tre film risulta essere Rabid (1977), il quale non riesce ad arrivare in fondo al problema che Cronenberg si pone: può salvarci il progresso? La risposta ovviamente è no. Il progresso piuttosto conduce l’umanità lungo un incontrollabile percorso che la porterà verso un destino di morte e di distruzione. Ma non solo. La tecnologia diventa quell’elemento che paradossalmente conduce l’Uomo a rapportarsi con paure ancestrali e con entità soprannaturali. La rabbia della protagonista di The Brood (1979) si manifesta proprio tramite il risultato di una terapia psicanalitica considerata all’avanguardia, che invece provoca in lei una mutazione fisica, manifestata con la covata di uova che contengono i frutti della sua stessa repressione; in Shivers (1975), il rivoluzionario parassita innestato all’interno dei corpi di alcuni pazienti da un medico pervaso da delirio di onnipotenza, diventa una sorta di demone (assolutamente non da intendere come elemento soprannaturale) che, annullando la razionalità umana, mostra un Uomo nella sua vera forma: un animale il cui unico istinto è quello della violenza, della sopraffazione, del sesso come puro istinto bestiale.
Nelle opere successive, Cronenberg abbandona la linearità narrativa dell’horror, persistendo comunque nella tendenza a mostrare esplicitamente le orribili mutazioni cui sono soggetti i suoi personaggi. In Videodrome (1983) ad esempio, la fusione tra materia (pistola) e carne (il corpo del produttore interpretato da James Wood) diventa la rappresentazione visiva della metamorfosi psicologica del protagonista: l’arma diventa un tutt’uno con l’uomo come per rendere palese la presenza di un cancro meccanico che prende il sopravvento sull’essere umano stesso. Per questa ragione il programma “Videodrome” viene trasmesso tramite messaggi subliminali facenti parte di snuff movies che interessano morbosamente il produttore televisivo. L’uomo mettendo la testa nel televisore che proietta immagini violente, tenta di tuffarsi all’interno della propria natura perversa, di cercare la strada per un fantomatico Impero della Nuova Carne, che lo condurrà invece verso la morte. Uno stato superiore rispetto a quello umano, un livello fisico e psicologico più avanzato: queste tendenze si riflettono anche ne The Fly (La Mosca, 1986). Il protagonista, interpretato da Jeff Goldblum, è la rappresentazione della corsa sfrenata della società occidentale verso il progresso, verso il futuro. Ma proprio un computer provoca la fusione degli atomi dell’uomo con quelli di una mosca, mettendo inizio ad una degenerazione fisica che lo muterà in un enorme insetto. Questa metamorfosi palesa in primis la concezione kafkiana a proposito dell’inutilità e dell’infinita piccolezza dell’essere umano; in secondo luogo essa rende evidente la funzione dell’utilizzo della trasfigurazione e della fusione fisica tra differenti elementi, tendenza tipica del cinema di Cronenberg: l’Uomo, invece di raggiungere uno stato superiore, si dis-umanizza, mostrandosi per quello che è, soffrendo fisicamente e psicologicamente per la triste scoperta.
L’idea di alterazione fisica si mescola spesso nel cinema del regista con una forma di metamorfosi prettamente psicologica, dovuta all’assunzione di droghe, alla pazzia, e, come già affermato in precedenza, alla morbosità della concezione di progresso e tecnologia. Con Naked Lunch (Il Pasto Nudo, 1991), ritorna sì il tema dell’alterazione fisiologica, ma il tutto non avviene nella “realtà”, ma nella psiche tossica del protagonista William Lee (pseudonimo di Willian Burroughs, autore del romanzo da cui è tratto il film). Le macchine da scrivere diventano insetti dei servizi segreti, le continue allusioni sessuali (le corna dei mostri sembrano peni e la bocca degli insetti è simile a un ano parlante), lo stravolgimento di ogni forma di linearità narrativa: tutto è rivolto alla descrizione di un viaggio allucinante nei meandri della mente di uno scrittore, la cui razionalità è sconvolta da alterazioni psichiche dovute all’abuso di droghe sconosciute. Cronenberg fa in modo che la trasfigurazione psicologica della realtà coincida con l’alterazione stessa del reale, permettendo allo spettatore di essere “reale” partecipe di queste continue trasformazioni. Lo stesso procedimento avviene in Crash (1996), in cui si avverte la metamorfosi psicologica del personaggio interpretato da James Spader: l’incidente ha creato in lui una devianza sessuale che va oltre gli innocui giochi erotici con la moglie. La psiche dell’uomo ha mescolato l’istinto sessuale con una concezione meccanica della morte. Le cicatrici e gli sfregi causati da incidenti stradali diventano nuovi orifizi da esplorare; l’automobile è un prolungamento del pene, che si volge verso allucinate sodomie meccaniche. Nel finale del film il protagonista e la moglie non sono riusciti ad arrivare al piacere massimo (una sorta di orgasmo pochi secondi prima di morire in un incidente stradale), ma continuano ad essere intrappolati nella loro stessa morbosità, tramite la stupenda inquadratura che mostra l’amplesso tra i due coniugi e l’automobile capovolta che li sovrasta. I tre formano una sorta di ibrido che mescola l’essere umano con la macchina, creando così un animale nuovo, una forma perfetta che modifica totalmente ogni caratteristica fisica e psicologica dell’essere umano stesso. Dead Zone (La Zona Morta, 1983) ed eXistenZ (1999) propongono rispettivamente i temi della modificazione della percezione del reale e della mutazione della realtà stessa, ma riescono solo in parte a raggiungere quegli obiettivi che invece risultano chiari nel penultimo lungometraggio dell’autore canadese, ovvero Spider (2002). Lo schizofrenico interpretato da Ralph Fiennes, elabora nella sua mente una trasfigurazione totale della realtà, creandone una alternativa che lo aiuta a coprire il senso di colpa per aver ucciso la madre. La sua psiche gli crea degli alibi, e, deformando le figure e gli eventi significativi della sua vita, crea una realtà parallela cui aggrapparsi, esattamente come farebbe una ragno sulla sua ragnatela, che diventa sia metafora degli oscuri labirinti mentali del personaggio, nonché bizzarro espediente utilizzato dal folle per uccidere la madre.
Ultima, ma non meno interessante, funzione della metamorfosi nell’opera di Cronenberg, viene riscontrata nelle opere in cui avviene un interscambio tra due elementi che potremmo definire trasfigurazione del doppio. L’opera in cui risulta più evidente questo tipo di approccio è sicuramente Dead Ringers (Inseparabili 1988). I due gemelli, entrambi interpretati da Jeremy Irons, pur essendo caratterialmente diversi, finiscono per seguire l’uno la strada dell’altro. Inizialmente questo processo riguarda solamente l’abuso di droghe che porta dapprima il più timido dei fratelli, poi il più disinvolto, ad un delirio morboso, che provoca nei due una visione totalmente distorta del corpo umano, fino ad arrivare ad una condizione psicologica per cui diventa difficile saperli distinguere: la fusione finale, genera un corpo perfetto, una macabra composizione di due individui che, con la loro “incompletezza” individuale, divengono lo specchio di un’umanità sconfitta. Un altro interessante esperimento di interscambio avviene in M. Butterfly (1993), in cui questo procedimento metamorfico percorre un duplice tracciato: da una parte troviamo il confronto tra Oriente e Occidente; dall’altra, uno scambio di sessualità dei due protagonisti. Il regista, stravolgendo completamente il libretto dell’omonima opera pucciniana, mostra inizialmente un uomo occidentale che s’innamora di una donna orientale; durante il film si assiste ad una trasformazione che trova compimento solo nel finale, in cui si ha la definitiva conferma che la donna è in realtà un uomo la cui virilità si manifesta in una struggente immagine di nudità. Il personaggio interpretato da Jeremy Irons invece, pone fine alla sua esistenza vestendo i panni della donna orientale, assimilandone il tragico destino e il profondo senso di sacrificio. La verità in questo caso non genera più la fusione di corpi tramite l’amore e la sensualità che prima aveva contribuito a creare la realtà alternativa dei due personaggi: nell’interscambio fisico-psicologico diventa palese l’impossibilità di conciliare due culture e due sfere sessuali opposte l’una all’altra. Il rapporto col doppio viene ripreso anche nell’ultimo lavoro di Cronenberg, A History of Violence (2005), sicuramente il suo film più diretto e “politico”. L’ambiguità del protagonista, i cui panni sono vestiti dal sorprendente Viggo Mortensen, non riflette soltanto la falsa moralità di facciata del classico pater familias americano, ma anche il conflitto interiore dell’essere umano, diviso tra impossibilità di “uccidere” ciò che si è stati in passato e necessità di apparire perfettamente integrato in una società che lo proclama eroe solo quando, per un tragico gioco del destino, torna ad uccidere. L’essere umano porta il fardello della sua duplice natura, quella animalesca e quella razionale. Diventa impossibile quindi liberarsi dell’una o dell’altra: all’Uomo resta come magra consolazione solo la presa di coscienza della propria ambiguità, di una silente ed umiliante accettazione di se stessi che lo riporti, malgrado tutto, a riprendere il ruolo che non ricopre, ma piuttosto che interpreta, nella nostra società occidentale.
L’idea di metamorfosi fisica e psicologica che pervade il cinema di Cronenberg, diventa il modo più veritiero di rappresentare la realtà tramite la negazione della realtà stessa. L’Uomo, la sua natura, la sua ambiguità, la sua morbosità: tutto l’interesse del geniale regista di Toronto volge all’analisi di queste tematiche e alla rivelazione, più realistica che pessimistica, del tragico destino dell’umanità.
Matteo Botrugno, close-up.it



***

Spostamenti progressivi del desiderio. I corpi mutanti del melodramma cronenberghiano

“Con lui per la prima volta ho recitato come quando cerco di scrivere una poesia: sono partito dall'osservazione e sono approdato all'espressione”
Viggo Mortensen

La capacità con cui David Cronenberg è sempre riuscito ad esprimere il significato radicale e rivoluzionario che scorre tra le piaghe del racconto melodrammatico attraverso la rappresentazione del corpo e del suo potere seduttivo, sconvolge ogni volta per come tutto ciò che rientra nel taglio delle sue
inquadrature-oggetti, volti, luoghi, suoni-acquista spessore, consistenza quasi tattile e suggerisce un avvicinamento pericoloso alla materia perché ne fa toccare l'anima, lo spirito sotterraneo. Se il genere ultimo a cui è possibile riportare tutta l'opera del cineasta canadese è proprio il melodramma concepito nella sua forma più essenziale – la relazione uomo/donna e lo squilibrio che consegue dalla supremazia sentimentale, fisica ed intellettuale di uno nei confronti dell'altro – Cronenberg adotta un processo di sovrapposizione tanto a livello iconografico che dal punto di vista narrativo, costruendo sopra lo scheletro di quella struttura base altri rimandi e altri riferimenti di genere, visioni alternative, la freddezza asettica della mente analitica calata in realtà spesso morbose, cupe, ai limiti dell'apocalisse esistenziale.
L'esempio più lampante e geometrico di questa pratica di riscrittura filmica è senza dubbio quell'M.Butterfly nel quale, fin dal titolo, si parte dalla citazione testuale di una delle storie più emblematiche del melodramma (lirico) per arrivare ad un rovesciamento della prospettiva, lo smascheramento delle illusioni e delle fantasticherie sentimentali nella verità ultima del corpo. Non solo infatti è stravolto il senso dell'opera pucciniana dov'era la geisha Butterfly a sacrificarsi per amore del suo soldato americano, ma l'inserimento del meccanismo della spy story apre nuove e labirintiche suggestioni alla vicenda. Butterfly è doppiamente traditrice in quanto in realtà è un uomo che, assoldato dal controspionaggio cinese, ha creato l'immagine mitizzata e archetipica di una creatura femminile presente e assente al tempo stesso, l'arma più micidiale con cui sedurre un compassato e represso diplomatico inglese per estorcergli segreti di stato. Considerando che una simile contro-lettura di una storia così cristallina nel suo classicismo era già stata filtrata dalla pièce teatrale di David Henry Hwang, l'occhio di Cronenberg si posa sulla parola e sul racconto per esplicitarne la potenza evocativa in sequenze e, in particolare,in una sequenza di rara, insopportabile commozione: Butterfly\Song Liling, terminato il processo che ha visto condannare sia lui sia Gallimard, il suo inconsapevole amante\delatore, sul furgone che li sta conducendo entrambi in carcere si svela brutalmente eppure dolcemente nella sua cruda nudità maschile che nega l'immaginazione amorosa tanto quanto esalta l'ormai lontana, malinconica, spostata necessità di sognare, come se Gallimard tenesse kubrickianamente gli occhi “aperti-chiusi”, dando alla spazio e al tempo la dimensione espressionista della sua interiorità che convive con inquietudine e sofferenza nell'oggettiva materialità dell'ambiente esterno. Questa schizofrenia tra una sessualità profondamente romantica, disperata, spirituale e la meccanica ripetizione dell'atto fisico fine a se stesso è l'autentica dicotomia che vive sotto la pelle dei personaggi e forma la scorza dura delle immagini cronenberghiane, non certo la moralistica divisione in buoni o cattivi, con la definizione netta e limitante dei concetti di bene e di male. Basti pensare a come si modifica il rapporto tra Seth Brundle e Veronica Quaife ne La Mosca (altro melodramma camuffato stavolta da sci-fiction), dall'iniziale attrazione che li porta a desiderarsi,ad amarsi e a concepire un bambino, al definitivo finale in cui l'allucinato Brundle, nella fase terminale della sua mutazione, chiede alla donna di unirsi geneticamente a lui in una sorta di trinità con il figlio che porta in grembo.
Il fallimento, la disgregazione, l'incapacità di amare e di comunicare sono sempre i canali conduttori verso il crollo della mente raziocinante e questo processo ineluttabile viene somatizzato dal corpo che cambia, muta, si ammala, soffre e si fa carico di una consapevolezza emotiva e psicologica sotto cui, alla fine, è destinato a tracollare, non essendo in grado di tollerare la manifestazione dell'assolutezza del desiderio e dell'amore. Gallimard, prima di mettere in scena il suo suicidio, assumerà le sembianze della Butterfly del suo inganno, un Brundle imprigionato nella mostruosa identità fisica di animale-macchina chiederà a Veronica, con il suo ultimo barlume di coscienza umana, di ucciderlo, il Max Renn di Videodrome, rendendosi conto di non poter subliminare i propri impulsi nella civiltà della tecnologia, trasformerà sé stesso nella sua ossessione per il video esplodendo insieme ad esso: nei loro confronti come nei confronti di tutti i paranoici sognatori che popolano, frenetici e insofferenti, queste visioni dell'assurdo, Cronenberg mantiene un atteggiamento contemporaneamente sintonizzato su un registro di distaccata e a volte ironica constatazione e in un sussulto di toccante, silenziosa partecipazione con il crescere del tormento e dell'indeterminatezza. Il corpo sa tutto, recita il titolo di un romanzo di Banana Yoshimoto. A volte è come se i corpi del cinema di David Cronenberg si facessero portatori di una richiesta che le menti e i cuori non riescono a formulare: preferire l'ignoranza di una porta chiusa, alla conoscenza che si affaccia sull'inferno.
Fabrizio Croce, close-up.it
[Modificato da |Painter| 10/06/2010 18:19]
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